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Nuove Pubblicazioni sul Medio Volturno

ANNUARIO 2002

 

Giovanni Spaziano, Riardo e Annibale- Edizione fuori commercio, gennaio 2002, Tipografia Intergraphica s.n.c. Vairano Scalo - pp. 101.

 

L’Autore dedica ad Annibale la seconda, terza, quarta e quinta parte del volume: ne costituiscono il cuore. Il discorso è introdotto da una attenta, puntuale descrizione della strada del Savone, corso d’acqua sul quale, in tempi storici, fu edificato un ponte ora riconosciuto con il toponimo Ponte Sfondato. Di esso restano, le quattro arcate che lo costituiscono, visibili in progressione da ovest ad est, sempre più larghe e sempre più alte. Il ponte è tale nella costruzione e nell’interesse all’aspetto da essere catalogato tra i monumenti nazionali della Campania. Sfondata è l’arcata maggiore. La strada del Savone o Beneventana, come l’Autore la chiama, congiungeva Teano a Benevento.

Lo storico riardese, per ricostruire l’itinerario percorso da Annibale su indicazione della guida che aveva mal compreso il nome della meta che il Cartaginese voleva raggiungere, pronuntiatione os Casilinum pro Casino, rilegge, di Livio, il cap. XIII del libro XXII della Storia di Roma e i passi degli storici che soffermano sullo stesso racconto che precede le mosse e i movimenti di Annibale prima della battaglia di Canne, per confermare o dissentire, soprattutto in virtù della conoscenza che egli ha del territorio. Egli, citando il De Sanctis per il quale, poiché i toponimi Callicula mons e Calligula iugum non ricorrono altrove, conviene quindi dalle circostanze stesse dei fatti arguire la topografia, fa seguire la sua convinta opinione:

E la topografia dei luoghi si può adattare soltanto alla via del Savone

La conferma, il Nostro la riscontra nel Pareti e nello storico locale Carcaiso.

Gli storici locali, nel loro particolare, come nell’argomentazione che qui abbiamo annotata, possono apportare, senza pretese, precisazioni a eventi già noti o aggiungere pagine di storia, sia per la verifica che per le prime si può fare su territorio bene conosciuto sia per le altre, per un suggerimento o un segno, quando l’idea ti è già nella mente. E sono conoscenze, spesso, sfuggite od ignorate, le quali, possono giovare anche a formulazione di conclusioni o giudizi diversi da quelli precedentemente raggiunti.

 

***

 

Le parti quarta e quinta sono lettura rapida e giovevole per saperne di più sull’uomo e sul condottiero che, per diciassette anni, in Italia, diede prova della sua strategia. Conosciamo così come il capitano e il docente Giovanni Spaziano guarda a questa figura di grande generale. Del cui mito resta ancora vivo il nome di qualche ponte. La conoscenza dell’uomo Annibale, degli ultimi suoi anni, della morte per suicidio, gli accresce le simpatie o l’ammirazione o altre diverse considerazioni più delle battaglie vinte e l’unica perduta, quella di Zama.

Precedono le pagine sul Cartaginese, altre complementari alle attività di studio dell’Autore, nonché una breve cronistoria di Riardo, sussidiaria all’argomento.

Domenico Loffreda

 

 

 

 

 

 

 

 

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Giovanni Spaziano, Riardo - Mezzo secolo di cronaca e storia locale -(1950 2001) Edizione fuori commercio, Gennaio 2002 -Tipografia Intergraphica s.n.c. Vairano Scalo (CE) - pp. 331,

 

