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    I Vescovi alifani del V al XVII secolo

 

        Dal libro: Il Vescovato alifano nel Medio Volturno, di Dante B. Marrocco; Edizioni ASMV – Piedimonte Matese, 1979.

 

Capitolo II

 

La serie dei vescovi

 

La serie dei vescovi inizia storicamente nel quinto secolo. Si interrompe per quattro secoli e mezzo, e ripiglia subito dopo il 969. È possibile che subito dopo Severo e Claro vi sia stato qualche altro vescovo, ma non si sa niente. Vari «anonimi» non hanno sicurezza storica.

La nuova interruzione subito dopo Paolo e Vito, prima di Arechis e Gosfridus è assai strana. Ma fu interruzione?… Se Vito è morto molto dopo il 1020, e Goffredo sedé sulla cattedra già molto prima del 1059, l’interruzione non sussiste. Da ciò le tre lapide degli ultimi vescovi portate nella nuova cattedrale da altrove (dalla vecchia cattedrale diruta?…).

Diamo le notizie raccolte.

 

1. SEVERO (Severus episcopus). – Il suo nome sta sul rovescio della lapide del calendario alifano: HIC REQuiescit in pace / SEVERUS EPIsCOpus qui vixit annos plus / MINUS L Et sedit annos… menses / VIII DIES V…et depositus est… Si trova al museo di Capua e fu reintegrata da G. B. De Rossi e da G. Miniervini. Data la tecnica dell’iscrizione e lo stesso nome di lui, la lapide è anteriore al VI secolo. In seguito all’editto di Teodosio del 392, che aboliva il culto pagano, il calendario con le sue feste agli Dei cadde in disuso, e fu utilizzato per altro. Siccome il vescovo Claro sedeva sulla cattedra negli anni ‘499-501, è impossibile che Severo morto nel V secolo, sia posteriore a lui. Dev’essere anteriore, e dev’esser morto dalla fine del IV alla fine del V secolo. Dunque la serie storica dei vescovi di Alife si prolunga avanti di altri anni.

Bibliografia: C.I.L. IX, n. 2333; Atti della commissione monumenti di Terra di lavoro 1876, p. 72. Che la lapide risalga al IV-V secolo è il parere anche di esperti epigrafisti G. Camodeca (dalla fine del IV alla fine del V secolo) e N. Mancini (IV-V sec., «particolarmente significativo l’occhiello aperto della R, frequente nei secoli citati»; e anche per lui il nome è romano, non cristiano dal sec. VI in poi).

 

2. CLARO (Clarus episcopus). – Nome e qualifica si ricavano dal concilio romano del 499, che egli sottoscrisse. Se ne parlerà nel capitolo apposito. Nient’altro si sa di lui. È evidente la sua personalità latina.

Bibliografia: Mansi: SS. Conciliorum amplissima collectio; e tutte le storie ecclesiastiche.

 

3. PAOLO (Paulus episcopus). – Dopo quattro secoli di vuoto troviamo un vescovo di Alife. Il nome appare in tre giudicati di Pandolfo Principe di Benevento. Nella lite tra il Vescovo Vito e il monastero di Cinglia viene citato sei volte. Il vescovo di Alife è citato nella epistola papae Gregorii V ad Alfanum. I documenti parlano di lui negli anni 981-85, ma le sedi suffraganee di Benevento erano state occupate dai vescovi fin dal 969-70 e, o è stato lui il primo vescovo della ricostituita diocesi o, meno probabile, è successore di un altro rimasto sconosciuto.

Bibliografia: Gattola: Historia abbatia casinensis I 32, 37; Dei Meo: Annali 181 VI; Migne: Patr. Lat. C. 923 CLXXXVII; Kehr: Italia pontificia IX 114.

 

4. VITO (Vitus episcopus). – Fu il vescovo dell’anno Mille.

La prima notizia che lo riguarda è del 985. Da diacono della chiesa alifana fu promosso vescovo. Nella bolla riportata da Gattola[1], nella quale, dall’arcivescovo Alfano gli sono assegnati i confini del vescovato, è detto: …dum me ven. Vitum in Sanctam Aliphanam Ecclesiam episcopum consecrabat….Ultima notizia di lui è l’atto del 1020[2]. Il vescovo ha per avvocati Giovanni diacono e Gotefrido chierico e notaro e tramite essi presenta molti documenti nella causa contro il monastero.

Bibliografia: Mansi: Conc. XIX, col. 19; Kehr IX, 115, dal 998; Muratori: Ant. It. XVIII 166, lo chiama Anonimo; Di Meo: Ann. VI 231, a. 998.

 

5. ARECHI (Arechis episcopus). – Arechis o Arechisius (varianti di Enrico) intervenne al concilio romano riunito da Papa Nicolò II nel 1059. Nel 1061 partecipò al sinodo regionale di Benevento, ed era presente alla sentenza pronunziata dall’arcivescovo Uldarico a favore dell’abate di S. Sofia contro il vescovo di Dragonara. Il suo nome sta inciso su una lapide nel soccorpo della cattedrale.

Bibliografia: Ughelli VIII 292, lo chiama Artis; Muratori: RR. II. SS., parte II col. 647; Cappelletti XIX 105, lo dice «anonimo»; Mansi: Conc. I col. 1398; Martène VII, col. 61 Veterum…

 

6. GOFFREDO (Gosfridus episcopus). – Una piccola lapide tombale nel soccorpo della cattedrale dice: GOSFRIDUS EPUS HIC REQUI(escit). Trutta assicura che fu trovata nel 1770, insieme alla cassetta delle ossa, mentre s’intonacava il tempio sotterraneo: «mostrano esser ivi state trasportate da altro luogo».

L’induzione è legittima. Alife divenne contea normanna nel 1065, e Goffredo dal nome normanno, va collocato fra il longobardo Arechi, morto dopo il 1059, e il normanno Roberto, già vescovo nel 1097-98. La cattedrale attuale (1132-35 approssimativamente) non esisteva. Fu seppellito altrove, e i suoi resti furono riportati ben presto nel soccorpo, dato il carattere della scrittura sulla lapide. Tanto vale anche per Vito. Di Meo, negli Annali, sempre contro Trutta, di questo vescovo dice: «falso!», ma e la lapide?…

Bibliografia: Trutta: Diss. 383; manca in tutti.

 

7. ROBERTO (Rubertus episcopus). – Vescovo già nell’Ottobre 1098, viveva ancora nel 1139. Il suo episcopato è denso di avvenimenti: nel 1097-98 vede partire i Crociati; nel 1132 riceve le reliquie di S. Sisto; fra gli anni 1132-35 vede sorgere la nuova cattedrale voluta dal conte Rainulfo III; nel 1135 assiste all’occupazione di Alife da parte di Re Ruggero II; e nel 1138 subisce il saccheggio delle chiese durante la tremenda distruzione della città e la strage dei suoi abitanti.

Dai documenti appare presente ad alcuni atti: nell’Ottobre 1098 alla donazione della chiesa di S. Giovanni alla Chiusa presso Prata, fatta da Arnaldo de Buchon (Buscione) in presentia domini Ruberti Dei gratia Allifiensis Episcopi; nell’Agosto 1100 si ricorda una donazione fatta al monastero di Cingla pure in sua presenza.

Per il fatto che il suo episcopato sia durato almeno 41 anni, alcuni hanno pensato che siano due vescovi dello stesso nome, uno nel 1098 e seguenti, l’altro dal 1124 in poi. L’indubbia lunghezza dell’episcopato, per me unico, di un normanno imposto giovane dalle autorità politiche, non deve meravigliare. Basta tener presente che sulla stessa cattedra c’è stato E. Gentile per 45 anni e mezzo (1776-1822), e A. Sanfelice per 45 anni (1413-58).

Bibliografia: Gattola: Hist. Cas. I 44 e 49; Di Meo: Ann. IX, 89; Kehr: It. Pont. IX 114, Gams: Series 847.

 

8. PIETRO. – Dal 1143 al 1148 è citato in documenti e in una vasta bibliografia.

Nel Novembre 1143 interviene al Parlamento, a Capua, riunito dal Re Ruggero II, e ne sottoscrive le decisioni insieme a prelati e signori. Si trova fra i quattro eletti a dirimere liti e discordie nel reame. Dunque fu anche personalità politica. Il 22 Aprile 1148, insieme a Siginulfo cescovo di Valva emanò sentenza contro il vescovo di Teramo riguardo alla giurisdizione sul monastero di S. Nicolò.

Bibliografia: Capecelatro: Storia di Napoli, 112; Cappelletti: XIX 106 fa avvenire probabilmente sotto questo vescovo la traslazione di S. Sisto, e XX 338, Chioccarelli: Antistitum 131; Di Meo X 125; Gallo: Cod. dipl. 88, n. 51; Kehr: IP IX 114; Janisons: Papers of British school at Rome VI 458 n. 5; Charta del 22 Aprile 1148; manca in Ughelli.

