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Sac. Don Marcellino Caserta
Presentazione
Il lavoro di Vincenzo Parillo,
educatore di nobili sentimenti e di sincera forza pedagogica, ha meriti
diversi.
Prendendo lo spunto dalla figura del
sacerdote Don Marcellino Caserta, educatore, teologo, storico, poeta, traccia a
grandi linee prima un periodo storico complesso e tormentato quale era il Regno
di Napoli nel periodo borbonico e poi entra nella ministoria dei piccoli paesi
dell’entroterra napoletano.
In questi remoti angoli del regno, nei
piccoli centri di Pontelatone e Treglia, la vita era rimasta all’epoca
medievale, con una modesta civiltà contadina tagliata fuori da ogni vento di
cultura e di rinnovamento; l’educazione scolastica era completamente assente e
si doveva solo all’iniziativa di qualche sindaco “illuminato”, se veniva
reperito, e pagato con pochi ducati, qualche educatore (in genere un
sacerdote).
La riscoperta di don Marcellino
Caserta ha colpito il nostro autore, perchè appare come una meteora luminosa,
in quei luoghi e in quegli anni, per il suo amore alla cultura e all’educazione
dei giovani, ed ecco il perchè del suo desiderio di farlo conoscere ed additarlo
come esempio da ricordare e tramandare ai posteri, prima che l’oblio cada
definitivamente sulla sua figura.
Un plauso sincero al direttore Parillo
per il suo lavoro di ricerca storico-ambientale e per le sue sintetiche, ma
esaustive riflessioni pedagogiche.
Ad maiora!
PREFAZIONE
L’idea di scrivere un libro è stata sempre in cima
ai miei pensieri, ma non ne ho avuto mai il coraggio per non correre il rischio
di annoiare il lettore proponendo argomenti forse già conosciuti e magari presi
da altri e in qualche modo riciclati.
Ritengo che un libro debba contenere dei valori
autentici da trasmettere alle future generazioni, affinché ne facciano tesoro.
Ebbene questo io ho scorto nel personaggio che ci
accingiamo a trattare, col quale ho in comune l’origine e in un certo senso
l’attività educativa.
Chi scrive ha sempre avuto come obiettivo
l’educazione dei fanciulli, privilegiando in ogni caso i meno fortunati, ossia
gli ultimi, proprio come è nel messaggio cristiano e nei migliori trattati di
pedagogia di tutti i tempi. A ciò mi sono costantemente ispirato e questo
intendo segnalare a coloro che verranno.
La lunga esperienza mi ha insegnato che la strada
maestra per il raggiungimento dei traguardi educativi è quella di avere una
grande pazienza e sentire un autentico amore per gli educandi.
Operando in questa maniera i risultati verranno, ma
in tempi differenziati, perché ogni soggetto ha le sue leggi di natura da
rispettare e per superare le difficoltà deve arrivare il giusto momento.
Perciò in educazione non servono le scorciatoie.
I più grandi educatori hanno tenuto presente questo
principio, convalidato peraltro, dagli studi psicologici messi a disposizione della
pedagogia, che corre il rischio di essere sterile se non si avvale sia della
psicologia, che della sociologia e in genere di tutte le scienze
antropologiche, che hanno per oggetto l’uomo.
In passato la pedagogia era considerata figlia della
filosofia e ad occuparsene erano direttamente i filosofi, unitamente al
problema morale.
Fu Rousseau ad operare la grande svolta, che pure
aveva avuto in proposito geniali intuizioni asserendo che l’educazione si
realizza per tappe successive. Nacque così la pedagogia come scienza, libera e
indipendente.
Fu poi la psicologia sperimentale, fondata nel 1879
da Guglielmo Wundt a Lipsia, in Germania, che fece il resto e si precisarono le
note fasi dell’età evolutiva, studiate nei minimi particolari da J. Piaget, ed
approfondite successivamente da S. Freud con la sua psicanalisi.
La pedagogia oggi ha assunto una connotazione
multiforme perché opera in un contesto assai complesso e diversificato e
l’azione educativa deve adeguarsi alle circostanze.
Ultimo l’aspetto multietnico che ha prodotto la
cosiddetta pedagogia interculturale che va applicata per soddisfare le esigenze
di tutti gli alunni presenti nella nostra scuola.
Quello che non è cambiato e suppongo che non cambierà mai è il rispetto assoluto dell’educando.
“Maxima debetur puero reverentia”
sentenziarono gli antichi e il principio a distanza
di millenni è ancora immutato.
Sembra superfluo aggiungere che questa pubblicazione
non ha nessuno scopo letterario, né la velleità di modificare i fatti storici,
dando per scontato che le cose conosciute sono il risultato di accurate
ricerche e studi seri ed approfonditi.
Una cosa sola è stata presente in me ed è la forte
volontà di offrire un omaggio alla terra che mi ha dato i natali, dove ho
trascorso buona parte della mia vita, compreso il periodo più nero della nostra
storia, facendo tesoro degli insegnamenti dei miei genitori, onesti lavoratori
dei campi, ma portatori di eccelse virtù che ci hanno saputo trasmettere con
l’esempio e cioè la grande pazienza, la rassegnazione, lo spirito di
sacrificio, la fede in Dio e l’amore per il prossimo.
CAPITOLO I
Il Comune di Pontelatone: origini storiche
Per la sua posizione geografica centrale è da sempre
sede del Comune.
È situato a 120 m. sul livello del mare ed ha una
popolazione di circa 1.800 abitanti.
Le sue origini sono piuttosto oscure, ma la sua
storia è certamente legata alla costruzione del Castello, avvenuta all’inizio
del XII secolo ad opera dei Normanni che dominarono in quel tempo l’Italia
meridionale.
È presumibile che intorno ad esso si sia sviluppato
poi il centro abitato, come si può rilevare da alcune testimonianze ivi
esistenti.
Del glorioso castello è rimasta una sola torre,
delle cinque di cui era originariamente costituito e oggi rappresenta il simbolo
del paese.
Era, dunque, un castello assai forte, ma nel 1467 fu
assediato dal re Ferdinando I d’Aragona e subì notevoli danni, ma resistette
all’attacco, sia per il valore dei soldati che per le difese naturali che
aveva, cioé le rupi e i profondi fossati che lo circondavano.
Così dopo molti giorni di assedio, vista
l’impossibilità di cingerlo completamente e temendo il peggio, gli assalitori
ritennero opportuno abbandonare l’impresa.
Nel secolo XV il castello fu onorato dalla presenza del
suo Barone, che abitava nel palazzo sito proprio nelle immediate vicinanze
dell’attuale torre, ma poi essendo l’aria di Pontelatone non troppo pura a
causa dell’acqua stagnante nei valloni circostanti si ritirò a Formicola da
dove evidentemente esercitò il potere sull’intera zona.(1)
Il nucleo abitativo centrale di Pontelatone, dunque,
risale senza dubbio al Medioevo, epoca in cui rivestì importanza strategica
militare di rilievo per la sua difesa e forse per l’intero territorio della
zona, essendo il naturale avamposto a ridosso del fiume Volturno.
Quindi intorno al Castello si costituì un’ampia
corte urbana con numerosi edifici e l’intero complesso ecclesiale che i
Durazzo(2) prima e gli Aragonesi poi arricchirono di nuove costruzioni e motivi
decorativi che possono essere ancora ammirati.
Furono gli Aragonesi ad impiegare qualificatissime
maestranze catalane(3) che impreziosirono tutte le costruzioni esistenti.
Così Pontelatone nel secolo XV raggiunse un notevole
livello economico e culturale, come attestano diversi episodi di architettura
religiosa, civile ed anche rurale rilevabili nell’intera zona.
Il territorio comunale ha una forma prevalentemente
longitudinale distesa in direzione nord-est e misura una superficie di 3045
ettari; esso confina a nord con i comuni di Roccaromana e Liberi, ad est con i
comuni di Liberi e Castel di Sasso, a sud con il fiume Volturno e con il comune
di Capua, ad ovest con i comuni di Formicola, di Camigliano e di Bellona.
Il territorio si estende in massima parte in zona
pianeggiante (inizia da m. 27 sul livello del mare in vicinanza del Volturno),
mentre per la parte restante si estende su media ed alta collina, sino a
raggiungere la quota di m. 745 sul livello del mare col monte S. Erasmo.
Il comune di Pontelatone gode di una particolare e
positiva posizione geografica in quanto trovasi a ridosso del capoluogo di provincia
e di alcuni principali centri cittadini (S. Maria C.V., Capua, Caiazzo) e
quindi usufruisce dei servizi che il capoluogo e le città forniscono, ma allo
stesso tempo, per la “protezione” offerta dalla catena dei monti Trebulani e
dal fiume Volturno, si racchiude in un contesto di piacevole tranquillità.