La produzione storico-letteraria di Giovanni Spaziano inizia dal 1958 con la compilazione di Monografia storica di Riardo, della quale nel 1974 pubblica la seconda edizione. Frattanto si trattiene a illustrare altri argomenti che ritiene di particolare rilievo e storico e didattico e ambientale, a lui congeniali. Di Riardo, soprattutto, egli vuole dire tutto quanto sa e può raccogliere dalla memoria e dagli archivi. È il suo un paese che di storia ne ha vista e ne ha vissuta, anche per la ricchezza d’acque minerali: la pubblicizzazione ne diffonde il nome in ogni dove dagli schermi televisivi; e per il fertile terreno agrario che ne ha arricchito l’economia in ogni tempo, come testimonia la presenza dei Benedettini di S. Vincenzo al Volturno e successivamente dei Cistercensi, che vi possedevano numerosi beni e vi lasciarono testimonianza di templi e di costruzioni per le attività agricole.

Riardo -Mezzo secolo di cronaca e di storia locale- che scorriamo ha la singolarità di essere una antologia, o un florilegio o, con parola dotta, crestomazia, ossia la raccolta di articoli di cronaca e di storia, di autori vari, comparsi prevalentemente su quotidiani, che l’Autore, nel tempo, ha accuratamente posti nel suo archivio e gelosamente conservati, già con il proposito, forse, di utilizzarli per la pubblicazione che ne ha fatta con il patrocinio del Comune. La genesi ce la racconta nella lettera Al Lettore, alla pag. 5, il criterio di scelta, dall’Indice.

Si segnala, nelle pagine di introduzione, un saggio delle opinioni dello Spaziano sulla crisi dei valori, quella, in particolare, della cultura e dei suoi centri di diffusione: scuola, chiesa, società, mezzi di comunicazione.

La varietà degli articoli di giornale, dal 1950 al 2001, sono scelti e raccolti nella successione cronachistica; Seguono studi e notizie, che l’autore ritiene che i riardesi debbono conoscere o ricordare, come la riproduzione dello studio di Ottavio Morisani Affreschi inediti o poco noti in Campania - Riardo: S. Maria della Stella, pubblicato in Napoli Nobilisima nel 1961.

Questo volume non vuole essere, pensiamo ed auspichiamo, sigillo all’attività di storico di Giovanni Spaziano, ma la testimonianza della sua lunga nobile fedeltà alla scelta di vita culturale e sociale compiuta e perseguita senza sosta, per se stesso e per la comunità nella quale si identifica.

 

 

Domenico Loffreda

 

 

 

 

 

 

 

 

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S. Angelo di Ravecanina Un Insediamento Medievale nel Sannio Alifano, a cura di Luigi Di Cosmo -Quaderni Campano Sannitici II -Gruppo Archeologico Rufrium, Edizioni Ikona Piedimonte Matese, Dicembre 2001

 

Il secondo numero della collana Quaderni Campano Sannitici, fondata e diretta da Domenico Caiazza, monografica per l’argomento, presenta studi sull’area archeologica di S. Angelo di Ravecanina, ab antiquo così riconosciuta con l’agionimo seguito dal toponimo, che sta ad indicarne la natura del luogo e la distinzione rispetto ad altri abitati titolati all’Arcangelo. Luigi Di Cosmo, che all’attività medica aggiunge quella culturale di studioso della ceramica antica, ha curato la raccolta e la pubblicazione degli articoli. Egli premette che la serie di ricerche e di riflessioni che si presenta alla lettura e alla conoscenza degli amatori di storia locale, non solo è quanto mai tempestiva, ma anche specializzata ed articolata. Alla ricerca sul territorio ha collaborato l’équipe di archeologia medievale dell’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli.

Il Quaderno, per sé stesso e per i collaboratori, penso che voglia essere veicolo di notizie per chi conoscendo e apprendendo apprezzi e goda e cooperi alla conservazione dei beni, nonché invito ed impulso ad una campagna di scavi per approfondimenti e indagini più accurati su tutta l’ampiezza dell’area con l’intervento degli enti locali, provinciali e regionali cura.