 

9. BALDOVINO (Balduinus episcopus). – Era un normanno, Baudoin, e i documenti che lo riguardano vanno dal 1179 al 1198. Il momento più importante del suo episcopato fu nel Marzo 1179, quando intervenne al terzo concilio ecumenico riunito al Laterano. Nel Marzo 1180 stava a Montecassino e insieme ad altri, chiese al card. Ruggero arcivescovo di Benevento, che i visitatori lucrassero l’indulgenza. Il metropolita convocò i vescovi suffraganei, e insieme dettero l’indulgenza di un anno: Datum apud sanctum Germanum, in natali Apostolorum Petri et Pauli, in anno Dominicae Incarnationis MCLXXX, Pont. D. Alexandri III anno XXI, mense Julio Ind. XIII[3].

Interrogò Papa Alessandro III circa il conferimento delle dignità che vacavano da quindici anni nel capitolo di Alife, se un chierico può avere due chiese, ed altro. Il Papa rispose fra l’altro: «De possessiones laicis sub modico censu concessis, quod ad proprietatem Ecclesiae laesae conveni eas redire»[4]. Nel 1198 ottenne da Papa Innocenzo III pieni poteri anche di ipotecare i beni della chiesa per lavori da eseguire in cattedrale.

Bibliografia: Holtzmann: Quellen… XXXVIII (1958) 139 n. 184 Edd. App. Conc. Lat. t. XXIX col 7 ; A. Augustini: Opera Omnia IV 70 171 ; Migne P. L. CLXXXVII col. 923; Gattola: Hist. I 399.

 

10. LANDOLFO (Landulfus episcopus). – Stiamo nel settantennio svevo. La lotta per la supremazia in Italia fra imperatore ghibellino e papa guelfo coinvolge anche l’episcopato.

Da un primo documento[5] si sa che il Papa Innocenzo III lo autorizza a scomunicare gli ecclesiastici che presumano accusarlo al tribunale civile. Da altre notizie appare estromesso.

Un’ultima notizia è data da Pratilli[6]. È ricavata dal necrologio di S. Benedetto di Capua, secondo cui Landolfo morì il 27 Settembre di un anno imprecisato: V Kal. Oct. Landulfus canonicus et episcopus alliphanus. Dopo l’espulsione si era ritirato a Capua.

 

11. NON NOMINATO. – Da Eubel[7] viene la notizia «…contra successorem eius (di Landolfo) cuius nomen ignoratur, infra XXX aetatis suae annum constitutum per laicalem potestatem, electum, et postea consecratum, et propterea vinculo excommunicationis innodatum, procedi jussit Onorius III».

Le accuse contro l’intruso erano state rivolte al papa da alcuni canonici della cattedrale, secondo i quali era stato eletto vescovo non ancora trentenne, era stato imposto dal potere politico, aveva ottenuto la consacrazione sebbene fosse scomunicato per prepotenze fatte a un ecclesiastico, e aveva anche privato dei suoi diritti il predecessore.

Il Papa si rivolse per informazioni al vescovo di Teano: Datum Later. VII Kal. Sept. a. II (1217). Ma le prove addotte furono sottratte, inquanto il vescovo era probabilmente persona di fiducia del conte di Alife[8]. Con tutto ciò la condanna venne, anche se tardi: il 21 Agosto 1217 fu espulso.

Bibliografia: oltre alle note, v. Kehr: It. Pont. IX 115.

 

12. NON NOMINATO. – Fra il 1217 e il 1239 è vissuto un altro vescovo il cui nome non è stato tramandato. Era probabilmente lui a opporsi alla costruzione di un monastero di Cistercensi presso San Gregorio, tanto da provocare una lettera di Papa Onorio III del 20 Agosto 1225, diretta a conoscere le ragioni dell’opposizione (v. capitolo sui Religiosi). Ma è noto per ben altro.

Fautore della politica papale nel reame, invece di stare al suo posto di pastore di anime, si schierò apertamente con le forze armate papali che avevano invaso Terra di Lavoro, profittando dell’assenza dell’Imperatore Federico II, allora in Terra Santa. Senza l’inquadramento nella storia l’agire di questo vescovo non può essere capito, e si rischia di vederlo solo come una vittima, come hanno fatto Ughelli e i cronisti locali: essi ne ricordano le sofferenze, senza dire perché le soffrì.

Nel favoreggiamento dell’occupazione papale si erano dichiarati più o meno apertamente i vescovi di Aquino, Teano e Venafro; quello di Alife forse più degli altri. I 2.000 papalini comandati dal cardinal Pelagio vescovo di Albano, giunsero anche nel Medio Volturno. Ailano si arrese, Alife fu occupata, ma il presidio fedele al conte Tommaso di Aquino, conte di Alife, resistette nel castello. Piedimonte (attuale quartiere San Giovanni) fu occupata. La «fortissima torre» (cioè Piedimonte alta, oggi Castello Matese), resistette.

Ma ecco l’Imperatore. Il vescovo ormai compromesso, seguì i pontifici nella loro fuga. Tutti – soldati, legato pontificio, vescovi di Aquino e di Alife – si chiusero in San Germano (Cassino)[9]. Ma s’interposero il Gran Maestro dell’Ordine Teutonico, l’abate di Montecassino, i «pacieri» cardinali Giovanni di S. Sabina e Tommaso da Capua, e il vescovo sconosciuto, gli altri e i soldati tornarono a casa. Tutto all’italiana. La pace fra Impero e Papato, il 23 Luglio 1230, gli aveva permesso tanto, ma la fiducia del sovrano era perduta per lui.

Nell’Agosto 1233, il Giustiziere di Terra di Lavoro, Ettore di Montefusco, convoca i vescovi presso Teano. Erano presenti quelli di Calvi, Carinola, Caserta, Nola, Venafro, e lui. Ma dopo una iniziale cordialità – il giustiziere chiese se avevano ricevuto qualche indennità per i cattivi trattamenti subiti –, furono arrestati, processati e cacciati in esilio. Le lagnanze dei prelati contro i funzionari governativi dovettero rivelare altri fatti?… Il fatto che l’Imperatore fece arrestare anche i fratelli del vescovo, indicherebbe la consistenza del lavorio di consorteria, per cui la seconda espulsione fu definitiva. In esilio, non si sa dove, morì in miseria.

Nel 1239 era già morto. Dal Marzo all’Ottobre ’39, il vescovato rimase vacante, e sottoposto a un procuratore laico, sostituto del procuratore capo di Terra di Lavoro.

Bibliografia: Ughelli: VIII 292; Kamp N.: o.c. 217.

 

13. ALFERIO (magister Alferius). – Data la presenza in Alife dei De Alferiis, o Alfieri, è chiaro che Alferio è cognome latinizzato. Uscito dalla piccola nobiltà locale, colto, è il tipico ecclesiastico di carriera. Comincia come cappellano del cardinale Ottoboni. Dal seguito di lui, diacono di S. Adriano, passa a canonico di Alife e, il 27 Aprile 1252, a vescovo della sua città natale. Fu il Papa in persona, Innocenzo IV, a imporlo praticamente al Capitolo che aveva il diritto di elezione, con lettera apostolica del 27 Gennaio 1252, epistola 382.

Ma non poté pigliare possesso. Corrado IV Imperatore e Re di Sicilia aveva ristabilito in pieno la sua autorità sul reame e su Terra di Lavoro in specie. Evidentemente non gradì la presenza del prelato curialista, legato alla politica guelfa papale. Di fronte a questa situazione, durata due anni, Innocenzo IV trasferì Alferio a Viterbo, il 28 Aprile 1254. Vi morì nel 1258.

Bibliografia: Ughelli VIII 292 porta la nomina al 1257; Eubel I 83; DHGE II 450; Kamp: Kirche…

 

14. ROMANO (Frater Romanus Ordinis Praedicatorum). – Domenicano e sottopriore del convento di S. Sabina in Roma, dopo il trasferimento del vescovo Alferio, fu nominato vescovo di Alife da Papa Innocenzo IV, il 29 Marzo 1254.

L’11 Novembre (III Idus) 1254 Innocenzo IV gli scrive affinché con altri vescovi voglia consacrare Ugo vescovo di Teano[10]. Già nel Settembre gli aveva permesso di contrarre un prestito.

Gli anni del suo lungo episcopato passarono senza forti scosse. È del 1271 il suo accordo con un barone circa il possesso di una chiesa. Ma in ultimo avvenne un fatto spiacevole. Poco prima del 1284 fu citato dal Legato Gerardo da Sabina su basi sconosciute, e poiché non comparì, il Legato gli ritirò i redditi. Fra Romano andò alla curia romana per seguire il suo processo, e pare che non tornò più in diocesi. Nella curia appare come impiegato delle indulgenze.

Nel 1292 era già morto. In quell’anno, Gentile vescovo di Reggio Calabria si trova come Amministratore Apostolico di Alife[11].

Bibliografia: Ughelli VIII 292; Fontana V. S. TeatumDom; Eubel I c. 83.

