Notizie storiche su Roccaromana
(tratte da
Raffaele Alfonso Ricciardi, Roccaromana – Monografia storica,
1887)
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Gli Angioini (pp. 49 ss.)
Andrea de Roccaromana continuava a reggere la
baronia, senza che fino allora ne avesse ottenuta l’investitura per le
discordie tra lo Stato e la Chiesa. Egli, che probabilmente succede a Guilulfo,
nel 1269 per le istanze fatte a Carlo I Re, ottenne per sé ed i suoi discendenti
il governo della baronia di Roccaromana, Pietra Melara, Pietravairano, S.
Felice, con tutti i feudi, i vassalli, e piena giurisdizione nelle cause civili
e criminali: viro nobili Andreas de Roccaromana donatur Baronia Roccae
Romanae, Petrae Millariae, S. Felicis et Petra de Justitiaratu Terrae Laboris[1].
Era necessario che al signore fosse dato moglie,
tanto più che non essendovi successori di discendenza diretta dei figliuoli di
Pandolfo, il dominio, sarebbe passato in mano di estranei, o per lo meno, per
mancanza di eredi, devoluto al sovrano. Grassedonia, figliuola di Manfredo de
Pontelandulo (forse Pontelandolfo) fu la sposa di Andrea, dopo che nello stesso
anno 1269 s’ottenne il consenso del Re pro matrimonio contrahendo
inter Andream de Roccaromana ac Grassedoniam filiam Manfredi de Pontelandulo[2],
accompagnato dalle solite formalità, e nella campagna, nei casali echeggiarono
cantici giulivi per la venuta della nuova castellana, e tutto all’intorno
feste, allegrezza e giubilo per i vassalli.
Gli anni passano ed un novello cavaliere si
sottopone alle cerimonie del cingolo militare Jacobus de Roccaromana miles
e chiede la sovvenzione ai vassalli, dritto che a lui spettava come feudatario
del luogo come figliuol del barone, ed assieme alle infinite angarie, a cui i
miseri vassalli erano sottoposti, questa forse maggiore delle altre si
aggiungeva, perché la sovvenzione estendevasi ad ogni nomina a cavaliere di
ciascun membro della famiglia[3].
E così noi vediamo che nel 1281 Jacopo de Roccaromana vien creato cavaliere,
nell’anno seguente chiede la sovvenzione ai vassalli per sé, tre anni
dopo per suo fratello Francesco: anno 1284 Dominus Jacobus de Roccaromana
pro cingulo militari assumpto a domino Francisco fratre suo petit subventionem
a vassallis[4].
Costui è notato nella lista dei cavalieri del regno di Napoli partiti per Terra
Santa, a mantenere alta laggiù, assieme agli altri, l’insegna gloriosa di
sua famiglia.
Morto adunque Andrea, gli successe Jacopo suo
congiunto, che aveva sposato Costanza di Dragone – Con questo novello
parentado contratto, i signori di Roccaromana cominciariono a posseder nuove
terre, ed a garentirle, accrescendo così la loro potenza.
Nel vasto dominio si levano voti d’augurio, e
la figura di una donna si spicca in tutta la sua grandezza, Maria, che
esce dall’avita dimora, accompagnata da Lorenzo Caputo, cavaliere
napoletano, a cui promette perenne fedeltà – Ed alla fanciulla educata
tra i monti fece triste riscontro la dama cittadina: l’affetto non dura
che poco, Lorenzo abbandona colei, a cui doveva esser sempre legato, e Jacopo
de Roccaromana, tocco nel vivo dei suoi affetti e nell’onore, occupò,
anzi riprese il castello di Pietravairano, dato per retaggio alla congiunta sua
Maria.
Ma Lorenzo Caputo mosse lagnanza al Re, e noi
leggiamo sotto l’anno 1291[5]:
Costitutus coram nobis Laurentius Caputus de Neapolis miles famulus et
fidelis, qui cum ipse haberet, teneret et possideret medietatem pro indiviso castri
Petrae in pertinentia tibi (Justitiario Terrae Laboris), cum asserit Jacobus de
Roccaromana miles cum possessione dictae medietatis ipsius castris per violentiam
spoliavit, ipsoque sibi restituere denegat et recusat ed in tenore novis
constitutionis Regni circa gli spogli violenti, spoliandibus
violentibus, fu stabilito che esso Jacopo avesse restituito al Caputo il
castello, salvo a praticare giustizia maggiore.
