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   Il Cristo.

 

 

L’immagine rappresentativa di Gesù appare, sicuramente, nei solidi dell’imperatore Giustiniano II, sul finire del VII secolo quale risposta dogmatica del principe cristiano alle insorgenti provocazioni di un califfo arabo, ma qualcuno ha avanzato la suggestiva ipotesi di una retrodatazione di oltre duecento anni scorgendone la figura nella coniazione commemorativa delle nozze simboliche, per motivi dinastici, tra il generale Marciano e la consacrata Pulcheria, sorella del defunto imperatore Teodosio II.

 

 

 

 

Sul finire del primo millennio, le monete con il busto del Redentore, oltre ad assumere un carattere propagandistico verso gli infedeli che operavano nell'ambito di territori confinanti con Bisanzio, furono, in occidente e in special modo in Italia, anche strumento di amalgama negli sforzi militari, in opposizione al dilagare dei saraceni musulmani, di una cristianità divisa politicamente da secoli.

Il Cristo in trono, già da tempo presente nelle monete bizantine, appare intorno al 1200 anche nel grosso veneziano detto matapan, mentre la raffigurazione dell’Unigenito figliuolo di Dio è stante con vangelo entro ellittica stellata, circa un secolo dopo, nel ducato d’oro o zecchino battuto sempre dalla “Serenissima” con caratteristiche analoghe fino alla soglia del 1800 e quindi per oltre cinquecento anni.

 

 

 

Per le monete papali, ovviamente, in tema religioso non vi è che l’imbarazzo della scelta. Accenniamo pertanto solamente alle numerose presenze di Gesù nelle emissioni di Gregorio XIII (1572-1585) e particolarmente, considerando che siamo nel secolo del Protestantesimo e del Concilio di Trento, al testone d’argento con nel retro S. Pietro, inginocchiato, che riceve dal Divino Maestro le famose chiavi.

Tacendo per brevità di altre emissioni medioevali e moderne, chiudiamo anche questa sezione con un conio del duemila uscito stavolta dalla zecca di Vienna: i 500 scellini d’oro con il Signore benedicente.

 

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