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ASSOCIAZIONE STORICA DEL MEDIO VOLTURNO

Quaderno n. 24 (7° della nuova serie)

 

 

MARIO NASSA

 

 

 

 

De Conventu Nobilis Ferrarie Cenobii

 

 

 

Edizioni A.S.M.V.

Piedimonte Matese

1998


 

 

 

 

 

Prefazione

 

Col 24° quaderno di cultura dell’Associazione Storica si è voluto rendere omaggio alla prestigiosa abbazia cistercense di S. Maria della Ferrara presso Vairano (CE), nell’anno in cui l’Ordine celebra, particolarmente in Francia, il nono centenario della nascita.

Quest’opuscolo si ricollega spiritualmente ai quaderni n. 4 L’Abbazia di S. Salvatore di Telese e n. 12 Il monastero di Santa Maria in Cingla, da me curati.

Il presente lavoro è dovuto al giovane collaboratore Mario Nassa che, agli studi folcloristici ed archeologici, ora aggiunge la ricerca nel campo della storia ecclesiastica.

La visita, in passato, ai luoghi ha ispirato all’autore anche versi (pubblicati nella terza antologia del Medio Volturno) su Malgerio Sorel: il cavaliere normanno, ivi sepolto, che donò con la moglie Albasia, l’esteso feudo di Torcino all’Abbazia.

 

24 Giugno 1998.

 

Dante Marrocco

 

 

Re la Ferrara ‘n se tagliàva màncu lu pane cu curtìegliu

 

 

 

 

Il movimento cistercense.

 

A

ll’inizio del X secolo, l’abate di Cluny, Brunone, riformò l’ordine benedettino, moderandone la regola del fondatore, e i suoi successori (Oddone, Maiolo, Odilone, S. Ugo), con zelo, organizzarono la congregazione cluniacense in diversi gruppi di priorati e di abbazie dipendenti facendo ad essa assumere un posto eccezionale nella società medioevale, ma l’immenso prestigio acquisito provocò il rimpianto della rigida disciplina da parte di coloro che anelavano ad una vita di penitenza e di mortificazione. Avvenne così che roberto di  Molèsme, Alberico ed altri monaci rigoristi, se ne distaccarono e, per ricondurre la regola di San Benedetto alla primitiva austerità, fondarono, nel 1098, presso Digione, il monastero di Citeaux  (in latino Cistercium), istituendo in tal modo (forti anche della bolla del 19 Ottobre 1100 con la quale il papa Pasquale II lo metteva sotto la protezione apostolica) l’ordine monastico dei Cistercensi. Una quindicina di anni più tardi (1112), in compagnia di oltre trenta confratelli, venne a Citeaux, un giovane ventiduenne di nome Bernardo.

Questi si rivelò subito, oltre che grande asceta e predicatore, attivissimo fondatore di comunità: fu soprattutto per merito suo se l’Ordine, dalla Borgogna, si diffuse rapidamente negli altri feudi francesi e nel resto d’Europa. Da Citeaux vennero le filiali di La Fertè (1113), Pontigny (1114), Morimond e Clairvaux (1115); quest’ultima fondata proprio dal monaco Bernardo che, elettone abate, la resse talmente bene da renderla ben presto modello e polo di attrazione per l’intero Ordine. Il massiccio afflusso dei novizi riempì, in poco tempo anche le filiali e rese necessario che i monaci continuamente sciamassero facendo sorgere altrove nuove famiglie monastiche. Emanazione di Clairvaux furono, fra gli altri i monasteri di Hautecombe in Savoia; di S. Andrea di Sestri, di Chiaravalle milanese e di Chiaravallle della Colomba (presso Piacenza) nell’Italia Settentrionale; e di Casamari, di San Salvatore di Scandriglia e delle Tre Fontane nello stato della Chiesa; di S. Maria della Sambucina (presso Cosenza) e di S. Maria di Noara nel Regno Normanno. Da Altacomba la riforma raggiunse il convento benedettino di Santo Stefano che, in seguito ai lavori di bonifica idraulica compiutivi da Cistercensi, mutò il nome in Fossanova.

Da qui, nel 1171, partirono per Vairano, alcuni confratelli, fra i quali il monaco Giovanni che, su un fondo denominato Ferrara, donato da Riccardo conte di Sangro, edificarono una grangia con chiesa (1179) che in pochi anni si trasformò in una delle più illustri abbazia del Meridione: Santa Maria della Ferrara[1].

 

 

 

 

 

I documenti.

 

S

eppure anteriore di due secoli alla fondazione del cenobio vairanese, è di notevole interesse, per i riferimenti toponomastici contenuti, il 2° placito di Teano. In esso appaiono il monte di S. Eleuterio, il fiume Volturno, il rivo Petroso, già detto, e il rivo baniolum, forse lo Januli dei diplomi successivi. Vi sono nominati anche la selva della Ferrara, bosco del futuro insediamento cistercense (al rigo 179 e la chiesa di San Martino in Grottole che ritroveremo in uno scambio tra la nostra badìa e la chiesa capuana che la possiede (al precedente rigo 9)[2]. Questo documento chiarisce l’etimologia del nome attribuito al convento. In passato si pensava ad una derivazione diversa: così è in F. Ughelli (op. cit. col. 554) … Cœnobio ex fundatoris nomine S. Mariæ de Ferraria cognomine indidere …; in G. Iannelli (Atti, 1889, p. 144) “…dopo essere stata edificata nel 1171 da un frate Giovanni de Ferraris … (donde il nome alla Badìa) …”; ed in altri anche recenti. Già F. Scandone (op. cit. p. 2-3) ipotizzò che era “più probabile che il titolo venisse da quella Valle della Ferrara che, sebbene ricordata in documenti posteriori di tre lustri, doveva preesistere alla chiesa…”. Credo sia merito della signora R.Cifonelli Altieri (op. cit. p. 12) l’averne riscontrata l’antecedenza nel Placito. Ella si rifà ancora ad una “più remota testimonianza …” contenuta in una donazione fatta al Monastero di S. Sofia di Benevento dal Duca longobardo Arechis II nell’anno 774, “… Curtem nostram in prata in loco ubi dicitur Pazzano, cum ipsa ecclesia Sancti Petri et ipso monte, cum plano et ipsa Ferrara …” ma il confronto con il documento riportato in nota, molto più circostanziato, pare escludere che si possa trattare degli stessi luoghi, anche considerando che il toponimo ferrara ha vari riscontri.Riguardo alla fondazione ferrarense, osserviamo come essa ancora rientri nei canoni delle norme statutarie dell’Ordine di vari decenni addietro che prevedevano dimore in luoghi solitari e disagevoli[3], ossia boschi impenetrabili e lontani dagli abitati, o paludi da bonificare; un numero di monaci non inferiore a dodici più l’abate, pronti a prendere possesso del monastero, appena questo fosse stato dotato di tutti i requisiti[4]; la dedicazione delle costruende chiese a S. Maria in memoria della Beata Vergine di Molèsme, chiesa dalla quale provenivano i Padri fondatori dell’Ordine[5].

