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Cap. III

I FEUDATARI

(pp. 28-41)

 

(Raffaele Marrocco: Memorie storiche 03)

 

FEUDO DI PIEDIMONTE E SUO VALORE – Prima di parlare dei dominatori di Piedimonte, sarà bene – dato che la nostra è un’opera di divulgazione – spiegare al lettore il significato di alcune voci che in questa narrazione dovremo far uso.

Il « feudo », ad esempio, era una qualunque proprietà concessa dal Re a persona a lui devota, a titolo di vassallaggio, dietro giuramento di fedeltà e a prezzo del servizio militare. Questo servizio consisteva nella prestazione di una data quantità di « militi », corrispondente al valore proprio del feudo. Gli Svevi ridussero la quantità del servizio militare, dal doppio che era nel Sec. XII, al semplice valore del feudo stesso, e gli Angioini permisero il pagamento di una prestazione in denaro (adoa) sempre che il feudatario non potesse servire di persona. Feudatari erano i conti, i baroni e i militi.

Il servizio di un milite – cioè cavaliere appartenente all’ordine della nobiltà fondato soltanto sulle armi – importava la prestazione di un uomo convenientemente fornito di armi e cavallo, seguito da due scudieri che ne dovevano ugualmente essere provvisti.

Il valore di un feudo integro era calcolato nel Sec. XII a 20 once d’oro, ossia a ducati 120, pari cioè a L. 510,00 di nostra moneta; ma se si consideri il potere dell’oro in detto secolo, l’oncia valeva sei volte più. Una rendita, quindi, di 20 once d’oro – salvo particolari condizioni nella investitura del feudo – costituiva la contribuzione di un milite con scudieri ed un certo numero di uomini a piedi, chiamati servientes o villani.

Cosicché il feudo di Piedimonte, essendo di due militi, era calcolato per una rendita di 40 once d’oro, pari a L. 1020,00. Aumentata sei volte tale rendita – per il valore dell’oro in quel tempo – si ha che il nostro feudo rappresentava una rendita di L. 6120,00. E poiché questa venne allora raddoppiata, possiamo stabilire che il feudo stesso fosse calcolato, in effetti, per una rendita pari a L. 12,240,00.

 

CATALOGO DEI BARONI – Abbiamo accenni di un primo nostro feudatario nel famoso Catalogo dei Baroni. Questo è uno dei più notevoli documenti per la storia delle province napoletane, pubblicato non senza errori, dal Borrelli, dal Fimiani e dal Del Re. Trovasi trascritto nel volume segnato col numero d’ordine 242 dei Registri Angioini nel R. Archivio di Stato di Napoli. Venne illustrato da Bartolomeo Capasso che riuscì a dimostrare non essere l’originale normanno, ma una copia dei tempi di Carlo II d’Angiò, e che desso non sia un unico notamento, bensì un complesso di quaterni detti allora detari, ordinati prima del 1161 e rifatti nel 1168. Fu interpolato di nomi e notizie in tempi posteriori, ma, pare, non oltre il Sec. XII. Esso servì, secondo le conclusioni del De Petra, per conoscere la misura cui i feudatari volevano aumentare il servizio militare ordinario onde sopperire ai bisogni di una grande spedizione in Terrasanta. In seguito divenne uno dei registri amministrativi di uso continuo, per annotarvi tutte le variazioni dei feudi e dei feudatari stessi, donde le interpolazioni, le aggiunte, le correzioni e le postille.

 

INFEUDAZIONE NELLA CASA DE BUSSONO – Il primo feudatario di Piedimonte, storicamente accertato, fu il milite Novellone de Bussono, che nessuno degli scrittori nostrani ha mai menzionato. Leggiamo, per la parte a lui riguardante, nel testo dato dal Borrelli, che Novellone dichiarò essere il suo demanio di Ciperano un feudo di 10 militi, quello di Alsacauda di 3, quello di Parano di 5, quello di Piedimonte di 2, quello di Penta di 2, e quello del Quartiere di S. Giovanni di 1. In complesso 23 militi che facevano parte del suo demanio, e con l’aumento, altri 27. Tra quelli del feudo e dell’aumento: militi 50 e serventi 60. (Novellonus de Bussono, sicut ipse dixit, demanium suum de Ciperano est feudum X militum, & de Alsacauda feudum III militum, & de Parano feudum V militum, & de Pede-Montis feudum II militum, & de Penta feudum II militum, et Quarteria Sancti Iohannis feudum I militis. Una sunt de demanio suo XXIII milites, & augmentum eius sunt milites XXVII. Una inter feudum, & augmentum sui demanij milites L & servientes LX).

Rileviamo che il Novellone si trovava già infeudato di Piedimonte sotto il regno di Guglielmo II, cioè al tempo in cui costui volendo concorrere all’impresa stabilita da Gregorio VIII per la ricuperazione di Terrasanta, chiese a questo fine, ai Baroni del regno, il servizio duplicato dei loro feudi. Piedimonte, adunque, concorse alla terza crociata (1189-1192) con dodici militari a cavallo, oltre i servienti, crociata che fu diretta da Federico Barbarossa, da Filippo Augusto II di Francia, e da Riccardo I Cuor di Leone.

