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Domenico Caiazza

IL CENTRO FORTIFICATO DEL MONTE SAN NICOLA DI PIETRAVAIRANO

(in D. Caiazza, Archeologia e storia antica del mandamento di Pietramelara e del Montemaggiore - Età Sannitica, vol. I, 1986, pp. 192-207)*

 

 

 

La dorsale di Montauro e del Catrevula è interrotta bruscamente dal passo di Pietravairano, oltre il quale poi continua verso N.E., fino al Volturno col Monte S. Nicola (m 562 slm).

Quest’ultima formazione orografica è estremamente semplice, consistendo in due pendici simmetriche, l’una rivolta a N.O. (verso Vairano, Presenzano, Roccavecchia di Pratella) e l’altra a S.E. (verso Pietramelara) che si incernierano nelle cime 326, 409, 467, 480, 528, 562, 564, 531 (Monte Urlano, seguito da Monte San Pietro).

Anche Monte San Nicola ospitò un insediamento sannitico, di cui residuano evidenti tracce, consistenti in un muro poligonale di cinta in cui si inscrive una seconda cinta: quella dell’acropoli.

L’arce di questo insediamento occupa la vetta immediatamente inferiore a Quota 476, difesa, sul crinale che guarda Vairano, da un muro megalitico in poligonale della I maniera del Lugli, formato da grandi massi sbozzati in maniera irregolare, non perfettamente combacianti, con gli interstizi a volte riempiti con minori scaglie.

Il tratto iniziale di questo muro è ad ovest di detta cima, in sommità e sullo spartiacque; ivi forma un’accentuata curva, testimoniata da un solo filare di pietre. Da tale curva inizia il muro, seguendo l’allineamento della montagna, prosegue verso N.E. per m 35.

In questo tratto, solo di qualche metro inferiore allo spartiacque, del muro si conservano cospicui resti, alti fino a m 2.

A m 35 della curva iniziale il muro forma un angolo retto, particolare questo singolare, e corre, largo circa m 1,50 e conservato solo nei primi filari, per m 11,50, a sbarrare la Cima 476.

Esso certo continuava per ulteriori m 6,50 fino a raggiungere una torre circolare di età posteriore (diametro m 6,30, spesso m 1, muratura a piccole pietre con inglobati pochi frammenti minuti di tufo nero e mattoni, legati con malta, di cui resta appena qualche rudere).

Detta torre sorge sul limite estremo della vetta; questa è stata isolata dalla Cima 476, incidendo la roccia e creando tra le due una larga fenditura che affaccia sulle opposte pendici della montagna.

Dal roccione su cui sorge la torre il muro doveva tornare indietro, verso Pietravairano sulla pendice S.E., sbarrando con m 27,50 circa una piccola gola, oltre la quale un ulteriore e più prominente roccione, ancora più scosceso, ne ospita m 3 conservati nel primo filare.

Da questo pezzetto di muro a sud, a quello di m 35 sopradetto, corrono m 40, che costituiscono l’ampiezza massima dell’arce, ottenuta spianando la cima, su cui residuano molti minuti frammenti di terracotta figulina tornita, oltre che di tegoloni.

Anche l’asse trasversale è, nel punto massimo, di m 40, per cui è da ritenere che l’area dell’acropoli fosse, in origine, più ampia grazie ai terrazzamenti sorretti dai muri.

Non vi sono tracce di muro lungo i m 32,40 circa che corrono sul ciglio del burrone, dal tratto di tre metri alla curva iniziale del muro, ma ivi esisteva certo una difesa.

L’acropoli, comunque, sul lato sud era preminentemente difesa dall’appiombo delle pareti rocciose, a N.E. dal taglio effettuato nella roccia del crinale.

Il muro di cinta esterno, sulla pendice che guarda Vairano, probabilmente in origine inglobava il roccione su cui sorge la torre. Partiva cioè dal dirupo sulla pendice sud, recingeva l’altura dell’acropoli e raggiungeva l’angolo retto della cinta apicale.

