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Gianfrancesco Trutta

 

CRONACA DI QUATTRO SECOLI

 

Prima parte

 

 

[La Cronaca di quattro secoli di Gianfrancesco Trutta fu pubblicata, relativamente al Quattrocento ed al Cinquecento dal prof. Dante B. Marrocco, coadiuvato dal dott. Rosario Di Lello e dal prof. Giuliano Palumbo, negli Annuari 1977 (pp. 254-279) e 1979 (pp. 187-203). Seguì un lungo periodo di interruzione fino agli inizi degli anni Novanta quando il professore mi chiese di aiutarlo nella trascrizione di parecchi fogli manoscritti resimi in fotocopia perché si diceva intenzionato a dare alla stampe i restanti due secoli, già da lui trascritti da p. 181 fino a p. 208. Dopo qualche settimana di lavoro potetti perciò consegnargli il lavoro dattiloscritto che egli però, per vari motivi, finora, non ha più ritenuto di pubblicare, nonostante l’interesse manifestato nel tempo da vari studiosi che, prendendone visione, lo sollecitavano a farlo. Ultimamente, nel riordinare alcune cartelle, la casualità ha voluto che il dattiloscritto mi ritornasse fra le mani. A questo punto non ho resistito a riversarlo in formato digitale, in modo da poterne permettere la consultazione a quanti ne sono tuttora interessati. Per correttezza mi esimo dal commentarlo, facendo solo notare che a p. 241 l’autore dà l’indicazione dell’anno in cui sta scrivendo (il 116° dal 1665) ossia il 1781].

 

 

Secolo XVII

 

[181] Prefazione.

 

Non andarono le onorificenza, a cui salì S. Maria Maggiore di Piedimonte, nell’esser fatta Collegiata, col suo conspicuo Capitolo di dodici canonici, uno dei quali Dignità, e l’acquisto dei beni temporali che per molti legati pii andava di mano in mano giornalmente facendo; senza il solito intoppo degli scogli, nei quali suole inciampare, chi corre a speron battuto. Dacché monsignor Giacomo diede l’esempio malvagio di volerla privare del diritto che aveva di eligere i suoi Capitolari nelle mancanze di essi, e fu causa, che poi ne rimanesse spogliata per sempre, come si è detto; se le svegliò contro l’invidia e l’emulazione più fiera, di modo che altri incominciarono a contrastarle i suoi possessi e prerogative. Altri diero ansa ai malevoli di vessarla con ingiusti litigii nei tribunali della Curia Romana. Altri appoggiati a false ed apocrife carte, intrapresero a calunniare la sua antichità e maggioranza; sebbene, grazie a Dio, ella trionfò sempre colla schietta verità delle maligne bugie, ed uscì sempre vittoriosa da qualunque più pericoloso cimento. E questi appunto son civili combattimenti, accompagnati da trionfi e vittorie in ogni Tribunale, così ecclesiastico, [182] come secolare, serviranno di materia alle memorie istoriche di S. Maria, che ci apparecchiamo a registrare in questo XVII secolo e in quello che segue.

 

 

Capitolo I – Brighe col vescovo Fra Modesto.

 

Dacché nel 1598 Fra Modesto Gavazio o sia Guazzetto de Ferrara, dell’Ordine dei Conventuali di s. Francesco, fu eletto Vescovo di Alife, e ne venne al possesso, mostrò di essere uomo di cervello torbido ed inquieto, anzi litigioso, contro il precetto dell’Apostolo che dice: “Oportet Episcopum non esse litigiosum”. Lo perché dopo esser stato per breve tempo in pace con sé stesso, e col Clero e cogli Uomini di Piedimonte, prese con l’uno e con gli altri, tante brighe e litigi, che non potendosi per la multiplicità e stravaganza comporre a patto veruno, fu bisogno ai Canonici di S. Maria Maggiore, ed alla Università di Piedimonte far capo alla S. Congregazione dei Vescovi, e Regolari, esponendo gli aggravi che ricevevano da detto Prelato per le di lui esorbitanti pretensioni, che furono ristrette in non meno di venticinque dubbi seguenti: [183]

 

I Dubbio, se dovevano i 12 canonici di S. Maria, quando il vescovo si portava alla chiesa con la cappa per cantare la Messa pontificale, andar tutti ad accompagnarlo, o per metà, restando gli altri in chiesa?

(Osservazione). A tutti i dubbi proposti dal Capitolo di S. Maria Maggiore di Piedimonte (sotto il dì 21 Febbraio del 1601) alla suddetta S. Congregazione de’ Vescovi, vi fu da essa così risposto).

Al primo fu risposto che venisse in tal caso accompagnato da sei canonici, e gli altri sei rimanessero al servizio della chiesa.

 

Dubbio II. Se la Messa conventuale, che si cantava in essa chiesa nei giorni festivi, dovesse cantare prope meridiem? R. al II: che l’ebdomadario nell’inverno aspetti sino alle 17 ore a cantarla; e nella Està all’or 12 e mezza italiane.

 

Dubbio III. Se nelle processioni e nelle esequie, nei tempi cattivi, si potesse far uso di cappella e cappa. Risp. Al III: Che nei tempi cattivi, cioè nevosi, piovosi e ventosi si potesse far uso di cappello e cappa.

 

Dubbio IV. Se la cura delle anime di S. Maria dovesse esercitarsi dall’Arciprete?. R. al IV: Che i canonici in ogni principio di anno deputassero due di loro, da approvarsi dal vescovo, per amministrar la Cura, e questi durassero almeno tutto quell’anno senza mutarli, acciò si sapesse a chi ricorrere nei bisogni, potendo deputare anche lo stesso Arciprete. [184]

 

Dubbio V. Se uno dei dodici Canonici di S. Mari fosse obbligato a risieder nel casale di San Potito per esercitarvi la cura delle anime? R. al V dubbio: Che vi si poteva deputare un prete curato ogni volta che gli uomini di quel luogo dassero l’abitazione, e l’oglio per la lampada, e se gli assegnassero tutti i frutti certi, ed incerti di quella chiesa.

 

Dubbio VI. Se il vescovo potesse servirsi di carceri senza finestre ed altri comodi? R. al VI: Che il vescovo si servisse del campanile per carcere, e che in quelle che aveva fatto, facesse finestre e comodi.

 

Dubbio VII. Se la sua curia potesse servirsi della tassa da sé formata per gli atti? R. al VII: Che si trovasse la tassa antica dell’Attuario, e si mandasse copia in Roma con quella della Metropoli di Benevento, acciò si vedeese colà, o si provvedesse.