I sistemi di collegamento principali che interessano
il territorio sono:
- strada statale Caserta - Piedimonte, che lambisce
il comune a sud;
- strada provinciale Barignano - Formicola, che
collega la S.S. al territorio comunale, e che lo attraversa in tutta la sua
lunghezza;
- stazione ferroviaria in località Barignano che la
collega a Caserta e quindi potenzialmente ai centri di Napoli e Roma;
costruendo svincolo di S. Angelo in Formis, nel
perimetro di S. Maria C.V., cui Pontelatone facilmente si collega distandone
soltanto 10 km. circa.
Urbanisticamente il Comune è costituito da sette
agglomerati urbani, ovvero:
Pontelatone centro, Treglia, Barignano, Casalicchio,
Savignano, Funari e Marzi.
Pontelatone è capoluogo del Comune e accoglie i
principali servizi;
Treglia è la frazione più importante; Barignano è la
località più vicina alla viabilità esterna (provinciale e statale) ed è a circa
300 metri dal fiume Volturno, per cui ha ricevuto favorevoli impulsi verso
attività a carattere turistico-commerciale (centro pesca sportiva, scuola di
equitazione Fontana Pila, ristoranti e varie attività commerciali, campi da
tennis ecc.). Casalicchio, Savignano, Funari e Marzi sono agglomerati di
origine agricola. (4)
CAPITOLO II
LA COMUNITà MONTANA DEL
MONTEMAGGIORE
La Comunità Montana del Montemaggiore che prende
nome dal più elevato rilievo della zona (m. 1037 s.l.m.), comprende i territori
dei Comuni di Castel di Sasso, Dragoni, Formicola, Giano Vetusto, Liberi,
Pietramelara, Pontelatone, Roccaromana, Rocchetta e Croce, per una superficie
di circa 187 Kmq in cui risulta insediata una popolazione complessiva di appena
15.500 abitanti (anno 1987), dedita quasi esclusivamente all’agricoltura. Si ha
notizia del recente inserimento dei Comuni di:
Alvignano, Baia e Latina, Caiazzo, Calvi Risorta,
Camigliano, Piana di Monte Verna e Riardo. Così i Comuni del comprensorio sono
diventati sedici.(5)
È situata nel cuore della provincia casertana,
confinando con essa a sud e sud-ovest, con il Vairanese ad ovest, della media
Valle del Volturno e con i territori della Comunità Montana del Matese a nord,
nord-est e est, e gravita sulla media-bassa valle del fiume Volturno che,
insinuandosi con vario andamento tra le colline che contraffortano il
Montemaggiore e le propaggini settentrionali del complesso montuoso Tifatino,
sbocca poco più avanti nella piana di Triflisco, dove assume il letto più ampio
e l’andamento più tranquillo del suo basso corso.
La Comunità fino ad oggi esclusa dai tumultuosi
processi di sviluppo che hanno trasformato i grossi centri della provincia,
aspira ad inserirsi nel nuovo modello di pianificazione regionale e
provinciale, valorizzando le sue notevoli risorse soprattutto ambientali, non
ancora compromesse, proprio a causa del suo isolamento.
Si propone, perciò, come spazio fisico nel quale
sperimentare un nuovo tipo di sviluppo non più fondato sul consumo del
territorio, ma sul rispetto di esso.
In sostanza aspira a soddisfare la domanda di spazio
da destinare al riposo, al tempo libero e allo sport, nonché alla
villeggiatura, anche in alternativa alle congestionate méte del litorale
domizio.
Il massiccio montuoso del Montemaggiore, con la sua
centrale presenza separa su due versanti principali, a nord i comuni di Pietramelara,
Roccaromana, Dragoni, e a sud i comuni di Liberi, Castel di Sasso, Formicola,
Pontelatone, Giano Vetusto, Rocchetta e Croce.
Le comunicazioni interne tra i comuni dell’area sono
affidate a poche strade comunali e provinciali la più importante delle quali è
la strada Barignano-Formicola, in direzione sud-nord, che passa per
Pontelatone.
Le comunicazioni con l’esterno sono assicurate da un
tronco della S.S. 264, verso Capua - S.Maria C.V., dalla S.S. 87 Caserta -
Caiazzo, che successivamente prosegue per Piedimonte Matese.
La ferrovia ex Alifana passa a sud del comprensorio,
con stazione a Barignano nel comune di Pontelatone e collega l’area con Caserta
- Napoli da un lato e Piedimonte dall’altro.
Le risorse
ambientali
La risorsa principale della Comunità del
Montemaggiore è costituita dalla qualità ambientale dei suoi centri storici
abitativi non ancora definitivamente compromessi e da un territorio di grande
valore paesistico ancora integro.
Il territorio è dunque modellato su una struttura
medioevale, sia nell’edilizia rurale che nei centri abitati, il cui tessuto
edilizio si è andato aggregando attorno a rocche e castelli come quello di
Castel di Sasso (XII secolo), di Dragoni, il torrione a base quadrangolare
appartenente ad un antico maniero longobardo a Pietramelara, quello cilindrico
di Pontelatone di epoca angioina, il castello di Rocchetta; o intorno a
monasteri, come quello risalente a epoca benedettina che ha dato origine
all’insediamento di Liberi o intorno ad altre costruzioni civili, militari o
religiose che hanno originato i primitivi centri o i successivi sviluppi
urbanistici come il palazzo ducale dei Colonna ancora a Pietramelara; e
numerose chiese più o meno grandi, alcune non più esistenti.
Nell’area vi sono numerose tracce di insediamenti
romani e preromani, alcuni veramente cospicui, come le mura poligonali di Montemaggiore
a Pietramelara, realizzata dai Sanniti nel corso delle lunghe guerre che li
opposero ai Romani; la cinta poligonale a doppio giro realizzata come avamposto
militare dei sanniti dove ora sorge Dragoni.
Rilevante l’impianto originario di Giano Vetusto,
che è sorta su di un antico vicus romano
nel quale si praticava il culto di Giano(6), e l’antica Trebula sannitica i cui
resti sono visibili in prossimità di Treglia di Pontelatone.
Oltre a Pietramelara, di rilevantissimo interesse
storico urbanistico per aver conservato in perfetto stato il suo impianto
tipologico ad avvolgimento totale che si conclude con il torrione, di epoca
medioevale si può affermare che allo stato delle conoscenze è il territorio di
Pontelatone che possiede il più notevole patrimonio
storico-artistico-archeologico di tutta la Comunità.
Oltre l’antica Trebula, infatti, nel suo territorio,
sono stati rinvenuti di recente anche i resti di un insediamento industriale
arcaico per la lavorazione della ceramica.
Inoltre il centro abitato di Pontelatone è stato
definito “microcosmo della cultura catalana in Terra di Lavoro”, anche se
attualmente lo stato di manutenzione, conservazione e protezione del suo ricco
patrimonio decorativo è assai precario e rischia di essere completamente
perduto(7).
Lodevole l’azione di stimolo che sta svolgendo il
Consiglio della Comunità, tesa a richiamare nella zona quelle persone che vanno
in cerca di tranquillità e di aria fresca e pulita, soprattutto nelle assolate
giornate estive.
È già attivo un villaggio turistico che la Comunità
ha costruito in contrada “Campole” a quota m. 650 proprio ai piedi del Montemaggiore.
È auspicabile che anche i privati prendano
iniziative del genere.
CAPITOLO III
L’ANTICA TREBULA
L’attuale Treglia, frazione del Comune di
Pontelatone, di circa 1000 abitanti, ha un’origine assai remota.
Deriva, infatti, da quella Trebula che parecchi
poeti latini nominano nei loro scritti, come Plinio, Marziale e lo stesso Tito
Livio.
Per rendersene conto basta dare un’occhiata ai
luoghi che circondano il paese, dove è possibile ammirare tracce inconfondibili
di rovine di una grande città.
Sono visibili i ruderi di un antico acquedotto, che
certamente portava acqua nella città da due fonti volgarmente dette Corcica e
Ciesco, ancora esistenti e che alimentano l’attuale rete idrica.
Tali sorgenti, assolutamente incontaminate, limpide
e fresche sgorgano dal monte Frigento, notoriamente ricco di falde acquifere.
La presenza nelle vicinanze di mura megalitiche di epoca
pre-romana, fa pensare che Trebula sia di origine Osca, cosa confermata, del
resto dal rinvenimento in zona di numerosi oggetti di quella lontanissima
epoca.(8)
L’ipotesi sembra credibile dal momento che gli Osci
fanno parte di quell’antica popolazione italica, che a suo tempo si stanziò
nella regione corrispondente all’odierna Campania.