La serie degli articoli s’apre con quello che Domenico Caiazza dedica alla Storia degli studi sul parco archeologico alifano, relativo alle fortificazioni a S. Angelo d’Alife. Egli s’incontra con lo studio del cittadino ricercatore ing. Gabriele Martone che, primo e solitario pioniere, già prima del 1915, indaga per conoscere la storia del proprio paese, ma che solamente dopo una lunga permanenza da migrato in Argentina, dopo il ritorno in patria, nel 1956 rende noto. G. Martone, nel 1965, può pubblicare quel suo studio sulla novella rivista Annuario 1965 (rinnova Archivio Storico, voluta da R. Marrocco nel 1915, estinta nel 1922) che nasce insieme alla costituzione della Associazione Storica del Sannio Alifano (ASSA) per opera e con intento di rifondazione del prof. Dante Marrocco, promotore culturale sul territorio, egli stesso ricercatore instancabile di testi e notizie: ne fa suoi temi di studio; la rivista conserva il suo nome, l’Associazione, nel 1974, amplia la propria area storica sostituendo del Sannio Alifano con del Medio Volturno per comprendervi i suoi sei territori storici: Allifae, Caiatia, Compulteria, Rufrae, Telesia, Venafrum.

La digressione, per dire il valore che hanno le iniziative culturali sul territorio, soprattutto quelle editoriali, sia l’Annuario sia i Quaderni o altre ancora, al fine di stimolare studi e di conservarli come in un archivio o in uno scrigno, perché sono comunque frutto di impegno non comune.

Il nutrito articolo di D. Caiazza apre con gli studi di G. Martone, il quale nel 1968, ancora sull’Annuario, pubblica altro articolo, Consolidamento e sistemazione del “maschio del castello di Rupecanina in S. Angelo d’Alife” completamento del precedente Scavi e restauri a S. Angelo d’Alife del castello di Rupecanina, tratta l’argomento non solamente dal punto di vista storico: con più ampia visione e documentazione tecnica, anche iconografica e bibliografica, ne espone la complessità e la imponenza.

Nell’articolo successivo Oppidum Sancti Angeli cognomento Rabicanum, lo stesso autore si trattiene sul toponimo col quale l’agionimo si distingue dagli altri consimili col nome dell’Arcangelo. Egli, per il suo studio, tra le antiche fonti documentarie trascritte, predilige la forma di quella sopra citata, tratta da Alexandri Telesini abatis historia Rogerii II regis. L’uso dell’etimo rav, prevalente, è sparso sul nostro territorio e, ampiamente, per le terre del bacino del Mediterraneo. Piacevolmente così può leggersi in un verso del poeta dialettale pratese B. Pistocco, parlando al Lete…fai a ‘nnascunnnariegliu cu lle Ravi; a Valle delle Secine di Letino ci si ferma a bere l’acqua fresca della sorgente di Rav -olanoce. Uno specifico studio glottologico, dopo quello storico molto utile colto nelle fonti e quello espositivo delle proprie riflessioni da parte dell’autore, potrebbe dare significato alle mutazioni vocaliche finali dell’etimo, più che a quelle delle labiali, equivalenti, e perciò scambievoli nella parlata e altrettanto nelle trascrizioni.

L’articolo è arricchito di tanti altri suggerimenti e nozioni utili a leggere, oltre l’attenzione alla etimologia del luogo e sui luoghi, per meglio definire.