 

D. VIII. Se i sagrestani della chiesa potessero essere astretti a fare le citazioni. R. al VIII: Che poteva astringere i sagrestani a fare le citazioni nel caso che non vi fossero altri, ma solo quelli che ben fussero in sacris.

 

D. IX. Se nel far la Visita potesse esigere lo Sportulo dalla chiesa della SS. Annunziata della Vallata? R. al IX: Che non prendesse niente da quelli dell’Annunciata della Vallata, non meno che dall’altra chiesa di S. Maria.

[185]

D. X. Se potesse forzare quelli, che contraevano matrimonio, a dare due galline? R. al X. Che non potesse pigliare dette galline, se non che sponte dantibus.

 

D. XI. Se potesse da quelli, che morivano ab intestato, prender quello che voleva, ultra solitum? R. all XI: Che non doveva prendere cosa alcuna più del solito, e che non usasse rigore, e l’esortò dare ai poveri quanto pigliava.

 

D. XII. Se per la licenza di farsi il mercato in giorno di festa, potesse esigere alcun diritto. R. al XII: Che non prendesse alcun diritto per detta licenza.

 

D. XIII. Se potesse sotto pena di censura ingiungere che si osservasse di precetto la festa di s. Francesco? R. al XIII: Che cessasse da sì strano rigore.

 

D. XIV. Se potesse scomunicare coloro, che non osservavano le feste? R.: Che assolvesse detti scomunicati.

 

XV. Se potesse proibire ai congiunti di far fare le esequie ai Defunti a lor beneplacito? R.: Che non doveva impedire ai congiunti di portare in chiesa i Defunti, quando gli era comodo, e se voleva far trattenere la sepoltura per 24 ore, la facesse trattenere in chiesa.

[186]

D. XVI. Se potesse proibire ai curati di far le denunzie dei Matrimoni o di contrarli senza una licenza del vescovo. R.: Che i parrochi potessero pubblicare le denuncie dei Matrimoni e contrarli senza licenza del Vescovo.

 

D. XVII. Se al Vicario del Vescovo nelle Esequie spettasse la parte doppia anche quando non ci interveniva. R.: Che niente spetti al Vicario quando non interviene alle Esequie.

 

D. XVIII. Se fosse obbligato a fare il Depositario delle multe, e se potesse distribuirle a suo arbitrio? R.: Che dovesse fare il Depositario delle multe, e che queste si distribuissero a luoghi pii e, poveri.

 

D. XIX: Se potesse proibire ai Parrochi di far sonare a morto senza sua licenza? R.: Che far sonare a morto non era necessaria la Licenza di lui.

 

D. XX. Se poteva far ridurre tutto il suo grano in farina per così venderlo a più caro prezzo? R.: Che facendo mal vedere il far ridurre il suo grano in farina, lo vendesse senza molirlo.

 

D. XXI. Se potesse esigere multa pro male ablatis, anche da chi non lasciava cosa alcuna per questo? R.: Che da niente lasciava pro male ablatis niente esigesse.

 

D. XXII. Se potesse proibire di darsi agli interrogatorii nel ripetere, a chi vuol fare il Fisco de’ Testimonii, che si abbiano per ben ripetitti, salvo jure repetendi? R.: Che lasciasse dare detti interrogatorii nel ripetere i testimonii a chi vuol fare il Fisco, poiché è già in spesa.

 

D. XXIII. Se potesse far franchi i Chierici più di quello importi la lor parte? R.: Che non poteva far franchi i Chierici più di quello importava la loro parte.

 

D. XXIV. Se... . R.: Che... .

 

D. XXV. Se potesse far uso della Franchigia di sua Casa per quanto gli era in piacimento? R.: Che non poteva usare la sua franchigia più di quello gli bisognava, e procedere doveva in maniera che non desse occasione di sospettare.

 

Per queste Risoluzioni tutte di dubbi, fatte dalla S. Congregazione contro della mente di detto monsignor Gavazio, indispettito all’estremo (non potendo sfogare il suo mal talento contro gli uomini [188] della Università suddetta) che non fece, e che non disse contro i Canonici di S. Maria?... dando sino di mano alle imposture, con trasmettere in Roma una sua sospetta visita del Casale di San Potito, da cui diceva constare il pessimo stato di quella chiesa, e della cura delle anime di colà; il perché, non ostante la risoluzione data dalla S. Congregazione al quinto dubbio suddetto, gli venne fatto ottenere decreto che confermava il decreto di detta Visita, privando i Canonici di S. Maria di detta chiesa di San Potito, la quale fusse eretta in Parrocchia separata provvedendosi il Parroco particolare, come esisteva nel tempo che dal Vescovo Angelo fu con le altre quattro annessa a S. Maria.

 

 

Cap. II. – Smembramento di San Potito da S. Maria, 14 Apr. 1601.

 

Perché recava sommo incomodo ai Canonici di S. Maria dover ciascuno di essi ogni dodici settimane andare ad assistere una in S. Potito a quella cura; pensando al proprio comodo e non al pregiudizio della Chiesa, accetta- [190] rono il decreto di Roma, e fu eretta di nuovo quella Chiesa in parrocchia, e provveduta subitamente in persona di D. Pietro Jacobucci, con Bolla di esso Monsignor Fr. Modesto Gavazio in data dei 14 Apr. 1601, come apparisce dall’Istrumento, stipulato il dì seguente da Notar Prospero Paterno, che gliene diede il possesso.

Ed ecco uno dei mali effetti dei provvedimenti del vescovo Angelo, (N° 1) con uno de’ quali avendo suppresso le Rettorie, o siano Parrocchie di S. Angelo, S. Pietro, S. Benedetto, e S. Potito, ed avendolo con dabbenaggine sofferto quelli Parrocchiani, e soprattutto quelli del Casale di S. Potito, essendo quei poveri Paesani obbligati a venire a prendere i Sagramenti in S. Maria col sole ardente, colle piogge, cole nevi, coi venti, e colle tempeste per vie disastrose, per lo spazio quasi di due secoli, quanti dal detto an. 1417 ne scorsero sino al 1601; ed essendosi per tanto tempo sagrificati i Preti di S. Maria (poi divenuti canonici) nel portarsi fin là di notte, e di giorno, e farvi dimora ciascuno una settimana, fuori della propria casa, in qualche miserabile tugurio, giacché quei popolani erano sì poveri, che non avevano modo di darli abitazione decente, ne l’oglio per la lampada, e poi dopo undici altre settimane tornarvi da capo. Finalmente fu d’uopo, che quella Popolazione venisse dismembrata dalla loro cura, ed erettavi una Parrocchia rurale. [191] Benfatto. E se prima vi accadevano disordini di morirvi alcuni senza ministrarseli i Santi Sagramenti, e prestarseli l’assistenza negli ultimi periodi della vita, oh! quanto stretto conto ne avrà dato a Dio il vescovo Sanfelice, e la dama Sanseverino!!

