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 Gli Alcidi bronzei di Alife

NEL CONTESTO DEL CULTO ERCULEO IN CAMPANIA E NEL SANNIO

 

di Mario Nassa

 

 

HraklhV,  popolarissimo eroe greco, dotato di una forza sovrumana, universalmente noto per i trionfi riportati nelle dodici fatiche, compiute al servizio di suo cugino Euristeo, mostrò, fin dai primi mesi di vita, i segni del suo straordinario vigore, strozzando con le mani due serpenti.[1]

Denominato in etrusco Hercle[2] e in latino, solitamente, Hercules, l’Alcide appare nell’epigrafia cultuale sannitica con gli epiteti di Hereklúí Kerriiúí nella tavola di Agnone[3] e di Herclo Iovio nell’iscrizione osco-latina di Navelli (AQ).

All’itinerante protagonista di tante avventure, onorato di un notevole culto presso gli antichi, furono dedicate, ovunque, città e pagi, santuari ed aedes vie e stationes[4].Rilevanti, in area sannitica, sono il tempio italico di Civitella di Campochiaro, “con ragionevole certezza” attribuitogli dagli archeologi,[5] il santuario sabellico tra Nola ed Avella e quello molto più tardivo, erettogli dai coloni beneventani presso il fiume Calore pro salute imperatoris Marci Aurelii Commodi,[6]come fu inciso su una lapide ritrovata nelle vicinanze.

 

Il suo mito, spesso, si sovrappose ad analoghe divinità indigene tanto che è, ancora oggi, motivo di controversia se la sua presenza nel Pantheon romano sia dovuta ad una originaria figura italica o ad una localizzazione, anche su territorio latino, di gesta attribuite al nume straniero[7].

Soggetto molto ricorrente in arte, ha ispirato, in ogni tempo artisti, scrittori, musicisti, e poeti.[8]Per la scultura, giova certamente ricordare la monumentale statua rinvenuta trent’anni fa ad Alba Fucens, come pure degne di menzione sono, invece per il Sannio, la metope del complesso cultuale del Sele con Eracle ed Euristeo, la piccola statua in pietra trovata a monte Vairano, presso Campobasso, e quella in marmo, di Sepino, mancante di varie parti che ricorda vagamente nella posa, il celebre esemplare “Farnesiano”.  Vari sono i capolavori pervenutici, in Campania, anche dalla pittura a cominciare dal dipinto trovato in Ercolano nel 1761 di Ercole che strangola un leone fino a quelli, più numerosi, di Pompei che lo ritraggono o in compagnia di Iole, sua prigioniera, o del figlio Tèlefo o mentre salva la moglie Dejanira dal centauro Nesso etc., ma le sue imprese hanno adornato anche i modesti oggetti della suppellettile privata, come gli specchi,[9] o i bei vasi fittili, presenti in tantissime collezioni museali.[10]

Il suo nome, ripreso da alcuni imperatori (Commodo, Gallieno, Massimiano ed altri), per loro, si trasmise al primo mese autunnale, ad una flotta, a varie legioni e corpi ausiliari quali alae  e cohortes, a portici e terme …

 

In Numismatica, è ovviamente scontata la sua presenza sulle monete delle colonie greche come Arpi, Bruttii, Metapontum, Heraclea, Lucania, Orrra, Tarentum, Uxentum, Locri, Croton, Camarina, Agyrium, Siracusae[11] etc., ma anche a Roma la sua leggenda occupa una notevole presenza, con una multiformità di appellativi e tipi, sui conî, a cominciare dai quadranti repubblicani del III secolo a. Cr. fino alle monete imperiali del IV secolo d. Cr..

In Campania osserviamo che: a Teanum Sidicinum, la sua testa con leonté fa bella mostra sulle didracma d’argento; a Capua, clava e testa imberbe, diademata, compaiono su uncia, biunx e quadrans; a Napoli, la scena della lotta con il leone è sugli oboli d’argento mentre a Suessa, la stessa, è sui bronzi.

Per il Sannio, ricordiamo il sestante librale dell’irpina Meles, la tereuncia unciale, in bronzo, della frentana Larinum, l’obolo d’argento con la dicitura PERIPOLWN  PITANATAN [12] e uno dei denari coniati durante la guerra sociale.

 

Nel Sannio romanizzato, alcune decine di epigrafi concorrono ad affermarne il culto dalla meridionale Abellinum[13] fino a Iuvanum[14],estremità nordica della nazione, ormai smembrata ed annessa a varie regiones.

Nei territori prossimi al Medio Volturno troviamo lapidi a Sepino, ad Isernia,a Capua e a Benevento, ed internamente ad esso, a Venafro[15], a Telese[16] e ad Alife[17].