Gli ideali della riforma però, tanto cari a San Bernardo, tendevano dopo la sua morte (1153) inevitabilmente a decadere. La povertà (singola e collettiva) prescritta dalla Regola che imponeva la rinuncia al denaro, ai servi, ai coloni, ai forni, ai mulini, etc. nonché l’erezione di chiese prive di fasto venne, col passare degli anni, sempre meno applicata. Premesso questo, per S. Maria della Ferrara, si può aggiungere che di essa, oltre ai ruderi che ne testimoniano l’erezione eseguita secondo le concezioni dell’architettura romanica con le vele complesse, quadripartite a sembianza di vele[6], mentre conosciamo abbastanza bene gli aspetti patrimoniali e amministrativi per le numerose Carte pervenuteci, possiamo invece solo intuire la spiritualità dei suoi figli migliori: di coloro che vissero la vocazione monastica ricercando Dio in solitudine ed introspezione all’interno della chiesa eremitica di S. Maria de Intus[7].

Essenziale per ogni eremitismo monastico è sempre stata l’acqua. Non sorprende perciò che anche a monte della Ferrara venisse peritamente convogliato il flusso di una sorgente, interrata, in una vasca all’aperto di grandi dimensioni, attraverso un cunicolo in muratura con volta a botte alto circa m. 1,70, largo m. 0,80 e lungo m. 15,50. Da qui, l’acqua, canalizzata, veniva raccolta nella cisterna dell’abitato e smistata nei vari ambienti. Una parte dei resti è tuttora visibile e funzionante.

Ritornando ai documenti, è bene notare che la Ferrara fu creata abbazia appena due giorni dopo la grande esenzione cistercense emanata, il 21 Novembre 1184, da papa Lucio III per cui venne, da subito, a trovarsi esclusa da qualsiasi intervento dell’Ordinario: non era cioè soggetta nemmeno all’ingerenza del vescovo diocesano, dovendo, come già si è detto, ex debito respondere solamente nei riguardi dell’abbazia madre e del pontefice[8].

Di questa prerogativa si avvarranno i monaci quando, meno di quarant’anni dopo, per l’ingerenza di un prelato alifano, si vedranno impediti nella costruzione della chiesa di cui si è detto in bibliografia.

Il ricorso al pontefice causerà il Breve da parte di Onorio III diretto all’abate e al decano di Cassino con il quale egli … mandat eius ut si prædictus episcopus præceptum Apostolicum adimplere neglexerit eum ad desistendum compellant …

Una volta insediati, i monaci, tramite permuta con l’arcivescovo capuano Matteo, ottennero le vitali, seppur diroccate chiese confinanti di San Martino e Santa Lucia con i terreni ad esse pertinenti, ed anche la chiesa di S. Angelo coi propri tenimenti[9]. Fu l’inizio della loro espansione. Fattane infatti richiesta, non tardò ad arrivare neppure il privilegio di Guglielmo II d’Altavilla che, nell’Ottobre del 1189, prendeva sotto la protezione regale la badìa, confermandola nel possesso di tutti i beni già da essa posseduti grazie alle oblazioni dei locali feudatari e aggiungendo Egli stesso altre terre in donazione, sia nei dintorni che altrove[10].

Il 18 Novembre dello stesso anno, il trentaseenne Re inaspettatamente morì, senza aver avuto figli dal suo matrimonio con la principessa inglese Giovanna[11].

Sul trono siciliano salì Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce, nipote illegittimo del primo Re Ruggero II. Il suo regno fu breve. Egli si mostrò comunque benevolo nei confronti dei frati della Ferrara concedendo loro un diploma col quale ribadiva il legittimo possesso di tutti i loro beni ed in particolare di quelli in tenimento di Teano[12].

Seguirono le bolle di conferma dei papi Celestino III (2 Marzo 1193), Innocenzo III (23 Dicembre 1201) e Gregorio IX (7 Maggio 1227) e, dal potere politico, prima Svevo e poi Angioino, i privilegi di Enrico VI e di Costanza sua vedova, quelli di Federico II, loro figlio (del Giugno 1203, dell’Ottobre 1222 e del Novembre 1230) e quindi quelli di Carlo I e di Carlo II, tutti di notevole interesse storico.

Grazie ai benefattori elencati in nota e ad altri, la Ferrara acquisì un patrimonio immobiliare notevole ma difficilmente gestibile, a causa dei disordini connessi ai continui mutamenti politici derivanti dalle guerre combattute nel Meridione. Le terre date in enfiteusi, prima a terza generazione e poi a 29 anni, sfuggivano di mano e, in più di una occasione, i coloni, con pubblici bandi, furono invitati a comparire davanti a un commissario incaricato di ricostruirne l’inventario, per rivelarne sotto giuramento l’entità del possesso[13].