[segue cancellatura] “Un paese il più infelice del mondo. Forse così [segue cancellatura] ho avuto in esso [s.c.] lo stento a credere; e con ragione; perché si può chiamare [s.c.] una volta casale di Piedimonte, mentre tiene attorno deliziosi giardini, feraci terre, spaziose campagne? Giudicalo tu stesso, [s.c.] ...dia dalla tua [s.c.] tenute dal tuo manomesso [s.c.], e può almen supporsi esser stato una volta [s.c.] potere [s.c.] di S. Maria [s.c.], ed una stilla [s.c.].” È stato antico costume dell’asserto [s.c.] reso [s.c.] di case, [s.c.] allocarle [s.c.] ancorché fossero stati [s.c.], e questo è chiaro segno di [s.c.] “Mi rincresce [s.c.] d’altra [s.c.]”. Non capisco bene forse [s.c.] il canonico ebdomadario, obbligato a fare la sua settimana in S. Potito [s.c.] per la S. Chiesa [s.c.] e quante volte una popolazione deve dotare una chiesa [s.c.]. Se sempre si dasse [s.c.] Dunque debbe darsi [s.c.] se si da a Dio, certamente è niente, perché tutto  suo: ma volendosi dare [s.c.] si da, e si debbe dare [s.c.]. Non è così? Dunque [s.c.] ...ci di quel tempo a far tanti [s.c.]. Ebbero tutti i beni [s.c.] ...chia [s.c.] capisco, capisco bene: i [s.c.] si avrebbero voluto lagnare, perché [s.c.] avessero permesso di godere [s.c.] servire. Oh Dio buono! E avessero detto chiaramente [s.c.] perché forse gli sarebbe stato concesso più di questo. Conchiudiamo questa [s.c.] fatica, [s.c.] difende al fine [s.c.]” (No. Vedi il testo). [192]

 

 

Cap. III – Delle brighe per la cura delle anime.

 

Avendo la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari al IV dubbio propostole nella causa con Monsignor Gavazio, se la cura di S. Maria dovesse esercitarsi dall’Arciprete, giustamente risposto di no, sulla ragione, che l’Arciprete era dignità da Capitolo, e non Arciprete curato, e perciò che i Canonici in ogni principio di anno deputassero due di loro (potendo deputare lo stesso Arciprete) da approvarsi dal Vescovo, per amministrare la cura, e questi durassero almeno tutto quell’anno senza mutarli, acciò si sapesse a chi ricorrere nei bisogni.

Si previde da detti Canonici, che questa sebbene pareva vittoria per essi, era perdita, a cagione di quelle parole “da approvarsi dal Vescovo”. Erano essi male avvezzati, perché prima, quando erano rettori delle Parrocchiali, non avevano bisogno di altra licenza del Vescovo per amministrare i Sagramenti; e dal Vescovo Angelo, Rag. 2, era stata riservata al prete, primo beneficiato nella Chiesa, la potestà di ascoltare le confessioni dei Parrocchiani, e loro conferire i Sagramenti della Chiesa. E perché primo beneficiato nella Chiesa, anzi Retore di S. Maria si reputava l’Arciprete, egli ancora sentiva le confessioni, e gli altri Sacramenti amministrava, senza altra approvazione. Reg. 3°. E perché dal medesimo Monsignore Angelo si era detto [193] che si dovessero stabilire due o tre Patino colla facoltà di ascoltare le confessioni dei Parrocchiani in ogni chiesa, subito che essa fosse vedovata di tutti gli antichi Preti, e Cappellani, che aveva, ecco fatta, senza approvazione del Vescovo, una turba di curati, come Patini di S. Angelo, S. Pietro, S. Benedetto, S. Potito, S. Giovanni, e S. Maria. Reg. 6°. E perché ancora l’istesso monsignor Angelo ordinò che i due Procuratori da farsi dal Clero, fussero esaminatori degli ordinandi, i medesimi si presero anche la facoltà di dare i Sagramenti. Insomma erano più confessori che Canonici e Preti, e Dio voglia, che tutti fossero stati canonici! Ad ogni modo pensando di deludere quelle parole: “Da approvarsi dal Vescovo” a dì 14 Marzo del detto anno [...] ...sero per Curati dal detto anno 1601 D. Gio. Battista Scaramuzza, D. Giov. Vincenzo Genovese, canonici procuratori ed Economi; e conclusero di eleggere in avvenire nella Cura i Procuratori, ed economi, ita ut la cura predetta vada sempre annessa, e connessa nelle persone dei Canonici, e sono persone idonee, ed approvate dall’Ordinario come il tutto apparisce da pubblico Istrumento, stipulato lo stesso giorno da Notar Achille de Parrillis.

Credevano con ciò i buoni Canonici gabbare l’accorto vescovo, l’accorto frate, ma egli gabbò essi, dissimulando per tutto quell’anno il dispetto che nudriva, perché non si fosse in perpetuo annessata la cura delle anime all’arciprete. All’incontro i Canonici di S. Maria [194] intendendosela ancora con i Canonici dell’Annunziata e di S. Croce, nel primo giorno dell’anno seguente 1602 con fecero elezione di Curati, come dal decreto della S. Congregazione ordinato veniva, credendo, che potesse aver luogo quel pasticcio di venir (?) eletti in perpetuum i Procuratori, ed Economi. Ma non fu pigro il Gavazio, perché a 3 di gen. Del detto anno 1602 pubblicò l’editto, che dovendosi secondo l’ordine della S. Congregazione, proporre dalli R.di Canonici delli Capitoli di S. Maria dell’Annunziata, e di S. Croce due sacerdoti particolari, quali almeno per tutto l’anno avessero a tenere la cura delle anime, acciò sapessero li Parrocchiani a chi ricorrere per l’amministrazione dei Sagramenti, essi R.di Canonici dei tre rispettivi Capitoli, gli proponessero nel termine di tre giorni persone atte, idonee, e sufficienti per detta Cura; avvertendo i medesimi, che se in detto termine non avessero quelle presentato, o avessero presentato persone insufficienti, o altrimenti non idonee ad esercitare detta carica, senza altra citazione, avrebbe egli proceduto a detta elezione, assegnando agli eletti, quanto gli paresse conveniente dei comuni frutti di dette Canoniche.