 

15. PIETRO. – Nel 1305 era vescovo di Alife, come si ricava dal Reg. Angioino di quell’anno.

Forse era alifano, se zio del seguente.

Bibliografia : Ughelli VIII, 292; tutti ripetono Ughelli; Eubel I, 83; Gams 817; Iacobelli 41.

 

16. FILIPPO. – Era vescovo nel 1308-10. Forse era alifano.

Il 18 Dicembre 1308, Egidio de Villacublai barone di Prata, gli presentò per la conferma, il prete Taddeo quale rettore di S. Pancrazio di Prata[12]. Aveva un nipote dello stesso nome. Si ricava dalle Rationes decimarum: Abbas Philippus nepos domini episcopi adhuc tarenos IIII[13], e più oltre: Abbas Philuppus pro beneficiis suis quae valent uncias II solvit tareno II (c.s. 249). Il primo documento in cui appare è una pergamena dell’archivio capitolare di Caiazzo, del 30 Agosto 1300.

Bibliografia: Eubel I, 83 (a. 1309); Gams 847; manca in Ughelli.

 

17 NICOLA (Nicolaus episcopus). – È ricordato nella nomina del successore per il giorno della morte in cui questi gli successe immediatamente, l’8 Marzo 1346.

 

18. TOMMASO DELLE FONTI (Thomas de Fontibus). – Era canonico della cattedrale di Teano, e l’8 Marzo 1346 successe al vescovo Nicola. Il 25 Aprile 1348 emanò disposizioni disciplinari ricordate dal vescovo Sanfelice, il quale, il 29 Marzo 1417 dichiara di aderire alle sanzioni: «…inharaendo replicatis sanctionibus nostrorum praedecessorum, et praesertim Thomae de Fontibus, sub die XXV Aprilis MCCXLVIII» (v. capitolo «Le assemblee del clero».

Bibliografia: Ughelli VIII 298 dà notizia della nomina «ut in Regestro Vaticano epist. 552 (li. IV, fo. 44)»; Eubel I 83: lo chiama Infontis; DHGE lo dice canonico di Chieti, confondendo theatensis con teanensis.

 

19. BERTRANDO (Bertrandus episcopus). – Nominato il 3 Dicembre 1348, il 28 Marzo 1350 s’impegnò a pagare il subsidium alla curia romana, come dal libro delle obbligazioni.

L’aria di Alife gli fece male, e chiese di essere trasferito. Si ricava dagli «Arcani historici» di Niccolò Alunno[14]. Vi è scritto: «Vescovo di Alife, Bernardo, incontrando poca bona temperie d’aere in questaa città e diocesi, s’incamminava con lenti passi a perdere totalmente la salute, mentre dal tempo che vi pervenne, mai poté godersi giorno salutifero; ricorse però ai Regi, e questi supplicarono il Pontefice a cambiarli prelatura, con destinarlo a Diocesi di esperimentato ambiente».

 

20. ANDREA (frater Andreas ordinis fratrum minorum). – Nacque a San Severino in provincia di Salerno, entrò tra i Francescani, e riuscì a fondare un convento dell’ordine nel suo paese. Papa Innocenzo VI approvò la fondazione. Da Wadding si ricava pure che era tenuto in conto a corte, presso la Regina Giovanna I, di cui era fidelis et familiaris. Il 10 Novembre 1361 dette il possesso di arcidiacono a Giovanni Alferio.

Bibliografia: Wadding: Annales Minorum IV; Ughelli e Eubel o. e l. c.; Cappelletti: Chiese d’Italia, riporta che la fondazione doveva farsi in Alife.

 

21. GUGLIELMO (Guilelmus episcopus) – Il successore, Giovanni Alferio, il 14 Maggio 1389 pagò anche per lui il subsidium Camerae Collegii Cardinalium. È l’unica notizia che abbiamo.

Bibliografia: Gams e DHGE lo dicono morto verso il 1380; sbaglia Iacobelli che lo dice vivente nel 1390, se dal 1389 era vescovo Giovanni Alferio.

 

22. GIOVANNI ALFERIO (Johannes Alferius o De Alferiis). – Nacque in Alife, da Pietro. La famiglia – la stessa dell’altro vescovo –, era di valvassori del conte, e perciò di cavalieri. Divenne competente in Diritto, e, fine com’era nei modi, dopo che fu fatto arcidiacono da diacono che era, fu promosso vescovo della sua città natale da Urbano VI suo affine. Nipote del Gran Cancelliere Nicolò Alunno, e forse affine anche del card. Renzo, acquistò pure importanza politica riuscendo caro a Re Ladislao, che lo ebbe per consigliere della Corona. Fu lui a salvare il prezioso manoscritto dello zio Nicolò Alunno.

Da vescovo pagò per sé e per il predecessore Guglielmo, il subsidium; e il 27 Maggio 1396 emanò disposizioni di disciplina ecclesiastica ricordate dal vescovo Sanfelice: «inhaerendo… sanctionibus… Johannis de Alferiis nostri etiam concivis». Il 16 Dicembre 1390 fondò un oratorio in S. Maria Maddalena in Alife, e lo dotò per la celebrazione di messe. Nominato pare, nel Maggio 1389, morì nel 1412. Alife gli ha dedicato una via.

Bibliografia: Ughelli VIII, 294, Gams 847; Eubel I, 83; Ciarlante IV, cap. 29; Occhibove 3; Iacobelli 32; Marrocco D. Arcani hist. 5; Baumgarten P. M.: Unterschungen… LII-LIV, 270.

 

23. ANGELO SANFELICE. – Nacque ad Alife da nobile famiglia oriunda di Isernia. Lì, i Sanfelice, venuti nel reame da Marsiglia, possedevano casa e beni. Il loro stemma aveva lo scudo spaccato, e nel campo superiore era d’argento ai tre passeri di rosso passanti a sinistra, e nell’inferiore di rosso ai tre passeri d’argento passanti sempre a sinistra.

Già arcidiacono, fu eletto vescovo dal Capitolo il 13 Febbraio 1413. Il suo episcopato durò ben 45 anni.

È del 20 Dicembre 1416 un suo decreto sulla disciplina del clero. Ma non essendo conservato nel suo testo originale, per Trutta si riduce a una falsificazione del primo ‘700.

Molto importante è il laudo o regolamento arbitrale per la disciplina del clero di Piedimonte, da lui emanato il 25 Febbraio 1417.

Il 5 Settembre 1419, Papa Martino V lo incarica di assolvere dalla scomunica Giacomo Gaetani e Giovannella Orsini, consanguinei, che si erano sposati senza dispensa pontificia, e di legittimare la prole[15].

Nel 1432 pubblica un altro editto per riunire un sinodo, a Pentecoste, in Cattedrale (neanche questo è accettato da Trutta)[16].

Nella quaresima 1436 sale sul monte Muto di Piedimonte. In uno di quei sabati, un pastore trovò una pecora inginocchiata dinanzi a una cappella ad abside, coperta di rovi. Nasceva S. Maria Occorrevole.

Doveva essere ben nota a Roma la sua rettitudine se, ancora il 13 Febbraio 1454, il card. D. Capranica Penitenziere Maggiore lo invitava ad assolvere, dopo la penitenza, il prete Giovanni Maciotto che il 2 Marzo 1454 Sanfelice assolve.

Bibliografia: Trutta mss. di S. Maria Maggiore, 135 sgg.; Caetani R., Ch., 82.

 

24. ANTONIO MORETTA (Frater Antonius ordinis Praedicatorum). – Il 13 Giugno 1458, Papa Callisto III dava per successore di Sanfelice, fra Antonio Moretta domenicano.

Il cognome non è precisamente quello riportato: sulla lapide è Morrettus, da Fontana Marresius, e da Eubel Maresse. Rimase sulla cattedra per 25 anni, essendo morto nel 483.

La ricostruzione della Cattedrale, terminata nel 1475, fu l’opera sua principale: «Cathedralem pene collapsam, nova molitione restituit»[17]. La ricostruzione è ricordata anche sulla lapide tombale: Basilicam destructam erexit. La sua tomba si trovava presso il sepolcreto dei vescovi, presso la porta centrale della Cattedrale.

Il 28 Aprile 1475, il Maestro generale dei Frati Predicatori, Maestro Leonardo de Mansuetis gli concedeva: «R.us D.us Episcopus Alifi, qui est de Ordine nostro, potest assumere et commutare duos fratres in socios, qui maneant ad obsequium suum, ad audiendas confessiones eius et aliorum, et officiandum, necnon ad confaciendum ea quae suae confessioni conveniunt sine molestia alicuius».

Bibliografia: Fontana V.: Teatrum Dom. 131; Rispoli: Bullarium O. P. III 174; Ughelli VIII 294.

 

25. GIOVANNI BARTOLI (Johannes Bartholomaeus Bartoli). – Era arcidiacono della cattedrale, e fu eletto vescovo dal Capitolo, il 16 Dicembre 1482.

