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   Il Matese – descrizione geografica.

 

(tratto da La Guida del Medio Volturno di Dante B. Marrocco, 1985, pp. 85-95)

 

 

Il Matese è uno dei maggiori e più caratteristici massicci della catena degli Appennini. Non è legato però alla catena, ma, rompe l’asse orografico di essa col suo isolamento. Il Volturno ad Ovest e a Sud, il Calore pure a Sud, il Tammaro ad Est, il Biferno a Nord ne segnano i confini. Ha un’estensione di circa 1.500 Kmq., e un perimetro (su strada) di 213 Km. È lungo 45 km da Isernia a Pontelandolfo, ha una larghezza minima di 20 km circa da Boiano a Piedimonte. La cima più alta è M. Miletto, l’antica Esere (m 2.050), cui segue M. Gallinola (m 1922), e M. Mutri (m 1823).

La configurazione verticale del massiccio mostra due pieghe di corrugamento, una tirrenica, più bassa, fra i 1200-1560 metri e un’altra adriatica fra i 1500-2050 metri su cui stanno levette maggiori. Lo spazio di frattura fra le due pieghe, forma una zona pianeggiante lunga sui 25 km, di formazione alluvionale, che va da Ovest ad oltre il centro del massiccio, nella quale stanno il lago naturale e quelli artificiali.

 

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Il lago naturale, compreso nella vasta conca centrale, ha una lunghezza variabile che dopo lo scioglimento delle nevi, si allunga anche a 5 km e a 900 metri in larghezza, e fino a 12 metri in profondità. Le sorgenti che lo alimentano stanno sulla sponda settentrionale (Sorgente del Ritorto, risorgenza dell’Esere presso l’isolotto di Monterone, sorgenti di s. Maria, e altre temporanee; sul versante Sud, piccole sorgenti del Lampazzéllo, e altre.

Nel 1909 non era compreso fra le acque pubbliche; lo fu nel 1924.

I lavori iniziati nel 1919, terminarono nel 1923. Nel 1926 fu consentito alla S.M.E. (a lavori fatti) di derivarne l’acqua per 60 anni, e di poter sopraelevare il livello fino a 6 metri (m 1012 di quota).

 

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Dall’esame dei luoghi e dal materiale presso il museo di Paleontologia e di Antropologia dell’Università di Napoli, si può ricavare che il Matese ha assunto la forma attuale durante il Riss interglaciale (la terza fase della glaciazione), solo che il fondo del lago era più basso, e molte conche non erano prosciugate. La quarta glaciazione, sui 75.000 anni fa, ha generato ghiacciai, fra cui quello di monte Miletto che arrivava a Campitello. Il bosco si è sviluppato più in basso, e i grandi vertebrati si sono allontanati. Divenuto inospitale l’ambiente, le tracce umane vanno cercate sulle fiancate esterne del massiccio. Del Paleolitico inferiore, il primo e lungo periodo della pietra scheggiata si ha traccia indiretta a Isernia.

Del Paleolitico medio si ha traccia a Cerreto, e di quello superiore sul monte Cila e a Telese.

La geologia parla di una prima emersione del Matese dal mare detto Tetìde, durante l’era primaria o paleozoica, quando emersero gli Appennini, di un abbassamento sotto le acque durante l’era secondaria o mesozoica, e dalla fine di questa, durante l’era terziaria o cenozoica, di un nuovo sollevamento che dura nell’attuale era quaternaria o antropozoica.

Il nome non deriva dal greco, come alcuni hanno sostenuto, basandosi su assonanze, ma da un toponimo sannitico locale di oscuro significato. In epoca romana fu detto Tifernus mons, il monte da cui nasce il Tiferno, oggi Biferno. Finora il primo documento conosciuto che ne fa il nome, è la Cronaca volturnese, dell’anno 819, dov’è detto Matese. In altri posteriori si trova anche Mathesium.