Nel quaderno segue Il castello di S. Angelo nella realtà insediativa e strategica della terra alifana di Luigi R. Cielo. L’autore parte nella sua rievocazione storica dal secondo decennio del sec. VIII e coglie nella fondazione del monastero di S. Maria in Cingla dopo il 743 l’avvenimento centrale al quale si aggiunge, dopo qualche anno per scelta e volontà di Arechi II, la fondazione d’un altro monastero in territorio alifano, quello di S. Salvatore dipendente dagli abbati di S. Vincenzo al    Volturno. L’autore, con attenta documentazione, prosegue a tracciare la storia delle varie presenze monastiche con badie chiese e beni insediati per molto vasto territorio, e di quelle delle contee e baronie assicurate dai castelli dei quali si vorrebbe saperne sempre di più: di alcuni non si vedono che le torri e le mura e soprattutto l’intatto potenziale strategico, come scrive quando parla del maniero di S. Angelo, per il quale la stessa estensione del centro che gli si arrocca ai piedi ne è una dimostrazione ancor oggi nella diramata sequenza di cortine murarie torri, case, cisterne, la cui condizione di ruderi non può intaccare la sua funzione di difesa. La lettura vale più d’una sintesi.

Luigi Di Cosmo si sofferma a fare delle Considerazioni su edifici religiosi di alcuni villaggi medievali dell’alifano, sorti come estensione di badie madri, quali S. Maria in Cingla, per il quale cita lo studio di Luigi R. Cielo; di S. Salvatore in territorio alifano, oggi di Piedimonte, illustrato da Dante Marrocco; di S. Pietro in Alife, tema di D. Marrocco e di L. Di Cosmo; di S. Martino, resti studiati da S. De Caro, infine di S. Stefano, resti considerati da D. Caiazza: VIII sec. per i primi tre, ancora non databili, probabilmente dell’alto medioevo, gli ultimi due. Luigi Di Cosmo non tralascia di ricordare altri edifici religiosi in aree collinari, soprattutto grange benedettine e cistercensi, come documentano sia il Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni sia le platee dei beni di Santa Maria della Ferrara in Agro di Vairano (platea pubblicata da: Domenico Loffreda, Abbatia Sanctae Mariae de Ferrara in Agro Varani Notarii Francisci Antonii De Pernutiis Platea-1622 - 23, Loffredo Editore, Napoli, 1999) opere poco citate nelle bibliografie che corredano gli studi. Degli edifici sacri sono presi in considerazione quelli già localizzati dalla toponomastica e dalla tradizione storiografica, dei quali è stato possibile identificare e schedare per essere successivamente oggetto di studi più specifici, anche in previsione di salvaguardia ove possibile. Intento quanto mai condiviso. E L. Di Cosmo di essi dà tutte le notizie di cui cita le fonti e quelle da lui stesso individuate con la lettura dei resti e frammenti di ceramica: resti di edificio religioso a S. Angelo d’Alife Sotto il Castello; chiesa di S. Tomeo a Capriati al Volturno; chiesa del borgo fortificato di Ravecanina; chiesa del castello di Ravecanina a S. Angelo d’Alife. La documentazione fotografica integra quella descrittiva molto analitica ed esaustiva degli argomenti.

Pagine di letteratura archeologica, mi sembra di poterle dire quelle di Federico Marazzi, non solo di gradevole lettura, ma anche propositive di un progetto per l’insediamento fortificato di S. Angelo di Rupe Canina, che potrebbe estendersi, almeno come studio di ricerca, ai tanti altri centri fortificati del territorio pedemontano del Matese e della piana del medio Volturno, per averne una panoramica storico-culturale meno approssimata. Nessuna attenzione, fino ad ora, e. g., ad una opera fortificata, nascosta ad occhi discreti ed indiscreti, detta Le Mura, e così la via per percorrerla nei due sensi, da valle a monte, agli estremi con torri e, lungo il percorso, con porte d’accesso, nel demanio di S. Gregorio, che degrada, ripido, a Valle Orsara di Castello del Matese; il versante orientale è inaccessibile. (Il sito, -longobardo?- è già stato descritto e segnalato in Domenico Loffreda, …et ecclesia Sancti Gregorii in Matese, Cap. V e nel 16° delle Illustrazioni). È una acccurata ricognizione storico-archeologica da proporre agli altri enti locali che posseggono strutture di fortificazione: resti notevoli, notizie e studi scarsi. Il case study, organicamente progettato, raggiunga risultati eccellenti per la conoscenza storica e per l’utilizzo all’economia, i quali vadano oltre le nostre contrade, perché, scrive il Professore, non esiste, allo stato attuale nessun progetto organico in corso di esplorazione archeologica, in tutta l’Italia Meridionale.