Per la qual cosa stimando i Canonici di tutti tre i suddetti Capitoli non esser loro espediente imbarazzarsi in nuove liti, chinarono il collo al nuovo giogo (tanto più che i decreti emanati al concilio tridentino gli erano contrari) e si contentarono di essere spogliati del loro [195] antico possesso, di non esser soggetti ad esame; e così ancora a quella elezione in perpetuum, che per la detta cura fatto avevano dei Procuratori del Clero. Sicché, avendo i Canonici di S. Maria eletti canonicamente per Curati per detto anno 1602 due loro Canonici, dottori dell’una e dell’altra legge, cioè D. Torquato Saccente e D. Angelo delle Nozze, e presentatigli al Vescovo, vennero approvati, e furono ammessi dal Vicario generale di monsignor Gavazio per la qualità delle loro persone senza esame veruno. Non così però fu fatto di D. Nicola Di Grazia, e di D. Ovidio Nelli, curati eletti dal Capitolo dell’Annunziata, e presentati a detto Vicario generale che pur gli ammise, il primo, come trovato negli esami satis competenter istructo, e come di età matura, ed esercitato nella Cura delle anime. Ed il secondo solo come satis competenter istrutto. E lo stesso avvenne di D. Bonifacio della Zàzzara, e di D. Luigi Natalizio, curati eletti dal Capitolo di S. Croce, ammessi come quelli, che nell’esame avevano competentemente risposto alli casi loro proposti. Che si vuol fare? Pazienza. Questo sì, che al presente da molto tempo sta in uso, che quando gli eletti curati siano confessori dell’uno e dell’altro sesso, soglionsi approvare dalla vescovale curia a vista del solo foglio della loro elezione; quando poi non abbiano tal requisito,, sogliono essere esaminati, o essendovisi cosa in contraria, ordinarsi nuova elezione. [196]

 

 

Secondo Capitolo generale celebrato in S. Maria Maggiore di Piedimonte.

 

Dopo di che nel 1560 in tempo di Papa Pio IV, per ordine di lui fu carcerato in Roma D. Ferrante Ezgarlor Conte di Alife, e poi condannato a morte nel 1561, e decapitato coi suoi complici, essendo Alife confiscata per ordine del Re Filippo II, non vi fu male, che non sostenne dai soldati di lui, uniti a quelli del Pontefice, mandatevi a castigo, come città nemica, e complice del reato del suo padrone disgraziato, saccheggiata ella, e desolata, abbandonata dai suoi cittadini, che fuggirono altrove, ne lasciò ancora il dominio il Vescovo, che si ritirò in Piedimonte, senza avervi però ancora casa propria, come fece il Rossi, il Santorio, il Cini, ed il Gavazio, il quale come Frate mendicante, stando in estremo spiantato, anche perché le rendite della Mensa vescovile erano minorate per la mancanza dei coloni dei terreni, e degli inquilini delle case, e rispondenti degli Enfiteusi, (non essendo allora dalla Chiesa approvata ancora la vendita delle annue rendite) e caduto in infermità corporale, nel 1603 risolse portarsi in Ferrara sua patria; onde per fare questo viaggio [197] dimandò alli Capitoli di S. Maria, dell’Annunciata, e di S. Croce un abbondante sussidio caritativo; il perché sotto il dì decimo di Settembre di detto anno, si trova convocato nella chiesa di S. Maria un secondo Capitolo generale delli Capitoli di Piedimonte, Vallata, e Castello, (giacché il primo fu quello della transazione dello spoglio, nell’anno 1587), coll’intervento di dieci canonici della prima, sei della seconda, e altri sei della terza; cioè per S. Maria i canonici D. Torquato Saccente, dottor D. Leonardo Paterno, D. Giovanni Angelo delle Nozze, dottore, D. Solone Iannucci, D. Marco Andrea de Parrillis, D. Vincenzo Genovese, D. Gio. Angelo Confreda, D. Leonardo Paterno (bis), D. Gio. Antonio Costantini, e ‘l chierico Geronime de Amico.

Per l’Annunciata i canonici D. Nicola de Grazia, D. Ovidio di Lello, D. Francesco Paterno, D. Annibale Brando, D. Daniele Scaramuccia, e D. Vincenzo Caicchia.

Per S. Croce i canonici D. Biagio di Giovannantonio, D. Biagio della Zazzera, D. Luigi Natalizio, D. Ferdinando Ferrazza, D. Fabio de Lello e D. Tiberio Palumbo.

Essi Canonici (intervenienti anche a nome di tutto il Clero di Piedimonte, della Vallata, e di Castello) asserirono aver disposto donare, siccome donarono per loro mera liberalità, e benivoglienza al R.mo F. Modesto Guazzetto Vescovo di Alife, che coll’aiuto di Dio intendeva andare fra breve alla sua città di Ferrara, la terza parte della rata, a ciascuno di essi Canonici beneficiati, ed altri di detto Clero, spettante per la mercede e paga, da farsi a ciascuno di loro dall’Università di detta Terra, in vigore della transazione, fatta con la stessa Università; ita ut più facilmente la detta loro deliberazione, e la detta donazione si deducesse ad effetto, costituirono procuratore ad esigere dette rate D. Gian Vincenzo Genovese, Canonico della Chiesa di S. Maria, D. Ferdinando Ferrazza, Canonico della chiesa di S. Croce, e D. ... Canonico della Chiesa dell’Annunciata della Vallata e quelle ricuperate ed esatte darle, e consegnarle al predetto R.mo Signor Vescovo.

Noto qui, come i Canonici di Piedimonte furono perfetti osservatori del Divino Precetto, che dice: ...Benefacite his qui oderunt vos, qual si fu Monsignor Gavazio; ma noto ancora, che da questa lor liberalità incominciò l’uso di pretendersi da ogni nuovo Vescovo, a cui non spetterebbe, stante la Mensa vescovile di Alife non sta più nelle antiche miserie, e raccoglie per li terreni posti a cultura, annualmente più di Scudi Duemila. Con tutta però questa liberalità, che il Clero di Piedimonte usò col Gavazio fu nella necessità nel 1608 ricorrere di nuovo alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, perché gli facesse osservare i decreti del 1601, che gli conferò addì 10 di Ottobre di esso anno 1608 in esso Prelato se ne passò all’altro Mondo [199]

 

 

Delle brighe coll’Arciprete e Canonici di S. Maria Magg.re di Piedimonte per le preminenze.

