■ Il Matese – descrizione
geografica.
(tratto da La
Guida del Medio Volturno di Dante B. Marrocco, 1985, pp. 85-95)
Il
Matese è uno dei maggiori e più caratteristici massicci della catena degli
Appennini. Non è legato però alla catena, ma, rompe l’asse orografico di
essa col suo isolamento. Il Volturno ad Ovest e a Sud, il Calore pure a Sud, il
Tammaro ad Est, il Biferno a Nord ne segnano i confini. Ha un’estensione
di circa 1.500 Kmq., e un perimetro (su strada) di
La configurazione verticale del massiccio mostra due
pieghe di corrugamento, una tirrenica, più bassa, fra i 1200-
***
Il lago naturale, compreso nella vasta conca
centrale, ha una lunghezza variabile che dopo lo scioglimento delle nevi, si
allunga anche a
Nel 1909 non era compreso fra le acque pubbliche; lo
fu nel 1924.
I lavori iniziati nel 1919, terminarono nel 1923.
Nel 1926 fu consentito alla S.M.E. (a lavori fatti) di derivarne l’acqua
per 60 anni, e di poter sopraelevare il livello fino a
***
Dall’esame
dei luoghi e dal materiale presso il museo di Paleontologia e di Antropologia
dell’Università di Napoli, si può ricavare che il Matese ha assunto la
forma attuale durante il Riss interglaciale (la terza fase della glaciazione),
solo che il fondo del lago era più basso, e molte conche non erano prosciugate.
La quarta glaciazione, sui 75.000 anni fa, ha generato ghiacciai, fra cui
quello di monte Miletto che arrivava a Campitello. Il bosco si è sviluppato più
in basso, e i grandi vertebrati si sono allontanati. Divenuto inospitale
l’ambiente, le tracce umane vanno cercate sulle fiancate esterne del
massiccio. Del Paleolitico inferiore, il primo e lungo periodo della pietra
scheggiata si ha traccia indiretta a Isernia.
Del Paleolitico medio si ha traccia a Cerreto, e di
quello superiore sul monte Cila e a Telese.
La geologia parla di una prima emersione del Matese
dal mare detto Tetìde, durante l’era primaria o paleozoica, quando
emersero gli Appennini, di un abbassamento sotto le acque durante l’era
secondaria o mesozoica, e dalla fine di questa, durante l’era terziaria o
cenozoica, di un nuovo sollevamento che dura nell’attuale era quaternaria
o antropozoica.
Il nome non deriva dal greco, come alcuni hanno
sostenuto, basandosi su assonanze, ma da un toponimo sannitico locale di oscuro
significato. In epoca romana fu detto Tifernus mons, il monte da cui
nasce il Tiferno, oggi Biferno. Finora il primo documento conosciuto che ne fa
il nome, è la Cronaca volturnese, dell’anno 819, dov’è detto Matese.
In altri posteriori si trova anche Mathesium.
Si fa risalire a un sedici secoli a. C. la venuta di
popoli indoeuropei nella penisola e, di conseguenza alla nascita del nome. Ma
bisogna attendere al VII secolo a. C. per trovare poderosi muraglioni sulle
colline periferiche del massiccio. A questa protostoria senza notizia, ma
testimoniata da manufatti prima neolitici, poi del bronzo, segue la storia
sanguinosa dell’unificazione politica operata da Roma, e la fiera, sebben
inutile resistenza da parte del Sannio. Il Medio Volturno risulta diviso fra
Sannio Pentro e Caudino a sinistra del fiume mentre sulla destra
s’insinuano Oschi e Sidicini. Nella seconda guerra sannitica si combatte
nella vallata, e alla fine della guerra i borghi sannitici restano per un
secolo e mezzo, terra di conquista, senza diritti. Fa eccezione la gloriosa Telesia
che resiste ad Annibale, ed ottiene la qualifica e i vantaggi di urbs
foederata, città alleata di Roma. Poi viene la colonizzazione romana, a
ondate, da Silla, ai Triumviri, ad Augusto, e rinascono romani, precedenti
villaggi agricolo-pastorali. La storia del Matese è la storia della sua
periferia con le città di Allifae, Aesernia, Bovianum, Saepinum, Telesia,
mentre sulla destra del fiume si fanno notare Caiatia e Rufrae,
ed emerge Venafrum. Una storia civile ed economica del Matese manca; in
epoca romana si sanno solo cenni di sfruttamento di boschi; completo silenzio
per il primo Medio Evo, legnami, carbone, allevamento transumante e una certa
disciplina di tutto questo negli statuti municipali durante il secondo Medio
Evo fin quasi ad oggi. Nel campo militare il Matese ha una sua storia. Nella 2°
guerra sannitica il massiccio è l’antemurale di Bovianum, capitale
dei Pentri, e per pigliarla alle spalle, le legioni nel 325, nel 310, nel
Il massiccio impervio frequentato dai pastori
sanniti, avrà avuto piste fin da epoca protostorica. Ma è di epoca romana la
prima via transmatesina, da Allifae, attraverso Piedimonte vecchia,
Castello, San Gregorio, e per s. Croce a Pretemorto (Miralago), campo Majuri,
valico di Sella del Perrone, discesa al Quirino, discesa sulla via Herculia,
che finiva a Saepinum. Altra via romana saliva da Telesia,
passava a destra di monte Cigno, attraversava le alte terre di Pietraroja e, si
dirigeva forse a Saepinum, o deviava a destra verso Morcone, Mucrae.
