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  Il castello di Ravecanina (Raviscanina)

di Nicola Mancini

Gli imponenti ruderi che si innalzano tra i Comuni di Raviscanina e S. Angelo d’ Alife vengono oggi chiamati Castello di Rupecanina, ma i cronisti e i documenti del Medioevo ci hanno tramandato ben cinque denominazioni diverse: Rabicanu, Sapacanina, Ravecanina, Rapacanina e Rupecanina. E’ evidente che il vero nome è stato variamente storpiato.

Tuttavia un’ analisi accurata delle antiche cronache ci assicura che, a quell’ epoca, la denominazione corrente fu Ravecanina, così come ci confermano alcuni documenti del 1195, nei quali il conte di Alife dice di essere Giovanni de Ravecanina.

Ma questo non fu il solo toponimo indicante il Castello. Infatti altri documenti lo chiamano Castello di S. Angelo de Ravecanina, sempre in riferimento ad una località che trovavasi nel luogo, o poco lontano, da dove oggi si trova l’ abitato di Raviscanina.

Molto incerte sono le origini del Castello, che, al suo primo sorgere, non fu così come i ruderi di oggi ce lo fanno supporre. Si cominciò da qualche semplice costruzione, voluta dall’ autorità politica di Alife che intendeva crearsi un sicuro rifugio contro eventuali nemici, come i Saraceni, che per tutto il secolo IX saccheggiarono continuamente l’ Italia Meridionale e spesso devastarono anche la pianura alifana.

Così si pensò di fortificare questa collina che, abbastanza , del tutto priva di vegetazione e di malagevole accesso, avrebbe dissuaso il nemico dall’ impegnarsi in un lungo e difficile assedio, mentre più facili prede gli si offrivano, pressoché indifese, nella valle.

Col passare del tempo l’ insistenza dei pericoli vi fece trasferire altre famiglie alifane, le più ricche, perciò alle prime costruzioni dovettero aggiungersene altre per accogliere i nuovi arrivati. Chiuso così da robuste mura e torri, si formò un poderoso castello, il più forte della zona, dove, probabilmente, ebbero stabile dimora i gastaldi longobardi e poi in epoca normanna, i conti di Alife, protetti da una fitta schiera di armati.

Numerose furono le vicende storiche di cui il Castello dovette essere testimone, ma ci sono note solo quelle relative alò secolo XII, che videro protagonisti i Drengot, conti di Alife, e principalmente Riccardo ed Andrea di Ravecanina.

Infatti nel 1130 Ruggero il Normanno ottenne dal papa Anacleto la corona di Sicilia, con la quale estese il suo dominio fin nella Puglia e nella Campania. Minacciati nella loro autonomia si opposero al nuovo sovrano prima Grimoaldo di Bari e Tancredi di Conversano, poi il conte di Alife, Rainulfo, con il fratello Riccardo di Ravecanina.

Si venne quindi alle armi e Ruggero fu battuto, il 24 luglio 1134, a Scafati, ma in seguito riuscì a mettere in gravi difficoltà i due fratelli, tanto che Rainulfo dovette chiedere perdono, mentre Riccardo cedeva in ostaggio il suo primogenito, Giovanni.

Ma nel 1135 ripresero gli scontri e Ruggero, sbarcato a Salerno, espugnò prima Aversa e poi si impadronì di Alife e del Castello di Ravecanina. Riccardo e Roberto, principe di Capua, si rifugiarono a Pisa presso il papa Innocenzo II, che li mandò in Germania a chiedere l’ aiuto dell’ imperatore Lotario.

Questi, sceso in Italia nel 1136, costrinse Ruggero a tornare in Sicilia e nominò Rainulfo duca di Puglia, mentre il fratello, Riccardo di Ravecanina, diventava conte di Alife. Ma partito l’ imperatore, ricomparve Ruggero, che però fu nuovamente battuto il 29 ottobre a Rignano Garganico. Dopo questa triste esperienza Ruggero evitò nuovi scontri e preferì devastare quei territori che le esigue schiere di Rainulfo non riuscivano a difendere. Alife fu incendiata e ridotta in misere condizioni, mentre Riccardo, impotente, si chiudeva nel Castello di Ravecanina.