 

L’altro disordine, nel principio di questo secolo (1618) nella Collegiata Chiesa di S. Maria Maggiore di Piedimonte, fu la focosa lite, accesasi tra il dottor D. Giovan Angelo delle Nozze Arciprete di essa e fra gli altri Canonici suoi compagni, i quali appoggiati agli ordinamenti III e IX del Vescovo Angelo, che dicono, che il cantarsi le Messe nei dì festivi spetti al Canonico Ebdomadario, ne distinguono i giorni solenni, nei quali spetta farlo all’Arciprete, come dignità, a secondo l’uso di tutte le chiese dell’Orbe cattolico, ricusavano di cedergli il luogo, quando loro spettava l’ebdomada.

Non si poté questo litigio smorzare dall’Ordinario, che allora si trovava essere fra Valerio Seta da Verona, dell’Ordine dei Servi, che tanto pur disse, e fece, che indusse ambedue le parti a far compromesso nella persona di Monsignor D. Marco Antonio Genovese Vescovo di Isernia, Napoletano, ma nato in Piedimonte, e battezzato nella stessa Chiesa di S. Maria, e che allora per buona sorte in Piedimonte trovavasi, il quale, intese le Parti, e viste le Scritture, sotto il dì 18 Dic. 1618 pubblicò un Laudo, e disse in sostanza, che Egli come Arbitro arbitratore, ed Amicabile Compositore, con potestà di procedere de Jure et de facto, e come Vicegerente dell’Ill.mo e R.mo Vescovo di Alife, presente, profferiva in essa causa il seguente Laudo, definiva, e sentenziava, che il R.mo Sig.r D. Gio. Angelo delle Nozze, Canonico, ed Arciprete, per ragione del suo Arcipretato aggiunto dovesse preferirsi a tutti i Canonici di S. Maria Maggiore della Terra di Piedimonte, ed a tutto il Clero di detta Terra, e suoi Casali, nello stallo, nel Coro, nella voce in Capitolo, in camminare, in sedere, in votare, in sottoscrivere, ed altri atti capitolari, ed extra Capitolo, e ad esso appartenere il canto dei Vespri, e delle Messe nei giorni solenni del SS. Natale, di Pasqua di Risurrezione, di Pentecoste, e del SS. Corpo di Cristo, la delazione dello stesso SS. Sacramento, la benedizione delle Candele, delle Ceneri, delle Palme, del Sabbato santo, la intonazione della prima Antifona in Coro; cosa che ancor conveniva allo splendore e decoro della Chiesa; e conferisce alla divozione dei Fedeli, che nei giorni più solenni tali cose si celebrino da coloro, che sono decorati di onore, e grado più alto. In quanto poi alla celebrazione delli Vespri, ed ad altri atti infra annum doversi osservare la consuetudine della Chiesa, appartenendo all’Ebdomadario, o altri, come si è la detta consuetudine della Chiesa. Pronunciò nondimeno colla Autorità a sé comunicata dall’Ill.mo e R.mo Vescovo di Alife, che l’Officio del suddetto Arcipretato, si dovesse unire, ed annessare al Canonicato, ovvero alla Prebenda del più antico Canonico, il quale per [201] più lungo tempo sudò nel servizio della Chiesa, siccome unillo ed annessollo citra praejudicium otinnenntis, salvo, et reservato l’Assenso del Papa quatenus opus sit. Di più pronunciò, che il detto Arciprete se voleva guadagnare i frutti e le distribuzioni nel Coro, dovesse intervenire nell’abito canonicale con cotta sopra il rocchetto o senza rocchetto: fuori però del Coro dovesse usare il rocchetto coverto dal pallio o sia mantelletta. E così qual laudo il seguente giorno 19 Dic. Fu letto e pubblicato.

Dal medesimo nondimeno, capricciosamente si gravarono li signori Canonici portando la causa nella S. Congregazione dei Riti, da cui a dì 16 Gen. 1620 si emanò decreto, a relazione del Card. Crescenzio che il Laudo, proferito dal Vescovo di Isernia, a favor dell’Arciprete suddetto a dì 19 Dic. 1618 si dovesse osservare, con imporsi ai Canonici della medesima Chiesa perpetuo silenzio. Ed il decreto medesimo con lettera del Cardinal del Monte del 13 Marzo 1620 fu trasmesso al Vescovo di Alife, che era il detto Seta, a ciò lo facesse eseguire. E così fu terminato questo affare, e da allora tal determinazione è stata sempre in piena osservanza. E non è, come si vuole da taluno, che Monsignor Genovese, ecceduto avesse i limiti del Compromesso con unir perpetuamente l’Arcipretato al più antico Canonico della Collegiata, perché ciò non fece come Arbitro, ma come Vicegerente dell’Ordinario, e colla Autorità che gli era stata comunicata da lui, e di più disse: salvo et reservato assensu Summi Pontificis quatenus opus est. Quale assenso, se bisognato vi sia dato, si suppone che la S. Congregazione che fa [202] le veci del Papa, ordinò, che il detto Laudo osservato venisse. Che se alcuna volta osservato non fu dalla Apostolica Dataria in caso di rinuncia ad favorem, si procedé da essa sulla massima che Papa est Dominus omnium beneficiorum etiam de jure patronatus.

[Nota del trascrittore] “Ad onta di quanto si è detto, fatto, e deciso nei secoli vetusti, oggi (prima del 1841) quel grosso gigante del tanto decantato Laudo è stato imbrigliato un poco prima dall’Augusto Re di Napoli, e poi dallo stesso Sommo Pontefice, cioè l’anzianità ridicola non è più riconosciuta, dovendosi solo avere in considerazione non già la longevità di Canonicato, ma solo merito e virtù. Per conseguenza il grande Arcipretato è di libera Collazione della S. Sede Apostolica, e ciò in virtù dell’ultimo Concordato tra Napoli e Roma. Ciò posto finalmente abbiano i furiosi, ed irragionevoli piatitori, anch’essi un po’ di pazienza per secoli eterni. E silenzio e cristiana ubbidienza perché qui Potestati resistit, Dei ordinationi resistit. Gia ognuno capisce, e quatto quatto si mette il punto in bocca”.

 

 

Delle brighe con la Chiesa di s. Rocco.