Proprio nei pressi di quest’angolo esso inizia attualmente sporgendone per m 16 verso N.E. mentre ne dista m 1,60; ivi forse era una porta. A dodici metri verso N.O. la distanza tra i due muri è di m 3, 50, all’altezza della curva ad O. dell’acropoli essa è di m 18.

Dal punto iniziale detto, la cinta continua ininterrotta per m 185 mantenendosi a poca distanza dallo spartiacque. È questo il tratto in cui essa è meglio conservata, quasi sempre per un’altezza superiore al metro.

Seguono, in maggiore discesa verso la successiva cima altri m 60 di muro, i primi quaranta con pochi resti, i rimanenti più leggibili.

A questo punto il muro perde decisamente quota e se ne conservano m 20 abbastanza leggibili, 20 con pochi resti; per ulteriori m 20 scompare completamente, per poi ritrovarsi, conservato nel primo filare, a quota inferiore a un roccione appiombato artificialmente. Ai piedi dello spuntone calcareo è una viuzza, da esso il muro dista m 10.

Oltre il roccione il crinale si trasforma in una pianuretta ricavata artificialmente nella roccia, in essa è una cisterna, pure cavata nella roccia, lunga m 11, larga m 6, profonda attualmente circa m 3.

Oltre la pianuretta è la Cima 409, sulla sommità e sul fianco sud, residuano ruderi di un fabbricato con spesse mura in pietre legate con calce con frammisti frammenti di mattone, che sembra essere medioevale, ma che potrebbe essere anche anteriore.

La tradizione vi colloca un convento, in tal senso anche il nome del monte è significativo. Il fabbricato aveva comunque carattere di fortificazione, come può desumersi dallo spessore dei muri e dalla presenza di una torre quadrata e di semitorrette. Analogamente al Monteforte di Marzanello la distruzione del muro potrebbe attribuirsi, in ipotesi, a chi edificò questa costruzione.

Dal punto in cui abbiamo cessato la descrizione del muro non si rinvengono più tracce. Se avesse continuato in quota pari alla precedente per raggiungere l’estremità S.O. di cima 409, fin dove un muro del fabbricato sopradetto corre sul crinale in direzione di Pietravairano, esso avrebbe misurato ulteriori m 100.

La vegetazione rende impossibile ogni ricerca, appare tuttavia più probabile che il muro calasse ancora notevolmente di livello, analogamente a quello sulla pendice opposta, fino a raggiungere e inglobare Cima 326.

Questa incombe su Pietravairano e ne domina da presso il valico ed ospita una pianuretta, incisa artificialmente nel crinale, in cui è scavata una seconda cisterna.

Sulla sommità di Cima 326 sono pochi ruderi in muratura analoga a quella prima descritta, con resti di una lamia.

Pur essendo questa cinta completamente disboscata e decorticata, e forse proprio a causa del degrado del manto superficiale, non abbiamo riscontrato tracce di muro, salvo un solco sulla parete S.E., probabilmente usato per fondare la prima assisa di blocchi. La pendice nord, verso Pietravairano, è difesa da un taglio della roccia che sembrerebbe artificiale, forse dovuto ad una cava.

Sul versante sud, verso Pietramelara, il muro in parte coincideva forse col sentiero che parte dalla pianuretta e si dirige verso M. Urlano, ed infatti prolungando il primo tratto che se ne rinviene, questo raggiunge il sentiero dopo soli m 18. Il primo tratto conservato, con non molti resti, è di m 40. Esso corre a quota inferiore di circa m 40 dai ruderi del fabbricato posto sulla cima e sale costantemente verso Cima 476. Poiché il sentiero si mantiene in livello costante, nel tratto iniziale il muro dista m 8, ma già a m 30 di lunghezza la distanza tra essi è di m 20.

Ai quaranta metri di muro già detti ne seguono m 20 piuttosto ben conservati e altri 20 meno evidenti; ulteriori m 32 che conducono ad un roccione appiombato non conservano tracce di muro.

Il roccione sporge quasi come torre dalla linea del muro (artifizio questo ripetuto ogni volta sia possibile sfruttare un’altura naturale quale caposaldo difensivo), e su di esso, che si allunga per m 20 non vi sono resti del muro.