Noi no vogliamo, né puossi investigare le ragioni
del ritorno in famiglia di Maria, perché nei registri angioini manca appunto
quell’atto citato nei repertori: Maria de Roccaromana, relicta domino
Laurentio Caputo,agit pro dote sua[6]:
forse ella conservava ancora qualche palpito segreto nel fondo del cuor suo,
forse Lorenzo Caputo sperava che la giovane castellana di Roccaromana gli
avesse potuto portar fortuna, in ogni modo di sotto nascondesi qualche dramma,
a metà consumato, stile tutto proprio dell’epoca.
Nel 1301 si osserva nuovamente, senza poterne
indagare il motivo, che Pietravairano torna a far parte della baronia, Petrae
Castrum de Baronia Roccae Romanae[7]
e Filippo nipote di Jacopo nel 1304 venne creato barone[8]
e per la mancanza di altro registro nell’Archivio di Napoli, non puossi
spiegare la notizia del repertorio: 1314. B. Constantia de Dragone, relicta
domino Jacopo de Roccaromana, domina castri S. Felicis. Però siccome dritto
ereditario per la dote della zia paterna, di essa Costanza cioè, Filippo chiese
la solita sovvenzione ai vassalli di S. Felice, Philippus de Roccaromana,
dominus Baroniae Roccae Romanae, petit subventionem a vassallis castri S.
Felicis pro cingulo militari detenti per Costantia de Dragone, novercam suam
jure dodariis[9].
Ma la triste fatalità che pesa sulla famiglia,
abbrevia il corso di sua esistenza, ed a noi viene dinnanzi, nel Monastero
Capuano, un frate pallido, smunto, consumato dai rigori della penitenza, che
lontano dal mondo, cerca sol la quiete del chiostro. Ed è l’ultimo erede
della stirpe gloriosa, è Filippo de Roccaromana, a cui nulla resta
dell’avito dominio, con le uniche sue aspirazioni rivolta al sepolcro,
ove scende inosservato ed incompianto addi 16 Giugno 1326!…
Ed ora siam giunti alla fine della famiglia de
Roccaromana, che cominciata con Adamo (1100) termina con Filippo (1326), dopo
il quale il feudo passa in estraneo possesso.
La triste fortuna di Pandolfo, principe di Capua, si
ripercosse nella sua discendenza: vita tempestosa di oltre due secoli, avvolta
per noi in mille oscurità impossibili a decifrarsi. Chi sa, forse, un giorno
potranno risorgere dalle onorate ceneri tanti nomi di signori e alla vista
impaurita di noi, tardi nepoti, passeranno confusi, incerti, siccome i vapori
di un sogno, siccome larve grandiose di una gloria trascorsa.
Dai
campo di Terra Santa ove pugnò Francesco, fratello di Guimondo, dalle volte
antiche del Monastero Capuano di S. Giovanni, dalle macerie di questo castello,
una voce sonora pare che sorga, additandoci un nome grande, una potenza
maggiore: Roccaromana…
Carolus Artus Cambellanus famulus et fidelis et Nicolaus
filius quondam Jacobi Fricza de Ravello l. c. p. Magnae Curiae Magister
rationalis, tenet sub eodem Carolo Baroniam Roccae Romanae[10].
Questo è il novello feudatario che noi nel 1327
troviamo in possesso della baronia. L’antico signore che aveva almeno
comune con i vassalli la patria, scomparso assieme alla sua famiglia, forse per
mancanza di eredi, forse per fellonia, è sostituito da altro, estraneo,
sconosciuto, che rimane lontano dal suo feudo.
Carlo Artus, di origine francese, fu il feudatario in
capite, però egli stando alla Corte di Napoli per la sua carica di Gran
Camerlengo del regno, ne affidò il governo a Nicola Frizza, Razionale della R.
Curia, che a parer mio, anche lontano, dovette porvi persona a sé fedele ad
amministrare giustizia.