Si fa risalire a un sedici secoli a. C. la venuta di popoli indoeuropei nella penisola e, di conseguenza alla nascita del nome. Ma bisogna attendere al VII secolo a. C. per trovare poderosi muraglioni sulle colline periferiche del massiccio. A questa protostoria senza notizia, ma testimoniata da manufatti prima neolitici, poi del bronzo, segue la storia sanguinosa dell’unificazione politica operata da Roma, e la fiera, sebben inutile resistenza da parte del Sannio. Il Medio Volturno risulta diviso fra Sannio Pentro e Caudino a sinistra del fiume mentre sulla destra s’insinuano Oschi e Sidicini. Nella seconda guerra sannitica si combatte nella vallata, e alla fine della guerra i borghi sannitici restano per un secolo e mezzo, terra di conquista, senza diritti. Fa eccezione la gloriosa Telesia che resiste ad Annibale, ed ottiene la qualifica e i vantaggi di urbs foederata, città alleata di Roma. Poi viene la colonizzazione romana, a ondate, da Silla, ai Triumviri, ad Augusto, e rinascono romani, precedenti villaggi agricolo-pastorali. La storia del Matese è la storia della sua periferia con le città di Allifae, Aesernia, Bovianum, Saepinum, Telesia, mentre sulla destra del fiume si fanno notare Caiatia e Rufrae, ed emerge Venafrum. Una storia civile ed economica del Matese manca; in epoca romana si sanno solo cenni di sfruttamento di boschi; completo silenzio per il primo Medio Evo, legnami, carbone, allevamento transumante e una certa disciplina di tutto questo negli statuti municipali durante il secondo Medio Evo fin quasi ad oggi. Nel campo militare il Matese ha una sua storia. Nella 2° guerra sannitica il massiccio è l’antemurale di Bovianum, capitale dei Pentri, e per pigliarla alle spalle, le legioni nel 325, nel 310, nel 307 a. C. vi salgono. Dopo secoli l’isolamento, la mancanza di vie, l’impossibilità di manovra per truppe numerose, lega il nome del Matese alla resistenza armata contro i Francesi invasori, nel decennio 1806-15, e da parte dei commandos borbonici che, specie sul Matese resistono organizzati in piccoli corpi dal 1860 fino al 1864 e, più ridotti e isolati fino al 1870: per la legge erano «briganti», con tal nome rimasti nella fantasia popolare.

Il massiccio impervio frequentato dai pastori sanniti, avrà avuto piste fin da epoca protostorica. Ma è di epoca romana la prima via transmatesina, da Allifae, attraverso Piedimonte vecchia, Castello, San Gregorio, e per s. Croce a Pretemorto (Miralago), campo Majuri, valico di Sella del Perrone, discesa al Quirino, discesa sulla via Herculia, che finiva a Saepinum. Altra via romana saliva da Telesia, passava a destra di monte Cigno, attraversava le alte terre di Pietraroja e, si dirigeva forse a Saepinum, o deviava a destra verso Morcone, Mucrae.

Mulattiere medioevali svolsero il loro compito per lavoro e commercio a dorso di mulo. Da fine ‘800 iniziarono le rotabili.

La Transmatesina attuale compie il percorso in 51 km, e sale di centimetri 5 a metro. Fu iniziata nel 1905 a Piedimonte, nel 1912 raggiunse Castello, nel 1928 San Gregorio, nel 1932 Pretemorto (Miralago), nel 1954 Guardiaregia. I ponti sono 10, nove rifatti nel Dopoguerra; quello dell’Arcichiaro alto 100 metri sul fondo e lungo 35 metri in unica campata, è del 1953-54.

 

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La bonifica montana vi ha avuto praticamente inizio nel ‘900, ad opera di Angelo Scorciarini Coppola pioniere della riforma agraria nel Medio Volturno. A Campo Majuri riuscì a trasformare un prato povero a un taglio, in un prato a due tagli.

Nel 1925 gli E.P.T. di Benevento, Campobasso e Caserta stabilirono un Piano quinquennale per lo sviluppo economico del Matese per farne un comprensorio turistico. Il Matese è entrato nel piano di due gruppi di ricerca dell’Università di Napoli, per un quadro delle vocazioni naturali e artificiali. A questo piano paesistico, l’Associazione Storica del Medio Volturno nel 1971 faceva seguire le proprie «Applicazioni ed aggiunte» riguardo a rete stradale, disciplina dei servizi igienici, attuazioni turistiche, disciplina di caccia e pesca, tutela del paesaggio, toponomastica. Una prima guida turistica, limitata a Piedimonte e al Matese centrale è stata realizzata dall’a.s.m.v. nel 1979.