L’ anno 1139 fu poco fortunato per i Normanni ribelli, perché il 30 aprile Rainulfo morì improvvisamente, lasciando a Riccardo di Ravecanina e a Roberto di Capua il difficile compito di continuare la lotta. Il 22 luglio combatterono a Galluccio, ma, sebbene aiutati dalle truppe di Innocenzo II, furono battuti e dovettero fuggire in Germania, alla corte dell’ imperatore Corrado III, dove Riccardo di Ravecanina col suo secondo figlio, Andrea.

L’ esilio dei nobili normanni durò a lungo; Riccardo vi morì, ma il figlio tornò in Italia nel 1155 al seguito di Federico Barbarossa, sceso a Roma per farsi incoronare dal papa. Con pochi soldati ottenuti dall’ imperatore, Andrea corse subito verso la Campania e poi, partito il Barbarossa, si incontrò a Cassino, il 29 settembre, col papa Adriano IV, che lo esortò a riprendere i territori paterni e gli assicurò la sua protezione.

Perciò, favorito anche dalla falsa notizia della morte di Guglielmo, nuovo re di Sicilia, Andrea di Ravecanina tornò nelle sue terre, scacciandone Rainone di Prata. Ma intanto Guglielmo partiva da Palermo e dopo qualche settimana, vittorioso in Puglia, si avviò minaccioso contro Andrea che dovette correre a Benevento, presso il papa, il quale ottenne per il suo protetto la libertà in esilio.

Rifugiatosi in Abruzzo e poi ad Ancona, il normanno ricevette da Emanuele, imperatore bizantino, danaro e uomini con i quali, nel novembre 1156, riprese la lotta, conquistando numerose città della valle del Garigliano.

La notizia dei suoi successi giunse esagerata alla corte di Costantinopoli, dove si parlava di 300 città espugnate da Andrea di Ravecanina, e nell’ euforia di queste notizie l’ imperatore fece trascrivere i nomi delle città conquistate nella sala da pranzo del palazzo imperiale.

All’ inizio del nuovo anno, 1157, Andrea si impadronì anche del Monastero di Montecassino, lo tenne fino al 10 marzo e poi partì alla volta di Milano per portare il suo contributo di esperto e valoroso soldato al Barbarossa che assediava la città.

Nel 1161 il normanno riprese un’ altra volta le terre paterne, ma l’ intervento di Aquino di Moac lo costrinse a fuggire a Costantinopoli con lo scopo di ottenere nuove truppe. La richiesta non fu accolta e Andrea, tornato in Germania, dovette attendere fino al 1166, allorché una nuova spedizione del Barbarossa gli offrì l’ occasione per una rivincita.

Infatti l’ imperatore, in lotta col papa Alessandro III, affidò ad Andrea ed al cancelliere Rainaldo i Dassel una parte dell’ esercito e li mandò alla conquista di Roma. La città fu presa verso la fine del maggio del 1166, ed Andrea proseguì poi verso la Campania, espugnando alcune città della Ciociaria. Intanto a Roma scoppiava un’ orribile pestilenza che costrinse il Barbarossa a ritirarsi precipitosamente in Germania, lasciando senza alcun sostegno il nobile normanno.

Dopo questi eventi le cronache non hanno più memoria di Andrea di Ravecanina, perciò non sappiamo se l’ indomabile normanno abbia finito i suoi giorni in esilio, o fu tra coloro che rientrarono nei loro feudi a seguito del perdono che Guglielmo II accordò nel 1169.

In tale ultima ipotesi si può supporre che gli fosse stato confermato il titolo di conte di Alife, restando quindi nella contea e nel Castello di Ravecanina fino alla morte. Questa, infine, potrebbe fissarsi al 1192, anno in cui ad Andrea succederebbe il fratello, Giovanni di Ravecanina, già ostaggio alla corte di Palermo e poi, dal 1192, conte di Alife, così come si trae dalle pergamene Fusco.

Null’ altro sappiamo delle successive vicende del Castello, ma dovette essere abitato ed utilizzato fino al 1437, quando fu espugnato dalle truppe del cardinal Vitelleschi. Poi iniziò la decadenza ed il lento abbandono, così l’ opera inesorabile ed incontrastata del tempo rovinò gran parte delle strutture murarie, tra le quali, però, fino a tutto il sec. XVII continuarono a riunirsi, in seduta comune, i Consigli amministrativi dei due paesi, Raviscanina e S. Angelo, originati dall’ esodo degli abitanti del Castello di Ravecanina.

 

(Opuscolo della Pro Loco Raviscanina. Ferragosto insieme, 1987.)

 

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