 

Testimonianze d’arte plastica di stile ellenico, in area sabellica, sono le svariate immagini di Ercole, sotto forma di piccoli bronzi, rinvenute, spesso casualmente, un po’ dappertutto, e giunte fino a noi dall’antichità. Nel Sannio, particolarmente, esse assommano a svariate decine, conservate nei musei di Pescara, Chieti, Sulmona, Campobasso,[18] Benevento, Avellino, Napoli etc. ma tante anche, purtroppo, in case di privati.

Riguardo al Medio Volturno, conosciamo l’importante bronzetto di Venafro[19] con dedica in osco rozzamente incisa sulla base; le statuette di Telese,[20] Caiazzo[21] e Dragoni; le molte ritrovate in passato, ed anche recentemente, a Compulteria; e, in ultimo, quelle di Alife.

Dal territorio alifano provengono, infatti, almeno tre esemplari raffiguranti il giovane eroe rivestito della invulnerabile pelle del leone di Nemèa, da egli strozzato in Argolide. È, questo, (insieme alla clava ch’era di quercia nodosa e grave[22]) un suo classico attributo molto ricorrente nell’iconografia antica.

Di un primo, rinvenuto in un terreno del duca Onorato Gaetani, vi è questa minuziosa descrizione fatta dalla dott. A. Levi[23]: “…Il bronzetto, è alto mm. 312. La gamba sinistra è stata restaurata; del piede destro manca la parte anteriore; nella mano sinistra semiaperta, che doveva reggere la clava, il pollice e l’indice sono frammentarî. È una aitante e asciutta figura di giovane, che poggia sulla gamba destra; la sinistra è piegata al ginocchio e lievemente scostata; la parte posteriore del piede, non nudo, ma calzato di leggero sandalo, è alquanto sollevata da terra. Nella mano sinistra regge un cantaro a lungo piede, un po’ inclinato, che sta per portare alla bocca, mentre la flessione all’indietro della parte superiore del corpo accompagna quest’atto col gioco di tutti i muscoli. La lavorazione delle forme è secca e nervosa; le proporzioni, dal basso ventre in su, un po’ esagerate rispetto alla lunghezza delle gambe. Una pelle di leone è legata alla vita, il muso cade sul davanti, dietro pende la coda,  le zampe aderiscono ai fianchi. La testa, dai capelli corti e ricciuti, è adorna alla sommità d’una foglia d’edera, che sta a rappresentare schematicamente l’intera corona. La fronte, solcata di rughe, dà al volto un’espressione un po’ triste e un po’ dura, ma negli occhi e nella bocca semiaperta, a cui sta per essere accostato il bicchiere, ride la gioia del vino. E’ un Eracle bibace, un altro esempio di quella contaminatio, che avviene dal III secolo in poi, tra il tipo di Dioniso e quello di Eracle, che merita di essere posto accanto a molte altre rappresentazioni simili, e per alcune sue singolarità è forse degno di speciale rilievo …”.

Gli altri due, provenienti da Ailano, località Zappini, furono recuperati, nel 1926, dall’ispettore onorario prof. Enrico Villani e sono stati conservati, presso il museo civico di Piedimonte Matese, fino al Settembre 1973, quando furono trafugati.

Si pensava che non vi fossero illustrazioni delle statuine, ma la descrizione fatta dal Villani[24], sotto riportata, di una di esse, si identifica perfettamente con la foto che pubblico e che è stata tratta dall’archivio fotografico dell’associazione storica del Medio Volturno: “Linee armoniche e anatomicamente perfette nella tensione muscolare dello sforzo per assestare il colpo di mazza. La coscia sinistra è posta in avanti quasi per accogliere la maggiore elasticità, mentre il corpo posa, con tutto il suo peso, sulla coscia destra con la gamba leggermente piegata. Lo sforzo e la necessità di acquistare la elasticità ostile appaiono dal giro dei muscoli dorsali e dalla posa delle anche. Il braccio destro è sollevato e sul davanti presenta un ottimo sviluppo dei muscoli nello sforzo di lanciare il colpo. La mazza è fissata nel pugno e ribattuta in giù in modo da lasciarla muovere nella mano. Il braccio sinistro, alquanto fuori della linea del corpo, è allargato e pronto per parare il colpo avversario, avvolto com’è nella pelle di leone che ricopre la testa a guisa di elmo e legata al petto con le zampe anteriori. I piedi saldamente posti a terra forniti di peduncoli che servivano a fissare la statuetta su di una base andata perduta. In sostanza si presenta aitante e muscoloso con posa marziale. Tecnicamente perfetto, non ha che qualche sfaldamento sul collo del piede sinistro ed è ricoperto di una bellissima patina. È alto cm. 11,5”.