Neppure ne esistono per ulteriori m 20, cui seguono, nei pressi di un’altra roccia, pochi resti, in pratica il primo filare, per ancora m 70. Seguono m 136 di muro conservato per qualche metro, e dunque meglio leggibile, che va a saldarsi col roccione su cui sorge l’acropoli.

Nell’ultimo tratto il muro, diminuendo di molto la tendenza iniziale a salire, si stabilizza, quasi, in una quota che dista circa m 35 dal crinale. Forse un secondo muro sbarrava a sud est la gola ai piedi dell’acropoli, ma non ve ne è indizio.

Nel complesso la cinta corrisponde alla tipologia del recinto di forma allungata, con netta differenziazione dell’arx difesa da una seconda fortificazione. È costruita, salvo poche eccezioni, con pietre di non eccessiva grandezza, non perfettamente connesse. Alcuni tratti appaiono più curati, in qualche parte (muro a nord, muro dell’acropoli) si riscontra il doppio parametro esterno con terrapieno di scaglie. Il muro dell’arce è costituito con massi di grossa taglia; in generale però, per la non costante inzeppatura dei vuoti tra i massi e la scarsa pezzatura delle pietre, si ha l’impressione di una minor cura di esecuzione rispetto alle cinte prossime. Singolare è un blocco perfettamente squadrato e rifinito a scalpello; in più luoghi roccioni affioranti sono stati tagliati a piombo e compresi nella murazione.

Peculiare è la presenza di due cisterne, cosa rara finora riscontrata solo nell’oppidum di Monte Alifano presso Caiazzo. Ci pare pertanto opportuno spendere qualche parola su queste buca cavate nella roccia, variamente lunghe e profonde, di forma circolare o quadrangolare. Riscontrate solo in alcune cinte (M. S. Croce di Caiazzo, M. Alifano, M. Castellone di Castelmorrone, Montauro, Rocca di Dragoni, Roccavecchia di Pratella) delle più di venti presenti in area campano-sannitica sono considerate generalmente come conserve d’acqua.

In qualche caso effettivamente si conservano resti di una camicia di pietre e malta atta ad impermeabilizzare la fessurata roccia calcarea, più spesso però tale muratura non appare.

Altrove si è utilizzato un diverso sistema. Infatti nel centro fortificato del Colle delle Fate (Roccacasale), in territorio Peligno sono state scavate due cisterne poste nell’arce, a m 5 di distanza l’una dall’altra. Entrambe hanno forma circolare e l’architettura, all’interno della cisterna è « costituita da filari di blocchi abbastanza grossi, sbozzati sommariamente e sovrapposti senza malta, in progressivo aggettare verso l’apertura, costituendo in tal modo una struttura a tholos ». Al di fuori di tale muro di blocchi a secco è stata rilevata « l’esistenza di una fascia di argilla rossa sterile, larga circa 80 cm, che circondava dall’esterno le file di blocchi rendendo impermeabile l’interno ed impedendo all’acqua là conservata di fluire via, assorbita dal terreno circostante... L’argilla, oltre a impedire l’assorbimento dell’acqua da parte del suolo, aveva anche lo scopo di mantenere fresco il liquido essendo ottimo coibente ». La copertura delle cisterne era « costituita da un pesante lastrone di pietra con un incavo semicircolare al centro, in corrispondenza dell’asse mediano della cavità », idoneo a favorire il passaggio del recipiente di attingimento.

Tornando alla nostra zona, va considerato che poiché la cubatura, e quindi la capacità di immagazzinamento, è esigua in rapporto alle necessità di uomini e di armenti ospitabili nelle aree fortificate, e per non essere testimoniate in ogni cinta, non è certissimo che in tali buche debbano riconoscersi delle cisterne di esclusivo impiego utilitaristico.

Stupisce il fatto che esse manchino sul Monteforte di Marzanello e Catrevula, ma occorrerebbero scavi per avere la certezza di ciò, ed ancora più meraviglia che ve ne siano due sul Monte S. Nicola ed una sola sul Montauro la cui fortificazione è enormemente più grande, complessa e ricettiva.