Siccome le predette mura ciclopiche si trovano alle
falde del rilievo detto Monticello, secondo qualche studioso è possibile che in
cima ad esso stesse l’acropoli sannitica originaria, mentre la città romana era
più in pianura, presso il canale(9). Del resto anche i rilevamenti
aerofotogrammatici effettuati in quell’area hanno evidenziato sia il sito della
città che dell’acropoli.
Nel 1976 durante i lavori di costruzione della
strada Treglia Campole sono venuti alla luce delle cose veramente interessanti
e che fanno pensare alle terme della città.
L’opinione è anche avvalorata dai vasi, monete e
oggetti vari che sono stati ritrovati occasionalmente dai contadini del luogo e
durante gli scavi eseguiti nelle varie epoche. Di questo parlano con assoluta
convinzione storici illustri, come il Mommsen(10), che ha visitato più di una
volta le grandiose rovine di Trebula, riportandone impressioni ben precise.
I pareri non sono concordi, ma qualcuno ha affermato
che Cicerone avesse una villa presso Trebula e che spesso vi soggiornava con la
moglie Terenzia.
Trebula era certamente nel territorio dei Sanniti e
pertanto in un primo momento ostile ai Romani, contro i quali dovette pure combattere.
Ma poi fu conquistata da Fabio Massimo, a cui è
intitolata una strada del paese.
L’antica città comprendeva, ovviamente, un’area
molto maggiore dell’attuale paese e si estendeva verso Liberi a nord e Formicola/Pontelatone
a sud.
Fu elevata a dignità di Municipio,(11) come può
dimostrare l’esistenza del Foro, del teatro e delle terme. L’importanza della
città è mostrata dalle numerose iscrizioni e statue venute alla luce.
Le vicende storiche di Trebula sono particolarmente
movimentate.
Per l’agro Trebulano passò due volte Annibale col
suo esercito e contro di lui fu tentata un’imboscata da Fabio Massimo, ma il Cartaginese
non cadde nell’agguato. Dopo la battaglia di Canne, Trebula si ribellò ai
Romani, assieme ad altre città sannite, passando con i Cartaginesi.
Ma sempre Fabio Massimo che si trovava accampato
nelle vicinanze, la riconquistò con la forza.
Da quel momento Trebula rimase sempre sotto il
dominio romano e dopo un periodo di grande splendore fu colonia militare, cioè
territorio distinto dalla madrepatria, cioè Roma, ma ad essa assoggettata da
vincoli militari. Non è molto chiaro quando sia avvenuta la distruzione di
Trebula. Gli storici affermano che in pieno Medioevo era ancora in piedi,
perché se ne parla in molti documenti.
Probabilmente fu distrutta assieme a Capua nell’anno
884 dai Saraceni, quando furono saccheggiate e distrutte tante altre città da
quei pericolosi pirati (12).
Michele Fusco, autore del prezioso volumetto
“Trebula Baliniensis” sostiene che “la distruzione della città sia avvenuta
verso la fine del secolo VI a causa di un immane terremoto e non nel secolo IX
ad opera dei Saraceni, come sostengono altri studiosi”(13).
CAPITOLO IV
TREGLIA
È presumibile che le prime case dell’attuale Treglia
come nucleo abitativo siano state costruite intorno all’anno 1000, non a caso a
ridosso del corso d’acqua ivi esistente, lungo le cui sponde poi col tempo sono
stati costruiti dei mulini ad acqua.
Si ha memoria che prima di quel tempo esisteva sul
costone di monte S. Erasmo un mulino a vento, trasformato di recente in una
cappella, sormontata da una grande croce che domina la strada sottostante, di
accesso al paese ed ovviamente a protezione dei viandanti.
Poco più in alto un’altra croce di minori
dimensioni, ma carica di un profondo e misterioso significato.
È noto a tutti che fino a qualche tempo fa la
domenica delle palme, nel corso della messa solenne si portava vicino a questa
croce una palma, benedetta assieme alle altre, destinate ad essere issate in
mezzo ai campi di grano, ovviamente per proteggere il raccolto, con la segreta
speranza che sia stato abbondante.
La vecchia palma veniva portata in chiesa e in parte
bruciata nel corso della funzione sacra.
A questo rito partecipavano giovani forti e
perfettamente a conoscenza dei sentieri da percorrere, perché l’operazione
doveva essere svolta molto velocemente senza interrompere la celebrazione.
Treglia, dunque, si è sviluppata nei primi secoli
del secondo millennio, quando la nostra penisola era teatro di occupazioni e
vicende di vario tipo.
L’Italia meridionale all’epoca è stata dominata dai
Normanni, dagli Angioini e dagli Aragonesi. Perciò si sono intrecciate diverse
civiltà e stili di vita. Ma l’impronta più appariscente è quella lasciata dagli
spagnoli, soprattutto nella linea architettonica delle costruzioni, che sono
certamente di carattere povero, senza fregi e decorazioni, ma in esse è
possibile scorgere lo stile catalano, che racchiudeva già elementi di arte
romanica, caratterizzata da archi semicircolari e coperture a volta.
I numerosi sopportici ne sono una prova evidente.
Il resto più moderno segue la tecnica conosciuta con
case a due piani, raramente a tre.
In quel tempo il culto dei Trebulani si esercitava
nella chiesa di S. Secondino, vescovo africano scampato alla persecuzione dei
Vandali mossa alla chiesa cattolica(14).
C’erano, inoltre, nella zona, la chiesa di S. Andrea
in Casalicchio, parrocchia e la cappella di S. Vito in Savignano, fondata da
Francesco Sabino. Sembra certo che l’attuale chiesa di Treglia, dedicata alla
Madonna del Carmine protettrice del paese, fu eretta da Francesco Parillo nel
1645, come risulta da un inventario della curia caiatina del 1728 e come del
resto risultava in una iscrizione posta all’ingresso della chiesa stessa(15).
È noto che la fede per la Vergine del monte Carmelo
è totale, non soltanto da parte dei paesani, ma anche dei forestieri che lo vengono
a manifestare nel giorno della festa del 16 luglio, seguendo la processione in
penitenza per grazie ricevute dalla miracolosa immagine.
Maria è sempre invocata da tutti come madre all’alba
della vita, nel volgere degli anni, nei pericoli e nell’ora della morte perché
essa, oltre ad essere la Madre di Dio è anche la Madre degli uomini(16).
È raro trovare un Trebulano, in patria o all’estero,
privo dell’immagine della sua protettrice o del sacro scapolare, sicuro viatico
di salvezza(17).
CAPITOLO V
Il monte S. EraSmo: storia e leggendE
Questo rilievo alto 745 metri, assai brullo per la continua
erosione del vento, sulle sue pendici presenta una scarsa vegetazione fatta di
carpini e mortella e più in alto di leccio e corbezzolo. Alla sua sommità,
secondo la credenza popolare, anticamente c’era un convento.
Non si può dire se ciò sia vero, ma scavando nel
terreno a quel punto vengono fuori frammenti di pietra di natura cretacea, per
cui si deve ammettere che qualche costruzione realmente c’è stata.
Probabilmente un eremo, un monastero, oppure una
struttura edificata per difendersi dai barbari che nell’alto Medioevo scorazzavano
per la penisola o dai pirati che all’epoca erano particolarmente attivi e
pericolosi.
Si sa che nella zona ci sono stati diversi
eremitaggi molto famosi, di origine benedettina o di altri ordini religiosi.
Del resto la denominazione stessa S. Erasmo la dice lunga e dà adito a tante
illazioni.
Sulla fiancata sud della montagna ci sono altissime
rocce a strapiombo, inaccessibili all’uomo e perciò adatte a nidificare sia per
il corvo che per il biancone, detto anche “aquila dei serpenti” perché pare che
si nutra esclusivamente di questi rettili.
Tra questo monte, ricco di storie e di leggende, e
il monte Frigento (770 m), che gli sta di fronte e che alla sua base alimenta
una miriade di sorgenti, si estende la valle trebulana che, specie d’estate,
offre un clima fresco e gradevole per la presenza di molto verde e per la breve
esposizione ai raggi solari. Non a caso Marziale ha scritto:
“Humida quae gelidas
submittit Trebula valles
Et
viridis Cancri mensibus alget ager” (1.5, ep.71, ad
Faust.)
Circa l’intestazione del monte a S. Erasmo, non si
hanno notizie certe.
Si può soltanto ipotizzare che nella zona ci sia
stato un forte culto per il santo, allora diffuso in tutta la Campania e nel
Lazio.
A lui, infatti, risultano dedicati monasteri a
Napoli, a Roma e in molte località delle due province.
Forse c’era qualche addentellato spirituale anche
con l’ipotetica costruzione che si pensa sia esistita alla cima della montagna
Trebulana.
