(testo tratto da
Luigi Cimino, Valle Agricola, paese mio, 1999, pp. 71-79)
“Ho scelto tra i racconti della mia gente due
simpatiche leggende, legate tutte e due a due monti che sono stati nei secoli
gli unici testimoni fedeli delle vicende della mia terra.
Ho chiesto ad essi di narrarmele e la loro eco mi ha
risposto sussurrandole in sordina alle mie orecchie, le ho raccolte e le ho
messe in scritto perché insieme a me le conosciate voi tutti”.
A Valle Agricola vi è un monte che porta il nome di
San Silvestro (m 1083).
Si vuole che, all’epoca della “donatio costantini”, Papa
Silvestro si trovasse qui, tra questi monti.
Narra, infatti, la leggenda che papa Silvestro,
ricercato dai soldati di Costantino che, gravemente malato di lebbra, voleva
esserne guarito, venne rinvenuto qui dove viveva eremiticamente.
Viveva in una grotta, sulla nuda pietra, dove aveva
costruito un altare per celebrarvi il sacrificio della messa e quando fu
rintracciato dai soldati che gli chiedevano, a nome dell’Imperatore, che
si recasse a liberarlo dal morbo, prima di seguirli volle spargere nella zona
dei semi di rapa che crebbero mirabilmente nel breve lasso di tempo di quanto
può durare il sacrificio della messa.
Ne mangiarono e l’eremita e i soldati
partirono alla volta dell’Imperatore.
Papa Silvestro donò la salute a Costantino che,
narra sempre la leggenda, divenne cristiano e, magnanimo, donò al papa il
territorio che, piccolo germe, doveva poi divenire il grande Stato Pontificio.
A ricordo imperituro di quel fatto sublime ancora
oggi, narrano i montanari, sul Monte S. Silvestro si riproducono quelle che son
dette le “rape di S. Silvestro”.
Al monte Janara (m 1.575) è legata un’altra
gentile leggenda che ci porta con la fantasia in un mondo a noi completamente
estraneo, e pure un tempo tanto reale.
È il tempo dei castelli, delle fortezze, delle
torri, il tempo dei feudatari e dei vassalli e sulla terra della Valle la vita
degli abitanti si svolgeva miseramente nel lavoro e nel silenzio,
all’ombra della turrita fortezza del signore irruente.
È d’uso che per le nozze i giovani sposi si
rechino al castello, dal signore, per l’atto di ossequio prima delle
nozze.
Il feudatario, si sa, è un uomo anche lui e, quando
la futura sposa, con la sua bellezza, ferisce il suo cuore e i suoi occhi, la
ruba con prepotenza allo sposo che va via dal castello col rancore nel cuore: è
il privilegio della prima notte.
Fu in una di queste volte che successe
l’imprevedibile: due bellissimi giovani si recarono al castello, dal
signore, a chiedere il permesso per le nozze.
La giovane bionda, dagli occhi azzurri come il mare
e seducente nella sua bellezza, colpì il famigerato signore che, contando sulla
sua potenza, la strappò allo sposo.
Allora il giovane gli si slanciò contro con tutta veemenza
e lo colpì a morte, per vendicare nel sangue le prepotenze di quel verme.
Accorsero presto le guardie, ma il giovane sfuggì ad
esse ed iniziò la fuga per le montagne.
Lo raggiunsero solo sul monte più alto della terra
di Valle, sul janara, dove lo
presero e lo uccisero per vendicare la morte del loro signore.
Da allora, si racconta, che lo spettro di quel
bellissimo giovane, di notte, compare ed il detto popolare ricorda questo fatto
con queste parole:
“se vai di notte – a monte Janara,
senti la voce – di un grande spettro
che grida, saltando – da una rupe
all’altra,
e invocando vendetta – contro il signore di
Prata”.