Nell’altra, simile bensì alquanto mutila, la pelle leonina non è arrotolata sull’avambraccio sinistro ma penzola “in largo svolazzo” in modo del tutto conforme a tante altre conosciute.

 

Sul monte Cila, nel 1928, fu ritrovato un altro “singolarissimo bronzetto”, celebre con l’appellativo di “Corridore”. Il Soprintendente prof. Amedeo Majuri, che lo studiò, lo descrisse come “…un giovane efebo nudo, baldo e vigoroso nella snella e asciutta magrezza delle membra, sereno e confidente nell’espressione già quasi trionfante del volto e della persona (…) il braccio sinistro con la mano serrata al fianco, mentre il braccio destro sollevato in alto regge, nella mano chiusa, un cerchio di lamina bronzea punzonato, a sbalzo, da minute borchiette puntiformi[25] (…)”.

Viene da pensare alla raffigurazione della celebre fatica nella quale Ercole, per desiderio della figlia di suo cugino, Admeta, sottrasse la mitica cintura di Ares ad Ippolita, regina delle Amazzoni.

Probabilmente era un Ercole anche il “guerriero di bronzo” di Raviscanina, recuperato, alla fine del secolo scorso, da Achille De Cesare nel luogo detto le Grotte.[26]

 

 

Repertorio bibliografico del Medio Volturno, integrato con alcune opere nazionali ed estere relative al Sannio. Voce: Ercole.

 

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[1] Al fatto parrebbe alludere il bassorilievo dell’arx di Montella riportato da Francesco Scandone (in L’Alta Valle del Calore Vol. I, pp. 52-53) per il quale “l’espressione infantile del viso, il vestimento, e le serpi strette nelle mani sembra che accennino a un Ercole che si libera dai fastidiosi rettili, mandati da Giunone per strangolarlo”. Di ispirazione simile è la scena incisa su di una corniola ritrovata ad Anzi (PZ) nel secolo scorso (v. Francesco M. Avellino, Bollettino Archeologico, 1843 p. 91) e sul retro di una moneta di Crotone, nella Magna Grecia, ma sicuramente più conosciuto è l’impressionante affresco nella casa dei Vetti a Pompei.

[2] Cfr. Marina Martelli: Dedica Ceretana ad Hercle, in “Miscellanea etrusca in onore di Massimo Pallottino”, 1991, Tomo I.

[3] Addolorata Landi, Dialetti e interazione sociale in Magna Grecia (1979), p. 125: “… Nella tavola di Agnone (hereklúí kerriiúí) Ercole è un sicuro grecismo e la sua qualificazione di “Cereale” riporta al culto romano (cfr. Macrobio at III, 11, 10, a. d. XII Kal. Ian. Herculi et Cereri faciunt sue praegnate panibus multo). (…) Anche la base istituzionale dell’uso della decima è estranea a Roma, in quanto è greca: proprio nel culto dell’ara massima, tradizionalmente di origine e di istituzione greca, la decima Herculis si manifesta come eccezionale ed estranea. Il termine per cui giunge la decima a Roma sarebbe italico”

[4] Valgano da esempio le molte città Eraclee (o anche Erculanee, com’è per la Campania e il Sannio), il santuario libico di Sabratha, la statio ad Herculem nella Pannonia inferiore etc.

[5] Cfr. Soprintendenza Archeologica …, Il santuario di Ercole … pp. 19-20

[6] V. Alfredo Zazo, Un tempio pagano …pp. 121-123.

[7] Sulla questione, molto dibattuta in passato, specialmente tra gli studiosi germanici, v. Ettore De Ruggiero, Dizionario epigrafico …p. 680 e segg.; tra i contemporanei segnalo, trascrivendone alcune righe conclusive, l’analisi filologica sull’avversario di Caco, nelle fonti antiche, presentata dal prof. Paolo Poccetti alla giornata di studio “per la conoscenza dell’antico Sannio” tenuta ad Isernia il 6 Giugno 1992: “…crediamo che (…) nelle tradizioni alternative della saga di Ercole e Caco non si palesa alcun elemento cogente né di ordine formale né di ordine linguistico che possa indiziare con forza l’agnizione di un appellativo greco. La vicenda di Garanus/Recaranus si risolve, infatti, nella lotta e nella vittoria di un pastore eccezionale, carico, perciò di valore simbolico contro la figura di Caco che ipostatizza le avversità e le insidie per la vita del pastore. L’episodio ha una sua elementare struttura ideologica legata agli ambienti e alla necessità della vita pastorale, che riesce, pertanto, ad inserirsi adeguatamente nel patrimonio culturale indigeno dell’Italia antica. (…) In altre parole appare tutt’altro che remota la probabilità che presso le culture appenniniche d’Italia dedite alla pastorizia si fosse formato un filone parallelo a quello della saga di Ercole e Caco avente come protagonista un personaggio indigeno che nella vicenda svolge lo stesso ruolo ed ha le stesse caratteristiche dell’eroe greco, in maniera tale da potersi agevolmente sovrapporre a quest’ultimo…”