I testi di agiografia riportano che S. Erasmo, ora
patrono della città di Gaeta, è stato vescovo di Formia.
Della sua vita si conosce poco.
Si ignora finanche la data e il luogo di nascita.
Si pensa che sia originario di Antiochia e che sia vissuto
al tempo di Diocleziano e Massimiano(18) dai quali fu barbaramente perseguitato,
fino a trovare la morte il 2 giugno dell’anno 303 d.C., dopo aver subito feroci
supplizi(19).
CAPITOLO VI
MARCELLINO CASERTA: LA VITA, L’ATTIVITÀ E GLI
SCRITTI
Marcellino Caserta trascorse la sua vita nel
turbolento periodo delle società segrete e nel clima dei primi moti
rivoluzionari scoppiati a Napoli nel 1820, che indussero la monarchia borbonica
a concedere la Costituzione, anche se fu richiesto l’intervento dell’Austria
per reprimerla.
Per parte sua egli era culturalmente impegnato,
oltre che come sacerdote, anche come docente nel seminario caiatino e
soprattutto come studioso di filosofia e storia, stando a quello che sappiamo
circa la sua produzione poetica, rivolta a episodi e personaggi del mondo
antico, amanti della libertà.
Per questo si può ipotizzare che era sicuramente un
moderato, aperto alle idee liberali del tempo che erano alla base del movimento
per la rinascita e l’unificazione nazionale.
È significativo, infatti, che una sua poesia fu
recitata alla presenza di sua maestà Francesco I. Nacque a Treglia il 3 aprile
del 1770, da Pasquale e Caterina Vitelli, ed evidentemente lì trascorse la sua
infanzia per poi andare a studiare in seminario per farsi prete(20). Fu
ordinato sacerdote con molta probabilità intorno all’anno 1893/94, tenendo
conto del tempo che ci vuole per raggiungere tale traguardo.
Evidentemente questo incarico è stato espletato in
contemporaneità nei primi anni del suo sacerdozio.
A far tempo, poi, dal 15 aprile 1808 è stato
nominato parroco di Treglia e dei casali di Casalicchio e Savignano. Dallo
stesso giorno cominciò spontaneamente ad insegnare ai giovani, senza compenso
alcuno, avendo riscontrato che nella popolazione non c’era nessuno che sapesse
“leggere e scrivere il proprio nome”.(21)
Era, quindi, l’epoca dell’analfabetismo totale
perché la gente era dedita esclusivamente al lavoro dei campi, nonché alla
pastorizia per procacciarsi il necessario per vivere.
Del resto le scuole non esistevano affatto e chi
voleva imparare qualcosa doveva rivolgersi a privati che avevano la capacità di
farlo.
È noto che la cultura non era privilegiata. Nel
regno delle due Sicilie, dove si pensava che il popolo meno era istruito e meno
protestava verso chi li comandava. In campo pedagogico circolavano le idee di
Vincenzo Cuoco che sulla scia del pensiero vichiano miravano all’elevazione del
popolo, ma non attecchivano per una certa mentalità dei governanti e per le
condizioni di vita di allora, estremamente carenti specie nelle campagne.
Infatti il suo progetto per l’ordinamento della
pubblica istruzione nel Regno di Napoli presentato nel 1809 a Gioacchino
Murat(22), nel quadro dei lavori per la riforma della scuola non ebbe pieno
successo.
In effetti i Borboni cercarono di favorire la
situazione di stasi e di inerzia culturale di cui avevano risentito tutti gli
ordini di scuola, soprattutto a livello elementare. In ciò trovarono efficaci
alleati i vari ordini religiosi, in modo particolare i Gesuiti, la cui
pedagogia non era affatto rispettosa della libertà interiore dell’educando,
poiché si fondava sull’ubbidienza cieca e la passività. Nella stessa lettera il
Caserta sostiene che il Sindaco del Comune di Pontelatone, “per disposizione
sovrana” gli conferì l’incarico della pubblica scuola che si doveva fare in
parrocchia e che per tale opera fu stabilito un compenso per l’anno 1811 di
diciotto ducati (270 euro circa) da dividere col Parroco di Pontelatone don
Pasquale Salvadorelli, che aveva lo stesso incarico.
E fu fatto esattamente così, nonostante le lamentele
del Caserta che compiva un lavoro praticamente più gravoso per la maggiore
presenza di alunni frequentanti, trentuno per l’esattezza su una popolazione
complessiva di 1000 anime nell’intero comune e 581 solo a Treglia con i suoi
casali di Casalicchio e Savignano, formanti un’unica parrocchia. Gli abitanti
di Pontelatone e masserie, invece, erano 419 ma non si conosce il numero degli
iscritti alla scuola. Intanto nel “Bugetto” nel 1812 la paga per la pubblica
scuola salì a 40 ducati (600 euro circa) di cui 24 al Parroco di Pontelatone e
16 a quello di Treglia per le loro rispettive prestazioni didattiche.
Come si può capire le condizioni di vita all’inizio
del sec. XIX, erano assai precarie e bisognava lavorare per vivere dall’alba al
tramonto, utilizzando anche i bambini fin dalla più tenera età.
Alla scuola, quindi, non si pensava affatto e
l’analfabetismo cresceva. Tale era la situazione del Comune di Pontelatone.
Infatti il 17 giugno dell’anno 1806 il signor
Giovanni Carusone, eletto del Comune rispose ad una lettera circolare
dell’intendente, spiegando che nell’università di Pontelatone non c’era nessun
luogo destinato all’iscrizione della gioventù, non esistevano fondi o rendite
diretti a tale scopo e che nessuna donna sapeva “leggere, scrivere e summare i
numeri”.
Un qualche interesse per la scuola si manifestò
negli anni 1807/08 in coincidenza con l’inizio dell’età murattiana quando si
cominciarono a stanziare appositi fondi nel bilancio.
Le scuole furono affidate ai due parroci del Comune,
gli unici in grado di insegnare ed in possesso dei requisiti culturali e
morali. La scuola di allora si doveva intendere solo di grammatica, cioè
fornire agli allievi gli elementi essenziali della lingua italiana, ossia le
norme e le regole di pronuncia, di scrittura, di morfologia e di sintassi. In
pratica insegnare a leggere, scrivere ed ovviamente fare i conti.
Il problema educativo non esisteva se non nella
storia della pedagogia.
In data 26 marzo 1812 il Sindaco di Pontelatone
Raffaele Caserta, fratello del parroco di Treglia Marcellino, trasmette
all’Intendente di Terra di Lavoro il seguente quadro dello stato della pubblica
scuola nel Comune di Pontelatone:
denominazione del Comune: Pontelatone
N° delle anime che lo compongono: mille
Nome dei parroci che reggono la pubblica scuola: don
Pasquale Salvadorelli e don Marcellino Caserta.
Nome del maestro che si trova in tal esercizio con l’approvazione
del Ministro dell’Interno: non vi sono maestri fuorché i due parroci predetti.
Senza tale approvazione: non v’è speciale
approvazione del Sig. Ministro dell’Interno.
Saldo annuale assegnato ai due parroci per la
pubblica scuola: ducati 9 per ciascuno grana: 0
Osservazioni
La pubblica scuola di questo Comune, che si sta
tenendo dai due parroci, per ora è scuola di grammatica, perché cominciò a mettersi
in attività dai principi dello scorso anno 1811.
Il numero delle anime della popolazione ascende a
mille: cioè Treglia coi due casali ne forma 576 e Pontelatone con le sue
masserie ne forma 424 siccome dallo stato dell’anno 1811. Il soldo annuale per
i suddetti due maestri di scuola fu di ducati 18, cioè ducati 9 per ciascuno
per l’anno 1811. Ma dietro rappresentanza del decurionato, è stato accresciuto
a ducati 40 per l’anno 1812, siccome vedesi ammesso ed approvato nel Bugetto
del detto Comune dell’anno 1812.
F.to Raffaele Caserta - Sindaco
La lettera di accompagnamento era del seguente
tenore:
Il Sindaco del Comune di Pontelatone al Sig.
Intendente di Terra del Lavoro
Signor Intendente
Nel seno di questa mia devotissima, impiego a V.E.
il quadro dello stato della pubblica scuola di questo Comune, redatto a termini
della Sua circolare in stampa del 15 settembre 1811 n° 1771, e giusta il
modello in essa somministrato e con profondissimo rispetto ho l’onore di
salutarla
F.to Raffaele Caserta - Sindaco(23)
Come si può capire il periodo più produttivo dal
punto di vista culturale è stato quello trascorso nel seminario caiatino negli
anni che vanno dal 1813 al 1833 anche se a Treglia negli anni del suo
sacerdozio colà svolto, acquisì dei meriti innegabili per aver insegnato come
maestro ai giovani in quegli anni molto difficili.
