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Giuseppe Castrillo

PIETRAVAIRANO NELLA “MEMORIA” DI LUIGI D’AGNESE

(in G. Castrillo, Pietravairano nella descrizione di Luigi d’Agnese (1874), 2005)

 

 

 

“Pietravairano al declinare del Settembre 1874”  (pp. 25-34)

 

Al manoscritto, curato per l’edizione a stampa da Adolfo e Luigi Panarello, l’autore, Luigi d’Agnese, aveva dato, semplicemente, il titolo Pietravairano, come se avesse voluto schizzare un rapido ritratto, o fornire una semplice notizia informativa, una descrizione; infatti la chiusa delle 21 facciate originali rivela l’intento dell’autore: “Questo è Pietravairano al declinare del Settembre del 1874”.

L’esordio tende a collocare il paese nella linea temporale muovendo dall’età antica, servendosi di riferimenti archeologici (prelevamento “dalle reliquie dei sepolcri”[1] di “vasi etruschi, oggetti in rame” peraltro di imprecisa fattura e privi di descrizione, monete romane) e a dare indicazioni, non sempre precise[2], sull’alternarsi dei casati che ebbero potere su Pietravairano.

Dopo le notizie storiche, la memoria del d’Agnese prende quota e comincia a precisarsi come documento sullo stato dei luoghi, sulla topografia e la toponomastica. Lo stile è quello del narratore più che del documentarista. La descrizione del castello e delle sue torri “vedovate dei merli”, delle mura “ricoverte dell’edera parassita”, la notazione di colore dei colombi, che si rifugiano temporaneamente nel castello ma lo abbandonano “subito, per dar libero e perenne ricovero ai lugubri abitatori di esso, il Gufo e la Civetta”, risentono l’influenza dei romanzi gotici che pur tardivamente dovettero giungere a Pietravairano prima dell’ultimo quarto dell’Ottocento.

Anche del borgo di San Felice è fornita una ricostruzione storica non del tutto leggibile per gli scempi del manoscritto. A prima vista, desta qualche confusione la determinazione dei confini e delle distanze, visto che potrebbero attribuirsi a San Felice e non a Pietravairano: ma chi legge, esperto dei luoghi, sa venire a capo del bisticcio. Tuttavia il valore del testo, “astrazioni facendo”, per usare un’espressione cara al d’Agnese, per l’aspetto affettivo, non sta nelle informazioi che pure hanno la loro importanza, in una fase storica, in cui nascevano le guide geografiche de nuovo regno. Un ventennio dopo la data in cui fu vergato il manoscritto che stiamo leggendo, sulla stregua del Cyclistics Touring inglese, nasceva a Milano il Touring Club Ciclistico Italiano che nel 1895 avrebbe pubblicato la Guida-itinerario dell’Italia e di alcune strade delle regioni limitrofe[3]. Sta, invece, in una ricostruzione, anche se molto succinta, delle forme di vita e degli aspetti economici, strutturali e ampiamente culturali che caratterizzano la vita del borgo. Naturalmente questi aspetti concorrono a dare un quadro del disagio della popolazione. Mancano “una strada rotabile per Vairano Patenora, ed un altro braccio rotabile... onde accedere alla stazione ferroviaria di Caianello”. Pietravairano sta vivendo problemi comuni a tutte le realtà locali del comprensorio: nella vicina Baia, svanito il progetto di un ponte sul Volturno, si sta lavorando ad una ristrutturazione da cima a fondo del nucleo abitativo[4].

La penuria d’acqua è un altro dei nodi del paese e dell’intero Meridione. Pietravairano, ma è storia recente, si è dissetata con pozzi privati e una fontana, detta La Pompa, fino agli anni Sessanta del Novecento. Appare perciò straordinario il progetto, ricordato dal d’Agnese di raccogliere con “sifoni di ferro” le fonti sparse nella contrada Verdesca, per alimentare il paese. La gravità delle risorse idriche meridionali avrebbe spinto lo stato, con una legge del 1884, a intervenire assicurando derivazioni pubbliche di acqua per “tornare a vantaggio del paese con l’accrescere la produzione agricola... col giovare in qualsiasi modo al benessere delle popolazioni”[5]. La legge, però, non tocca comuni come Pietravairano ma piuttosto quelle zone del salernitano e specialmente del napoletano dove si contano “grandiosi stabilimenti”[6].

“Manca l’illuminazione notturna imposta dalla legge di Pubblica Sicurezza” scrive d’Agnese facendo riferimento all’illuminazione a gas, che in un centro come Salerno era stata impiantata nel 1863[7]. Molto precisi i dati sul numero degli abitanti[8], sull’analfabetismo, sugli aventi diritto al voto. La media degli analfabeti è in linea con quella provinciale[9]. Altra nota dolente è segnata dall’agricoltura, sia per l’inesperienza dei coloni, sia perché le colture si basano sulla sola alternanza di granone e grano[10] con rare seminagioni di avena, lupini, legumi. Povero invece il raccolto ortofrutticolo che viene dai paesi vicini. In genere queste note non vogliono denunciare la scarsa laboriosità dei coloni, che appartengono ad una cittadinanza “buona e docile”, quanto la mancanza di una scuola agraria che permetta di apprendere nozioni di agronomia e di coltivazione e di migliorare perciò la rendita fondiaria che si tiene molto bassa. Il paradosso è che ad un terreno ferace, tanto da essere definito “terra promessa”, non corrisponde una rendita congrua, come, del resto, la qualità del vino locale, già buona, non giunge ad essere pregevole perché manca lo sviluppo dell’enologia e del “perfezionamento di quest’arte”. La ricchezza del paese è invece il commercio del bestiame, dei cereali, del vino; i mestieri più in voga sono quelli del sarto, del calzolaio, del muratore, del fabbro.

