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    L'opera educatrice.

 

     Palmieri fu insignito di diverse onorificenze, come già det­to, ma egli non se ne serviva affatto.

     Sul suo biglietto da visita c'era scritto solo nome e cogno­me.

        

     L'unico titolo a cui teneva era quello di "Professore", e non voleva che a questo ne fosse mai aggiunto un altro.

 

Sui suoi libri è scritto semplicemente Luigi Palmieri, oppu­re Prof. Luigi Palmieri, senza altri titoli, talvolta con la qua­lifica di socio di qualche Accademia, e nulla più.

        

Eppure anche gli altri suoi titoli, ossia quelli di cavalie­re e di commendatore, egli aveva ottenuto per meriti propri, e non per passiva eredità, come avveniva per i titoli nobiliari.

        

Probabilmente egli valutava nelle persone principalmente i meriti culturali veri, cioè quelli espressi da titoli accademici o di studio personalmente meritati, mentre gli altri titoli gli dovevano apparire come inutili e vuoti di significato.

 

Egli si sentiva soprattutto un Docente, un Professore, e considerava l'insegnamento come una vera missione, che dura tutta la vita.

 

Aveva cominciato l'insegnamento in giovanissima età, addi­rittura mentre era ancora studente, poiché durante la permanenza nel Seminario di Avellino egli faceva il maestrino interno di Ma­tematica, avendone in cambio l'esenzione della retta mensile, ciò che gli permise di continuare gli studi (bibl.20).

        

La sua scuola privata in Napoli rappresentava un riferimento importante della cultura napoletana, insieme a quella di Lettere umane di F. De Sanctis, quella di Scienze giuridiche di R. Sava­rese e quella del suo rivale B. Spaventa.

 

La filosofia in Napoli era rappresentata da Galluppi e quin­di dal suo discepolo Palmieri, da Colecchi (seguace di Kant), da Cusani (di tendenza hegeliana), da Gaetano Sanseverino (sostenitore della filosofia tomistica) e dall'hegeliano B. Spaventa.

 

Il nostro Prof. Palmieri, assai predisposto per l'insegna­mento, era seguito con ammirazione, affetto e perfino con fanati­smo dai suoi numerosi allievi (della sua scuola privata), ispi­rando in essi grande fiducia, sentimenti di amicizia, mentre in­segnava con parola facile e scorrevole, tanto che nella scuola avversaria di Spaventa si diceva che

 

"egli parlasse prima di pensare a quello che doveva dire".

 

Furono suoi allievi importanti personaggi, quali: Ruggero Bonghi, Nicola Amore, Mariano Semmola, Arcangelo Palmentieri (che poi divenne francescano col nome di P. Ludovico da Casoria).

        

Nel sostenere l'italianità della Filosofia e delle Scienze, egli sostenne anche la purezza del linguaggio, affermando:

 

«Italiani, vi esorto allo studio della vostra lingua».

 

         Ma egli sostenne addirittura l'italianità di tutti gli stu­di.

 

         A tal proposito scrisse:

 

«Io veggo con rammarico che noi traduciamo troppo ed imitiamo troppo, senza pensare che se traduciamo sempre, non saremo mai tradotti, ed imitando sempre, non saremo mai imitati».

 

Ed aggiunse:

 

«Io dunque conchiudo esortando i giovani cultori di scienze naturali a non dipartirsi dal metodo ipo­tetico sperimentativo insegnato da Galilei, d'ispirarsi sulle opere dei nostri maggiori, e di accrescere con lo studio e con la fatica il patrimonio del nostro sapere, se amano da vero la gloria e la grandezza d'Italia».

 

La sua opera educatrice si può riassumere con le seguenti affermazioni:

 

«Se la gioventù troverà in noi (Docenti) soda pietà, ampiezza di mente, forza di animo, direttura di giudizio, profondità di dottrina, gravità di costumi ed assennatezza civile, sarà docile alla nostra parola e verrà educata col nostro esempio. E se noi daremo all'Italia una generazione colta, educata e ricca di tutte le virtù che formano il perfetto cittadino, le sorti della patria potranno essere assicurate».

 

L'osservanza di questo insegnamento fu una caratteristica co­stante di tutta la sua vita.

        

Egli si recava a scuola sempre ad una data ora, anche con cattivo tempo, anche in età avanzata, anche quando era in cattive condizioni di salute; non mancò mai ad una lezione.

 

«Fu l'esempio vivente di ogni suo dovere», per tutta la vita.

 

Solea incitare a continuare, dopo la sua morte, le ricerche da lui eseguite per tanti anni.

        

In una conferenza pubblica (l'ultima della sua vita) disse:

 

«Tocca a voi, o giovani, continuare quelle indagini sulla cui via vi ha messo».

 

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