 

Avendo una tale buona Donna chiamata Maria di Trutto, vedov di Onorato di Contenta nel principio dell’antecedente secolo XVI edificato nel proprio suolo la chiesa di S. Rocco in Piedimonte (credo [203] in occasione della Peste, che nel Mille cinquecento cinque (1505) unita ad un fiero terremoto, e non dissimile carestia, afflisse l’Italia tutta, al riferire del Muratori, negli Annali) fondò nella medesima una Cappellania di una Messa la settimana, e poi donando l’una e l’latra alla chiesa di s. Maria Occorrevole, di padronato laicale della Università di Piedimonte, volle, che il Cappellano di essa Messa si stabilisse dagli Economi di lei, e che mancando essi di farlo, fosse lecito alla detta Maria, e suoi successori, ponere il cappellano per la celebrazione delle medesime a spese della Chiesa donataria; quale condizione nel 1528 fu accettata dai Giudici e Sindaci della Università di Piedimonte, come Padroni di S. Maria Occorrevole, il che apparisce dall’Istrumento stipulatone nel 1528 per Notar Angelo de Rinaldis Di Rocca-Romana..

Nell’anno 1611, essendosi intrapreso di fondare un Monte dei Morti nella medesima Chiesa di S. Rocco insorse litigio tra gli eredi di essi coniugi di Trutto e di Contenta, e gli Economi, e Giudici suddetti, ma rimase in presenza di Monsignor F. Valerio Seta Vescovo di Alife, composto ogni piato, il che apparisce da altro Pubblico Istrumento stipulato per Notar Gian Michele Perrotti di Piedimonte addì 1611.

Restando dunque per detta Composizione, formata in essa Chies una Confraternita di Laici, che doveva esercitare l’opera di Pietà, e di Carità di seppellire qualsivogliano Morti, le fu da essi [204] Economi, e Giudici conceduto l’uso di detta Chiesa di S. Rocco con diversi patti e condizioni, e principalmente, che in Ricognizione del diretto dominio della medesima, dovesse la detta Confraternita, ogni anno nel Martedì di Pentecoste andare in processione alla detta chiesa di S. Maria Occorrevole a presentare una libbra di cera lavorata a quella Beatissima Vergine.

Cresciuta però in facoltà per li nuovi acquisti, fatti per la divozione, ed esorbitante numero dei Confrati, essendo governata da uno Economo, e da un Segretario, Esattore della Mensuale corrisposta di essi Confrati, e servita da bastante numero di Sacerdoti, con titolo di Cappellani, stabiliti a celebrare le Messe; nell’anno 1632, diede motivo a lagnarsi di lei al Curato di S. Maria Maggiore che è la Chiesa Parrocchiale e Matrice, nel cui distretto è edificata la Chiesa di S. Rocco.

Egli dunque (il Curato), nell’anno suddetto 1632 videsi obbligato a ricorrere alla S. Congregazione de’ Riti, esponendo che da tempo immemorabile, quando alcun parrocchiano, o non parrocchiano della sua Collegiata, e Parrocchiale Chiesa di S. Maria Maggiore di Piedimonte, diocesi di Alife, si eligeva la sepoltura nella chiesa di S. Rocco, grancìa di S. Maria Occorrevole della stessa Terra.

Nota) Grancìa male di bocca; grancìa poi di 3 sillabe [205] dinota ospizio di religiosi o Villa: così pronunziano in Roma e in Napoli, ma in Lombardia ed in Torino lo fanno di due sillabe, siccome pure in Sicilia, dove dicono scorrettamente gància).

Si trovava nel pacifico possesso di intimare la processione funerale, e vestito di Stola nera incominciare l’Antifona: Subvenite sancti Dei, e dentro la Chiesa di S. Rocco celebrare l’Ufficio dei Defunti appropriando a sé tutte le candele, o siano intorcie, che sono intorno al cadavere, fuorché le candele che si hanno in mano dei Confrati che accompagnano il cadavere. (Antifona, contrarisposta p.b.s. in gr(eco) e lat(ino) p. lunga “Cristo è addimandato dagli Ellenici Antifoneta”, servo che si obbliga di pagare per lo Servo), e perché alcune volte così i detti Confrati, come il loro Sacerdote vollero perturbare esso Curato in detto suo pacifico possesso in gran pregiudizio del Diritto parrocchiale, ricorreva detta S. Congregazione, acciò comandasse a detti Confrati, ovvero al di loro Sacerdote, che in appresso non lo disturbino in detto suo Pacifico Possesso di far le cose predette, né lo molestino; e cercava, che imponesse Perpetuo Silenzio a detti confrati, a loro sacerdote sopra tutte le cose predette. Al quale esposto fu data la Provvidenza che segue:

Aliphana. Pedemontis. S. Rit. Congregatio  ad relationem E.mi et R.mi D. Cardinalis Georgii [206] censuit, Archipresbyterum seu Curatum Collegiatae, Matricis Ecclesiae S. Mariae Majoris de Terra Pedemontis, Alliphanae Diocesis esse manutennendum in Possessione sopradicta munia exercendi, et peragendi etiam in Ecclesia S. Rochi, quando cadavera Defunctorum deferantur in casu et ibi tumulari debeant prout omnino manuteneri mandatus. Die 21 Augusti 1632. E E. Episcopur Portuensis Card. Pius Rospigliosus Segratarius. Adest sigillum impressum. E così fu terminata detta briga, e da allora in poi non vi è stato altro in contrario.

 

 

Delle brighe per confini con l’Annunziata.

 

Si è veduto che nel secolo XV che Monsignor Angelo Sanfelicio Vescovo di Alife, col suo Laudo dell’anno 1417 e propriamente col regolamento di esso, pose per confini delle Chiese di S. Maria Maggiore di Piedimonte e dell’Annunciata della Vallata, il ponte di Toranello così chiamato perché non vi era ancora edificata vicino la chiesa, e convento del Carmine, come lo fu nel 1538. Un tal Gio. Antonio di Missere nel sito di una Sua cappella detta S. Maria del Ponte, e di un’altra chiesetta detta di s. Sebastiano, conceduta ai Frati Carmelitani da una Congregazione di Laici, in tempo che portava la mitra di Alife Monsignore [207] Michele Torellos. Si crrebbero quindi di mano in mano così le fabbriche di esse Chiesa e Convento, come la divozione verso essa Madre di Dio. Tanto che detto ponte perdé il nome di Toranello, ed acquistò quello del Carmine, dove concorsero più frequenti dei Piedimontesi e dei Vallatani, che andarono finalmente a terminare in emulazioni e brighe scandalose, anzi risse e tumulti.