Il bosco del Matese è stato studiato da Luigi Boggia sull’annuario 1977 dell’Associazione storica, anche nell’aspetto retrospettivo. Vi è mostrata tipologia, cartografia, vincolo idrogeologico e paesistico, paralleli, per una superficie sul massiccio di ettari 42,2999. La superficie agraria del Matese è di ettari 137.768.

 

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Punti di convergenza delle escursioni sul Matese sono le vette e le grotte.

Per le grotte, v. Letino, Sant’Angelo d’Alife, Cigno (monte).

Bocca della Selva sta a m 1387 s.l.m., a km 3,8 da Sella del Perrone, km 33 da Piedimonte.

Fra le pendici di Monte Mutria e Monte Porco di Serra di mezzo, boscosa, dall’aria mossa e leggera, si apre sulla linea di confine fra Piedimonte e Cusano Mutri, verso cui procede la carrozzabile, e di lì a Cerreto Sannita e Telese.

 

Rifugio Tre faggi, camere 9, ristorante, bar; tel. (0824) 862.222.

Il villaggio conta per ora trenta villette, e residences: Selvinia, Angolo, Holiday, Felce. Nel residence detto l’Angolo si raduna un Circolo dei forestieri; ha due attrezzati empori per gli sports invernali.

L’innevamento vi dura normalmente da Dicembre ad Aprile. Due impianti portano lo sciatore fino a m 1600 circa, e vi è possibile ogni gara: discesa, slalom e un po’ fondo, su tre piste.

È prevista una nuova pista di sci da fondo in località Valle S. Maria, a km 2,5 da Sella del Perrone, sulla via di Campitello. Sarà lunga 10 km.

 

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Non si può calcolare la distanza in chilometri, sia per mancanza di chilometraggio sui sentieri di montagna, sia perché esistono abbreviazioni facoltativa. Si calcola con un tempo medio, che può essere abbreviato da persone allenate, oppure ritardato. Premettiamo perciò i tempi-base medi: Piedimonte-Castello (via vecchia) mezz’ora; Castello-San Gregorio mezz’ora; San Gregorio-Cabina lago (via Raspato) un’ora; San Gregorio-Miralago (aggiramento S. Croce e carrozzabile) un’ora.

 

Monte Miletto – È l’escursione tipica e più nota. La si compiva in due giorni, ma oggi anche in giornata. Da Piedimonte si può raggiungere la vetta anche in cinque ore, se c’è allenamento, ma il tempo medio è di sei ore; dalla base, tre ore. La via più breve, fra cinque che salgono dalla conca del lago, sale da San Miche-Costa del campo della Madonna-Costa del colle del monaco, devia a Campo dell’ortica, e di petto, alla vetta. 2° sentiero dall’albero doppio per lo schienale sulla valle delle Tòrnore, attraverso il bosco delle cardelle, per spigolo a Forca dei cani, alla vetta attraverso la conca a Nord. 3° sentiero, lungo e non faticoso, inizia avanti alla gola del fàllaco, raggiunge la fontana dell’Esere (o Esule) per una valletta a Nord raggiunge colle del monaco, e per il sentiero costruito nel 1898, aggira monte Miletto raggiungendo la vetta dopo quattro ore. (V. cartina 1, 2, 3).

Meravigliosa contemplazione dell’aurora e del tramonto. Nelle ore antelucane la luce si annunzia nel lontano Oriente come una striscia sterminata d’un bianco spettrale, mentre a Occidente tutto è nero e brumoso. Poi l’alba colora l’Oriente di viola e di porpora, finché sulle nebbie appare senza raggi il globo purpureo del sole, e sotto gli risplende per poco l’oro dell’Adriatico. Il tramonto mostra il mare Tirreno, specie il golfo di Gaeta, come una gran massa di oro, finché tante sfumature di tinte vanno attenuandosi e oscurandosi nel crepuscolo. Il panorama si estende a Nord fino alla Maiella, a sud fino a Capodichino e all’Irpinia.