È stato li che egli ha manifestato il suo amore per
la poesia, la filosofia la storia antica, scrivendo molte cose importanti come
un compendio di dottrina cristiana, forse ad uso dei suoi seminaristi,
bellissime ottave su Veturia(24) e Coriolano(25), un’ode estemporanea su alcuni
versi dell’ode XXX del libro 3° di Orazio, che fu recitata alla presenza di Sua
Maestà Francesco I e molte altre composizioni poetiche.
Non essendo stato possibile venire in possesso degli
scritti di Marcellino Caserta per le difficoltà innanzi esposte, si fa diretto
riferimento alle opere e agli autori che lo hanno ispirato, in particolare
Orazio, che è stato il poeta chiaramente da lui preferito, sia per lo stile che
per la profondità del suo pensiero.
XXX Ode del
terzo libro
Exsegi monumentum
Exegi monumentum aere perennius
Regalique situ pjramidum altius,
quod non imber edax, non aquilo inpotens
possit diruere aut innumerabilis
annorum
series et fuga temporum.
Non
omnis moriar multaque pars mei
vitabis Libitinam: usque ego postera
crescam lauda recens, dum Capitolium
scandet cum tacita virgine pontifex.
Dicat, qua violens
obstrepit Aufidus
et qua
pamper aquae Daunus agrestium
regnavit
populorum, ex humili potens,
princeps
Aeolium carmen ad Italos
deduxisse
modos. Sume superbiam
quaesitam
meritis et mihi Delphica
lauro cinge volens, Melpomene, comam.
Ho compiuto un monumento più duraturo del bronzo,
più alto della regale mole delle piramidi, che non la pioggia divoratice, che
non Aquilone impetuoso potrà diroccare, né il seguito degli anni innumerabili e
la fuga del tempo.
Non tutto io morrò, ma molta parte di me sfuggirà a
Libitina: sempre rinnovato dalla lode dei posteri, io crescerò, finchè il
pontefice con la silenziosa vergine salirà al Campidoglio.
Si dirà di me, dove violento strepita l’Ofanto e
dove Dauno, nella terra povera d’acqua, regnò su popoli agresti, che, da umile
fatto potente, per primo adattai a ritmi italici il carme eolio.
Innalza l’orgoglio nato dal merito e propizia,
Melpomene, cingimi la chioma col delfico alloro.(26)
Si riporta l’attestazione di morte segnato al n° 40
il 24 dicembre del 1833; cioè il giorno dopo il decesso nel registro dei morti
rintracciato per caso negli scaffali della biblioteca vescovile.
Essa recita:
Nell’anno del Signore 1833, esattamente il 24 del
mese di dicembre il Rev.mo don Marcellino Caserta, Canonico-Teologo della Cattedrale
caiatina, figlio di Pasquale e Caterina Vitelli, di circa 63 anni di età, con
l’assistenza di Santa Madre Chiesa ha reso l’anima a Dio, vincendo la pietà dei
parenti, gli stessi Teologi, che non vollero ammettere un parroco, lo onorarono
degnamente secondo il suo ufficio. Il suo corpo il giorno seguente è stato
sepolto nella chiesa Cattedrale sopra descritta, nella stessa città di Caiazzo.
In fede
Luigi Abbatelli – Parroco tesoriere
Certificato di morte
N° d’ordine 108
L’anno milleottocentotrentatre il di ventiquattro
del mese di dicembre alle ore sedici avanti a noi Paolo Marocco, sindaco ed
ufficiale dello Stato Civile del Comune di Caiazzo, distretto di Piedimonte Provincia
di Terra di Lavoro, sono comparsi il signor Francesco Mastroianni di anni
trentotto di professione Veterinario, regnicolo, domiciliato in questo Comune,
strada del Cantone ed il signor Luciano Sgueglia, di anni ventiquattro, di
professione farmacista, regnicolo, domiciliato egualmente nell’indicato luogo,
i quali han dichiarato, che nel giorno ventitre dicembre, anno corrente alle
ore tre della sera, è morto nella propria casa don Marcellino Caserta, di anni
sessantatre, nato in quello di Trebbia (Treglia) di professione
Canonico-Teologo domiciliato in questa strada del Cantone, figlio di Pasquale
Caserta defunto, di professione... domiciliato... e di Caterina Vitelli defunta
domiciliata...
Per esecuzione della legge ci siamo trasferiti
insieme coi detti testimoni presso la persona defunte, e ne abbiamo
riconosciuta la sua effettiva morte.
Abbiamo indi formato il presente atto, che abbiamo
iniscritto sopra i due registri, e datane lettura ai dichiaranti, si è nel
giorno, mese ed anno come sopra, segnato da noi e dai dichiaranti.
Firmati
Paolo Marocco
Francesco Mastroianni
Luciano Sgueglia
Giuseppe Faraone Pro-Cancelliere
Come si vede Marcellino Caserta è sicuramente un
personaggio interessante perché ha fatto delle cose importanti nella sua vita, sia
nel campo professionale che umano e culturale.
Pertanto meriterebbe, a mio avviso, di essere
ricordato almeno con l’intestazione di una strada della frazione Treglia,
dell’edificio scolastico o quanto meno con l’intestazione di una lapide da
qualche parte del paese.
Facciamo voti all’Amministrazione comunale in tal
senso.
Capitolo VII
RIFLESSIONI CONCLUSIVE DI CARATTERE PEDAGOGICO
Ogni epoca è caratterizzata da un ideale educativo.
La società romana ci teneva alla scuola, anche se
ritengo che il motivo vero era quello di creare le condizioni favorevoli per
alfabetizzare un numero sufficiente di cittadini idonei a fronteggiare le
necessità burocratiche in ogni parte dell’impero.
Perciò si impiegavano maestri a spese dello Stato
dispensandoli anche dal servizion militare, ma con l’obbligo di occuparsi anche
dei locali, degli orari e dei programmi,oltre che delle prestazioni didattiche.
L’esempio più eloquente a questo proposito è stato
quello di Quintilliano considerato il primo maestro di quell’epoca.
L’insegnamento, ovviamente, era di carattere strumentale, ma i Romani si
preoccupavano anche di educazione perché per loro un buon cittadino doveva
sapersi ben comportare nella società.
Altri personaggi di quel periodo hanno validamente
contribuito alla formazione dei giovani con i loro scritti e le loro massime
che ancora oggi sono da considerare valide.
Penso, ad esempio, a Seneca che affermò solennemente
“non scolae, sed vitae discimus” ed a Plutarco che scrisse “Vite
parallele” riguardanti uomini illustri da offrire come modelli da imitare ai
discenti.
Disse anche che “gli scolari non sono vasi da
riempire, ma focolai da accendere” idea ancora centrale nell’educazione dei
tempi moderni, anche se riproposta in termini diversi.
Con la caduta dell’impero romano l’occidente
subentra un nuovo periodo storico, lungo circa sette secoli che va sotto il
nome di Medioevo.
Inizia, così, la calata dei barbari che mettono a
ferro e fuoco la nostra penisola.
Le conseguenze furono disastrose perché la gente
badava solo alla sopravvivenza ed era poco interessata alla cultura e ancor
meno alla scuola.
Nel marasma generale fu preziosissima l’opera dei
monaci, che non senza sacrificio e pericolo riuscirono a salvare il ricco
patrimonio dei libri, di enorme valore culturale ed assieme ad essi la civiltà
occidentale. Fu come uno spiraglio di luce in mezzo a tante tenebre.
Per questo il Medioevo è passato alla storia come
periodo nero, di totale oscurantismo per ogni tipo di attività. In effetti,
però, in esso si pongono le basi della grandiosa ripresa rinascimentale. Di
enorme importanza l’ideale religioso, ma affermatosi, a mio avviso, più per
paura dell’aldilà che per personale convinzione.
Di scuola, comunque, nessuna traccia, tranne quelle
destinate alla preparazione dei chierichetti da utilizzare nelle funzioni
religiose.
La gente, ripresasi dallo smarrimento per aver
superato indenne l’anno MILLE per il quale erano state profetizzate sciagure e
catastrofi immani, abbandona il tradizionale immobilismo e comincia a credere nelle
possibilità umane per creare condizioni di vita più dignitose.
Sorgono, così, attività di ogni genere in tutti i
settori della vita: economico, sociale, politico, giuridico, culturale,
letterario, artistico, scientifico, filosofico, religioso.
Insomma si forma via via quel periodo
umanistico-rinascimentale vanto per l’Italia, poiché diventa un vero e proprio
punto di riferimento per tutti i popoli. E questa, per la verità, è stata
l’unica volta che si è verificato nel cammino della storia. In campo pedagogico
si impone il pensiero educativo di Vittorino da Feltre, una delle maggiori
figure della storia dell’educazione, il “magister puerorum” per eccellenza.