Lo studioso che volesse approfondire gli aspetti legati all’attività economica e agraria del proprio paese o in generale del Medio Volturno ha validi strumenti di lavoro nelle “Carte della Ferrara”, processi di regio patronato, vol. n. 1081 del fondo Cappellano Maggiore (Archivio di Stato di Napoli) e nel manoscritto gesuitico citati in bibliografia. In quest’articolo che, per ragioni di spazio, presento in sintesi è bastante l’elenco delle località sotto riportato:

Albignani, p. 302

Alifie o Alifia, pp. 148-149, 200, 303-304

Aquinum, p. 227

Aylani o Aylano, pp. 48-59v, 266-270v, 388-391v

Amerusi castrum, p. 284

Baya, p. 109

Calvum cum Turri Francolisi pp. 293-293v

Campoclaro, p. 288-289

Capua, p. 214-219v, 221-221v

Ciurlano o Zorlano, pp. 290-290v, 320

Conca, p. 300

Crapiata, pp. 283, 298-299v

Ecclesia S. Nicolai (grangia), pp. 205v-206v

Faychia (Prioratus Sancti Spiritus de Marafi prope Faychia), pp. 210-211v

Ioya, p. 212

Isernia, 24-24v

Limatola, pp. 70-70v

Lo Sexto, pp29-31v

Marczanum, p. 260

Mignianum o castrum Mineani, pp. 293-296v, 225-226

Milicczano, p. 72

Pedemonte, p. 70

Prata, Pratella et la Valle, pp. 197-199v, 150-150v, 271-282v

Pietra o Preta o la Petra, pp. 82-102, 134-135v, 152-166v

Presenzano, pp. 222-224, 230-236

Preta Molaria, p. 103-103v

Priorato S. Gregorii Montis Pedirculi[14], pp. 202-203, 204-204v

S. Angeli-Raviscanine[15], pp. 32-47v, 136-147v, 171-196, 236v, 326

Sancto Felice, pp. 104-106v, 208-209v

Sancto Germano, p. 228

Solis Pace, pp. 294-294v

Thini castrum, pp. 386-386v

Tora, pp. 81, 213-213v

Torcino[16], pp. 304-312

Turris Francolisii, p. 77

Vairano, pp. 63-69, 239-252v, 317-321v, 323-325v,

Venafrum, 297v

Villa Picungiani, p. 220

Villa Sancti Clementis et Villa Bangiari, p. 220

Villa Bellone, p. 220v

 

La bolla di conferma di Gregorio IX, in particolare, è importante anche per l’enumerazione che vi si fa delle cosiddette grangie di:

S. Angeli de Rave Canina; S. Mariæ de Mateso e S. Gregorii Montis Pedaculi; S. Spiritus de ponte Volturni; De Patenaria; De Nuceria; De Titerno[17]; De Farrali; De Rubente; De Orculis[18]; De Tufaria; De Turii Palatii[19]; De Cannabisito.

Per questa ultima mancano tentativi di localizzazione, anche se a mio parere gli elementi per risolvere la questione sono contenuti nel diploma di Federico II dell’Ottobre 1222, non tanto nella versione fornita da Ughelli bensì in quella del Gaudenzi. A un certo punto si legge infatti: …Vineas donnicas Cannabisitum et alias terras, domos et molendina Alifia cum quadam terra de cesis … La scarna indicazione autorizza l’ipotesi che essa fosse in territorio alifano e, precisamente, nella località Cannavoschito, oggi detta Fontana Canapa[20]. Questo perché, come si rileva dalle Carte della Ferrara, ai confini tra i comuni di S. Angelo e Alife il cenobio, ancora nel ‘400 possedeva una estesa proprietà terriera, quasi interamente detenuta dai privati che ne pagavano la decima. In amministrazione diretta (C.d.F. fogli 303-304) rimanevano, in Alife, alcune terre nei luoghi detti  

Alo Fenile et Alo Cardito … Ala cesa delo monaco … Alo bosco … Ad paraviso … lo pastino dela Ferrara … Alo monumento[21] … Alo molinello … Item terram aliam sitam in loco ubi dicitur le cese di cannavoschito cum quibusdam casalinis magnis dirutis in semine thumulorum octo vel circa[22].

Come già stato giustamente osservato, manca nel documento la grangia di S. Maria de Pedemonte, inclusavi da alcuni autori, o meglio essa è citata sia nella bolla sia in successivi atti enfiteutici ma dovrebbe corrispondere ad una chiesa confinante per la quale nelle decime del 1326 “In Castri Petre” venne pagato un tarì e mezzo “ …ab abbate Iohanne domini Petri de Suessa”. Di essa troviamo menzione anche nel più volte citato manoscritto anonimo del Seicento al capitolo Bona Demaniala così come segue: …Item ipsa Abbatia habuit et tenuit prout ad presens habet et tenet in suum demanium totum territorium nuncupatum La Verdesca incipiendo erga territorium Terræ Petræ versus Ecclesiam Sanctæ Mariæ a Pedemonte, iuxta flumen Vulturni, iuxta territorio dictæ Terræ Petræ a parti superiori … e negli statuti municipali di Pietravairano del 1544 al n. 60: Statutum et ordinatum est che non sia licito ad nulla persona seu baglivo dla terra dela Preta affidar bestie de li homini de Santo Angelo ultra il fine, dove si dice lo Ripone de le Campate iuxta Ecclesiam Sanctæ Mariæ ad Pedimonte, et iuxta silvam[23]

A quelle elencate nella bolla si aggiunsero presto altre dipendenze rurali.