Con la descrizione del sito, il prof. F. Marazzi ti conduce sulla sommità di un colle, dal quale domini la media valle del Volturno, e …la vista spazia libera fino al Tirreno…alle spalle si innalzano i contrafforti della catena del Matese, di cui la stessa altura di Rupe Canina costituisce una delle prime elevazioni; con quella della struttura del villaggio, egli ti accompagna con mano per il recinto e poi vi ti introduce, ti mostra la ecclesia castri e la preziosa grande cisterna seminterrata. Per la datazione delle costruzioni che si pone tra il primo e il secondo quarto del XII sec., l’Autore sostiene che si può ipotizzare una maggiore estensione “verso l’alto” (cioè anteriormente all’età normanna). Egli, in una visione d’insieme, sottolinea, relativamente, il fenomeno dello sviluppo dell’edilizia castrale… particolarmente significativo in connessione al processo di forte feudalizzazione, avviato dai Normanni e portato a termine dagli Svevi e dagli Angioini.

Il progetto turistico culturale che F. Marazzi propone e coordina per il castello di S. Angelo - Raviscanina, giustificato dalla buona conservazione del sito (poco aggredito e distrutto da boscaglia) può essere esempio per iniziative su altri simili antiche costruzioni e, nell’auspicio, gli studi dovrebbero essere utilizzati al fine di recuperi possibili e, in primo luogo, ad un più accurato e generalizzato intervento esplorativo per accertane la datazione.

L’articolo che completa gli studi del Quaderno, in stretto linguaggio tecnico, breve ma esauriente dei dati essenziali, compresi i diagrammi, lo scrive il geologo Roberto Ricci. Il titolo comprende l’impegno tecnico che si è assunto: Analisi mineralogico petrografica e tessiturale di alcune malte ed intonaci da edifici medievali dell’area pedemontana del Matese. Sono quattro i campioni da analizzare e riguardano i prelievi dal campanile della chiesa di S. Tomeo di Capriati al Volturno, dal villaggio di Rupecanina, dalla chiesa del castello dello stesso sito e un quarto dalla chiesa abbandonata di S. Lorenzo nel comune di Faicchio. La prosa tecnica va compresa da altro tecnico, che è l’archeologo o l’architetto specializzato.

Domenico Loffreda

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Antonio Petella, Giuseppe Petella - In nome del bene comune e della Patria, Edizioni Associazione   Storica del Medio Volturno, Piedimonte Matese, 2002, pp. 160, tavole iconografiche n° 34

 

Il sottotitolo, tacitano, dice chiaramente quale è stata la motivazione primaria che ha sollecitato il dr. Antonio a dedicare al ricordo biografico dello prozio, il generale dei Carabinieri Giuseppe Patella, il tempo libero dalla attività che svolge nell’antica farmacia di famiglia. La ricerca di documentazione, in una famiglia nella quale la cultura dell’ordine è essenziale e connaturale alla vita delle professioni prevalenti, militari, con studi alla Nunziatella di Napoli, e farmaceutici o tecnici, quelli universitari, diventa più laboriosa per amore di esattezza e di scrupolo, nel timore, scrive l’A., che il ruolo da lui avuto negli avvenimenti che lo videro protagonista, potesse essere enfatizzato e magari falsato attraverso i miei lontani ricordi. Con modestia, egli aggiunge, i documenti gli hanno dato materia di trascriverli, limitando il suo intervento solo per dare ordine e continuità al suo lavoro, quasi fosse stato un amanuense di antica abbazia benedettina. Pochi i documenti nelle abitazioni della sua famiglia, molti nella villa di S. Potito, dove il generale visse gli ultimi suoi anni con la moglie Carolina e due carissime nipoti, che tutta la documentazione, l’hanno gelosamente custodita. Quelli la fonte e il fondo sui quali il dr. Antonio ha lavorato e che ora l’avv. Gianluigi D’Amore, ufficiale dell’Arma in congedo, cataloga, per non mandare disperso l’archivio d’una vita, quella del gen. Giuseppe, vissuta accanto o in relazione con personaggi della Storia, dal Re Vittorio Emanuele a G. D’Annunzio, durante due periodi cruciali: la prima guerra mondiale e parte del primo decennio del regime illiberale, del quale, per la morte nel 1931, non vide i danni finali, lui che con due cani pastori tedeschi di sua proprietà contribuì in modo determinante a trovare la salma dell’on. Giacomo Matteotti.