La data però discorda: per Ughelli è il 16 Gennaio 1483, come per Gams; per il manoscritto di Santa Maria Maggiore è il 2; e per Iacobelli il 13 Febbraio. Forse ognuno riporta una data o di nomina o di possesso, o di pagamenti di obbligo alla curia romana.

Morì nel 1486.

Bibliografia: quella detta sopra.

 

26. JUAN DE ZEFRA (Johannes de Zefra). – Si sa che era spagnolo, di Toledo.

Fu eletto il 6 Settembre 1486, e si obbligò al pagamento delle tasse di curia. Morì nel 1504.

Bibliografia: come per il precedente.

 

27. ANGELO SARRO DI OLIVETO. – Il cognome è variamente riportato: Sacco da Eubel, Sarri da Gams. Già arcidiacono della Cattedrale, fu eletto dal Capitolo il 26 Maggio 1504. Ebbe un episcopato di venticinque anni, e morì nel 1529.

Nel 1516 consacrò la chiesa di S. Maria porta del Paradiso a Sant’Angelo di Raviscanina.

Bibliografia: Cappelletti XIX 109, data di elezione: 26 Marzo.

 

28. BERNARDINO FUMARELLI. – Nacque a San Germano, ma si sa poco di lui fino alla nomina a vescovo di Minervino. Il 16 Agosto 1532 fu trasferito ad Alife. Siccome non gli piaceva star fermo in una sede, il 13 Novembre 1533 ottenne il trasferimento a Sulmona ove morì nel 1547. In quella sede si conservano di lui molti documenti, e i più importanti vanno dalla cessione della diocesi fattagli dal Card. Della Valle al culto dei santi locali Pelino e Panfilo che egli curò.

Bibliografia: molte lettere e documenti; Ughelli I 382, e VIII c. 295. Eubel III 117: Lat. 1544 f. 279; Cappelletti XIX 109 dà per patria San Gimignano in Toscana.

 

MICHELE DE TORELLI. – Assai incerto il cognome (de Torcellis in DGHE, Torcella in Eubel, Torrelli in Cappelletti, Torellos in Ughelli e manoscritto di S. Maria M.) e la patria. Secondo Cappelletti era romano, figlio naturale di Gaspare, maggiordomo di Papa Clemente VII, legittimato dal papa stesso. Da Iacobelli si sa che era arciprete di Sulcis in Sardegna e canonico di Cagliari e di Valenza. Che avesse un canonicato a Suelli in Sardegna è provato da Scano: il 16 Aprile 1534, Papa Clemente VII, in seguito alle dimissioni di lui, lo conferiva ad altri. Che lo fosse anche di Valenza (di Spagna o d’Italia?) è provato da Eubel reservata pensio centum ducatorum canonicus Valentanus.

Fu nominato vescovo di Alife il 4 Novembre 1532, e restò in diocesi otto anni e mezzo. Il 6 Aprile 1542 (non Agosto) fu trasferito ad Anagni, ove morì nel 1572[18].

Bibliografia: Cappelletti XIX 109; Eubel III, 117; Ughelli VIII, col. 210; Dionigi Scano: Codice diplomatico delle relazioni fra la S. Sede e la Sardegna (Cagliari 1941) vol. II, p. LIII introduz., v. doc. CDXIII riportato dall’archivio Vaticano, vol. 1429, f. 136.

 

30. IPPOLITO DE MARSILIIS. – Nacque a Larino, ma non si sanno altri particolari fino alla sua nomina a vescovo di Alife, il 6 Aprile 1541. Rimase in diocesi per circa cinque anni. Nel 1545 fu tra i nove vescovi desisgnati dal Papa a intervenire al concilio di Trento, ma non partecipò ai lavori conciliari forse per l’età avanzata. Morì nel 1546, e fu sepolto nella Cattedrale apud suos tumulatus antecessores.

Bibliografia: Ughelli VIII, 210, lo dice lunensis, di Luni, da cui i cronisti locali hanno ricavato Lucca, ma già nell’editio secunda aveva corretto; e larinensis è per Eubel III 117 AC 4 f. 124; per Gams 847, è Marsigli; per il concilio di Trento, v. Di Lello B. quanto riguarda il vescovo Pighino.

 

31. SEBASTIANO PIGHINO. – Il 17 Settembre 1500 nacque ad Arceto (Reggio Emilia) da Graziano e da Caterina de Vigaronis. Nel 1528 era lettore nello studio di Bologna, e il 22 Febbraio 1533 vi si laureò in utroque. Subito ebbe mansioni di curia, fu nominato cappellano pontificio e, ancor così giovane ebbe mansioni a Perugia con gran soddisfazione dei perugini. Il 31 Marzo ’44 diveniva uditore della S. Rota, e restò in quell’ufficio nove anni. Il 21 Dicembre ’45 ricevé gli ordini sacri e, pure in quei giorni, un canonicato a Capua. Il 27 Agosto ’46 fu nominato vescovo di Alife.

Gia si trovava a Trento, al concilio, e lì fu consacrato. Dopo meno di due anni, il 4 Giugno ’48, fu trasferito a Ferentino. La sede alifana era stata data per puro caso a lui che, occupato com’era nei lavori conciliari, non venne mai in diocesi. Da Ferentino, il 30 Marzo ’50, ebbe un altro trasferimento a Manfredonia, e l’11 Dicembre ’53 ancora un altro trasferimento, stavolta ad Adria. Qui, tramite un arciprete che lo rappresentava, s’interessò un poco della diocesi. I vescovati gli servivano per titolo ed emolumento, specie l’ultimo notevolmente ricco. Divenuto cardinale nel 1551, morì a Roma nel 1553.

Bibliografia: Ughelli VIII 295: data della consacrazione 22 Aprile; Ciacconio: Vitae 776; per i lavori a Trento, v. Di Lello B. al cap. Le assemblee del clero; Cerchiara E.: Cappellani et apostolicae Sedis Auditores (Roma 1919); Eubel III 117, AC 4 f. 279 ss., e per i trasferimenti 95, 195, 301.

 

32. FILIPPO SERRAGLI. – Nacque a Firenze da nobile famiglia. Fu monaco e abate generale della Congregazione di M. Oliveto. Nel capitolo generale, eletto abate generale, rinunziò. Da Papa Paolo III fu nominato vescovo di Madruz in Dalmazia, e il 22 Giugno 1548 trasferito ad Alife, ove morì nel 1444. Rinunziando a Madruz, s’era riservata una pensione annua di 60 ducati pro persona nominanda.

Bibliografia: Cappelletti XIX, 109; DHGE porta al 4 Giugno ’48 la data del trasferimento; Gams al 22 Luglio il trasferimento, e al ’57 la morte; Eubel III 175 lo chiama de sereallis.

 

33. ANTONIO AGUSTIN (Augustinus). – È l’uomo più colto seduto sulla cattedra alifana.

Nacque a Saragozza il 25 Marzo 1517 da Antonio e da Isabella dei duchi di Cardona. Il padre era Vicecancelliere del regno di Aragona.

Compì i primi studi a Saragozza; a nove anni passò ad Alcalà per la Filosofia, e poi a Salamanca per il Diritto. Volle perfezionare il suo spirito fine nelle università italiane, e il fratello maggiore, suo primo ammiratore, lo sostenne nelle spese. Nel ’35 frequentò Bologna per due anni, nel ’38 a Padova si perfezionò in Latino e Greco, tornò a Bologna per quasi cinque anni, poi andò a Firenze per poco. Nel ’41 s’era laureato in utroque, e nel ’44 si trovava a Roma.

L’anno stesso diveniva cappellano pontificio, e, appena ventisettenne, su designazione dell’Imperatore Carlo V, Uditore della S. Rota, derogando per lui dalle decisioni di Innocenzo VIII. Nel ’54 andò in Inghilterra quale nunzio straordinario di Papa Giulio III, per il matrimonio di Filippo II di Spagna con Maria Tudor, e finalmente l’11 Dicembre 1556 veniva nominato vescovo di Alife. La presa di possesso avvenne il 27 Settembre ’58.

All’atto della nomina non era ancora ordinato, per cui l’11 Dicembre fu ordinato prete, e il 19 consacrato vescovo.

Dimorò in diocesi per tre brevi periodi, come si ricava dalle sue lettere: 1) Autunno-Inverno 1558-59 (invia sei lettere da Piedimonte); 2) nella tarda primavera del ’59; 3) Dicembre ’59.

Nel ’56, prima di venire in diocesi, era stato Nunzio straordinario a Vienna, per trattare la pace tra Filippo II e suo zio l’Imperatore Ferdinando (e si conserva una fitta corrispondenza di lui col Papa). Fra il primo e il secondo periodo piedimontese, fu incaricato dal Re Filippo II di andare in Sicilia quale Visitatore delle chiese siciliane.