Per la grangia di Valle Lucida, nella Diocesi di Acerra, poi convento di S. Maria, riportata dallo Scandone a p. 10, viene da pensare che non fosse, fin dall’inizio, filiale vairanese per il fatto che il priore, per istituirvi la riforma cistercense, dovette rivolgersi al pontefice il quale accondiscese a che fossero l’abate della Ferrara Taddeo e i suoi successori a curarne annualmente la sorveglianza[24]. Pertanto la notizia della costruzione della stessa riportata nella cronaca, per l’anno 1208[25], andrebbe vista in funzione dello speciale incarico conferito dal papa a Taddeo. Resta comunque la filiazione spirituale. Stesso discorso vale per il monastero di San Giovanni di Gualdo[26] (nei pressi della odierna cittadina di S: Bartolomeo in Galdo – BN) che, decaduto, fu nel 1220 in modo analogo restituito all’Ordine dal priore della Ferrara Giovanni; da esso vennero le grangie di Rodi, Dragonara e la chiesa foggiana di S. Pietro Morgano. Diversamente stanno le cose per il monastero di Santo Spirito della Carità ancora in territorio di Foggia che, fondato da frate Maccabeo, fu prima dipendenza e poi, nel 1215, sua filiazione, tanto è vero che Taddeo poté intervenire motu proprio per deporvi Gualtiero, primo abate da egli stesso riconosciuto pochi mesi prima, e insediarvi, con il consenso del Capitolo Generale, in vece di lui frate Baldo[27]. Come anche è indizio di una filiazione (secondo la notizia già riportata, tratta da Ughelli), il fatto che il primo e il secondo abate di S. Maria di Arabona, in diocesi di Chieti, venissero dalla Ferrara.

Sempre in Puglia, la casa madre di Vairano possedeva la chiesa dell’Incoronata e la grangia di S. Maria di Calagio e, nella valle caudina, i priorati di S. Spirito di Apollosa e di Casarbore, citati nelle carte della Ferrara foglio 7 verso.

Altre dipendenze sono la già citata grancia di San Nicola e le chiese capuane di San Vito e di San Martino ad Iudaicam. 

 

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[1] Ughelli in o.c. col. 54 riporta: …eodemque anno, (1179) eoque Praesule (Pietro, vescovo di Teano) 9 Kal. Decembris absolutum est nobile Cisterciensis Ordinis Coenobium Sanctae Mariae de Ferraria, quod in sua Theanensi Dioecesi apud oppidum Bayranum quidam Johannes de Ferrariis vir religiosus, Monachusque Fossae novae eiusdem instituti Tarracinensis Dioecesis anno Christi 1171 exedificare ceperat in fundo Richardi Comitis de Sangro, qui ob devotionem, quam erga Cisterciensem Ordinem gerebat, solum donaverat… e più in basso la bolla di Celestino III recita: …Ecclesiam s. Mariae de Ferraria, quae in fundo a nobili viro Riccardo quondam Comite de Sangro pia vobis donatione concesso ad divinum obsequium construxistis,… Una tardiva descrizione di questo fondo è anche nell’anonimo manoscritto secentesco, al capitolo Bona Demaniala…: In primis Abbatia Sanctae Mariae de Ferrara habuit tenuit et possedit prout ad presens habet, tenet et possidet in suum demanium magnum territorium aratorium et laborandinum in frontispitio et circuito Abbatiae predictae situm et positum in territorio Vairani, incipiens a muris dictae Abbatiae et decurrit per locum muris circumdatum vulgariter nominatur la pastoreccia, et decurrit ad rivum nuncupatum lo rio Petruso a parte Meridiei dictae Abbatiae ascendens per dictum rivum, quod territorium est capacitatis thumulorum quatuor centum in circa his finibus comprehensum a latere septentrionis iuxta flumen Vulturni, ab oriente iuxta montem nominatum lo colle de Santa Lucia etc.

La filiazione da Fossanova trova conferma nella cronaca dell’ignoto monaco all’anno 1184: …Mictitur conventus et abbas Gullielmus primo de Fossanova in Ferrariam terre Laboris 4° feria IX Kl. Decembris e nella bolla di Gregorio IX: …et sub dispositione, et providentia Abbatis et Fratrum Fossae novae consistat, nec alicubi, nisi Monasterio Fossae teneatur ex debito respondere…

Consorelle di S. Maria della Ferrara furono le badie di S. Stefano in Bosco e di Corazzo in Calabria e quella di Valvisciano presso Carpineto.

[2]et reclamabit (il sacerdote Giovanni, preposito e custode della chiesa monasteriale di S. Maria in Cingla) superius dictus comes et ministeriales eius de Bairano / iniuste et contra rationem introissent infra fines de duabus petie de terris iam dicte / ecclesie pertinentes que essent infra fines de supra dicto loco Bairanum, in loco ubi dicitur tora, et indicabit ei ut terris ipsis haberent / has finis: Prima petia de terra in loco tora ubi residerent serbi ipsius Ecclesie que esset propinquo Ecclesia Sancti Martini de loco Groctole / haberet finis de una parte ribio qui decerneret inter hec terra et terra que modo tenerent homines de Bairano et pars episcopo Sancti Stephani / de Capua ubi ipsa Ecclesia Sancti Martini constructa esset et ab inde oritur ribio ipse in sursum iret circa terra ipsius monasterii usque ad pede / de montem que esset pertinentem suprascripti domni Atenolfi comitis que vocatur monte sancti eleutheri et ut eodem ribio pergeret usque ad ribium de Baniolum; de alia parte fini pede de ipsum iam dictum montem; de tertia parte terra que subtus dicimus ut ribio ipse mitteret in flubio vulturno; de quarta namque parte fini predicto flubio et iam dicto ribio / de Baniolum. Secunda petia ibique coniuncta haberet finis de una parte ipsa supra dicta petia de terra et iam dicto ribio petroso; de alia / parte fini pede de ipsum iam dictum montem suprascripti domni Atenolfi comitis; de tertia parte fini riagine que descendit da predicto monte et decer- / neret inter hec terra et silba ipsius domni Atenolfi comitis que vocatur Ferrara ut ipsa riagine mitteret in mortina et per ipsa / mortina mitteret in iam dicto flubio; de quarta parte ipso iam dicto flubio… (dal 2° Placito di Teano – Ottobre 963). Già venti anni prima, le stesse terra erano state motivo di contesa giudiziaria tra il conte di Teano Atenolfo e il monastero di S. Maria in Cingla come è narrato in una pergamena del 943 riportata dall’abate Luigi Tosti nella sua “Storia della Badia di Montecassino” (1842) pag. 80, ed anche allora la spuntò il convento grazie ad un diploma ad esso conferito circa duecento anni prima (746) da Gisulfo II, sommo duca delle genti longobarde che “…motus Dei Omnipotens misericordia…” e dietro preghiera del conte Maione concesse al “…Monasterio Beatae et gloriosae Dei Genitricis semperque Virginis Mariae, quod ab olim constructum est in locum, qui nominatur Cingla, in quo Acetruda Deo digna Abbatissa praeesse videtur inclitas duas curtes (…) in finibus Teano loco Bairanum, et sunt ambo conjunctae, quarum una nominatur Gruttule et altera ad Tora, habente finis praedictas curtes, ab una parte qualiter vadit per pedem de Monte S. Leuttherii, et ab inde qualiter juxta eundem montem descendit in fluvio Bulturno, ab alia parte qualiter ascendit per medium albeum praedicti fluminis usque in ribo, qui nominatur de Bagnula de tertia parte praedicto ribo, qui decernit inter has curtes et terra praefati monasterii, de quarta parte fine ribulus, qui intrat in praedicto ribo, et qualiter ascendit praedicto ribulus usque in eo loco; unde egreditur, et ab inde in ipsa Surgente, ex quibus aqua viva egreditur, et ab inde in praedictum pedem de Monte S. Leuthheri, qui est prior finis… (da Di Muccio G. op. cit., pag. 354).