La biografia che Antonio ha scritto, non curata, fa vedere come con la storia si possa familiarizzare, ossia non considerarla estranea alla vita che viviamo. La quale è sempre partecipata di quella trascorsa e conseguente nello svolgimento. Si deve sempre ringraziare chi raccoglie, ricorda e commenta.

Si fa sempre opera di storia, anche se si pensa di scrivere per la propria famiglia, innanzitutto, una che di generali ne ha due, fratelli. L’altro è Giovanni, insigne oftalmologo, che ha lasciato grande quantità di studi scientifici.

Domenico Loffreda

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Lorenzo Di Lello, Dizionario dialettale castellano - Lessico - Verbi - Proverbi - Toponomastica, Tipografia Bandista, Piedimonte Matese, 2002

 

Trentotto pagine che ho letto con grande piacere. Ho apprezzato molto, anzitutto, l’impegno dell’autore, Lorenzo Di Lello, col quale egli, primo per il suo paese, Castello, anche se in lavoro di piccola mole, dà prova di voler conservare, in documento scritto, la parlata antica, viva solamente sulla bocca dei più anziani. I dialetti, tutti, giorno dopo giorno, per l’urto diffuso che subiscono dal linguaggio dei mezzi di comunicazione di massa, dal mutamento continuo delle attività economiche e dal ricambio generazionale, tendono nel tempo ad attenuarsi, se non a scomparire del tutto, certo ad omologarsi tra loro. Il lavoro di L. Di Lello è la difesa conservatrice da una tale rapidissima dissoluzione del nostro patrimonio linguistico familiare: va bene accolto ed apprezzato. Esso è utile anche a comparazione tra parlate dei paesi viciniori, Castello - S. Gregorio, per comprenderne le affinità e le differenze fonetiche, come l’uso e le particolarità inflessionali.

Nella brevità, tante qualità, come nei capitoli Proverbi e Detti, da cui assapori il gusto e la saggezza del vivere quotidiano, e in quello della Toponomastica, dal quale, a leggerlo con amore ed attenzione, si possono trarre pagine di storia del paese, la più antica e la più lunga conservata.

Domenico Loffreda

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Gaetano Andrisani, Saggio di una biografia di terra di Lavoro, a cura di Francesco Andrisani, Caserta, 2002, Saggi Storici Casertani, pp. 830

 

A chi per studi o per ricerca di testi da cui saperne di più su luoghi e personaggi della nostra provincia, Gaetano Andrisani pone a disposizione quel che chiama Saggio, ma che è una enciclopedia delle pubblicazioni antiche e recenti fino ad ora edite, sui più svariati argomenti. È una fatica, anche per la mole, di grande merito, di prezioso servizio e di contributo alla cultura. Gli è stato collaboratore e curatore di grande impegno il figlio Francesco.

Nella Prefazione l’A. ci parla della genesi della accurata ricerca e schedatura che già faceva dei libri all’ingresso nella sua fornita biblioteca e in quella comunale di Marcianise, che ancora dirige con buon amore di campanile.