Le sue idee pedagogiche trovarono pratica
applicazione nella “Casa giocosa” che egli aprì a Mantova su invito del
marchese Gianfrancesco Gonzaga, che gli mise a disposizione le strutture
necessarie e i mezzi per funzionare.
La scuola era impostata su un principio di
selezione, ma accoglieva anche alunni di diversa estrazione, provenienti da
varie regioni d’Italia, allo scopo di favorire il confronto fra le varie classi
sociali che è poi l’essenza dell’educazione dei nostri tempi. Il gioco, infine,
da cui la scuola prende la denominazione, non ha il solo scopo di svagare gli
alunni, ma di assecondarli nelle loro naturali inclinazioni e indirizzarle nel
senso giusto verso la formazione della loro personalità.
Anche per questo la figura di Vittorino mi sembra la
più suggestiva di tutti i tempi in materia di educazione.
Non è questo il senso del processo di
personalizzazione al centro della riforma in atto nell’odierna scuola
primaria?(27)
Una svolta notevole nell’organizzazione scolastica
si avrà con Comenio, altro gigante nella storia della pedagogia, autore della
“Didactica Magna” destinata alla formazione dei maestri.
Egli critica le poche scuole del suo tempo, perché
male organizzate e prive di qualsiasi metodo e di un razionale piano di lavoro.
Perciò organizza un piano in cui si mostra come
l’educazione debba svolgersi per gradi successivi, in maniera ordinata e
ciclica.
Prepara anche un libro illustrato, che egli chiama
“Orbis pictus” primo esperimento del genere in assoluto che serve per
facilitare l’apprendimento agli alunni.
Le idee di Comenio, veramente originali, saranno
seguite nelle migliori case signorili dell’epoca che di solito istituivano
scuole.
Il merito principale del maestro boemo è quello di
aver creduto nella pedagogia come mezzo essenziale per la rigenerazione
dell’umanità.
Per lui l’educazione non è un fenomeno limitato a
un’epoca, ma un processo che non si esaurisce mai.
Inoltre la pratica educativa rappresenta l’unica via
per giungere ad una società pacifica e felice.
Una vera e propria rivoluzione in campo pedagogico è
operata da G.G. Rousseau, che indubbiamente rappresenta una pietra miliare nel
mondo della cultura in generale e dell’educazione in particolare.
Egli parte dal principio che l’uomo è buono e per
poterlo educare nel modo giusto, deve tenersi al riparo delle influenze
negative della società.
Deve attuarsi, cioè, un’educazione naturale mirata a
salvare quanto di buono v’è nella natura umana. Questo procedimento implica
anche una profonda conoscenza dell’età evolutiva da parte dell’educatore. Si
tratta del naturalismo instaurato dal pedagogista di Ginevra contro la
pedagogia tradizionale precorrendo con geniale intuizione la situazione
attuale. È su queste basi che ha formato “Emilio” il prototipo della scuola da
lui delineata.
Siamo in altri termini di fronte a una scuola, per
così dire del non intervento, ma in effetti l’educatore prepara tutto lui per
il suo scolaro: l’ambiente, gli orari, le attività la compiere, finanche il
matrimonio con Sofia. Altri punti deboli sono presenti nella pedagogia
rousseaniana, come la pretesa di educare gli alunni nell’isolamento,
assolutamente non condivisibile nella realtà attuale, dove è fortissima la
domanda di socialità.
Comunque sia non per queste considerazioni la
genialità del grande ginevrino viene intaccata.
Sono purtroppo i tempi che cambiano e pongono
problemi nuovi.
Con quanto fin qui esposto si è inteso delineare per
grandi linee ed in maniera del tutto frammentaria le tappe della pedagogia occidentale
a livello teorico.
Per quanto riguarda le scuole, invece, è molto arduo
disegnare un profilo relativo al lungo periodo che precede l’Unità d’Italia.
Le ricerche italiane dall’invasione dei barbari al
1870 sono tante e tali che hanno determinato la frantumazione della stessa
storia civile in tante piccole storie che a volte coprono minuscole aree, come
una sola città, paese o addirittura feudo.
Una sola cosa può essere affermata con certezza e
cioè la presenza per molti secoli, delle scuole gestite dai Comuni, articolate
in sezioni di alfabeti, di calcolo, di grammatica e di arti liberali.
Gradualmente, poi, sono subentrate le scuole
monastiche e parrocchiali, aperte anche a coloro che non erano disponibili alla
vita clericale.
La prima legge che ha dato il via all’ordinamento
organico della scuola italiana è stata certamente quella del 1860 che porta il
nome di Gabrio Casati, che finalmente dichiarava obbligatoria l’istruzione
elementare, affidandola sempre ai Comuni. Da allora in poi saranno emanate
un’infinità di leggi che si propongono di rendere sempre più efficiente il
servizio scolastico.
Si ricordano la legge Coppino del 1877, che rese
efficace il principio dell’obbligo scolastico e la legge Nasi del 1903,
istitutiva della direzione didattica.
Altri provvedimenti perfezionavano l’organizzazione
e il funzionamento di tutte le scuole esistenti sul territorio nazionale.
Di pari passo cresceva anche il livello culturale
generale e si arrivò alla cosiddetta riforma Gentile del 1923, che introdusse
notevoli innovazioni nel sistema scolastico. Assai importante il principio che
pose l’insegnamento della religione cattolica a fondamento e coronamento
dell’istruzione elementare. Questa riforma ebbe la sua codificazione nel famoso
T.U. del 5 febbraio 1928.
Specialissimo valore ebbe, poi, la legge Bottai del
1° giugno 1942 n° 675, che inquadrò tutti gli insegnanti elementari in un ruolo
unico nazionale, togliendoli finalmente ai Comuni.
Da non dimenticare i programmi scolastici emanati
nel 1888 dal Ministro Aristide Gabelli, che resero operanti i postulati del
positivismo pedagogico che nel frattempo si era affermato in Italia.
Assai intensa è stata l’attività legislativa
successiva alla seconda guerra mondiale.
Da essa sono scaturiti i programmi della
ricostruzione del 1945, la cui matrice culturale è sicuramente il pragmatismo
americano, arrivato al seguito delle truppe alleate e rappresentato dal
colonnello Carleton Washburn, allievo di J. Dewey e autore del famoso piano
sperimentato a Winnetka.
Egli influenzò fortemente la stesura dei programmi.
Si affermò, intanto, una filosofia nuova, detta del personalismo
che fu alla base dei programmi del 1955, di chiaro orientamento spiritualistico.
Essi si richiamavano per la prima volta
all’attivismo degli scolari e privilegiavano la tradizione umanistica e
cristiana.
Questi programmi furono messi in crisi irreversibile
dagli avvenimenti che si accavallarono negli anni successivi e nel 1985 furono
sostituiti.
Nonostante gli ulteriori cambiamenti culturali e
sociali, essi resistono ancora, ma credo che non si possa rinviare
ulteriormente la loro sostituzione.
Nello stesso periodo ha trovato definitiva
sistemazione anche la scuola materna con gli Orientamenti del 1991.
C’è stata, poi, la grande rivoluzione democratica
degli anni ’70 che ha portato all’emanazione dei decreti delegati che hanno
creato le premesse di importanti riforme, ultima quella in corso di attuazione,
che coinvolge le componenti della scuola e non solo per creare intorno
all’alunno condizioni più favorevoli per il suo sviluppo. Penso al Portfolio,
alla funzione tutoriale ed altre novità nate dalla legge 53/2003, veramente
innovativa perché ha reso operante l’autonomia scolastica. Non bisogna
dimenticare l’attenzione che è stata rivolta ai soggetti in difficoltà, per
lungo tempo ignorati.
Nei loro confronti è stata predisposta la legge
104/1992 che prevede tante provvidenze per questi soggetti sfortunati.
In realtà anche nel passato qualcosa per loro è
stato fatto, ma a livello specialistico per i portatori di handicap gravi, come
la privazione della parola, della vista e dell’udito ed altre cose che
richiedono conoscenze particolari e tanti sacrifici.
“È compito arduo, ad esempio, educare nonché
istruire nella lingua patria un sordomuto e ridonargli mediante la scrittura e
il linguaggio articolato, il mezzo potente di comunicazione con la società,
dalla quale si trova segregato e quasi divelto”(28).
Nessuno si può nascondere lo stato di crisi che
stiamo vivendo in questa nostra epoca a causa delle profonde trasformazioni
sociali, dovute alla presenza di immigrati ed extracomunitari che hanno alle
loro spalle civiltà e costumi diversi dai nostri.