[3] Chanivez J. M., op. cit. pag. 13: In civitatibus, castellis, villis, nulla nostra construenda sunt coenobia, sed in locis a conversatione hominum remotis. Per garantire tranquillità all’eremo, papa Celestino III arriva ad interdire che nuove costruzioni estranee possano esservi costruite attorno: …Illud insuper auctoritate Apostolica prohibemus, ne infra dimidiam leucam prope Abbatiam vestram aliqua de novo habitatio fiat, de qua vobis debeat servatae hactenus libertatis, et pacis aliquod prejudicium generari…

[4] Chanivez J. M., op. cit. pag. 15:  Duodecim monachi cum abbate tertiodecim ad coenobia nova transmittantur: nec tamen illuc destinetur donec locus libris, domibus et necessariis aptetur, libris dumtaxat missali, Regula, libro Usuum, psalterio, himnario, collectaneo, lectionario, antiphonario, gradali, domibusque, oratorio, refectorio, dormitorio, cella hospituk et portarii, necessariis etiam temporalibus ut et vivere et regulam ibidem statim valeant observare.

[5] Chanivez J. M., op. cit. pag. 17: Quia antecessores nostri et patres de ecclesia Molismensi, quae in honore est beatae Mariae, ad Cisterciensem locum unde et nos exorti sumus, primitus venerunt idcirco decernimus ut omnes ecclesiae nostrae ac successorum nostrorum in memoria eiusdem coeli et terrae reginae sanctae Mariae fundentur ac dedicentur.

[6] Sebbene in rovina, ancora oggi, on alcune parti del monastero si può ammirare tale tecnica costruttiva per la cui esecuzione furono anche riadoperati mattoni, pietre e non di rado blocchi in calcare di epoca romana. Alla base del “primo arco della navata minore, a sinistra ed all’ingresso del presbiterio” è murata, capovolta una iscrizione latina in buono stato di conservazione già riportata da vari autori ed anche in Ephemeris Epigrafica vol. VIII, fasc. I pag. 145. Per le vicende relative ad un’altra epigrafe, su urna di marmo, trascritta alla stessa pagnia rimando all’appendice su “L’iscrizione di Quinto Cecilio Diadumeno” contenuta in “Vairano illustrato con carte inedite” (Napoli, 1888) di L. Geremia de’ Geremei.

[7] Di Muccio G., op. cit. pag. 155. L’eremo è citato più volte nella bolla di Gregorio IX del 1227 (v. Ughelli F. op. cit. tomo VI col. 566): …Et vita Eremitica, quae in predicta Ecclesiae de Intus instituta esse noscuntur perpetuis ibidem temporibus inviolabiliter observentur… Di una chiesetta con lo stesso nome nel vicino bosco Verdesca “se ne trova menzione nella visita del vescovo Gilberti del 1695” (v. Di Muccio G., op. cit. pag. 155).

Ughelli F., in op. cit. tomo VI col. 556 scrive che …Protulit illustris haec Abbatia viros sanctimonia vitae claros, … e più avanti …Huius Coenobii professus extit Benedictus humilis conversus, qui vitam Eremiticam duxit supra montem juxta oppidum Venafri, et sancte, ut vixerat, obiit die 18 Martii anno 1278 claruitque miraculis; ex eo quoque assumpti sunt ad regimen Abbatiae S. Mariae de Arabona eiusdem ordinis Teatinen. Dioecesis B. Albimanus primus ejusdem Monasterii Abbas, et Sanctillus successor ejus in omnis sanctitatis vita venerabiles…

Di altri asceti sui quali niente si è scritto, perché niente hanno fatto, contentandosi di vivere in presenza di Dio, abbiamo forse perso ogni traccia.

[8] Ampie digressioni sull’argomento stanno pure nelle bolle papali del 1201 e del 1227, eccone qualche rigo così come trovasi in Ughelli (o. c.): …Insuper auctoritate Apostolica inhibemus, ne ullus Episcopus, vel quaelibet alia persona, vel conventus forenses vos ire, vel judicio saeculari de vestra propria substantia, vel possessionibus vestris subjacere compellat, nec domos vestras causa ordines celebrandi, causas tractandi, vel conventus aliquos publicos convocandi venire praesumat, nec regularem electionem Abbatis vestri impediat, aut de instituendo, vel removendo eo qui pro tempore fuerit contra Statuta Cisterciensis Ordinis se aliquatenus intromittat…