Mulattiere medioevali svolsero il loro compito per
lavoro e commercio a dorso di mulo. Da fine ‘800 iniziarono le rotabili.
La Transmatesina attuale compie il percorso in
***
La
bonifica montana vi ha avuto praticamente inizio nel ‘900, ad opera di
Angelo Scorciarini Coppola pioniere della riforma agraria nel Medio Volturno. A
Campo Majuri riuscì a trasformare un prato povero a un taglio, in un prato a
due tagli.
Nel
1925 gli E.P.T. di Benevento, Campobasso e Caserta stabilirono un Piano
quinquennale per lo sviluppo economico del Matese per farne un comprensorio
turistico. Il Matese è entrato nel piano di due gruppi di ricerca
dell’Università di Napoli, per un quadro delle vocazioni naturali e
artificiali. A questo piano paesistico, l’Associazione Storica del Medio
Volturno nel 1971 faceva seguire le proprie «Applicazioni ed aggiunte» riguardo
a rete stradale, disciplina dei servizi igienici, attuazioni turistiche,
disciplina di caccia e pesca, tutela del paesaggio, toponomastica. Una prima
guida turistica, limitata a Piedimonte e al Matese centrale è stata realizzata
dall’a.s.m.v. nel 1979.
Il
bosco del Matese è stato studiato da Luigi Boggia sull’annuario 1977
dell’Associazione storica, anche nell’aspetto retrospettivo. Vi è
mostrata tipologia, cartografia, vincolo idrogeologico e paesistico, paralleli,
per una superficie sul massiccio di ettari 42,2999. La superficie agraria del
Matese è di ettari 137.768.
***
Punti
di convergenza delle escursioni sul Matese sono le vette e le grotte.
Per
le grotte, v. Letino, Sant’Angelo d’Alife, Cigno (monte).
Bocca
della Selva sta a m 1387 s.l.m., a km 3,8 da Sella del Perrone, km 33 da
Piedimonte.
Fra
le pendici di Monte Mutria e Monte Porco di Serra di mezzo, boscosa,
dall’aria mossa e leggera, si apre sulla linea di confine fra Piedimonte
e Cusano Mutri, verso cui procede la carrozzabile, e di lì a Cerreto Sannita e
Telese.
Rifugio
Tre faggi,
camere 9, ristorante, bar; tel. (0824) 862.222.
Il
villaggio conta per ora trenta villette, e residences: Selvinia, Angolo,
Holiday, Felce. Nel residence detto l’Angolo si raduna un Circolo
dei forestieri; ha due attrezzati empori per gli sports invernali.
L’innevamento
vi dura normalmente da Dicembre ad Aprile. Due impianti portano lo sciatore
fino a m 1600 circa, e vi è possibile ogni gara: discesa, slalom e un po’
fondo, su tre piste.
È
prevista una nuova pista di sci da fondo in località Valle S. Maria, a km 2,5
da Sella del Perrone, sulla via di Campitello. Sarà lunga
***
Non
si può calcolare la distanza in chilometri, sia per mancanza di chilometraggio
sui sentieri di montagna, sia perché esistono abbreviazioni facoltativa. Si
calcola con un tempo medio, che può essere abbreviato da persone allenate,
oppure ritardato. Premettiamo perciò i tempi-base medi: Piedimonte-Castello
(via vecchia) mezz’ora; Castello-San Gregorio mezz’ora; San
Gregorio-Cabina lago (via Raspato) un’ora; San Gregorio-Miralago
(aggiramento S. Croce e carrozzabile) un’ora.