La richiesta di istruzione fatta dal d’Agnese è pressante, è un suo motivo ricorrente: con la formazione, infatti, egli ritiene che il paese possa raggiungere il benessere. Il segretario è chiaramente uno spirito aperto, professionalmente orientato secondo i canoni della formazione del ceto amministrativo della nuova Italia. Tra l’altro si riconosce nel suo discorso il ceto di provenienza: il padre era un “possidente”, ma la sua ideologia non è legata al blocco conservatore, è venata invece di un certo filantropismo, non disgiunto da un’impostazione laica. I fondi delle Confraternite, di cui, peraltro, no dà né i nomi, né il numero, sono stati infatti sottratti al “Culto” e incanalati verso la “pubblica beneficenza”, e destinati a finanziare opere sociali, come la fondazione di un asilo e della Cassa Agraria. In questo nuovo indirizzo di politica sociale si distinguono tre sindaci: Belli, Marrocco ed Iacobucci, con i quali il d’Agnese lavora. Non mancano voci di rammarico per il segretario che si lamenta dello scarso interessamento della municipalità per la banda che egli ha fondato, e che sostiene nonostante egli viva “con modestissima fortuna”.

Le ultime incisive note riguardano la situazione delle casse comunali. Le rendite patrimoniali del Comune ammontano a “quattro migliaia di lire”, ben poca cosa se si pensa che le entrate dell’asilo raggiungono le 3351,74 lire, e che il passivo del bilancio si attesta sulla “ingente cifra di lire 31114,49, e che le autorità municipali non vogliono accedere al Libro del debito pubblico, per sostenere le opere e le spese per lo sviluppo del paese.

 

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[1] Mancano reperti di corredi funerari provenienti da Pietravairano, sia in collezioni private, sia nei musei della regione, perciò non è possibile stabilire quale fondamento abbia la notizia del d’Agnese, ma non la si può neppure ritenere poco attendibile. In effetti durante la costruzione della provinciale per Baia e Latina, e della superstrada Caianello-Benevento, le maestranze si imbatterono in armi, utensili di età antica, ma non furono esperite le azioni necessarie per la difesa e la conservazione del materiale rinvenuto. A suffragare quanto scrive il d’Agnese, vi sono le ipotesi di uno studioso locale, l’avvocato Giuseppe Mariano, il quale sosteneva che tra Pietravairano e Marzanello fosse ubicata la villa di un senatore romano. Peraltro, nell’interessane studio di Guido Di Muccio, Storia di Vairano, pubblicato da A.T.L.A., Pitigliano 1990, p. 43, si riporta un’ interessante notizia riguardante il ritrovamento in Pietravairano di un “leoncino di metallo, che tiene tra le branche un serpe a due teste- Due vasi di terra - Diversi oggetti di ramoe (Arch. di Stato)”.

[2] La dizione “Ferdinando d’Aragona Re delle Due Sicilie” è del tutto imprecisa, certamente l’autore vuol richiamare alla mente il regno borbonico ormai defunto. In realtà, Ferdinando II il cattolico fu re d’Aragona e di Sicilia (1479-1516), di Castiglia (1474-1504) con il nome di Ferdinando V, e di Napoli (1503-1516) come Ferdinando III. cfr. Dizionario dell’Occidente medievale, a c. di J. Le Goff-C. Schmitt, voll. II, Einaudi, Torino 2004.

[3] Cfr. L. Di Mauro, L’Italia e le guide turistiche dall’Unità ad oggi in Il paesaggio, Storia d’Italia, Annali 5, Einaudi, Torino 1982.

[4] Cfr. S. A. Veccia, La chiesa di San Sebastiano e le “Grandi Opere Pubbliche” di fine Ottocento a Baia Latina, Istituto per la storia del risorgimento italiano, Comitato di Caserta, XCV, Baia e Latina settembre 2003, Tipografia Solari, Capua 2003.

[5] N. Greco, Le acque, Bologna 1983, pp. 88 e sgg.

[6] G. Bruno, La trasformazione delle aree di bonifica, in Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unita ad oggi, La Campania, Einaudi, Torino 1990.

[7] Cfr. D. L. Caglioti e P. Macry, La Campania nel XIX secolo. Storia e civiltà della Campania. L’Ottocento, Electa, Napoli 1995, p. 50.

[8] Uno prezioso studio scientifico sulla demografia pietravairanese si può leggere in R. Cifonelli, La popolazione di Pietravairano nel 1812,  in “Associazione storica del Medio Volturno”, Annuario 1983.

[9] Cfr. D. L. Cagliotti e P. Macry, La Campania nel XIX secolo cit. p. 55.

[10] Sull’alternanza grano-mais, ma soprattutto sulle zone diverse in cui vengono coltivati i due prodotti si veda D. L. Cagliotti e P. Macry, La Campania nel XIX secolo, cit. pp. 30 e sgg.