[9]possessiones omnes quas habent ex concambio quod fecerunt cum Ecclesia Capuana in territorio prescripti castri nostri Vayrani… (dal privilegio di Guglielmo II), integrabile con …sed et cambium quod fecistis cum Ven. Fratre nostro Mattheo Capuano Archiepiscopo, et Ecclesia Capuana, a quibus recepistis duas Ecclesias dirutas, idest Ecclesiam S. Martini (da non confondere con la parrocchia di S. Martino de Judaica citata come residenza di fra’ Tommaso abate della Ferrara, in una scrittura capuana del 1379), in qua Cisterciensem Ordinem instituere statuistis, et S. Lucie cum omnibus tenimentis earum, sicut habetis in pubblico Instrumento, et locum illum ubi est Ecclesia S. Angeli, cum ipsa Ecclesia et tenimento suo… (dalla Bolla di Celestino III). Anche quest’ultima era dunque in territorio vairanese, come si ricava altresì dalle concessioni enfiteutiche riportate nell’anonimo manoscritto secentesco. Leggiamo, infatti, al n. 52 del capitolo Bona Enphyteutica, Sanctae Mariae de Ferrara detempta per homines et incolantes Terrae Vairani che Giovanni Geremia e i suoi fratelli tengono un castagneto in località Bottara iuxta montem Ecclesiae Sancti Angeli. Nelle cartine odierne con lo stesso nome viene indicata una collina a Sud Ovest di Vairano a 465 metri s.l.m.

[10] Degno di nota, dopo l’elenco delle donazioni da parte del Re è lo …statuimus ut quilibet de Regno nostro valeat libere offerre aut vendere eidem monasterio vel cum eo commutare possessiones illas quas vel per se vel predecessores suos per triginta annos absque censu vel certo servicio libere ac pacifice tenuit et idem monasterium eas libere ac pacifice perpetualiter possideat sine impedimento… Le donazioni, gli acquisti o le permute dei fondi vicini all’abbazia erano, come è facilmente intuibile, strategicamente importantissime per assicurarsi la quiete e l’autonomia economica necessaria alla vita monastica, e in quei tempi ciò che non era già patrimonio di altri enti ecclesiastici apparteneva quasi totalmente ai signori feudali della zona. Questi, d’altronde, si mostrarono subito sensibili alle necessità dei monaci, anche perché numerosi dovettero essere i loro congiunti che, affascinati da questo nuovo modo di vivere la vocazione, abbandonarono il mondo per vestire il candido saio. Significative a tal proposito sono le commoventi parole che il milite Malgerio Sorel, “cisterciense converso già avanti con gli anni”, volle sulla propria tomba:

HEC EST MEI MALGERII MEMORIA HIC TRADITI VERMIBUS ET CINERI RELICTIS POMPIS SECULI HOC TEMPLUM IUSSI CONSTRUI CHRISTE LARGITOR PREMII TUE MATRI VIRGINI / QUAM MICHI HEREDEM STATUI CUM HOC CONVENTU NOBILIS FERRARIE CENOBII CUIUS MUNIMEN VOLUI QUUM SIBI TOTUM PREBUI MAGNATIS NOMEN RENUI CUM VESTE SPERO MANACHI IN TUAM DOMUM INGREDI / SPES UNA MUNDI PERDITI.

Il ritmo, anche se di un secolo tardivo rispetto all’epoca in esame, fa ben trasparire l’attrazione che l’Ordine, nelle cui file militarono tanti nobili d’oltralpe, esercitò anche nei confronti della feudalità nostrana.

Ecco l’indice alfabetico dei benefattori ricavato dalle bolle di Celestino III (1) e di Innocenzo III (2), e dal diploma di Federico II (3):

Alessandro giudice (2) in Alife;

Bartolomeo di Petralcina (3);

Benedetto Calatia (2) in Alvignano;

Benedetto notaio (2) permuta in Alife;

Corrado Moscaincervello Marchese del Molise (3) che nel 1196 tolse il contado a Ruggiero;

Enrico di Montefusco (2) in Alvignano;

Federico II, Re di Sicilia;

Filippo de Busson (3);

Gimondo di Roccaromana (1) (3);

Giovanni Concarro (2) in Capua;

Giovanni conte di Alife (1) (3);

Giovanni di Mignano (2) in Alife;

Giovanni di Nicola (3);

Giovanni Forte (2);

Giovanni notaio (1);

Giovanni Riccardi (1) in Capua;

Girardo di Monteleone (3);

Goffredo di Dragoni (3);

Goffredo di Montefusco;

Guglielmo II Re di Sicilia (1) (3);

Guglielmo conte di Caserta (1) (2) (3);

Guglielmo di Cantalupo (3);

Iacopo de Busson (3);

Landolfo di Sino (2) in Monteroduni;

Malgerio Sorel senior (1) (3);

Marco di Raino (2) in Capua;

Maria di Alvignano (2) (3) in Alvignano;

Maria moglie di Mazzoleni (3) in Capua;

Matteo di Sorrento (3);

Matthia nobildonna di Prata (1) (3);

Mattia vedova di Roberto Licinii (2) in Monteroduni;

Nazario di Petralcina (3);

Pietro de Bruto (2) in Isernia;

Pietro di Alife (1) (2) in Capua;

Rainone di Ragone Russo (3);

Riccardo conte di Sangro (1) (3) in Vairano, valle della Ferrara;

Roberto di Fossaceca (2) (3) in Sant’Angelo-Raviscanina;

Roberto di Prata (3);

Roberto Totominis di Pentima (3);

Ruggero conte del Molise (1) (3) in Isernia (era figlio di Riccardo della Mandra);

Sergio (1) in Aversa;

Severino signore di Terra Rubea (3) e figlio;

Sibilia moglie di Giovanni Frate (2) in Capua;

Simone di Giordano (3) in Prata;

Simone Spatario di Vinchiaturo (3);

Tagliacozzo signore di Caiano (2) (3) in Sessa Aurunca;

Tancredi Re di Sicilia (1);

Ugone cugino di Tagliacozzo (3);

Ugone de Cerolanis (3) (od. Ciorlano) e il cugino Ugone ;

Ugone di Prata (1).

[11] L’Ignoto monaco, riconoscente, scrisse di lui: …Hic fuit pius, iustus, pacificus, pulcer et benignus; pacifice regnum Sicilie, Apulie et Terre Laboris tenuit. Unicuique iure sua tribuit; amator fuit ecclesiarum; libertatem eisdem contulit et dona plurima; (…) Tanta pax et iustitia extitit, eo vivente, in regno suo, quanta non recordatur fuisse ante eum nec actenus post eum… (Gaudenzi, A., op. cit. pagg. 31-32).