La cosa si è manifestata soprattutto in campo
religioso in maniera veramente sconvolgente.
È a tutti nota la polemica sulla presenza del
crocifisso nelle aule scolastiche, per la cui rimozione c’è stata la sentenza
di un giudice, poi annullata.
Inoltre di recente, in occasione del Natale si è
fatto molto rumore per l’abitudine di allestire il presepe nelle scuole. In
effetti sono cose che vanno affrontate e opportunamente regolamentate
nell’interesse di tutti.
In una società complessa bisogna aprirsi agli altri.
Si deve capire che ogni civiltà ha i propri simboli che vanno riconosciuti e
rispettati. La scuola italiana è certamente laica, ma non può diventare
laicista, perciò deve puntare decisamente sul dialogo e il confronto civile.
Ogni simbolo religioso, di qualsiasi fede, ha anche
un significato culturale, che assume valore universale valido per credenti e
non credenti, di qualsiasi religione.
Perciò ogni segna va rispettato, almeno per
l’aspetto culturale che racchiude.
Per noi cattolici, che siamo ben oltre il 90% di
coloro che optano per l’insegnamento della religione cattolica, credo che debba
essere mantenuto sia il crocifisso che il presepe perché sono simboli centrali
del cristianesimo, ma nello stesso tempo devono essere rispettati anche i
simboli di altre religioni.
Ormai “la scuola deve divenire uno spazio di
pluralismo in cui si apprende a dialogare sui significati che le persone delle
diverse religioni o culture attribuiscono ai rispettivi segni, per poter
condividere valori universali, quali la solidarietà, la tolleranza, la
libertà”(29).
Io direi di più.
Credo che sia buona norma di iniziare la giornata
scolastica con una breve preghiera, del tipo di quelle che si ripetono qui di
seguito, che potrebbero essere valide per tutti.
Preghiera
Signore che mi vedi e mi proteggi,
aiutami a compiere il mio piccolo
lavoro di scolaro.
Dona la tua luce alla mente, la tua
carità al cuore.
Benedici tutti i miei compagni
e tutti i bambini del mondo.
Grazie, Signore.
Il saluto del
mattino
O Dio, appena sorto il sole,
io levo a te la mia parola
di lode e di amore.
Sia benedetto il tuo nome.
Sia fatta la tua volontà.
A tutti dà salute, lavoro, serenità.
Allontana da noi il male.
A me dona il tuo sorriso, e fammi
buono ora e sempre.
Prendi la mia gioiosa verità di vita,
accendila di fede, di speranza, di amore,
perché io sia pronto
per il mio domani.
(Elsa Landi)
Prendi, o
Signore
Prendi, o Signore, questo
mio cuore,
pieno di speranza
e rendilo paziente
nell’aspettare.
Prendi ogni mio pensiero
perché impari
a cercare la verità,
libero dall’errore.
Prendi la mia gioiosa
verità di vita,
accendila di fede, di
speranza, di amore,
perché io sia pronto
per il mio domani.
(Elsa Landi)
Dammi, o
Signore
Dammi, o Signore questo giorno nuovo
come un compito nuovo da adempire.
Dammi la tua volontà,
perché io voglia soltanto il bene.
Dammi il tuo amore
perché io ami tutti e tutto,
anche il mio nemico,
anche il mio dolore.
Resta con me fino alla sera,
perché io ponga nelle tue mani
le opere, i pensieri, le speranze
di questo giorno.
(Elsa Landi)
Preghiera
Benedici, o Signore, tutti i bimbi
che tornano a scuola.
È nel tuo nome che cominciamo
il nostro lavoro.
Benedici tutti i fanciulli della terra
e fa che si amino come fratelli.
Grazie a te, o Signore, che ci hai dato
la vita: la mente per pensare,
le mani per lavorare,
il cuore per amare.
(Mario Mazza)
NOTE
1 - Cfr.
Bernardino Di Dario Notizie storiche
della città e diocesi di Caiazzo G. Barabba Editore p. 265 e seg.
2 - Ramo
della casa d’Angiò di Napoli, il cui capostipite fu Giovanni, figlio di Carlo
II. Dopo l’estinzione del ramo principale salirono sul trono di Napoli con
Carlo III re dal 1381 al 1386, Ladislao, re dal 1386 al 1414 e Giovanna II,
regina dal 1414 al 1435, con la quale la dinastia si estinse. C’è da precisare
che Durazzo fu conquistata nel 1185 da Guglielmo il Buono, nel corso delle
guerre espansionistiche verso Oriente e fu capitale del regno d’Albania dal
1272 al 1368.
3 - Della
Catalogna, regione autonoma con capitale Barcellona. Fece parte del regno
aragonese (1137) ma godette di larga autonomia e di cui influenzò profondamente
la politica di espansione nel Mediterraneo. È noto che l’architettura catalana
si esprime nelle forme del preromanico e nel romanico con gli edifici dei sec.
XI e XII e del gotico nei sec. XIII e XIV.
4 - Archivio
comunale.
5 - Cfr.
“PAESE” n° 14 del 30/01/2005 prima pagina.
6 - Giano,
uno dei più antichi dèi romani. Presiedeva all’inizio e alla fine di ogni atto
e di ogni avvenimento e perciò venerato come creatore del mondo. Veniva
rappresentato con due volti. Il suo tempio a Roma restava aperto solo in tempo
di guerra.
7 - Cfr.
Archivio storico comunale.
8 - Cfr.
G. Pendolino Sclavia, Trebula, Saticula,
Plistica 1978 pag. 39
9 - Cfr.
Dante B. Marrocco Guida del Medio
Volturno A.S.M.V. Piedimonte Matese pag. 150
10 - Mommsen
Thedor, giurista, filologo e storico tedesco (1817-1903).
11 - In
Roma antica il termine Municipio indicava le comunità cittadine legate alla
capitale, pur conservando, in alcuni casi piena cittadinanza, autonomia
amministrativa e propri magistrati.
12 - Cfr.
B. Di Dario op. cit. pag. 261.
13 - Cfr.
C. Aurilio Albo di famiglia, pag. 27
nota n. 1
14 - Cfr.
B. Di Dario op. cit. pag. 261
15 - Cfr.
B. Di Dario op. cit. pag. 262
16 - Cfr.
V. Santarcangelo Non tradire tua madre
Tip. Saccone Caserta 1967 pag. 8.
17 - La
Storia della Madonna del Carmine è legata alle vicende del monte Carmelo, un
rilievo montuoso alto 528 metri, che si trova nella baia di Haifa in Israele.
Su
questo monte nella seconda metà del XII secolo fu istituito un ordine religioso
col nome di Eremiti di nostra signora del monte Carmelo, approvato dal Papa
Onorio III nel 1226, introdotto poi in occidente nel XIII secolo, assumendo
carattere mendicante.
Sorsero, così, i carmelitani scalzi, cioè frati di
stretta osservanza della regola monastica, riformata da S. Teresa d’Avila e da
S. Giovanni della Croce.
18 - Diocleziano
e Massimiano sono stati imperatori romani dei primi secoli del Cristianesimo al
tempo della tetrarchia. A loro si devono le più sanguinose persecuzioni contro
i cristiani.
19 - Cfr.
Enciclopedia dei santi - Città nuova pagg. 1288 e segg. E Vite dei santi -
Errico Mazzarelli Ed. 1878 Napoli pag. 25.
20 - Abbiamo
in proposito notizie troppo frammentarie e incerte perché nulla è risultato
dalle ricerche effettuate presso la biblioteca della curia vescovile di
Caiazzo, dove il Nostro ha trascorso la maggior parte della sua vita e della
sua attività. Abbiamo appreso che presso la curia esistono solo atti dal 1808
in poi e presso il Comune di Caiazzo dal 1860.
Il
resto è andato distrutto o comunque smarrito per gli eventi che si sono
verificati nel tempo. Comunque nulla è emerso al nome di Marcellino Caserta.
Sappiamo, invece, per sua stessa dichiarazione, che egli è stato per sei anni
lettore di Filologia ed Eloquenza presso il seminario di Caiazzo e per undici
anni arciprete della parrocchia di Squille.
21 - Cfr.
Lettera scritta il 16 giugno 1812 da Marcellino Caserta all’intendente di Terra
di Lavoro. Archivio di stato di Caserta: Intendenza Borbonica, Pubblica
Istruzione B 72, 1812.