La ricerca degli autori e delle opere, che fondamentalmente è guida allo studio di storia locale, è variamente e diligentemente articolata per ciascuno dei centoquattro comuni - sigla da I a CIV Vitulazio, ad iniziare della Provincia di Terra di Lavoro - sigla TdL; ciascun libro, preceduto dalla sigla, è seguito dalla numerazione araba.

All’indice dei nomi seguono quelli dei luoghi, degli editori e tipografi, dei periodici e riviste, e l’indice generale. La consultazione è facilitata.

Gaetano Andrisani, non s’arresta, promette aggiornamenti alla sua opera: Se qualcuno non si trova citato o qualche sua opera non è schedata può farne segnalazione all’Autore.

Domenico Loffreda

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Rosario Di Lello, La parrocchia di San Marcello e San Michele Arcangelo in Piedimonte Matese, Edizioni Associazione Storica del Medio Volturno, Piedimonte Matese 2002, pp. 107, Ill.16

 

Rosario Di Lello si è reso conto che nella storia religiosa di Piedimonte vi è una falla. Ci si è occupati delle due parrocchie urbane: Santa Maria Maggiore ed Ave Grazia Plena. Ma non della parrocchia suburbana di Sepicciano. E già! Le prime due abbondano di chiese, di cappelle, di opere d’arte. Si spiega pertanto l’interesse per esse. Così il prof. Michele Malatesta nella Presentazione, che segue la Premessa del parroco don Salvatore Zappulo, che ha auspicato di dare identità alla sua chiesa, della sua parrocchia, nella quale vuole una comunità viva, palpitante, come una vera Chiesa.

L’Autore tappa la falla, arricchendo nel contempo la storiografia religiosa del territorio. Egli introduce il racconto storico del tempio parrocchiale premettendo nel capitolo utili ceni storici dalla primitiva diffusione del cristianesimo, alla prima costruzione sacra, dalle dominazioni storiche a quelle monastiche, dalle liti con un intermezzo di tre secoli senza neanche la chiesa dissacrata e destinata a uso secolare. Solamente nel sec. XVII, un rescritto della Sacra Congregazione del Concilio, dà il via alla costituzione di una parrocchia in Spicciano. La quale si realizza con la consacrazione che ne fa il vescovo De Lazzara il 23 marzo1697. Da questa data, la storia della parrocchia si arricchisce, ininterrotta, delle storie particolari della comunità e dei parroci che si sono succeduti, più vicine e note, argomento anche di conversari privati. Le storie, nel testo, possono essere anche gradita scoperta; sono le vicende anche di tutti i parroci che si sono succeduti negli anni. I nomi sono la storia.

La linearità e l’accuratezza della esposizione rendono piacevole la lettura del racconto storico, il quale è documentato con ricca iconografia, che rende più attraente il lavoro composto con scrupolo di chirurgo.