[12] Il documento, per la svolta storic che ebbe il Meridione alla morte di Tancredi non venne opportunamente sottoposto a successive ratifiche e di esso rimase traccia solo nella bolla di Celestino III: …et (startiam) pedis montis, quam dedit vobis Tancredus illustris Siciliae Rex in tenimento Theani…

[13] È il sistema di salvaguardia degli interessi adottato all’epoca anche da altre abbazie. Si riporta quanto scrive G. Mongelli riguardo a Montevergine in Cronotassi degli abati… (Samnium, 1959, n. 1-2, pag. 26):  “Gli enfiteuti, in buona o in cattiva fede, non rendevano tutti e sempre i canoni pattuiti. Di qui la necessità di redigere un Inventario solenne, con grave obbligo a ognuno di rivelare i beni che possedeva da parte di Montevergine, o a quelli di cui era a conoscenza che si possedevano da altri, di esibire gli strumenti di concessione, di dimostrare il legittimo possesso dei beni del monastero, ecc. Tutto ciò richiedeva appoggio delle autorità dello Stato e la loro autorizzazione, perché l’inventario acquistasse la veste ufficiale e la forza obbligante in tutti i fori. Si comminavano le pene più gravi contro chi nascondeva i documenti che possedeva e contro chi in qualunque modo li alterava. E un pubblico notaio prendeva nota delle deposizioni e le corroborava con la sua scrittura e col suo Signum…

[14] Noto con piacere che l’appello a studiare Le Carte della Ferrara amichevolmente estesi agli appassionati locali, per i paesi di loro competenza è stato in questo caso tempestivamente recepito (v. aggiornamento bibliografico).

[15] Per uno studio completo su Sant’Angelo-Raviscanina bisogna tener presente anche le importatni pergamene possedute dall’Archivio di Stato di Roma e cioè:

v      “Stromento del 1384, di locazione a terza generazione di due pezzi di terra posti nel castello di S. Angelo per il canone di mezza libbra di cera”;

v      “Stromento di locazione a terza generazione, dell’anno 1403, di due pezzi di terra posti nel territorio di Sant’Angelo in vocabolo Civitella per i quali si devono due libbre di cera di canone”;

v      “Rogito del giudice e notaio Antonio Paride Bonomo, in data 28 Giugno 1447, con cui l’abate Tommaso d’Aquino ed i monaci di S. Maria della Ferrara affittano una tenuta nel territorio di S. Angelo per tre once di cera vergine da riceversi il giorno dell’Assunta. È un documento ragguardevole essendovi descritto bene il terreno affittato e nominate più persone”.

v      “Stromento di locazione di un pezzo di terra posto nel territorio di S. Angelo vocabolo Monomento, fatta l’anno 1452”;

v      “Rogito del notaio Tommaso di Masello in data 5 Ottobre 1455 con cui si conferma la locazione di un fondo nel territorio di S. Angelo detto Fornillo  fatta dall’abate di S. Maria di Ferraria a condizione di mezza libbra di cera al monastero per l’Assunta. È  un documento importante per la terra di S. Angelo per esservi descritti beni e confini del fondo e per i nomi dei testimoni tra cui un Antonelli”;

v      “Rogito del notaio Durando di Teano in castello di S. Angelo, in data 15 Ottobre 1481, con cui si danno in enfiteusi due tenute di proprietà del Monastero di S. Maria di Ferraria, attore commendato il Cardinale Giovanni d’Aragona, poste in S. Angelo, l’una nel luogo detto volgarmente all’aira vecchia e l’altra nel luogo detto lo Calupo per le quali insieme fruttavano mezza libbra di cera vergine”;

v      “Stromento del 18 Dicembre 1481 di due pezzi di terra in territorio di S. Angelo, uno sito in Castris Alifis, dove si dice alla Musella, l’altro dove si dice alla Fontana, in cambio di una libbra di cera”;

v      “Importante rogito del notaio Durando di Teano con cui viene affittata in enfiteusi una proprietà del Monastero di S. Maria della Ferraria posto nel territorio di S. Angelo nel luogo volgarmente chiamato al beneficio la quale proprietà rendeva al monastero un grano e un denaro. 1 Settembre 1483”;

v      “Locazione di una casa in territorio di S. Angelo. 29 Gennaio 1493”;

v      “Rogito del notaio G. Francesco di Teano, in data 8 Marzo 1523 con cui si affitta in enfiteusi una tenuta di proprietà del Monastero di S. Maria della Ferraria posta nel territorio di S. Angelo nel luogo detto volgarmente a la Navicella per la quale il monastero aveva annualmente un grano e due denari” (da Rosa Altieri Cifonelli, op. cit. pagg. 247-256).