A campo dell’arco si può vedere il fenomeno carsico tipico del Matese, anzitutto nell’arco naturale, da dove un tempo sfociavano le acque della conca; poi queste erosero alla base, e crearono una galleria-inghiottitoio, da dove oggi passano per uscirne a mezza altezza della rupe nel vallone Cannella.

 

Monte Gallinola – Da Pretemorto (Miralago) anche in ore 2,30 attraversando la pianura fino alla sorgente di S. Maria. Il sentiero inizia molto a sinistra, ed è bene far la prima salita di petto. In alto, lasciata a destra la balza del Pianellone, il sentiero procede in un bosco, in salita, di fronte, finché raggiunge le Camerelle e Piano della Corte; facendo angolo a sinistra di questo, si sale frontalmente a una conchetta rotonda e, facendo angolo a destra, si raggiunge la cima appiattita, da dove l’occhio spazia sul Molise. Si può tornare, o scendere a Campitello Matese per Campo della bòrea, o scendere a sinistra al Colle dell’Esule, da dove alla fontana dell’Esule, e di qui al lago. È la seconda vetta del Matese coi suoi 1923 metri di quota.

 

Monte Mutri o Mutria – Raggiunge i m 1822 di quota s.m., ed è perciò la terza vetta. Prima occorreva non meno di ore 2,30 da Miralago per il fondo-valle di Valle Cusanara, ma oggi che la carrozzabile arriva a Bocca della Selva basta una buona ora di cammino allenato, lungo una dorsale spoglia a Sud e boscosa a Nord, finché si arriva alla cima appiattita e assai lunga da Est a Ovest. Ampia veduta a Sud sul grande anfiteatro del Matese orientale, al cui centro si erge il picco di Pietraroja, e a Nord sull’ampio bacino del Quirino-Arcichiaro, e a Nord Est sulla valle del Tàmmaro.

 

Monte Janara – È la quarta cima del massiccio, e raggiunge m 1565 di quota. Ostacolata a Nord dalla mole del Miletto, ha buoni panorami su tutta la valle mediana del Matese fra le due pieghe di corrugamento, e a Sud su Campo rotondo, a Ovest nella valle di Valle Agricola. Prima di scendere nella conca si prende un sentiero a destra che costeggia in alto Camporotondo sul limite del bosco; si incontra uno spettacolare cono dovuto a erosione, scendendo nel quale si ha l’impressione di stare in un cratere; si continua verso la vetta rocciosa, detta perciò anche Marraccione. Si può scendere a Sud a Camporotondo a Valle Agricola, e a Nord al Campo delle sécine.

 

Grotte di Campobraca e Camporotondo – Da San Gregorio anche in ore 2,30 per le Grotte, risalendo oltre il fondovalle per il sentiero fino a Forca di Macchialonga, poi per il piccolo valico a destra del monte Pranzaturo (m 1384), continuando nel bosco sul versante Nord fino all’ampia conca di Camporotondo. Attraversandola, in direzione Nord, a destra del pozzo, si apre in una voragine, l’inghiottitoio: scesi all’ingresso, e accese le lampade, si procede in un’alta galleria (fino a Luglio percorsa da acque), verso il pozzo terminale, da dove le acque sfociano al Campo delle sécine. Sull’orlo del pozzo, a destra, superata un difficoltà iniziale, si sale al Ninfeo, così battezzato dagli Scarponi del Matese nel 1949 per la presenza di una stalagmite a forma di torso di donna. Dall’ingresso al Ninfeo il percorso è di m 115. Si torna, superando la breve salita a Sud Est,e per Vallecupa si raggiunge Campobraca.

 

Grotta di Campobraca – Dietro il pozzo, e rasente al muro a secco, si apre l’inghiottitoio, attraverso cui le acque sgorgano nella sottostante sorgente del Refriddo (=rivo freddo). Dopo un percorso di un 15 metri, la galleria s’innalza e si divide in due rami, uno dei quali allagato fino a Luglio. In tutto un 50 metri, segno di ostruzione del percorso.