22 - Gioacchino
Murat (1767-1815), re di Napoli dal 1808. Aiutante di campo di Napoleone, sposò
Carolina Bonaparte (1800). Dopo la battaglia di Marengo stipulò a Firenze
(1801) un trattato con i Napoletani. Come sovrano di Napoli avviò un’ampia
opera riformatrice. Comandante della cavalleria nella compagna di Russia
(1812), cercò un accordo con l’Austria per conservare il regno napoletano, ma
poi abbandonato dai nuovi alleati, riprese le armi contro l’Austria e, condotta
una spedizione in alta Italia, pubblicò il proclama di Rimini (1815), sconfitto
dagli Austriaci a Tolentino, fu costretto ad abdicare. Tentando nuovamente la
conquista del regno, sbarcò a Pizzo di Calabria, ma catturato dalle truppe
borboniche, venne fucilato.
23 - Cfr.
B. Di Dario op. cit. pag. 239
25 - Archivio
di Stato di Caserta Intendenza Borbonica pubblica istruzione B 72
24 - Veturia,
madre di Coriolano, si recò con la moglie Volumnia ed i figlioletti da lui,
accampato con i Volsci alle porte di Roma per indurlo a pentirsi di quello che
aveva fatto. Al primo vederla, Coriolano le corse incontro per abbracciarla. Ma
quella: Fermati! Ch’io sappia prima se sei mio figlio o nemico di Roma, se sono
tua madre o prigioniera! Umiliato e contrito Coriolano tornò indietro e diede
ordine ai Volsci di togliere campo. I Volsci lo uccisero.
25 - Coriolano
Gneo Marcio, eroe leggendario romano, così chiamato per essersi distinto alla
presa di Corioli (493 a.C.); esule per il suo atteggiamento ostile verso la
plebe, si rifugiò presso i Volsci che guidò contro Roma.
26 - Orazio Flacco è nato a Venosa nel 65 e morto a Roma l’anno 8 a.C. Tra il 23 e il 13 pubblicò quattro libri di Odi, coi quali rivendicava a sé il merito di aver ridato vita, a Roma, al carme greco.
I
quattro libri, che ci sono rimasti integralmente, raccolgono un centinaio di
pezzi di diversa ispirazione e di diverso metro.
Il
carme mitologico raffinato, colto, prezioso, che aveva caratterizzato la lirica
dei “poeti nuovi” della generazione precedente (particolarmente Catullo) è abbandonato;
e così pure l’epigramma erotico e passionale o violentemente satirico.
Anche Orazio canta l’amore, ma predilige soprattutto
temi più complessi, come la meditazione della brevità della vita, la
meditazione della morte, l’amicizia, la mediocrità, intesa come equilibrio,
come sereno distacco dalle passioni.
La
sua filosofia, che si esprime nel celebre invito del “carpe diem” vale a dire
cogli il tuo tempo, accetta quel poco che il destino ti concede, non è un
superficiale invito ad approfittare cinicamente di quanto la fortuna ci offre,
ma la consapevolezza profonda e dolorosa della precarietà del vivere, del
divario tra i nostri desideri e le nostre aspirazioni e la fragilità della
nostra natura.
In
effetti nell’Ode XXX del 3° libro è chiaramente esposta la rivendicazione della
propria grandezza poetica.
Sono
questi in definitiva i temi che affascinano Marcellino Caserta, che medita
profondamente e ne fa oggetto dei suoi scritti e certamente della sua vita.
Ritengo
che egli vada visto come teologo, poiché in tale veste ha svolto un importante
ruolo presso la Curia vescovile di Caiazzo ed una intensa attività docente
presso quel seminario.
Ha
scritto, poi, il compendio di dottrina cristiana, che sta a significare tutta
la sua fedeltà ai principali principi della fede, anche se per lui ha
rappresentato un prezioso strumento di lavoro; come storico perché ha mostrato
un chiaro interesse per la storia antica, specie per quegli episodi che
esaltano i valori più profondi dell’animo umano, come la famiglia e la patria;
ma soprattutto come poeta, con specifica attenzione al mondo classico, in
particolare dei poeti latini che hanno saputo esprimere in versi i sentimenti
umani. Che egli in sostanza intendeva valorizzare. Insomma credo che si possa
definire un umanista convinto.
27 - Il
concetto di personalizzazione va oltre l’individualizzazione finora praticato
nella scuola.
Ora si vogliono utilizzare anche i contributi che
possono dare le famiglie e le altre agenzie che si occupano di educazione.
28 - Cfr.
Filomena Parillo Nicola Pietrosimone e il
problema dei sordomuti nell’ottocento, ASMV Ed. pag. 260
29 - Cfr.
Il presepe a scuola, di Milena
Santerini in SIM n. 8 del 15/12/2004 p. 7.
Indice dei nomi e delle località
Abbatelli Luigi, 60
Alvignano, 26
Andrea (santo), 40
Angioini, 40
Annibbale, 35
Antiochia, 48
Aragonesi, 17, 40
Baia e Latina, 26
Barignano, 21, 22, 27
Bellona, 17
Bottai Giuseppe (Ministro), 87
Caiazzo, 21, 27, 28, 63
Calvi Risorta, 26
Camigliano, 17, 26
Cammuso Francesco, 24
Canne,
35
Capua,
17, 21, 27, 35
Carleton
Washburn, 87
Carusone Giovanni, 24, 55, 65
Casalicchio, 22, 40, 52, 54
Casati Gabrio (Ministro), 86
Caserta (città), 21, 27
Caserta Marcellino, 3, 9, 52, 54, 56, 58, 59, 61,
62, 63, 64, 66, 69
Caserta Pasquale, 52, 59
Caserta Raffaele, 55, 56, 57, 72
Castel di Sasso, 17, 27, 28
Cicerone, 34
Comenio, 83
Coppino (Ministro), 86
Coriolano, 57
Corsale Nicola, 24
Cuoco Vincenzo, 53
Cutillo Alfonso, 24
Cutillo Francesco, 24, 55, 65
Dewey John, 87
Diocleziano, 48
Dragoni, 27, 28, 29
Erasmo (santo), 50
Erasmo (monte), 21, 39, 45, 47, 48, 49
Ercolano, 93
Fabio Massimo, 34, 35
Faraone Giuseppe, 61
Ferdinando d’Aragona, 16
Fontana Pila, 22
Formia, 48
Formicola, 17 21, 27, 34
Francesco I (re di Napoli), 52
Freud Sigmund, 12
Frigento (monte), 47
Funari, 22
Fusco Bartolomeo, 24
Fusco Michele, 35
Gabelli Aristide, 87
Gaeta, 48
Gentile (filosofo), 86
Germania, 12
Gesuiti, 14
Giano (dio), 29
Giano Vetusto, 27, 29
Ginevra, 84
Gonzaga Gianfrancesco, 80
Izzo Amedeo, 24
Izzo Giovanni, 24
Landi Elsa, 92
Liberi, 17, 27, 28, 34
Lipsia, 12
Luca della Robbia, 84
Madonna del Carmine, 40
Marocco Paolo, 61
Marzi, 22
Marziale, 33
Mantova, 80
Massimiano, 48
Mastroianni Francesco, 61
Mazza Mario, 93
Mommsen, 34
Montemaggiore, 24, 25, 26, 27, 28, 30
Murat Gioacchino, 53
Napoli, 21, 22, 27, 48, 52, 53, 93
Nasi (ministro), 86
Normanni, 40
Orazio, 57
Osci, 33
Parillo Francesco, 40
Parillo Vincenzo, 3, 9
Piaget Jean, 12
Piana di Monte Verna, 26
Piedimonte Matese, 3, 4, 9, 21, 22, 27
Pietramelara, 27, 28, 29
Plinio, 33
Pontelatone, 4, 15, 17, 21, 22, 24, 27, 28, 29,
31,33, 34, 54, 55, 56, 57, 65
Riardo, 26
Roccaromana, 17, 27
Rocchetta e Croce, 27, 28
Roma, 21, 35, 48
Rousseau G.G., 7, 12,
17, 27, 84
S. Angelo in Formis,29
S. Maria C.V., 21, 27
Sabino Francesco, 40
Salvadorelli Pasquale, 54, 56
Savignano, 22, 40, 53, 54
Scirocco Antonio, 24
Scirocco Italo, 24
Secondino (santo), 21, 27
Sgueglia Luciano, 61
Simonelli Pasquale, 10
Sofia, 84
Terenzia, 34
Tifatino (complesso montuoso), 26
Tito Livio, 33
Trebula, 29, 31, 33, 34, 35, 44, 48
Trebulani (monti), 21
Treglia, 9, 22, 29, 31, 33, 34, 37, 38, 39, 52, 54,
55, 56, 57, 61
Triflisco, 26
Vairanese, 26
Vandali, 40
Veturia, 57
Vitelli Caterina, 52, 59
Vito (santo), 40
Vittorino da Feltre, 80, 81, 82, 83
Volturno (fiume), 17, 21, 22
Winnetka, 87
Wundt Guglielmo, 12, 40
Collana Liberi Studi Vincenzo
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