[16] Le vicende di questo feudo sono ampiamente esposte dallo Scandone (op. cit. pag. 22 e seguenti). I diplomi di Carlo II, ad esso relativo, del 3 Ottobre 1290, del 28 Ottobre 1298 e del 14 Agosto 1301, insieme ad un quarto del 28 Marzo 1302 (col quale vengono confermati anche quelli riportati dal Gaudenzi a pag. 5 e segg.9 si trovavano nel Vol. 116, fogli 93, 112 dei Registri Angioini; gli stralci del primo e del terzo qui di seguito trascritti sono tratti dalle considerazioni di G. Iannelli come nel verbale del 3 Giugno 1889: (1°) …peticio continebat quod nobilis mulier ALBASIA UXOR MALGERII SORELLI MILITIS divine pietatis obtentu et in suorum remissionem peccaminum Castrum Torthonum cum iuribus et pertinentiis suis situm in comitatu molisii eidem ALBASIE iure legitimo pertinens, quod in feudum a Curia nostra tenet et valorem decem unciarum auri annis singulis non excedit, cum vuluntate sui viri predicti salvo nostre maiestatis assensu et servicio pro eodem castro predicto Curie nostre debito eidem monasterio sponte concessit et devote donavit propter quod prefatus Abbas ad nos veniens in partibus ultramontanis agentes Celsitudini nostre supplicavit etc.; (2°) …Sane per privilegium nostrum in Curia nuper ostensum confirmata dudum concessione et donacione facta per quondam MALGERII SORELLI MILITIS de castro Torani sito in Comitatu Molisii abbati et conventui sancte marie de ferraria devotis nostris etc. Nel ‘600 il …Castrum dirutum et omnia territoria comprehensa infra limites… dello stesso, ancora demanio della Ferrara era così limitato: “Da donde gionge l’acqua della Sava ed il fiume Volturno tirando per il Volturno, a bascio per le Limate del Sesto accogliendo la selva del detto feudo che confina con le selve della terra di Mastrati scendendo alla Starza Contessa, sagliendo alla montagna per la scrima del Castellone, sagliendo dove se dice alle Prece correndo per dirittura da piedi li Valloni de Sancto Antonio, tirando per mezzo la Starza passando per mezzo la possessione del quondam Capo bianco de Ciorlano e dallà passa alla serra delli monaci per mezzo la foce et tira a S. Barnardino da piedi alle mura del Gravio Pistaccio, tira alla valle Pellegrina e viene alla valle affamata, tira a Puzzo Raviello e passa alla Racce de Colle Crescenzo, et esce all’acqua delli Sava che viene da Ciorlano e volta per la Sacca a bascio fino al fiume Volturno che detta Sacca sparte il territorio de Torcino con il territorio de Capriata dal loco detto la Fontana a dui bocche” (da Cifonelli Altieri R., op. cit. Parte IV, pagg. 576-577).

[17] Detta anche S. Spirito di Viterno, in Diocesi di Telese presso il torrente Titerno, oggi in comune di Faicchio, verso S. Salvatore Telesino.

[18] Il Castrum Ortuli era in Diocesi di S. Agata dei Goti; oggi facente parte del comune di Dugenta, ai confini con quello di Melizzano. Nel 1221 vi fu una donazione di terre da parte di Roberto conte di Caserta al monastero di S. Spirito de Silva Orcole (v. Tescione G., op. cit. pag. 35 che si rifà a Huillard-Breholles, Historia Diplomatica Friderici II (Parigi, 1852-1861) pagg. 134-135. Cfr. Riccardi L. “Telesia, ricordi e speranze” (Benevento, 1927) pag. 57; Atti XXIII 81892) pag. 64.

[19] Nei pressi di Cervinara, forse su una collina a quota 268 a Ovest di Benevento. Nel 1182 la Starza di T. e il castello della Caprara furono donati al Monastero di S. Andrea Apostolo dal Re Guglielmo II (v. L. Di Cosmo- A.M. Villucci, “Lammia e Torre Palazzo. Ricerche in territorio Beneventano”, pag. 20. Nello studio si parla della ceramica medioevale del XII e XIV sec. rinvenuta nella zona.

[20] Ringrazio il signor Vincenzo Stampone per avermi indicato la zona. I toponimi letterario e popolare derivano dal nome latino della canapa (Cannabis), pianta per uso tessile, chiamata volgarmente Cannavu, ivi coltivata.

[21]In alio vero loco ejusdem Alifie ubi dicitur monumentum Vulpariae juxta viam publicam et juxta terram civium ipsius Alifie per illos fines quos pars publica possedisse ipsam dignoscitur dedimus ei quandam petiam terre que solet dici vinee dominice cum omnibus accessionibus suis… (dal privilegio di Guglielmo II dell’Ottobre 1189).

[22] Continua  juxta viam puplicam, juxta terram jacobu nicolai petri girardi quam tenet ad decimam a dicto sacro monasterio, juxta terram Masij notarij cicchi quam similiter tenet ad decimam ab eodem sacro manasterio, juxta terram heredum quondam nicolai mancarelli mediante fossato juxta terram notarij Iacobi honufrij quam similiter mediante fossato tenet ad decimam ab eodem monasterio et alios confines, que solita est darj ad laborandum alo terzo.

[23] V. Cifonelli R., Capitula et Statuta Universitatis Terrae Praetae in “Ricerche storiche connesse agli usi della Provincia di Caserta” (1980) pag. 40.

[24] Honorius episcopus servus servorum Dei dilecto filio abbati de Ferraria Cisterciensis Ordinis (…) Dilecti filii prior et conventus sanctae Mariae Vallis Lucide Acerrarum dyocesis nobis humiliter supplicaverunt, ut per te et successores tuos ipsos monasterium suum annis singulis visitari et disciplina cisterciensis ordinis informari misericorditer faceremus. Nos igitur eorum iustis precibus inclinati devotioni tue per apostolica scripta mandamus… Così inizia il Breve Pontificio riportato nella cronaca dell’Ignoto Monaco della Ferrara nell’anno 1220 (Gaudenzi A., op. cit., pag. 37). È il caso di ricordare che “molti monasteri chiedevano l’incorporazione e i papi stessi promuovevano un movimento di aggregazione ad un Ordine che garantiva fedeltà devota e assoluta, …” (da Farina F., op. cit. pag. 25).

[25] Eodem anno domus Vallis Lucide incepta est.

[26] …Sequenti autem mense de mandato eiusdem pontificis visitari fecit idem Ferrarie abbas per fratrem Iohannem priorem et per fratrem Symonem cancellarium Ferrarie monasterium sancti Iohannis de Gualdo, qui restituerunt ibidem regularem ordinem, qui erat ibidem nimis collapsus… (Gaudenzi, op. cit., pag. 37).

[27] Il fatto viene così narrato nella cronaca (v. Gaudenzi op. cit., pag. 36): …mense Januarii frater Tadeus abbas Ferrarie instituit fratrem Gualterium primum abbatem in ecclesia Spiritus sancti de Gulfinicori (…) Aprilis idem Abbas Ferrarie deposuit Gualterium pro eo quod intravit per conspirationem, et vadens ad capitulum Cistercii, impetravit a capitulo, ut institueret ibi abbatem ex suis, et instituit ibi quemdam nomine Baldum.