Nel ’58 aveva dato il voto sulla successione dell’Impero da Carlo V al fratello Ferdinando I, attuata senza il consenso della S. Sede, e fu revocato da Nunzio. Intanto era stato chiamato a Trento, ma lì giunse il 23 Ottobre ’61. Due mesi prima, l’8 Agosto era passato alla diocesi di Lèrida nella sua patria, per cui al concilio figurò come Yleridensis. Dove stava nel Febbraio ’61?… In quel mese Alife, stupita, apprendeva che il suo conte era stato decapitato a Roma, e poco dopo vedeva arrivare truppe spagnole e pontificie che la saccheggiavano. Gli abitanti fuggivano nei paesi vicini, specie a Piedimonte[19].

Dopo quindici anni, il 17 Settembre 1576, il coltissimo prelato aragonese compiva l’ultimo balzo in avanti: arcivescovo di Tarragona, ove morì il 31 Maggio 1587, lasciando appena il denaro per i suoi funerali. Tutto aveva speso per i libri e le opere di cristiana carità.

Pubblicazioni: (diritto romano) 1543 Emendationum et opinionum li. IV (Venezia); Juliani antecessoris epitome novellarum; Verborum quorumdam Juliani; Justinianus Imperator: De niminibus propriis Pandectarum; Emendaciones a las leges romanas; De diversis regulis antiqui juris explanationes; De legibus et senatuconsultis Romanorum; Ad Modestinum; Ad Hadrianum; Ad edictum perpetuum; Corpus juris civilis jurisprudentia restituta; (diritto canonico) 1576 Antiquae collectiones decretalium; Canones poenitentiales; De quibusdam veteribus canonis judicium et censura; Dialogorum libri de emendatione Gratiani, Constitutionum provincialium tarraconensium li. V; Constitutiones provinciales et synodales tarraconenses ; De Pontifice Maximo, de Patriarchis et Primatibus (parvero indispensabili sotto l’aspetto dogmatico), Juris pontificii veteris epitome ; Institutiones juris pontificii ; Epitome decisionum rotalium; (storia, araldica, numismatica) 1557 Note a Varrone; Note a Sesto Pompeo; In libros Festi de verborum significatione; Familiae romanae quae reperiuntur in qntiquis numismatibus; Dialogui de las medallas, inscripciones u otras antiguedades; Antiquitatum romanarum hispanicarumque; De las armas; Ex libris de familiis Romanorum; De Romanorum gentibus et familiis. Le lettere furono pubblicate a Roma nel 1804.

L’opera sua è interessante perché la ricerca è svolta con l’indirizzo storico sia nel campo del Diritto canonico che in quello romano. Chiamato da Paolo IV fra i correctores di Graziano, progettò fin dal 1557, una collezione di concili, ma non poté eseguirla. Fondamentali in Diritto canonico le sue opere per la ricchezza delle informazioni e la profonda critica. Fu uno dei primi a vedere rapporti interdisciplinari, e così non divenne unilaterale. Morì mentre preparava l’edizione delle opere di Isidoro di Siviglia. Amante di libri, mise su una ricca biblioteca, poi passata quasi tutta all’Escuriale. Fu una delle figure più rappresentative del secolo di Filippo II. Oltre all’affettuosa laudatio funebris del suo amico Schott, concludo col giudizio di Aldo Manuzio: «de acerado juicio, y de vasto y profundo saber enciclopedico».

Bibliografia: Biblioteca Hispana II, 79; Enciclopedia española I, 678; Enciclopedia Italiana (Treccani) II, 117; Florez: España sagrada; Schött: Laudatio funebris… Antonii Augustini (in Gallandi: De veteribus canonum collectionibus dissertationem sylloge (Mainz, 1850); Maassen: Geschichte der Quellen und Litheratur des canonischen Rechts im Abendlande (Graz 1870, pagg. XXX-XXXIV); Marrocco D.: L’antica Alife (Piedimonte 1951), giudizio non positivo per una lapide; Id.: Breve storia dell’epigrafia alifana (su Samnium 1959, I) in cui il giudizio è corretto; Occhibove N.: De Canone studiorum 96, 118, 145. Per le nomine interessa molto Eubel III 117: la nomina a vescovo è ricavata da AC 7 f. 105 segg., ed è del 15 Dicembre.

 

34. JACOPO GILBERTO DE NOGUERAS. – Se l’esatto cognome è Gilbert, nacque a Daroca, ove fin dal secolo XIV esiste questa famiglia [20]. L’anno è ignoto: verso il 1525. Completò gli studi di teologia col dottorato conseguito a Ingolstadt, il 12 Febbraio 1557. Giò aveva viaggiato per la Germania quale cappellano della Regina Maria di Boemia, e poi quale cappellano e predicatore dell’arciduca Ferdinando, il futuro Imperatore. Pur essendo ancora giovane, raggiunse il grado di Decano della Cattedrale di Vienna.

Trasferito Augustìn a Lérida, l’8 Agosto 1561, fu nominato vescovo di Alife, e si stabilì a Piedimonte, nel palazzo De Clavellis alle Coppetelle. Si ha un primo periodo di permanenza in diocesi che si prolunga fino al Gennaio ’62.

Di indole focosa, ebbe subito un primo urto con il Capitolo e l’Università di Alife, ma non ne sappiamo i particolari. Questi ci sono invece nell’urto coi canonici di S. Maria Maggiore, allora a Piazzetta, a due passi dall’improvvisato episcopio. Voleva nominare i canonici di quella Collegiata, mentre da oltre un secolo venivano eletti dai canonici stessi[21].

Nel Febbraio ’62 Nogueras parte per il concilio, a Trento, e il clero diocesano respira fino al Dicembre ’63.

Ma nel Gennaio del ’64 sta a Venezia, e nel Febbraio-Marzo sta di nuovo in diocesi. È il secondo periodo che si prolunga fino all’Ottobre ’65. Di fronte alle lettere minacciose di lui, S. Maria Maggiore ha da tempo fatto ricorso, e Papa Pio IV ha incaricato il vescovo di Caiazzo a imporre il silenzio sulla questione. È il 21 Ottobre 1564.

Ma più violento e drammatico è ora l’urto con il Capitolo e con l’Università di Alife. Il 30 Settembre ’65 viene denunziato. Il notaio Ercole De Parrillis, in S. Lucia cappella della Cattedrale, stende la denunzia che viene firmata dall’arcidiacono, dal primicerio e da sei canonici. Eleggono procuratore il dott. Luigi Droghi di Roma. Comparisse dinanzi al Papa e all’Inquisizione, e denunziasse «scandali, mali esempi e gravami», e chiedesse la sostituzione. Nello stesso giorno, in S. Caterina, si costituiscono il sindaco Florio, il correttore Francesco Carlone e tutti gli uomini di Alife. Identica istanza al dott. Droghi: Nogueras ha proibito i Sacramentali e altro, usa rigore eccessivo, c’è la «heretica pravità»… Il Papa «provvedesse la città, di altro cattolico Pastore[22]». Stavolta S. Maria Maggiore non si è unita.

Nogueras è chiamato a Roma dal S. Ufficio. Da Roma giunge l’ordine al Capitolo di tenerlo come morto, e di eleggere il Vicario capitolare.

Ne viene l’ultimo periodo dell’agitata vita del prelato, dall’Ottobre ’65 al Luglio ’66: nove mesi di miseria, fra ospedale e carcere del S. Ufficio. Al concilio, Nogueras aveva attaccato la giurisdizione papale, e ora, durante la permanenza all’ospedale S. Spirito, Papa Paolo IV non gli dà aiuto! Finché, nel Luglio ’66, liberatrice e misteriosa, la morte, a quarantun’anni!

Quando il vescovo Gentile fece dipingere al primo piano dell’espiscopio di Piedimonte, la serie dei vescovi, sotto il nome di Nogueras fece scrivere:

OBII ANNO MDLXVI INNOCENTIAE VICTIMA

Pubblicazioni: De ecclesia Christi, mss.

Bibliografia: Concilium Tridentinum, voll. I-XIII (Friburgo 1901 sgg.); Gutierrez: Espanoles en Trento (Valladolid 1951); Gargiulo F.: Giacomo Gilberto de Nogueras vescovo di Alife (Firenze 1969), con molta bibliografia; Di Lello B.: Il jus divinum dei vescovi difeso al concilio di Trento da un Vescovo di Alife, su Annuario 1971 dell’ASSA; L’Acacia (rivista della Massoneria italiana, n. del 1947,  mette in risalto gli aspetti poco chiari della morte; Ughelli VIII 269, da cui Iacobelli mss.; Eubel III 117.

 

35. ANGELO ROSSI. – Prete di Terni e utriusque juris doctor, fu nominato il 31 Gennaio 1567. Resse la diocesi per circa un anno, e morì a Prata, dove si trovava in s. visita. Aveva quarantasette anni.

La lapide, in S. Francesco di Prata, ha qualche punto oscuro. Dice:

ANGELO ROSCIO INT / ERAMNATI NAHAR / TI MARIANGELI FRATI G / ALEACII(?) EPISCOPI ASISINA / TUM FILIO EPISCOPO AL / IPHANORUM VIXI(t) / ANN XLVII / (ben)E MERENTI P(osuit) MDL (…?).