Nell’anno dunque 1660, e propriamente a dì 25 Aprile, festa del Vangelista S. Marco, i Canonici dell’Annunciata, senza averne ottenuto permesso da quelli di S. Maria, nel cui tenimento sta edificata la Chiesa del Carmine, andando processionalmente, passarono il medesimo ponte, entrando negli alieni confini, su pretesto di andare alla visita di essa Beatissima Vergine, e di là ancora a quella della Chiesa campestre di S. Marco, indi per buon tratto lontana, dove se ne faceva la festa.

Dispiacendo tale Attentato ai Canonici di S. Maria, ricorsero all’Auditore della Camera Apostolica, e ne ottennero un Monitorio jactationis jactationum (come i Curiali lo dicono) nei primi giorni di Maggio del medesimo anno, che intimato ai Canonici avversari, ne dimandarono ed ottennero subitamente la moderazione il dì 11 dello stesso mese, colla riserba “firma tamen remanente causa in Curia”, e parve loro, non ostante, di ricorrere alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari con esposto surrettizio, dicendo, di esser soliti andare processionalmente alla detta Chiesa del Carmine [208] senza alcuna contraddizione, e perciò non poterne venire impediti dai Canonici di S. Maria. Al che la S. Cong. Rescrisse: “Episcopo pro informatione, et interim mandet servari solitum”. Con che credendo aver tutto superato, senza presentare il Rescritto al Vescovo, si apparecchiarono a far la seconda processione alla detta Chiesa del Carmine nella Feria II delle Rogazioni. Ma essendosi presentato dei Canonici di S. Maria comparvero, prima che l’attentato si commettesse, davanti Monsignor D. Sebastiano Dossena Vescovo di Alife e Delegato Apostolico, a prendere la informazione suddetta, e dissero ciò, che avevano volersi fare dai Canonici avversari, e fecero istanza, che loro ingiunto fosse di non ardire di uscire dai confini della loro Parrocchia, e quindi non presumere, ed avere ardire, processionalmente andare al detto Convento, né passare per avanti la di lui porta. E ciò citra praejudicium. In pié della quale istanza il Prelato decretò sotto il dì 29 di Maggio che stante la pendenza della lite delle controversie sopra la precedenza che vertiva nella Curia Romana fra le due Chiese, essi Canonici dell’Annunciata non presumessero andare processionalmente alla Chiesa di S. Maria del Monte Carmelo, sita nel territorio di Piedimonte, né passare similmente in processione avanti la porta di detta Chiesa, sotto la pena [209] di scomunica, da incorrersi ipso facto. Così... E s’intimi... Sebastiano Vescovo di Alife.

- Nel che notossi, che il Prelato per non pregiudicare alcune delle Parti fece vedere, che proibiva quello Accesso, come innovazione, lite pendente.

Ma che pro - ? La Passione non dà luogo alla Prudenza. – I miei Vallatani, appoggiati alla Moderazione, ottenta dal Monitorio di Roma, ed a quello interim mandet servari solitum, (quasi che il Solito si inducesse cogli Attentati) non curando le combinate Censure, si accinsero al passaggio del Ponte: - Ma vi Trovarono “Orazio sol contro Toscana tutta” – (Petrarca).

Onde dopo qualche Baruffa, (confuso azzuffamento) bisognò, che con la loro processione indietro tornassero; spiccando però immediatamente lettere a Roma, con supplica alla S. Congregazione, piena di caricature, e di enormi dimande.

E.mi, e R.mi Signori (cardinali) – Li canonici della collegiata della SS.ma Annunciata della Vallata, Diocesi di Alife, umilissimi oratori delle Eminenze Vostre (EEm.ze VV.) gli rappresentano come avendo presentito, che li Canonici della Collegiata di S. Maria di Piedimonte, della stessa Diocesi, pretendono di impedire di andare processionalmente alla Chiesa di S. Maria del Carmine; alla quale sono stati [210] sempre soliti di andare senza contraddizione alcuna, conforme alla Deposizione dei Testimoni, data in mano di Monsignor Segretario, ebbero perciò ricorso in questa S. Congregazione, quale nel principio di Maggio passato si compiacque rescrivere: “Episcopo pro informatione, et interim mandet servari solitum”. Speditasene la lettera, fu presentata al Vicario Generale, per esser Monsignor vescovo assente, conforme alla Fede di tal presentazione, data anco in mano di Monsignor Segretario; non ostante tale lettera, volendo gli Oratori, il Secondo giorno delle Rogazioni, in conformità del solito, passare il Ponte del Torano, per andarsene alla Chiesa del Carmine, se li fecero avanti gente del Capitolo di S. Maria Avversario, e con bastoni alla mano incominciarono a bastonare il Clerico, che portava la Croce, dicendoli “Ferma là...” facendo cadere la Croce, e mettendola sotto i piedi, la spezzarono in più parti, e maltrattarono detti Canonici, ed impedirono, che non seguitasse la Processione, con grave Scandalo di tutto il popolo, il quale gredava: “Turchi, Luterani, così si impediscono i Divini Officii? Così si tratta la Santa Croce?” Con altri emergenti, li quali, formandosi processo di tal fatto, si proveranno. Ed il Vicario Generale, per esser Canonico di S. Maria, in vece di rimediare, accalorò il fatto. Perciò sono Supplicate le Eminenze VV. compiacersi trasmettere ivi Commissario a fabbricar Processo di sì temerario, ed indecente fatto, e rimuovere [211] il Vicario Generale, il quale per essere uno dei Canonici di S. Maria Avversarii, non pare convenevole, che sia Superiore , che il tutto...

Onde la S. Congregazione destinò a prendere l’informazione del tutto il Vescovo di Telese, che dopo averla compilata, ne spedì a lei la Relazione, che segue.