[8]Persino Leonardo abbozzò in un carboncino la sua figura. Nel ‘700, più di duemila anni dopo le tragedie greche di Sofocle ed Euripide, il sepinese p. Ottavio Chiarizia pubblicava un anonimo poemetto, oggi introvabile, dal titolo prodiceo di Alcide al bivio e, nel campo musicale, il tedesco G. F. Händel componeva l’oratorio Eracles. È di quest’anno l’emissione, da parte delle poste italiane, di un francobollo commemorativo del pittore Antonio del Pollaiolo, nel cinquecentenario della morte, riproducente il quadro, esposto agli Uffizi, di Ercole che lotta, clava in pugno, con l’Idra. Dell’artista fiorentino, apprezzato anche come scultore ed orafo, è conosciuto pure un piccolo bronzo ispirato questa volta allo scontro mortale di Ercole ed Anteo.  

[9] Nel museo di Napoli già nel secolo scorso ve ne erano due: nel primo, graffito, l’Eroe, bevente, discorre con Mercurio e nel secondo lotta col gigante Anteo. È al British Museum di Londra un altro, etrusco, a rilievo, proveniente da Atri.. Molti altri sono descritti in Gerhard, Etruskische Spiegel, tavv. varie.

[10] Nel Museo Provinciale di Capua, ad esempio, vi è una eloquente anfora attica con la rappresentazione di una lotta armata in cui Ercole prevale sulle guerriere amazzoni e, restando in Campania, un Kalpis con Amazonomachia, alcune anfore con altre belliche rappresentazioni ed altro ancora stanno nel Museo Archeologico Provinciale di Salerno.

[11] Molto note sono, ad esempio, le 100 litre d’oro battute nelle officine monetarie di Siracusa, al tempo del tiranno Dionigi, con bella incisione, attribuita all’esperto Cimone, di Eracle che strozza il leone Nemèo.

[12] Tali oboli pare però che fossero il compenso, pagato da Taranto, ai mercenari preposti alla difesa del confine col Sannio.

[13] Corpus Inscriptionum Latinarum, Regio I, vol. X, n. 1125.

[14] C I L, Regio IV, vol. IX, n. 2694.

[15] C I L, Regio. I, vol. X, p. 482, n. 4850: M. ANTO / NIVS. CRESCENs / LOCVM MILLE P D / AMICITIAE / HERCULANI / ORVM / HERVIANI.; e n. 4851: AMICITIAE / HERCVLIS / NERIANI / IN. FR. P. C.

Sempre a Venafro fu rinvenuto un minuscolo punzone a stampo di terracotta con l’iscrizione osca CAAHIIS, ad arco intorno ad una testa giovanile di Ercole, artisticamente modellata in rilievo, ricoperta di pelle felina e contornata di perline e più esternamente da foglie lanceolate e foglie d’acanto (v. Cimorelli G., Breve cenno sull’origine di Venafro, pp. 67-68 che a sua volta ricava la notizia da uno scritto di Majuri A. in Notizie degli Scavi, anno 1913, fasc. 10)

[16] CIL, Regio IV, vol. IX, p. 206, n. 2195:.HERCVLI / SANCTO. S / ACHILLEVS [… come da un piedistallo incastonato ad un muro in S. Salvatore su cui poggiava alcun simulacro del nume e di cui havvi un torso e la mano colla clava perfettamente compaciante negli orti di Pacelli … (Iannacchino A. M., Storia di Telesia … p. 49)]; e p. 207, n. 2219: COL. HERC. TEL / P. SCIPIO. DED / LOC.