Quel castello, che nelle sue mura accolse tanti
valorosi baroni, fu abbandonato: il vecchio monumento della potenza longobarda,
lasciato senza cura, iniziò il periodo del suo disfacimento, ed anche la
baronia si divise, Pietramelara, Pietravairano cominciarono una vita
indipendente sotto diversi signori e quei paesi che sempre erano parte
integrante del feudo, perché questo era unico, come ne attesta il
Freccia[11],
concessi a novelli feudatari, col tempo e con l’abuso se ne distaccarono
interamente.
Ma nelle mura d’Aversa s’ordisce,
auspice Giovanna I, il regicidio di Andrea d’Ungheria e la regina per
mostrarsene estranea ed innocente mette a morte i colpevoli. In tal modo Carlo
Artus, Gran Camerlengo del regno e signore di Roccaromana assieme al suo unico
figlio Bertrando, che facevano parte della congiura, nel 1337 venne decapitato
e le sue proprietà devolute allo Stato.
Fin dal 1306 Tommaso da Marzano, discendente
da altra nobile famiglia, successe a Ragalide de Dragone: Thomas de Marzano,
filius Ragalidae de Dragone, succedit in castro Dragonis, Bayranum, Furmiculae
et Saxi[12]ed
il feudo di Roccaromana che dai primi tempi della monarchia era stato conceduto
in Baronia, forse con i diversi passaggi a titolo di successione o di compra
pervenne alla famiglia Marzano. Non puossi in alcun altro modo spiegare perché
nell’atto di Re Ladislao del 1404[13]
rilasciato a richiesta di Gurrello Origlia, Gran Protonotario e
maggiordomo di sua casa, che comprò per once 507 le terre di Baia e
Roccaromana, si faccia in quel documento medesimo menzione di Goffredo da
Marzano, discendente del surriferito Tommaso. Inutile stimo trascrivere qui
per intero quell’atto, perché oltre ad accrescere di mole il lavoro, non
vi si potrebbe rilevare, fra le infinite e sempre identiche formole, che quanto
di sopra si è detto.
Cosicché ucciso Carlo Artus, il feudo per la prima
volta dipendente dalla Regia Corte, passò in possesso di Goffredo da Marzano.
Ma nel 1404 la baronia appartiene al surriferito Origlia, indi a poco ritorna
alla famiglia Marzano.
In forza adunque della successione di Tommaso da
Marzano, per posseder questi la terra di Baria, fra le altre, i suoi eredi,
incorporandola nel dominio di Roccaromana, ne formarono un feudo solo. Questo
ai primordi del secolo XV ci appare sotto questo nuovo aspetto:
Roccaromana: Paese principale della signoria, che sotto il suo
nome comprende eziandio l’altra, terra sparso nella pianura nei vari
casali, con camera baronale e giurisdizione di cause civili, criminali e miste.
Baia: L’altra terra incorporata mediante
l’atto di successione di Tommaso da Marzano.
All’aquila dei de Roccaromana successe
nuovamente la croce patibolata dei Marzano[14];
Giovanni Antonio comprò il feudo già posseduto da Goffredo, essendo
eziandio Duca di Sessa, Conte di Squillace e di altri 68 domini. Egli che
durante gli ultimi anni del governo di Ladislao era rimasto in cacere con la
madre e le sorelle, con Giovanna II cominciò il periodo di sua vita gloriosa.
Dopo aver seguito la Regina, alla morte di costei aiutò in cento modi Alfondo
d’Aragona, tanto che questi entrando in Napoli dopo la vittoria di Gaeta
su Filippo Maria Visconti, aveva al suo fianco esso Marzano, ricoperto di
gloria e col grado di grande Ammiraglio del regno.
Roccaromana da lungi rimaneva a tanto giubilo
governata per somma sventura da persona straniera, senza che nelle sue mura
avesse potuto accogliere l’eccelso feudatario, di cui forse ignorava fin
le fattezze.
Ma non a lungo rimasero inascoltati i suoi voti,
proprio un novello signore veniva ad abitare nell’antico maniero.