Eminentissimi, e R.mi etc. Ho eseguito i riveriti Comandi delle EE.ze VV. in prendere estragiudiziale informazione dell’Esposto nel ci annesso Memoriale. E prima perché vi era pericolo nella Dilazione, acciò non seguisse qualche fatto d’arme, come di certo era per seguire nella Processione del Corpus Domini, feci precetti penali al Clero della Vallata, sotto pena di Sospensione ipso facto, che non passassero il Ponte, che si pretende Confine di Giurisdizione di ambe le Parti, e furono eseguiti i Precetti, onde, infecta Processione, il Tutto rimase in Quiete. – E per venire alla Realzione Distinta, devo dire alla EE.ze VV., che essenso qui in Cerreto, luogo della mia Residenza, stati esaminati Nove testimoni della Vallata, con un altro della Terra di Piedimonte, tutti contestati (persone però ordinarie) venuti per questo effetto, dal loro Esame n’è risultato, che nelle Processioni delle Rogazioni, del Santissimo, e straordinarie, la Chiesa del Carmine è stata visitata dalli Canonici di Vallata, e dalli Canonici della Collegiata di Piedimonte, e che quando nella detta Chiesa del Carmine fosse entrata prima [212] la Collegiata, e Clero della Vallata, quella di Piedimonte aspettava, che fosse uscita, e poi entrava Essa ancora. E così si è osservato da quella della Vallata, quando prima vi fosse entrata la Collegiata di Piedimonte, aspettando, che se ne uscisse, entravo poi essa in detta Chiesa. E tutto ciò, che si è esposto, ne risulta dal Processo, che sia stata perturbata nelle passate Rogazioni con Armi, e questo è, quanto consta a favore de’ Canonici della Vallata. Per parte poi de’ Canonici di S. Maria Maggiore di Piedimonte, non avendo potuto li Testimoni venira qua, per essere Cerreto distante da Piedimonte Dodici miglia, dei quali alcuni sono qualificati, che non potevano portarsi qua, ho Stimato bene mandare il mio Vicario Generale a Piedimonte per prendere la necessaria informazione, come ho fatto, e da Venti testimoni esaminati, undici deì quali sono di Piedimonte, due della Vallata, uno Napolitano, Arcidiacono di Alife, quattro di Castello, due di S. Potito, si è raccolto. – I. primo che la Chiesa del Carmine sta situata dentro li limiti della Collegiata di Piedimonte, per essere fabbricata di qua dal Ponte, e che il Ponte di Toranello confina la Giurisdizione della Vallata, e di Piedimonte; in segno di che li Frati del Carmine nelle Processioni hanno sempre associate quelle di Piedimonte, e non quelle della Vallata.

II. secondo – ogni volta, che quelli di Piedimonte hanno presentita la venuta della Collegiata della Vallata [213] ... dentro la Chiesa del Carmine, posta nei confini della Parrocchia di Piedimonte, mai ce l’hanno permesso, ma sempre ce l’hanno fatto resistenza.

III. – L’anno 1648, essendo morto uno della Vallata, e lasciatosi a seppellire in detta Chiesa del Carmine, fu associato dalla collegiata della Vallata sino al Ponte, dove lasciato il cadavere, acciò dal Parroco di Piedimonte si asportasse alla propria Parrocchia, ed essendo di potenza trasportato dalli Frati Carmelitani alla propria Chiesa, ne fu fatta istanza da detto Parroco di Piedimonte contro i Carmelitani, ed essendosi esaminati alcuni Canonici della Vallata, asserirono Sibi Nullu Jus Competere dal Ponte in poi, e vi uscì Decreto della Corte Vescovile, che tutti gli emolumenti si restituissero alli Canonici di Piedimonte, Salva provisione facienda super usurpata jurisditione contra Monachos de Carmelo.

IV. – Nell’anno 1565, et iterum nell’anno 1581, l’università della Vallata si asserisce Università del Casale della Vallata, e Casale della Terra di Piedimonte.

V. – Vi è fede di Sette Frati Domenicani, che di stanza dimoravano in Piedimonte, che attestano, etiam cum juramento, che ogni volta, che i Canonici della Collegiata di Vallata hanno tentato di andare processionalmente nella Chiesa del Carmine, e passare il Ponte, sino al quale si estende la loro Giurisdizione, sempre sono stati impediti dalli Canonici della Collegiata [214] di S. Maria Maggiore di Piedimonte, come si è fatto nel presente anno; ed aggiungono detti PP. Domenicani avere sempre inteso dire, che, quando negli anni passati li Canonici, della Vallata hanno preteso, e sino apparecchiati di andare processionalmente nella Chiesa del Carmine, e passare il Ponte, quelli della Collegiata di Piedimonte se li sono opposti, e ce lo hanno impedito.

VI. – Il Vicario di Alife, canonico di Piedimonte, con ogni prudenza ordinò, che niuno dei Chierici gestaret Arma nel tempo della Processione, quando seguì il rumore, quale però fu promiscuo dall’Una, e dall’altra parte, non essendo a detta Processione intervenuto il Vicario, e quanto alla Croce si asserisce diversamente dai Testimoni dell’Una, e dell’altra parte. Alcuni affermano, che fosse cascata, o gettata. Altri stanno sulla negativa, né si può raccogliere la verità; questo è ben vero, che dalle donne di Vallata furono gettate alcune Pietre. – Questo è quanto posso riferire alle Eminenze VV., alle quali con profondo inchino, bacio il lembo della sacra Po[r]pora. – Cerreto li 23 Lugl: 1661. – P. Francesco Vescovo di Telese.

In vista però di tale Relazione, dopo aver la S. Congregazione ascoltato le Parti, a Dì 18 Gen: 1662 pubblicò il seguente D E C R E T O –

In causa vertente etc. Ill.mus, et R.mus D. Amilius Alterius, Episcopus Camerin ; et ejusdem congregationis [215] ...Secretarius – Attenta Relatione R.mi Episcopi Thelesini, in dicta Sacra Congregatione visa, et considerata... atque pluries citato, et intimato coram ipso Ill.mo, et R.mo D.no Secretario, D. Petro Paulo Salamonio, Procuratore Capituli, et Canonicorum Ecclesiae SS.mae  Annunciatae de Vallata; declaravit Ecclesiam Sanctae Mariae de Carmelo, existentem extra Pontem, esse de Territorio Terrae predictae Pedemontis, sub Collegiata S. Mariae Majoris, ejusdem Terrae, nec licere dictis Canonicis Collegiatae Ecclesiae SS.mae Annunciatae de Vallata accedere processionaliter, absque licentia Canonicorum dictae Collegiatae Sanctae Mariae Majoris Pedemontis, ad Ecclesiam Sanctae Mariae de Carmelo, nisi usque ad medietatem Pontis, juxta dictam Relationem R.mi Episcopi Thelesini. In quorum etc.

Datum die 18 Januari 1661 E. Episcopus Camerinen. Secretarius Adest Sigillum impressum.

[Aggiunta del copista] Con che vennero rassodati questi confini, e si è posto su questo ponte il non plus ultra, come sulle Colonne di Ercole. – Punto finale sino a mò, 1841 dico; ma forse saremo da capo per lo Campo Santo, che si è formato in tenimento di Vallata, perché ingiustamente i vallatani ci vogliono inibire il passaggio, volendo noi accompagnare fin colà i nostri Parrocchiani Defunti.

  

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