Monte
Miletto
– È l’escursione tipica e più nota. La si compiva in due giorni, ma
oggi anche in giornata. Da Piedimonte si può raggiungere la vetta anche in
cinque ore, se c’è allenamento, ma il tempo medio è di sei ore; dalla
base, tre ore. La via più breve, fra cinque che salgono dalla conca del lago,
sale da San Miche-Costa del campo della Madonna-Costa del colle del monaco,
devia a Campo dell’ortica, e di petto, alla vetta. 2° sentiero
dall’albero doppio per lo schienale sulla valle delle Tòrnore, attraverso
il bosco delle cardelle, per spigolo a Forca dei cani, alla vetta attraverso la
conca a Nord. 3° sentiero, lungo e non faticoso, inizia avanti alla gola del
fàllaco, raggiunge la fontana dell’Esere (o Esule) per una valletta a
Nord raggiunge colle del monaco, e per il sentiero costruito nel 1898, aggira
monte Miletto raggiungendo la vetta dopo quattro ore. (V. cartina 1, 2, 3).
Meravigliosa
contemplazione dell’aurora e del tramonto. Nelle ore antelucane la luce
si annunzia nel lontano Oriente come una striscia sterminata d’un bianco
spettrale, mentre a Occidente tutto è nero e brumoso. Poi l’alba colora
l’Oriente di viola e di porpora, finché sulle nebbie appare senza raggi
il globo purpureo del sole, e sotto gli risplende per poco l’oro
dell’Adriatico. Il tramonto mostra il mare Tirreno, specie il golfo di
Gaeta, come una gran massa di oro, finché tante sfumature di tinte vanno
attenuandosi e oscurandosi nel crepuscolo. Il panorama si estende a Nord fino
alla Maiella, a sud fino a Capodichino e all’Irpinia.
A
campo dell’arco si può vedere il fenomeno carsico tipico del Matese,
anzitutto nell’arco naturale, da dove un tempo sfociavano le acque della
conca; poi queste erosero alla base, e crearono una galleria-inghiottitoio, da
dove oggi passano per uscirne a mezza altezza della rupe nel vallone Cannella.
Monte
Gallinola
– Da Pretemorto (Miralago) anche in ore 2,30 attraversando la pianura
fino alla sorgente di S. Maria. Il sentiero inizia molto a sinistra, ed è bene
far la prima salita di petto. In alto, lasciata a destra la balza del
Pianellone, il sentiero procede in un bosco, in salita, di fronte, finché
raggiunge le Camerelle e Piano della Corte; facendo angolo a sinistra di
questo, si sale frontalmente a una conchetta rotonda e, facendo angolo a destra,
si raggiunge la cima appiattita, da dove l’occhio spazia sul Molise. Si
può tornare, o scendere a Campitello Matese per Campo della bòrea, o scendere a
sinistra al Colle dell’Esule, da dove alla fontana dell’Esule, e di
qui al lago. È la seconda vetta del Matese coi suoi
Monte
Mutri o Mutria – Raggiunge i m 1822 di quota s.m., ed è perciò la terza vetta.
Prima occorreva non meno di ore 2,30 da Miralago per il fondo-valle di Valle
Cusanara, ma oggi che la carrozzabile arriva a Bocca della Selva basta una
buona ora di cammino allenato, lungo una dorsale spoglia a Sud e boscosa a
Nord, finché si arriva alla cima appiattita e assai lunga da Est a Ovest. Ampia
veduta a Sud sul grande anfiteatro del Matese orientale, al cui centro si erge
il picco di Pietraroja, e a Nord sull’ampio bacino del Quirino-Arcichiaro,
e a Nord Est sulla valle del Tàmmaro.
Monte
Janara – È la quarta cima del massiccio, e raggiunge m 1565 di quota. Ostacolata
a Nord dalla mole del Miletto, ha buoni panorami su tutta la valle mediana del
Matese fra le due pieghe di corrugamento, e a Sud su Campo rotondo, a Ovest
nella valle di Valle Agricola. Prima di scendere nella conca si prende un
sentiero a destra che costeggia in alto Camporotondo sul limite del bosco; si
incontra uno spettacolare cono dovuto a erosione, scendendo nel quale si ha
l’impressione di stare in un cratere; si continua verso la vetta
rocciosa, detta perciò anche Marraccione. Si può scendere a Sud a
Camporotondo a Valle Agricola, e a Nord al Campo delle sécine.