Quella nella cattedrale di Terni, oggi introvabile, è riportata da M. Perrotti, in Note storiche, pag. 315.

ANGELO ROSSIO MARII ANGELI FILIO / EPISCOPO ALIFANORUM / CONVEN. DE MORE CIRCUMEUNTI AETERNIS / IN COELUM EREPTO / EJUS OSSA SUIS DESIDERATA / PRATAE JURISDITIONIS OPPIDO SOLVUNTUR / BENEMERITI / LUDOVICUS PATRUELIS GABRIELIS FILIUS / POSUIT 1568.

Bibliografia: quanto al giorno della nomina, Ughelli o.c. VIII 296: 24 Gennaio; Eubel o.c. III 117: 31 Gennaio, da AC 9, f. 162; la stessa data in DHGE.

 

36. GIOVANNI BATTISTA SANTORO. – Nato a Taranto, divenne maestro in Teologia e arciprete di Gravina. Nominato vescovo di Alife, il 13 Dicembre 1568 fu consacrato a Roma nella cappella del palazzo pontificio da Giulio Santoro arcivescovo di Santa Severina e dai vescovi di Bagnoregio e di Sant’Agata. Da Roma, il 22 Dicembre ’81, spedì la bolla Ex injuncto, con cui fissava l’arcipretura di Piedimonte in S. Maria Maggiore.

In Roma godeva grande reputazione, ma in diocesi si ricorse contro di lui, perché profittava nelle morti improvvise ab intestato: voleva il patrimonio del defunto ad causa pias, o negava la sepoltura ecclesiastica[23].

Dopo quattordici anni di permanenza a Piedimonte, il 28 Gennaio ’86 fu trasferito a Tricarico. Per qualche tempo era stato «maggiordomo» del palazzo pontificio a Roma. Fu anche nunzio straordinario in Svizzera.

Bibliografia: Ughelli VIII 297; Eubel III 117.

 

37. ENRICO CINI (Fr. Magister Henricus ord. Min. Conv.). – Nato a Siracusa, entrò fra i frati Minori conventuali. Divenne maestro in Teologia, e versato in Astrologia. Il 26 Maggio 1577 fu nominato ministro provinciale di Oriente, con sede a Pera presso Costantinopoli, e governò i cattolici latini in rappresentanza del Card. Ricci (de Pisis) patriarca latino, residente a Roma. È del 17 giugno 1576 una notizia inedita che lo riguarda: la potestà episcopale conferitagli, da esercitare nelle regioni di Oriente: «super episcopalem auctoritatem quam ipse exercet in Orientalibus partibus»[24].

Il 17 Febbraio 1586 fu nominato vescovo di Alife, e consacrato dal Cardinale G. Santoro, assistito dal patriarca P. Rabila e da R. Bonello arcivescovo di Ragusa. Risiedette a Piedimonte, in palatio prope Collegiatam S. Mariae Majoris. La data di nomina non è sicura, in quanto Eubel porta ll’8 Gennaio ’86 l’indulgenza da lui data pro prima myssa in ecclesia aliphana. Morì nel 1598.

Bibliografia: Pirro Rocco: Sicilia sacra (Panormi 1638), III 207; Benoffi A.: Memorie minoritiche dal 1560 al 1776, in Misc. Franc. 33 (1933) 80a; Sparano D.: Siciliensis Provinciae ord. min. conv. conspectus historicus; Abate J.: Series episcoporum ex ord. fr. minorum conv. assumptorum ab anno 1542 ad annum 1930, in Misc. Franc. 31 (1931): data di morte 1593; Cappelletti, XIX: data di nomina 8 Gennaio; Eubel III 177; AC 11 f. 137, 14 f. 33; Ughelli VIII col. 237; Iacobelli, data di morte 1588.

 

38. MODESTO GAVAZZI (Magister Fr. Modestus Gavazzi Ord. Minorum Conv.). Fra Modesto (il cognome è errato in Ughelli «Guazzetti», e in Superbi «Guazzi») nacque a Ferrara verso il 1555-58. Entrò fra i Minori Conventuali, divenne Maestro di Teologia e insegnò negli studi del suo Ordine. Nel 1598 era Reggente dello studio teologico di Ferrara. Ma soprattutto divenne oratore sacro rinomato in molte città d’Italia, tanto che Papa Clemente VIII in persona lo volle ascoltare. Riscontrata tanta dottrina e leggiadria di racconto, lo nominò vescovo di Alife il 7 Agosto 1598.

A questo punto le cronache locali mostrano un aspetto contrastante dell’uomo. Per Trutta fu «uomo di cervello torbido ed inquieto, anzi litigioso», al punto da provocare un violento urto di competenze con il clero di Piedimonte, e S. Maria Maggiore in specie. Il 26 Febbraio 1600, S. Maria Maggiore ricorre alla Congr. dei Vescovi e Regolari: il Vescovo cuol restringere la cura d’anime al solo arciprete e toglierla al collegio. Questo ed altro (25 dubbi) fu inviato a Roma. Il 21 Febbraio 1601 la Congr. gli dà torto. Indispettito, dicono i cronisti, stacca San Potito da S. Maria Maggiore, e il 14 Aprile vi erige la parrocchia indipendente. Non basta la sconfitta. L’anno dopo, il 3 Gennaio, non fa fare l’elezione dei Curati all’Annunziata e a S. Croce di Castello: volle che le tre parrocchie-collegiate proponessero a lui «persone idonee», entro tre giorni, per la cura d’anime (ma non erano già tutti canonici-parroci?).

Nel 1603 la malattia lo costringe a patti. Vuole curarsi a Ferrara, e chiede un sussidio caritativo proprio alle Collegiate, e queste, riunitesi il 30 Settembre in S. Maria Maggiore gli dettero un terzo delle rendite che derivavano loro dall’Università.

Gavazzi morì nell’Agosto 1608, e il suo successore fu nominato il 24 Settembre. Impossibile che sia stato assente per cinque anni. Stando agli scrittori ferraresi, morì in diocesi l’anno 1610 (invece è il 1608). Era dunque tornato.

Pubblicazioni: Prediche quaresimali e annuali (scritte in italiano, come dice P. Sparalea, oggi perdute).

Bibliografia: Eubel IV 78 (AC 13 f. 104); Libanori A.: Ferrara d’oro imbrunito (Ferrara 1665) I, 95; Sparalea G.: Supplementum ad scriptores trium ordinum s. Francisci II, 120; Superbi Ag.: Apparato de gli huomini illustri della città di Ferrara (Ferrara 1620); Trutta: 4 Sec. mss. 182.

Dal manoscritto di S. Maria Maggiore (pag. 189) diamo il sunto dei venticinque punti del ricorso contro il vescovo Gavazzi (nel mss. detto Guazzetti):

I Dubbio: Quando il Vescovo viene a pontificare in S. Maria Maggiore, i 12 Canonici devono andare tutti ad accompagnarlo (in mozzetta), o metà deve restare in chiesa? Risposta: Metà lo accompagni, e metà serva la chiesa.

II D.: La messa cantata festiva si deve cantare prope meridiem? R.: L’ebdomadario, d’inverno aspetti fino a 17 ore (ore 11 italiane), e d’estate fino alle 12 e mezza italiane.

III D.: Nei tempi piovosi nevosi si può fare uso di cappello e cappa? R.: Si può.

IVD.: La cura d’anime di S. Maria Maggiore dev’essere esercitata dall’Arciprete? R.: I canonici deputeranno due che, approvati dal vescovo la eserciteranno per un anno (fra cui l’arciprete).

V D.: Qualche canonico è obbligato a risiedere a San Potito per la cura d’anime? R.: Vi si può deputare un prete curato se gli uomini di San Potito diano ogni volta abitazione, olio per la lampada e frutti certi.

VI D.: Il vescovo si può servire di carceri (ecclesiastiche) senza finestre e comodi? R. Il vescovo si servisse del campanile per carcere; in quelle che ha preparate facesse finestre e comodi.

VII D.: La curia può servirsi per i suoi atti di tassa stabilita da lui? R. Siano inviate a Roma, che provvederà la tassa antica e quella di Benevento.

VIII D.: Si può costringere i sacrestani a fare la citazione? R. Si può costringere se non vi siano altri, e non siano in sacris.

IX D.: Nal fare la visita, il vescovo può esigere la sportula dall’Annunziata? R. Non deve pigliar niente dall’Annunziata e da S. Maria Maggiore.

X D.: Può forzare chi contrae matrimonio a dare due galline? R. Può pigliarle sponte dantibus, se son date spontaneamente.

XI D.: Da chi muore senza testamento può pigliare ultra solitum? R. Niente più del solito, e quanto piglia deve dare ai poveri.

XII D.: Può esigere alcun diritto pe la licenza di far mercato in giorno festivo? R. Nessun diritto.

XIII D.: Può imporre di precetto la festa di S. Francesco sotto pena di censura? R. Cessasse da simile stranezza.

XIV D.: Può scomunicare chi non osserva le feste? R. Assolvesse gli scomunicati.