Lo stendardo del Duca di Sessa, utile signore di
Baia e Roccaromana, sventola sulla torre del castello, indizio ai vassalli di
festa e di somma letizia.
E difatti, daccanto al fiero Giov. Antonio Marzano
si distacca la gentile figura di Altobello, suo figlio naturale, egli
che viene al possesso del suo feudo e che segna un nome nuovo nella cronologia
dei baroni. E noi vediamo passarci dinnanzi tutto un idillio svolto là, fra le
montagne di Sessa, all’ombra dei bastionati torrioni, l’adolescenza
di Altobello, la sua balda gioventù, il suo cuore nobile e quasi non lo si
riconosce allorquando il Duca Giov. Antonio, dopo avergli donato il castello di
Latina alcuni anni prima, dicendo nel proemio del privilegio paternam
pietatem debere consilium pro liberis capere, aggiungendo, considerantes
itaque magnificum natum nostrum Altobellum de Marzano ad aetatem juvenilem
pervenisse, dignemus etiam particulare habere dominium, gli dona gli altri
due castelli per l’amore che disse portargli, ed egli va al possesso
del suo feudo, serbato per sé, i suoi eredi e successori pro se, suisque
haeredibus et successoribus et suo corpore legitimis discendentibus, cum erorum
castris, hominibus, baxallis, mero, mixtoque imperio et cum integro eorum statu[15].
Ed il novello feudatario torna a dimorare nell’antico palazzo dei
signori, Altobello che non possedeva se non piccolo tratto di terra, sottoposto
alla sua baronale giurisdizione, ed il castello, che fin verso il 1326 è stato
abitato dalla famiglia de Roccaromana, poscia passato in dominio degli Artus ed
Origlia, che erano alla Corte di Napoli per le cariche che occupavano,
nell’epoca in cui siamo (1457) è allietato ancora dalla vista di paggi,
scudieri e di dame, si rinnovellano le scene dimenticate di 130 anni o anche dippiù,
e soventi a notte inoltrata, su per l’erta della rocca, una mesta nenia è
venuta ad interrompere il silenzio che tutto intorno avvolgeva, mentre una
pallida figura di dama appariva ne vuoto di un verone…
Però la pace è fittizia, la promessa tranquillità
dei popoli non è stata se non un sogno d’inferma fantasia ed appena due
anni dopo – nel 1459 – Giovanni d’Angiò, visto che i
napoletani erano sulla difesa, istigati dalla regina Isabella, invece di
assalire la città, mutò via, ed andato a Castellammare al Volturno, fu ricevuto
pomposamente da Marino Marzano, che alzò la sua bandiera[16].
A che tutto ciò?
[1] Reg. Anno 1269 fol. 175.
[2] Reg. An. 1269, fol. 75.
[3] Baro in regnum dicitur qui
habuit a rege in titulum Baroniae, qui sub eo teneat feudo quoternata, et si
haberet plura castra, vel plures subfeudatorios; qui feudo sub eo no quaternata
teneret, non dicitur Baro – Baronia unica est, lices plures possidere, et
ille dicitur Baro, qui obtinet caput baroniae – Baronia, nomen est
universitatis, continens sub se multa feuda..
Subventio a vassallis
debetur baroni pro militia filii, debetur pro milita nepotis, vel pro militia
fratris et pro docturatu filii – Marino Freccia, De feudis.
[4] Reg. An. 1284 fol. 83.
[5] Anno
[6] 1322 B. fol. 2 t. – Il registro manca dei primi fogli.
[7]
[8] 1304 –
[9]
[10] Reg. 1327 D. fol. 34 t. – Mancando in Archivio il registro, riesce impossibile poter dimostrare in qual modo Carlo Artus succedesse alla famiglia Roccaromana.
[11] Baronia unica est, licet plures possidere, et ille
dicitur Baro, qui obtinet caput baroniae – De Feudis.
[12] Anno 1306 Reg. 156 fol. 119.
[13] Reg. 867 fol. 124 t.
[14] Lo stemma di famiglia Marzano era una crux patibolata nigra in campo aureo.
[15] Quinternioni 1457 fol. 209.
[16] Simonetta, Vita di Francesco Sforza – il Pontano etc.