Grotte
di Campobraca e Camporotondo – Da San Gregorio anche in ore 2,30 per le
Grotte, risalendo oltre il fondovalle per il sentiero fino a Forca di
Macchialonga, poi per il piccolo valico a destra del monte Pranzaturo (m 1384),
continuando nel bosco sul versante Nord fino all’ampia conca di
Camporotondo. Attraversandola, in direzione Nord, a destra del pozzo, si apre
in una voragine, l’inghiottitoio: scesi all’ingresso, e accese le
lampade, si procede in un’alta galleria (fino a Luglio percorsa da
acque), verso il pozzo terminale, da dove le acque sfociano al Campo delle
sécine. Sull’orlo del pozzo, a destra, superata un difficoltà iniziale,
si sale al Ninfeo, così battezzato dagli Scarponi del Matese nel 1949
per la presenza di una stalagmite a forma di torso di donna.
Dall’ingresso al Ninfeo il percorso è di m 115. Si torna, superando la
breve salita a Sud Est,e per Vallecupa si raggiunge Campobraca.
Grotta
di Campobraca
– Dietro il pozzo, e rasente al muro a secco, si apre
l’inghiottitoio, attraverso cui le acque sgorgano nella sottostante
sorgente del Refriddo (=rivo freddo). Dopo un percorso di un
Salendo
dietro la masseria Del Giudice, si apre lo sfunnaturo ossia voragine che
costituisce la seconda entrata. Si scende per un
Se
si va in auto, dal lago, per la carrozzabile si giunge sul posto.
Valle
dell’Inferno – A Piedimonte da via Sorgente, si arriva alla sorgente del
Torano dal 1963 senz’acqua; si procede a sinistra, sotto rupi
inaccessibili, oltrepassando una diga, sempre a sinistra, per un sentiero si fa
angolo a sinistra e si procede per una strettissima entrata nella Conca,
causata da un immenso spicchio di roccia caduto in piedi, a destra entrando.
Sotto la rupe a destra, si sale sul breve ma pericoloso Malepasso, e si procede
nella Valle Orsara, stretta e in penombra. La valle si allarga, fa gomito a
sinistra fino alla fontana e alla grande rupe, su cui a sinistra sta la torre
piccionaia e le mura, resti del monastero dei Cistercensi costruito nel
‘200. Qui si arriva anche da Castello, scendendo per la mulattiera dopo
il terzo tornante della carrozzabile. Si procede a destra, fino alle Grassete,
un bel fondovalle coltivato. Di qui tre possibilità: a destra, per Valle delle
Fontanelle (sotto il versante Nord di monte Muto) fino a Bocca delle fosse, da
dove si può discendere, seguendo il sentiero a destra, fino a S. Maria
Occorrevole; al centro, si può salire per lo Stingone, fino a l’Aritelle,
poi all’Arito, a Tagliaferro, a Tassetello, a Reale, alla S.S. dopo
Pretemorto; a sinistra nella Valle dell’Inferno, dalle pareti a
strapiombo, dove in alto nidifica l’aquila, e dove pozze di acqua verde
rendono necessari brevi e non alti passaggi di rocce. Si raggiunge il punto
terminale detto Pinteme jonte, cioè rocce congiunte, sotto la cascata
dell’Acqua ricciuta. Si deve tornare, ma chi è alpinista, con corda e
qualche chiodo può superare la notevole difficoltà, e procedere nell’alta
valle, fra monte Pastònico e Serra di mezzo.
L’escursione
richiede molte ore, ma è suggestiva per i passaggi di roccia, la varietà del
percorso, gli orridi e lo studio dell’ambiente.
***
Non
sarebbe completa la Guida senza un ricordo del «brigantaggio», cioè della
resistenza armata sul Matese, di cui si hanno notizie fin dal ‘300.
Nell’800 esplode nel periodo di occupazione francese (1806-14), e negli
anni seguenti all’unificazione politica d’Italia (1860-70). Le
rapide operazioni di guerra del 1943 non permisero un terzo movimento.
Nella
storia «risorgimentale» il movimento è valutato negativamente, e qualificato
ribellione e associazione a delinquere, mentre nella storia «antirisorgimentale»
ed estera, è visto come l’estremo sforzo del Meridione agrario e
tradizionalista contro il Settentrione industriale e capitalista. In una
visione obbiettiva non si può negare nelle forze irregolari sulle montagne,
un’idea fondamentale di restaurazione di uno stato invaso senza dichiarazione
di guerra e annesso con un discusso plebiscito, idea mescolata ad atti di forza
e di sangue, come li hanno avuti tutti i movimenti partigiani.