Domenico Loffreda

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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“Coriandoli, poesie 2” di Luigi Cimino, pubblicato il 22.6.2002.”Coriandoli”, raccolta di poesie di certo più pregiate dei dischetti di carta multicolore che si lanciano per scherzo addosso alle persone durante il Carnevale, fa vibrare il lettore all’unisono con la sensibilità del poeta, mentre va leggendo e rileggendo le sue composizioni. Luigi Cimino riesce a dare alla poesia, alla sue composizioni poetiche il vero spirito della poesia, che è molte cose insieme e forse anche una sola, quel supplemento di verità di cui sentiamo il bisogno, di cui il cuore umano non sa fare a meno, considerato che proprio l’uomo, volente o nolente, deve fare i conti con la realtà quotidiana. Molti sono i temi contenuti nella raccolta di poesie “Coriandoli”, ma il tema dell’amore, che egli tratta con maestria e naturalezza, lo immagina simile a una luce a fiotti che squarcia il buio, come un bagliore su quella parte oscura dell’anima, dove albergano ottimismo e speranza. E l’amore può anche essere la rivelazione di un qualcosa non apprezzato nel suo giusto valore, pur avendolo accanto in bella vista. L’autore confessa come l’amore abbia un posto privilegiato nella propria esistenza, perché, forse, egli ha trovato nell’amore sia il soddisfacimento del suo essere presente nel mondo, sia della sua convinzione nella perenne continuità dell’esistere. Ma anche il tema della “vita” è oggetto di introversione poetica e non è dato capire se vivere sia andare verso lidi ospitali o sia un lento morire sulle spiagge, come succede alle onde del mare. Rimane il dubbio dell’esistenza e con essa il dubbio della vita futura, quella che deve ancora venire. Dubbio che si materializza e si esterna ancor più nella lirica “O Dio”, che, in fondo, è una preghiera dell’uomo limitato ma vibrante verso mondi sconfinati e nuovi, per lui, infine, unica ancora di salvezza. Il poeta Luigi Cimino vita sa dare anche a quanto vita non ha, sa ornarlo di ghirlande. È una cosa bella quella che egli fa. E lo sa, e perciò, nelle sue composizioni si sente che egli ama la vita e la poesia che ne deriva, eppure altri non sa vedere ciò che egli vede, né conosce la ricchezza del suo cuore. È come egli avesse voluto scrivere un inno al silenzio, perché anche il silenzio parli, come nella poesia “…muta e inerte”, non diversamente da un ricciolo fuori posto o da una fossetta sulla guancia. Ma se in una luce accecante, si coglie il rapporto leopardiano “delle mortali e delle eterne cose” (Al Conte Carlo Pepoli, vv. 141-142: I canti n. XXIV), ma se un repentino fascio di luce tutto illumina “e, disperato il nostro amore effimero eterno freme in vele di un indugio” come confessa Ungaretti (La Terra promessa, frammento VIII), qui c’è Dio, cui il nostro poeta Luigi Cimino si rivolge fidente, cui si eleva, attraverso un dialogo sui generis che si fa preghiera. Con “Coriandoli”, queste piccole grandi cose: una raccolta di versi che, quando li componeva, davano a lui il senso di sentirsi immortale, dono di chi ha la consapevolezza di fare poesia, e grande senso di libertà, Luigi Cimino, ha saputo far vibrare le corde più misteriose dell’animo umano, conscio che, per chi sente e vive la poesia, come lui, non si spegne nell’anima.

(Lu.Ci.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Riceviamo dal prof. Raffaele Matarazzo, insigne studioso beneventano, il Chronicon di Anonimo Salernitano, quarto volume della collana Thesaurus Rerum Beneventarum, da lui tradotto e commentato, con testo a fronte. L’Anonimo Salernitano, con il suo Chronicon, è uno dei tre cronisti, con Paolo Diacono ed Erchemperto, che hanno scritto la storia della “Longobardia minor”. Il Chronicon è una cronistoria dei principi longobardi meridionali, dall’inizio del governo di Arechi (758) al trentunesimo anno di Pandolfo Capodiferro (974), principe beneventano della dinastia capuana, dopo l’assoggettamento di Benevento a Capua, nel 900.

Il Chronicon esprime un certo nazionalismo longobardo, ma più come tendenza naturale che come storico con visione completa e complessa della politica meridionale di quel periodo. L’interesse, come dice Matarazzo, è limitato all’hic et nunc, senza una prospettiva politica, e il modo di raccontare è più letterario che storico, episodico, staccato, favolistica, senza un chiaro inserimento nel tessuto sociale dei territori occupati dai longobardi. Rimane comunque di grande interesse, sia per la ricchezza di notizie, sia per la vivacità del racconto e la partecipazione dei personaggi. Severi invece i critici con il suo latino, che, come dice il Viscardi: “appare totalmente irregolare al limite della lingua parlata”.

Pasquale Simonelli