Salendo dietro la masseria Del Giudice, si apre lo sfunnaturo ossia voragine che costituisce la seconda entrata. Si scende per un 15 metri circa, e si percorre un cunicolo a principio in discesa, lungo sui 25 metri. Si scende a un pozzo (profondo m 8), e per un cunicolo lungo 95 metri si sorpassa un altro pozzo (profondo m 10), e si raggiunge un corridoio doppio, quello sovrastante quasi sempre asciutto, il paleocorso, e quello sottostante allagato, entrambi lunghi sui 30 metri. Sorpassato un terzo pozzo (profondo m 8), c’è una biforcazione: il ramo a sinistra torna verso l’imbocco, e presuppone un’altra entrata attualmente otturata; vi abbondano cristalli di calcite, stalattiti e stalagmiti, intanto per il ramo a desta si prosegue per 250 metri fra massi incastrati, fino a un pozzo (profondo m 25). Sorpassato questo, si trovano cunicoli in parte inesplorati. Continuando nel fondo per 230 metri, e sorpassati vari pozzi allagati, si raggiunge la profondità di m 130 dall’imbocco, e cioè m 1046 circa di quota s. m. Il percorso termina allagato. È evidente che la risorgenza al Refriddo dipende dalla prima entrata. Misure e foto sono state fornite dal Gruppo speleologico del Matese di San Potito Sannitico.

Se si va in auto, dal lago, per la carrozzabile si giunge sul posto.

 

Valle dell’Inferno – A Piedimonte da via Sorgente, si arriva alla sorgente del Torano dal 1963 senz’acqua; si procede a sinistra, sotto rupi inaccessibili, oltrepassando una diga, sempre a sinistra, per un sentiero si fa angolo a sinistra e si procede per una strettissima entrata nella Conca, causata da un immenso spicchio di roccia caduto in piedi, a destra entrando. Sotto la rupe a destra, si sale sul breve ma pericoloso Malepasso, e si procede nella Valle Orsara, stretta e in penombra. La valle si allarga, fa gomito a sinistra fino alla fontana e alla grande rupe, su cui a sinistra sta la torre piccionaia e le mura, resti del monastero dei Cistercensi costruito nel ‘200. Qui si arriva anche da Castello, scendendo per la mulattiera dopo il terzo tornante della carrozzabile. Si procede a destra, fino alle Grassete, un bel fondovalle coltivato. Di qui tre possibilità: a destra, per Valle delle Fontanelle (sotto il versante Nord di monte Muto) fino a Bocca delle fosse, da dove si può discendere, seguendo il sentiero a destra, fino a S. Maria Occorrevole; al centro, si può salire per lo Stingone, fino a l’Aritelle, poi all’Arito, a Tagliaferro, a Tassetello, a Reale, alla S.S. dopo Pretemorto; a sinistra nella Valle dell’Inferno, dalle pareti a strapiombo, dove in alto nidifica l’aquila, e dove pozze di acqua verde rendono necessari brevi e non alti passaggi di rocce. Si raggiunge il punto terminale detto Pinteme jonte, cioè rocce congiunte, sotto la cascata dell’Acqua ricciuta. Si deve tornare, ma chi è alpinista, con corda e qualche chiodo può superare la notevole difficoltà, e procedere nell’alta valle, fra monte Pastònico e Serra di mezzo.

L’escursione richiede molte ore, ma è suggestiva per i passaggi di roccia, la varietà del percorso, gli orridi e lo studio dell’ambiente.

 

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Non sarebbe completa la Guida senza un ricordo del «brigantaggio», cioè della resistenza armata sul Matese, di cui si hanno notizie fin dal ‘300. Nell’800 esplode nel periodo di occupazione francese (1806-14), e negli anni seguenti all’unificazione politica d’Italia (1860-70). Le rapide operazioni di guerra del 1943 non permisero un terzo movimento.

Nella storia «risorgimentale» il movimento è valutato negativamente, e qualificato ribellione e associazione a delinquere, mentre nella storia «antirisorgimentale» ed estera, è visto come l’estremo sforzo del Meridione agrario e tradizionalista contro il Settentrione industriale e capitalista. In una visione obbiettiva non si può negare nelle forze irregolari sulle montagne, un’idea fondamentale di restaurazione di uno stato invaso senza dichiarazione di guerra e annesso con un discusso plebiscito, idea mescolata ad atti di forza e di sangue, come li hanno avuti tutti i movimenti partigiani.