Animatore
della lotta partigiana da Roma, fu un figlio del Medio Volturno, Leandro
Salzillo di Pozzilli, capo guerrigliero sul Matese fu Cosimo Giordano di
Cerreto, ministro del culto nel governo in esilio di Re Francesco II fu il duca
Salvatore Carbonelli di Letino.
Dal
1860 al ’62 si ha la fase militare, dal ’62 a ’66 la fase
operativa, dal ’66 al ’70 la fase di ripiegamento e di estinzione.
Le
prime bande armate autonome ci furono subito dopo la battaglia di Capua che
impegnava le forze regolari napolitane, e ancor più dopo la resa di Gaeta (12
Febbraio 1861).
Nel
’61, la banda partigiana di Ferradino si aggira fra Dragoni, Alvignano e
Rajano fino a Gioja, e il 5 Agosto occupa Faicchio. In Agosto, i partigiani
comandati da Cosimo Giordano, fanno irruzione a Casalduni e Pontelandolfo, e
fucilano 45 soldati italiani. Ne viene la rappresaglia, 500 bersaglieri che
incendiano i paesi e massacrano civili.
Sul
Matese orientale, la banda Varrone, pure in Agosto occupa Guardiaregia e
Campochiaro. Pure nel ’61 la banda Trifilio, e le bande Cecchino e
Cimino, occupano e rioccupano Letino, Gallo, Valle Agricola, Pratella e
Capriati,e si spingono fino a Presenzano. Sono le occupazioni tipiche dei
partigiani: assaltano, occupano e scompaiono. Nel ’63 la lotta continua
più oculata e serrata.
Per
il ’63 vengono segnalati rifornimenti di armi dall’Albania e
dall’Austria. È l’anno della legge vessatoria che il liberale
Giuseppe Pica riesce a far approvare al Parlamento: perquisizioni, domicilio
coatto, tessere del pane, disarmo della popolazione, divieto a pastori e
carbonai di salire sul Matese, fucilazioni (otto fucilati al Vallone di
Piedimonte…). Vengono sciolte molte amministrazioni comunali. A
Roccamandolfi la truppa italiana fucila un ragazzo tredicenne che possiede una
pistola… Con tutto ciò piccole squadre partigiane prelevano bestiame specie
al ricco proprietario Del Giudice di San Gregorio, liberale e deputato, fanno
irruzione a Cusano, Gioia e Calvisi. Forze armate circondano il Matese (il cui
comando sta a Capua), e l’attività partigiana diviene sempre più
difficile, anche se da Roma arrivano armi e congedati del «disciolto esercito
delle Due Sicilie», e ad essi si uniscono legittimisti di vari paesi
d’Europa. Forniscono però la prova che la resistenza sulle montagne non è
fatta da delinquenti comuni, ma da pochi audaci che hanno un’idea.
Ma
ecco la guerra contro l’Austria. In previsione di una rivolta generale,
il governo lascia nel Sud un’armata, pare sui 100.000 uomini. Re
Francesco II dichiara che non interverrà nel conflitto con le forze partigiane:
è il 26 Settembre 1866.
Nel
’67 intanto è nata la «linea del Matese» fra Piedimonte e Isernia; per
spezzare in due il «fronte» dei partigiani, il generale Pallavicini sale fino
al lago per preparare un colpo fatale ai «briganti» di A. Santaniello. Ma sono
nemici invisibili e inafferrabili: D. Fuoco sulle montagne di Longano, C.
Giordano appare a San Gregorio e a Campochiaro. Pallavicini fa bruciare le
casette dei pastori, fa chiudere osterie e scafe, attua lo stato
d’assedio a San Gregorio, San Polo, Guardiaregia, San Massimo e Roccamandolfi.
Si chiude anche il ’67.
Nel
’68, i partigiani sono assai ridotti. Santaniello si aggira sulle
montagne di Piedimonte, D. Fuoco su quelle di Roccamandolfi. Alla fine del
’68 anche la «banda» di Santaniello è dispersa, e anche quella di G.
Ciccone sulle montagne di Venafro e anche le piccole squadre di A. Pace e di F.
Guerra. Giordano e Fuoco non si sentono più, e in Ottobre, Pallavicini può
annunziare che il brigantaggio sul Matese è distrutto. Fuoco però torna da
Roma, ma è all’estremo delle forze, e di notte, il 16 Agosto ’70,
l’ultimo guerrigliero del Matese viene ucciso.