[17] CIL Regio IV, vol. IX, n. 2322: c. aeMILIVS. C. L. ELEVTH ER / HERCVLI. GALLICO. V.S.M; e n. 2338 FABIVS. MAXIMVS. V. C. RECT. PROV. / THERMAS. HERCVLIS. VI TERRAE. MO / TVS. EVERSAS. RESTITVIT. A FVNDAMENTIS. Le lapidi, murate, sono, tuttora, custodite nel museo civico di Piedimonte insieme alla copia, in gesso, di un frammento dei fasti alifani che ne riportano la festa del 12 Agosto. Matteo Egizio, in Opuscoli Volgari e Latini, 1751, riporta una iscrizione settecentesca del principe di Piedimonte Nicola Gaetani d’Aragona gentilmente segnalatami dal preside Loffreda (“… Revocatis ab ipsa scaturigine aquis / quas in usum Thermarum Herculis / veteres derivaverunt …).

[18] Solo in questo, nel 1889, ve ne erano collezionati più di trenta, ridotti, circa un secolo dopo, a venti (cfr A. Sogliano, Il Museo Provinciale …pp. 141-145 e A. Di Niro, Piccoli bronzi …pp. 11-12). Generalmente, “ …tutti questi bronzetti seguono schemi iconografici costanti: i tipi sono un Ercole in posizione d’assalto con la clava nella destra e la leonté sul braccio sinistro e braccia e gambe disposte «a svastica»; un Ercole in posizione di riposo e un Ercole bibax. È chiaro che da esemplare ad esemplare questi schemi si presentino con notazioni stilistiche estremamente variate, dovute in un primo luogo alla personale abilità dell’artigiano esecutore, poiché le statuette non vengono riprodotte mediante matrici, ma sempre modellate a mano nella cera …” (Il brano è tratto dalle Schede curate da L. Franchi dell’Orto e A. La Regina in Culture Adriatiche … p. 367).

[19] Chieti, Museo Nazionale, inv. 3780. Esso, comprensivo del cubo basale, è alto cm. 20 circa; dall’iscrizione si arguisce che fosse l’adempimento di un voto in seguito ad una grazia ricevuta: núviiú úpsiiúí / pr miínatúí úht / herekúí brateí..

[20]A. M. Iannacchino in op. cit. p. 43 riferisce di “idoli o statuette di eroi in bronzo” e a p. 191, trattando delle antichità di Pietraroia, segnala il rinvenimento di “diversi idoli egualmente in bronzo massime di Ercole”.

[21] B. Di Dario, Notizie Storiche … p. 74 “Ercole, di cui furono trovate statuette di Bronzo e di altra materia nelle campagne di Caiazzo, Alvignano e Dragoni” e p. 298 “I Cubulterini (…) pare che abbiano venerato eziandio Ercole, perché in quel territorio se ne trovarono molte statuette di bronzo”.

[22] Il verso è tratto dall’Eneide (VIII, 334), traduzione di Annibale Caro.

[23]A. Levi, Alife, Statuetta in bronzo … pp. 111 e segg.; riproposta da D. Marrocco, L’Antica Alife, p. 78. Forse nello stesso fondo alifano, in contrada Forme, nel 1926, come riportato da F. S. Finelli, in Città di Alife …, p.78, “fu trovata da alcuni agricoltori una statuetta di un Baccante, in metallo, alta circa 25 centimetri, della quale si impadronì il duca di Roccamandolfi, proprietario del fondo”. Un altro Ercole?

[24] R. U. Villani, La Terra dei Sanniti…, pp. 39-40. Le descrizioni, meno particolareggiate, dei bronzetti, sono pure in D. Marrocco, op. cit., p.80 e Raffaele Marrocco, Catalogo del Museo alifano – Parte I – Oggetti di Antichità, dattiloscritto del 1935 pubblicato come 23°Quaderno di Cultura dell’ASMV, 1995, p. 24, ai nn. 27 e 28. La foto è già stata pubblicata, insieme ad una sintesi di questo articolo, su Il Matese, mensile della Comunità Montana del Matese, Anno IX, n. 5, Maggio 1996, p. 13

[25] Lo stralcio è preso da D. Marrocco, op. cit. pp. 75-76 che a sua volta si rifà ad A. Majuri., Piedimonte d’Alife (…) Statuetta di bronzo. Il prof. A. Zazo, in “Varietà e postille” (Samnium 1929, n. 3, p. 91), precisa che esso misurava 111 mm. e che, rinvenuto sulle pendici meridionali del monte Cila, fu recuperato dall’ispettore onorario Raffaele Marrocco. L’ing. Dante fossa, con una recente lettera all’associazione storica del Medio Volturno, ha precisato che il recupero avvenne per opera di suo padre Giovanni “alle falde del Cila, nel rione S. Nicola, presso l’abitazione di tale Lauretta Leggiero, nelle vicinanze del cosiddetto Mendicicomio”, allegando a riprova una fotografia inedita dell’epoca con l’immagine frontale.

[26] M. Perrotta, Note Storiche …, p. 73