Animatore della lotta partigiana da Roma, fu un figlio del Medio Volturno, Leandro Salzillo di Pozzilli, capo guerrigliero sul Matese fu Cosimo Giordano di Cerreto, ministro del culto nel governo in esilio di Re Francesco II fu il duca Salvatore Carbonelli di Letino.

Dal 1860 al ’62 si ha la fase militare, dal ’62 a ’66 la fase operativa, dal ’66 al ’70 la fase di ripiegamento e di estinzione.

Le prime bande armate autonome ci furono subito dopo la battaglia di Capua che impegnava le forze regolari napolitane, e ancor più dopo la resa di Gaeta (12 Febbraio 1861).

Nel ’61, la banda partigiana di Ferradino si aggira fra Dragoni, Alvignano e Rajano fino a Gioja, e il 5 Agosto occupa Faicchio. In Agosto, i partigiani comandati da Cosimo Giordano, fanno irruzione a Casalduni e Pontelandolfo, e fucilano 45 soldati italiani. Ne viene la rappresaglia, 500 bersaglieri che incendiano i paesi e massacrano civili.

Sul Matese orientale, la banda Varrone, pure in Agosto occupa Guardiaregia e Campochiaro. Pure nel ’61 la banda Trifilio, e le bande Cecchino e Cimino, occupano e rioccupano Letino, Gallo, Valle Agricola, Pratella e Capriati,e si spingono fino a Presenzano. Sono le occupazioni tipiche dei partigiani: assaltano, occupano e scompaiono. Nel ’63 la lotta continua più oculata e serrata.

Per il ’63 vengono segnalati rifornimenti di armi dall’Albania e dall’Austria. È l’anno della legge vessatoria che il liberale Giuseppe Pica riesce a far approvare al Parlamento: perquisizioni, domicilio coatto, tessere del pane, disarmo della popolazione, divieto a pastori e carbonai di salire sul Matese, fucilazioni (otto fucilati al Vallone di Piedimonte…). Vengono sciolte molte amministrazioni comunali. A Roccamandolfi la truppa italiana fucila un ragazzo tredicenne che possiede una pistola… Con tutto ciò piccole squadre partigiane prelevano bestiame specie al ricco proprietario Del Giudice di San Gregorio, liberale e deputato, fanno irruzione a Cusano, Gioia e Calvisi. Forze armate circondano il Matese (il cui comando sta a Capua), e l’attività partigiana diviene sempre più difficile, anche se da Roma arrivano armi e congedati del «disciolto esercito delle Due Sicilie», e ad essi si uniscono legittimisti di vari paesi d’Europa. Forniscono però la prova che la resistenza sulle montagne non è fatta da delinquenti comuni, ma da pochi audaci che hanno un’idea.

Ma ecco la guerra contro l’Austria. In previsione di una rivolta generale, il governo lascia nel Sud un’armata, pare sui 100.000 uomini. Re Francesco II dichiara che non interverrà nel conflitto con le forze partigiane: è il 26 Settembre 1866.

Nel ’67 intanto è nata la «linea del Matese» fra Piedimonte e Isernia; per spezzare in due il «fronte» dei partigiani, il generale Pallavicini sale fino al lago per preparare un colpo fatale ai «briganti» di A. Santaniello. Ma sono nemici invisibili e inafferrabili: D. Fuoco sulle montagne di Longano, C. Giordano appare a San Gregorio e a Campochiaro. Pallavicini fa bruciare le casette dei pastori, fa chiudere osterie e scafe, attua lo stato d’assedio a San Gregorio, San Polo, Guardiaregia, San Massimo e Roccamandolfi. Si chiude anche il ’67.

Nel ’68, i partigiani sono assai ridotti. Santaniello si aggira sulle montagne di Piedimonte, D. Fuoco su quelle di Roccamandolfi. Alla fine del ’68 anche la «banda» di Santaniello è dispersa, e anche quella di G. Ciccone sulle montagne di Venafro e anche le piccole squadre di A. Pace e di F. Guerra. Giordano e Fuoco non si sentono più, e in Ottobre, Pallavicini può annunziare che il brigantaggio sul Matese è distrutto. Fuoco però torna da Roma, ma è all’estremo delle forze, e di notte, il 16 Agosto ’70, l’ultimo guerrigliero del Matese viene ucciso.

 

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