Pur volendo consentire nella communis opinio che la considera appunto serbatoi, e pertanto « indizio di lunghi periodi di permanenza » all’interno delle cinte, deve considerarsi che il loro numero e la loro capacità non possono porsi in relazione col numero degli abitanti o dei rifugiati accoglibili nella fortificazione. Se così fosse le cinte più ampie dovrebbero presentarne di più capaci ed in maggior numero, e l’esempio di monte S. Nicola e di Montauro dimostrano il contrario.

Deve inoltre considerarsi che non sempre esse sono ospitate nel luogo più difeso: l’arce. Quando ciò si verificava, inoltre, per essere poste in sommità, non potevano ricevere le acque ruscellanti in superficie. Né appare realistico il riempimento con recipienti trasportati a mano o con animali da soma.

Intorno vi è sempre uno spiazzo, naturale od artificiale, su cui sorgevano evidentemente edifici dai cui tetti esse erano alimentate, e che forse le coprivano. Oltretutto è inverosimile che vi si convogliassero acque da un piano di campagna non lastricato, intensamente affollato di uomini e forse di bestiame, il liquido infatti sarebbe stato imbevibile.

Tali edifici dovevano avere funzione pubblica, forse di culto, forse di sede del potere civile, perché godevano di posizione eminente e ben difesa, e per essere gli uni per i quali, evidentemente a cura della collettività, si ricorreva a estesi spianamenti della roccia. Non può essere un caso che a Roccavecchia di Pratella (vedi Cap. XIII), ad ovest della cisterna ed in posizione eminente rispetto alla stessa ed al teatro, sia stata sbancata una vasta area rettangolare certo pertinente ad un edificio, probabilmente consacrato al culto.

Se le cisterne erano pertinenti ad edifici sacri siti sull’acropoli, sede consueta del tempio della divinità poliade, o comunque in posizione eminente, potrebbero interpretarsi come riserve di acqua lustrale o, se si vuole santa, solo contingentemente usata per le necessità degli assediati.

La fortificazione di Monte S. Nicola controllava da presso il valico di Pietravairano, la via dei Quattroventi verso il Volturno, la zona dei Pantani, completando l’arroccamento sannitico in un territorio che dové essere intensamente popolato e solcato da importanti direttrici viarie.

Una ultima considerazione è suggerita dalle dimensioni dell’impianto: il perimetro dell’acropoli misura 120 m, il muro a nord-ovest è lungo circa m 321, quello a sud-est misura circa m 338.

Computando, oltre i tratti conservati, il percorso occorrente per recingere lo spiazzo inferiore e la Cima 326, la lunghezza complessiva della fortificazione è valutabile intorno ai m 1500. In tal caso, ma ancor più a voler valutare la sola superficie compresa tra i muri conservati, colpisce la sproporzione tra lo sviluppo del perimetro difensivo e l’esiguità dello spazio racchiuso.

Si direbbe che i costruttori, pur disponendo di uomini sufficienti a guarnire la lunga fortificazione avessero ben pochi beni da rifugiare all’interno.

Oltre che per questa caratteristica la fortificazione descritta si distingue dai consimili impianti per una serie di anomalie: la presenza di due cisterne, per essere l’arce caratterizzata da angoli vivi; per la singolare prossimità tra l’arce e la cortina inferiore.

Tutte queste peculiarità si ripetono nel centro fortificato del Colle delle Fate (Roccacasale) la cui pianta presenta evidenti analogie meritevoli forse di ulteriore indagine.

Ai piedi della montagna resti murari di epoca romana spiccano in una zona in cui emergono frammenti di antefisse, di particolari lastre fittili, di ossa di animali, di bucchero e di altro cocciame che fa ritenere una frequentazione nell’arco di alcuni secoli, e può far sospettare dell’esistenza ivi di un centro di culto.

 

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* Il testo riportato è privo delle fotografie e delle note presenti nell’originale.