XV D.: Può impedire ai congiunti di fare le esequie a loro beneplacito? R. Nessun impedimento; e se volesse impedire la sepoltura per 24 ore, lo facesse in chiesa.

XVI D.: Può impedire ai curati di far le denunzie dei matrimoni, e celebrarli senza sua licenza? R. Non occorre la licenza.

XVII D: Al Vicario del vescovo spetta la doppia anche se non interviene? R. Se non interviene spetta niente.

XVIII D.: Il vescovo è per forza il depositario delle multe, e può distribuirle a chi crede? R. Può fare il depositario, ma le deve distribuire ai luoghi pii e ai poveri.

XIX D.: Occorre la sua licenza per sonare a morto? R. Non è necessaria.

XX D.: Può far ridurre tutto il suo grano in farina, per venderlo a più caro prezzo? R. Vendesse senza macinarlo.

XXI D.: Può esigere multe pro male ablatis  (mal tolto) anche da chi non lasciava cosa per questo? R. Non esigesse niente.

XXII D.: Può proibire interrogatori in caso di ad repetenda res? R. Lasciasse fare gl’interrogatori a chi vuol farli il fisco, poiché già sono in spesa.

XXIII D.: Può fare franchi gli ecclesiastici più di quanto comporti la loro parte? R. Non può.

XXIV D. e R. mancano a pag. 187.

XXV D.: Può far uso della franchigia della sua casa per quanto gli piace? R. Non può, e non desse occasione di sospettare.

 

39. VALERIO SETA (frater magister Valerius ord., servorum Mariae). – Nacque a Verona. Entrò fra i Serviti e divenne un preparato teologo. Resse per molti anni lo studio del suo ordine, e il coltissimo card. Bonifacio Bevilacqua lo volle per suo teologo. Seta scrisse anche la storia della famiglia di lui. Erano i momenti critici della guerra dell’interdetto fra Papa Paolo V e la Serenissima. Seta si schierò per il Papa, ma quel che scrisse, perché oggi introvabile, non ci fa sapere la reazione del Governo veneto nei suoi riguardi.

Il 24 Novembre 1608 fu nominato vescovo di Alife. Aveva 46 anni.

Pensò a un decoroso episcopio. Nel 1611 acquistò a Piedimonte, alla Crocevia, una casa, come si è detto, e l’adattò spendendovi 1.300 ducati. Ebbe una causa a Roma riguardo al beneficio della famiglia Gargaglia in Alife, e per essa si ebbero nel 1629 tre decisioni (addotte dal P. Alfonso Leone nel suo lavoro De officio capellani). Ma la stima per lui è testimoniata dal fatto che la Congr. dei vescovi e regolari, fin dal 1611, gli aveva richiesta l’informazione giudiziale circa il trasferimento della Cattedrale di Telese a Cerreto vecchia, nella chiesa di S. Leonardo, restaurata e didicata alla SS. Trinità dal vescovo Bellocchi. Dal suo parere favorevole era venuto il decreto, il 12 Maggio 1612.

Morì nel 1624.

Pubblicazioni: Compendio historico dell’origine discendenza attioni et accasamenti della famiglia Bevilacqua (Ferrara 1606).

Bibliografia: Eubel IV, 78; data della consacrazione in AC 14 f. 109; maestro di Teologia AM 97 f. 98; Ciarlante IV 407; Iannacchino: Telesia 273; Maffei: Verona illustrata V, 246; Crescentius: Presidio romano III, 127; Di Lello R.: (sul vescovo Bellocchi di Cerreto) La biografia di tredici vescovi telesini in una lettera di C. Petrillo (Piedimonte 1978).

 

40. GIROLAMO ZAMBECCARI (Magister Fr. Hyeronimus Zambeccari Ord. Praedicatorum). – Nacque a Bologna da nobile famiglia. Entrò fra i Domenicani, conseguì la laurea in utroque, insegnò teologia nello studio della provincia di Lombardia, ed ebbe l’incarico di Inquisitore nelle città di Reggio e di Faenza. Il 17 Marzo 1625 fu nominato da Papa Urbano VIII vescovo di Alife.

In quell’anno spedì a Roma una relazione sullo stato della diocesi. Pure nel ’25 eresse in S. Maria Maggiore il Monte dei Morti del SS. Sacramento. L’inizio era buono, ma l’indole bollente dell’uomo prevalse e si arrivò alle brutte.

Un ricorso spedito nel 1632, decise sul suo trasferimento, chiesto in ultimo dal vescovo stesso.

Le accuse erano: 1. Scomunica al Duca Gaetani che aveva fatto carcerare il mastro di atti vescovili; 2. divieto di arrestar un ecclesiastico dalla corte civile, anche se lo portano alle sue carceri; 3. Ha ordinato un numero esagerato di preti, 58 in più del vescovo precedente, per cui in Piedimonte i preti sono 239; 4. Voleva fittare a basso costo le gabelle della farina dell’Università; non essendovi riuscito, pretende la franchigia nella molitura per i preti, o scomunica; 5. Tenta di aizzare contro il Duca, facendo pregare nelle chiese «contro l’oppressione dei Préiti e de’ poveri che si fanno in Piedimonte», ed ha proibito il mercato di Lunedì se è giorno festivo; 6. Ha proibito la macinazione nei mulini ad acqua nei giorni festivi; 7. L’anno scorso ha ordinato ai gabellotti della farina di non pagare a persone che dovevano prima pagare lui; 8. Ha invalidato l’accordo fra clero e Università poiché il clero doveva essere esente dalla somma pattuita. 9. Ha scomunicato 13 Eletti dell’Università che hanno fatto la nuova tassazione senza averne parlato prima con lui, e li ha perfino minacciati dalla finestra. 10. Non vuole che la Corte civile vada a fare esecuzione in case dove abita un prete, ed ha scomunicato il Duca e i birri che avevano fatto una di queste. 11. Ha cominciato a ordinare in Piedimonte chierici coniugati. 12. Ha scomunicato i due ultimi governatori per affari del loro ufficio, perché non stanno d’accordo con lui. 13. Vuole lui giudicare i casi misti, fra cui quello di uno, ultimamente assolto dalla Corte civile. 14. O i gabellotti della farina comprano il grano del vescovato a prezzo maggiore o dà ai preti quanta franchigia vogliono. Per una evasione evasione dal carcere vescovile ha fatto arrestare la famiglia dell’evaso[25].

La conclusione fu il trasferimento l’11 Aprile 1633. Fece il cambio di diocesi col vescovo di Minervino in Puglia. Lo storico domenicano Fontana, in S. Thetrum Dom.num, 122 riporta il trasferimento come voluto dallo stesso Zambeccari: «…Verum exortis litibus inter ipsum et Laurenzani Ducem ex nobilissima Caietana familia, Alliphanae civitatis et Pedemontium Principem, causa jurisdictionis, Hyeronimus suae quieti consulturus, Minervinam sedem… transferri procuravit, et obtinuit anno 1633».

Bibliografia: Eubel IV, 78; P. Dat. 1625 ff. 159-169.

 

41. GIAN MICHELE DE ROSSI (Magister Fr. Johannes Michal de Rubeis, Carmelitarum). – Nacque a Somma Vesuviana da Marcantonio, nel 1583. Il 14 Maggio 1595, a soli dodici anni, entrò nell’ordine Carmelitano, nel convento del Carmine Maggiore di Napoli. Dotato com’era di intelligenza ed attitudini, divenne maestro di Teologia, e percorse il cursus honorum di tutte le cariche dell’Ordine: prima fu eletto Provinciale di Abruzzo, nel 1622 priore del Carmine Maggiore di Napoli, nel ’24 Provinciale di Napoli e Basilicata, nel ’28 priore del convento generalizio della Traspontina in Roma, nel ’30 Procuratore generale dell’Ordine presso la S. Sede. Come tale presiedette il capitolo generale delle provincie napolitane delle quali fu Visitatore e Commissario. Fu anche Qualificatore dell’Inquisizione nel regno partenopeo.

Da Papa Urbano VIII, il 10 (o il 12) Gennaio 1633 fu nominato vescovo di Minervino in Puglia, sede che mutò subito, l’11 Aprile, con quella di Alife, da dove andava via Zambeccari. A Piedimonte, mons. Rossi si trovava più vicino alla curia provincializia del suo ordine per il quale aveva lavorato tutta la vita.

Morì il 22 Dicembre 1638, e fu sepolto nel convento del Carmine in Piedimonte.

Bibliografia: Ughelli: VII 747, e VIII 297 porta la data del trasferimento al 14 Marzo; Eubel IV 78 (AC 17 f. 39); manoscritto di S. Maria Maggiore porta la data del trasferimento al 14 Maggio; Iacobelli, data della morte al 1639; Cosmas de Villiers: Bibliotheca Carmelitana (Aurelianis MDCCLII) II 943; Quagliarella T.: Il Carmine Maggiore di Napoli (Taranto 1932) 206; Ventimiglia M.: Uomini illustri del Regal Convento del Carmine Maggiore di Napoli (Napoli 1756) 96. Molti documenti e notizie nell’archivio generalizio dei Carmelitani in Roma fornite dal padre Emanuele Boaga segretario generale.

 

42. PIER PAOLO DE MEDICI (Petrus Paulus Medices). – È il pastore di santa vita della chiesa alifana.

Patrizio fiorentino, del ramo di Casa De Medici detto di «Lungarno», nacque a Firenze, terzogenito di Orazio colonnello nell’esercito granducale, e di Camilla della Robbia. Dal 1624 canonico di S. Maria del Fiore, vestì presto l’abito dell’Ordine di S. Stefano dalla croce rossa a otto punte, e il 2 Giugno 1652 raggiungeva in quell’Ordine cavalleresco il grado di Balì del Delfinato.

L’11 Aprile 1639 fu nominato vescovo di Alife da Papa Urbano VIII, e restò in sede 17 anni. L’8 Dicembre 1640 consacrò la rinnovata Annunziata; il 22 Luglio 1642 donò a S. Maria Maggiore la prima reliquia di s. Marcellino, dando inizio al culto per lui; il 10 Giugno 1651 fondò il seminario.

La morte venne il 22 Ottobre 1656. La peste che spopolava il reame, aveva ridotto a metà la popolazione di Piedimonte e dei casali (9.060 abitanti nel 1648, 4.645 nel 1669), le chiese restavano vuote e non officiate, ognuno evitava l’altro, e chi poteva, fuggiva in campagna. I paesi vivevano isolati. Proibito rigorosamente l’accesso. Ancora convalescenti venivano ora portati a Castello per l’aria mossa e leggera. E a Castello egli si trovava in Ottobre ad amministrare i Sacramenti, coraggioso e pio, e ne fu contagiato, e morì. Semplice e commosso l’elogio di Ughelli: «…defunctus est in contagiosa lue, mense Octobris, anno 1656, dum pro sibi commendato grege, intrepide infirmis ac peste tactis administraret, boi sane pastoris exemplar futurus, quippe qui, qua virtute, qua constantia, animam pro ovibus sui posuit». Per il gregge a lui affidato aveva dato la vita!

È sepolto nell’Annunziata. Scelse quel luogo per la sua devozione alla Vergine venerata sotto quel mistero. Vi confluiva la pietà per i suoi, che nella Annunziata di Firenze tenevano il loro secolare sepolcro. Non si sa il posto preciso della sepoltura. Nel 1940 fu solennemente commemorato.

Bibliografia: Archivio di Stato di Firenze; Archivio privato De Medici Tornaquinci; Eubel IV 78 (AC 17 f. 183, e P. Cons. 37 f. 155), anno di morte 1657 errato; Litta: Famiglie celebri d’Italia, tav. XIX; Marrocco D.: Documento XVII (per la storia dei paesi del Medio Volturno): La bolla di fondazione del seminario alifano a Castello (Napoli 1975).

 

43. ENRICO BORGHI (magister Henricus Ord. Servorum Mariae). – Nacque a Castenuovo di Scrivia, diocesi di Tortona. Entrò fra i Serviti, e ne divenne Priore generale.

Il 25 Febbraio 1658 fu nominato vescovo di Alife, dopo quasi due anni di sede vacante. Prese possesso il 22 Novembre 1658, ma morì otto giorni dopo l’arrivo, il 30 Novembre, e fu sepolto per carità in S. Maria Maggiore a Piazzetta.

Bibliografia: Eubel IV 78: AC 20 f. 35 n. 7: reservata pensione 200 scutorum pro personis nominandis…; Cappelletti XIX 111: nato a Roma; Manoscritto di S. Maria Maggiore: nome errato: «Borgia».

 

44. SEBASTIANO DOSSENA (frater magister Sebastianus o.c.r.s.B.). – Di nobile famiglia, nacque a Milano da Ferdinando e da Caterina De Nobili, e fu battezzato il 5 Marzo 1605. Fra i Barnabiti entrò il 10 Ottobre 1619, e fece la professione religiosa il 18 Aprile 1621 in S. Maria del Carrobiolo a Monza. Il 17 Dicembre ’22 ricevé la tonsura dal Cardinale arcivescovo Federico Borromeo, poi, il 10 Marzo ’29 divenne sacerdote, a Roma. Studiò a Roma, a S. Carlo ai Catinari, e divenne teologo e ricercato oratore di quaresimali in molte città d’Italia. Nel ’32 predicò a Pavia, e lì restò quale preposto di quella casa nel 1638-41, e in quel periodo fu anche confessore della principessa Margherita di Savoia. Nel ’42 passò preposto del collegio S. Alessandro di Milano, vi insegnò e costruì tanto da esser chiamato vir strenuissimus. Nel ’45 fu eletto Provinciale di Roma, e l’anno dopo gli affidarono anche la prepositura di S. Carlo nell’urbe. La stima che se ne aveva gli causò missioni più difficili. Ed eccolo destinato al collegio S. Bendetto a Praga, in Boemia. Dopo la guerra dei Trent’anni, Casa d’Austria faceva ogni sforzo per far ritornare cattolica la Boemia sconvolta dai Protestanti Fratelli Moravi. Avevano così mal ridotto il collegio barnabita di Praga che padre Dossena dové chiedere l’elemosina per vivere e insegnare. Gli venne incontro l’arcivescovo Cardinale Ernst von Harrach che lo nominò suo teologo e assessore nel concistoro diocesano. Quando Dossena tornò in Italia lo raccomandò al Papa per una promozione. Dopo aver sostenuto gli esami di promozione innanzi a Papa Alessandro VII, ebbe la nomina a vescovo di Alife, il 21 Aprile 1659.

Da Piedimonte, il 10 Luglio 1660, indirizzò al Cardinal Prodatario una memoria sulla collazione dei canonicati nelle collegiate locali, e nelle controversie fra quelle, dette ragione a S. Maria Maggiore, ma soprattutto in ogni suo atto volle essere imitatore del suo consanguineo, ven. Cosma Dossena vescovo di Tortona. Per un certo tempo, nel ’61 dimorò a Frascati. Trascorsi solo tre anni e mezzo dalla venuta, venne a morte, dopo quattro giorni di malattia, il 28 Dicembre 1662, e fu sepolto in S. Maria Maggiore.

Bibliografia: Archivio generale dei Barnabiti in Roma: Liber II professionum; Eubel IV 78; AC 20 f. 76; Cappelletti XIX 111: data della morte errata, al 1675; lo stesso in Iacobelli 12 Dicembre ’62; Barelli F. L. : Memorie dell’origine… della Congr. dei Chierici regolari di S. Paolo – Barnabiti, (Bologna 1707) II, 102, 630; Levati L. M: : Menologio dei Barnabiti (Genova (1937) XII 217; Boffito G.: Scrittori Barnabiti (Firenze 1933) I 656; Pezzi F.: De episcopis, III (manoscritto nell’archivio di S. Barnaba a Milano); Premoli O.: Storia dei Barnabiti nel ‘600 (Roma 1922) 277.

 

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[1] Gattola E.: Acc. I 37.

[2] Marrocco D.: Il monastero di Santa Maria in Cingla, 37-38.

[3] Ughelli: VIII 292.

[4] Kehr I. P.: VIII 115 B.

[5] Ughelli: VIII col. 292.

[6] Hist. Lang. V 77; v. pure Cappelletti: Diz. XIX 106.

[7] Eubel: Hyer. II 83.

[8] Cfr. Kamp. N.: Kirche und Monarchie im Staufischen Königreich Sizilien (Munchen 1972), 217.

[9] Riccardo di San Germano: Chron. 134.

[10] Eubel: I, 83.

[11] Eubel: I, 83.

[12] Caetani R.: Ch. I, 257.

[13] R. D. anno 1308-10, pag. 150.

[14] Pag. 456 del mss. corrispondente al f. 95 t. del codice alunniano.

[15] Caetani G. R.: Ch. 279.

[16] Trutta: mss. Cronaca di quattro secoli.

[17] Fontana: S. Theatrum Dom. 121.

[18] Eubel M.: 117 Lat. 1544, f. 279.

[19] Marrocco D.: Piedimonte, Storia e attualità (Napoli 1961) 216 sgg.; Id.: Note storiche sulla contea di Alife, su Annuario 1975 dell’ASMV.

[20] Abad R. E.: Estudio historico-politico sobre la ciudad y comunidad de Daroca (Teruel 1959).

[21] Trutta: 4 secoli, 167-68 mss; Marrocco D.: Doc. XIII, Documenti della Basilica di S. Maria Maggiore in Piedimonte, 7

[22] Trutta: 4 Secoli, 169.

[23] Trutta: 4 Secoli, 14.

[24] Archivio generalizio dell’Ordine, Regesta Ordinis A. 14 f. 144v: è detto Henricus Siculus.

[25] Marrocco R.: Memorie storiche di Piedimonte d’Alife (Piedimonte 1926).