Cosicché possiamo stabilire che l’infeudazione di Piedimonte in Novellone de Bussono si dovette verificare verso l’anno 1168, nella maggiore età di Guglielmo II, e si protrasse fino all’anno 1189, epoca in cui egli si trovò in Terrasanta, donde, a quanto pare, non fece più ritorno. Forse rientrò nel suo dominio al termine della crociata, ma su ciò le cronache non serbano tracce. Non è improbabile che il Novellone fosse stato privato del feudo quando – morto Guglielmo II nel novembre 1189 – divenne erede del Trono, Costanza, figlia postuma di Ruggiero II, la quale sposò l’Imperatore Enrico VI, figlio di Barbarossa, e dal loro matrimonio nacque il famoso Federico II.

Rileviamo ancora che il nostro Novellone teneva in Alife un feudo del valore di un milite, com’è riportato nello stesso Catalogo dei Baroni, al cui dominio vi era un suo congiunto: Guismondo de Bussono. E poiché rinveniamo anche un Arnaldo de Buscione (Bussono), figlio di Oddone, nell’anno 1100, presente in un memoratorio riguardante il Monastero di S. Maria in Cingla di Ailano – come appare da una carta Actu Alife loco Prata anno ab Inc. MC mense Augusti VIII Ind., riportata dal Di Meo – deduciamo che il feudo di Piedimonte si possedesse già dalla Casa de Bussono verso la seconda metà del Sec. XI.

 

INFEUDAZIONE NELLA CASA SCHWEISSPEUNT – In seguito alla morte di Riccardo d’Aquino partigiano di Tancredi – morte avvenuta per condanna della Curia generale di Capua – Diopoldo di Schweisspeunt divenne Conte di Acerra, ricevendo da Enrico VI la dignità e i beni del condannato, ai quali si aggiunsero, in seguito, la contea di Alife col feudo di Piedimonte, di cui lo troviamo in possesso nell’anno 1205.

Quanto fossero tempestose le vicende di Diopoldo alloché morì l’imperatrice Costanza, ce lo affermano le Cronache di Riccardo di S. Germano e di S. Maria della Ferrara, nonché le ultime conclusioni dell’Huillard. Ambiziosissimo – dice lo Scandone – divenne il principale fautore del Gran Cancelliere Marcoaldo d’Amveiler, che tentava impadronirsi del potere. Vani però riuscirono per Diopoldo questi disegni, perché gli costarono la perdita della libertà. Infatti, un primo tentativo contro le terre di Montecassino, per invadere lo Stato Pontificio, andò fallito. Vinto, rimase prigioniero di Guglielmo Sanseverino, Conte di Caserta.

Morto costui, venne liberato dall’omonimo successore, cui Diopoldo dette in sposa una sua figliuola. Anche il papa lo liberò dalla scomunica previa promessa di non riprendere le armi contro di lui. Ma ricominciando a scorazzare per il regno, fu nuovamente scomunicato. Sconfitto dai partigiani del papa in Terra di Lavoro, combatté con varia fortuna, subendo, nel 1201, uno scacco presso Capua da Gualtiero di Brienne, e nell’anno seguente una nuova sconfitta in Puglia, ove venne fatto prigioniero e rinchiuso nel castello di S. Agata. Fuggito, ritornò in Terra di Lavoro unendosi a Marcoaldo; ma rottosi, poi, anche con costui, lo assalì presso San Germano. Nel 1204 si scontrò nuovamente con Gualtiero di Brienne a Salerno ove fu sconfitto. Ma nel giugno 1205, riordinate le sue forze, sorprese e catturò a Sarno il Brienne, che morì di crepacuore. Allora il papa si riconciliò con lui, e in questo tempo ebbe in possesso, come abbiamo detto, Alife e Piedimonte.

Nel 1207 fu per breve tempo in suo potere il piccolo Federico II e la custodia del palazzo reale di Palermo. Rimasto potente sin dopo la dichiarazione di età maggiore di Federico, si diede completamente ad Ottone IV, che, incoronato imperatore a Roma nel 1209, moveva alla conquista del regno.

In cambio di Salerno e di tutti i Castelli che possedeva nelle nostre province gli fu dato, nel 1210, il ducato di Spoleto. In tale epoca Ottone IV s’impadronì di Terra di Lavoro, ma non vi rimase a lungo, perché il papa, indignato contro di lui che non aveva rispettata la promessa di lasciare in pace Federico II, lo scomunicò, e Ottone dové ritirarsi, dopo la sconfitta patita nel 1214 da parte di Federico e di Filippo Augusto di Francia.

Ristabilitasi l’autorità dell’Imperatore, il Diopoldo, legato a fil doppio con i nemici della Casa di Svevia, tentò rientrare nel regno nel 1216, ma riconosciuto a Roma, venne tratto in prigione. Liberatosi per denaro, come afferma lo Scandone, varcò il confine l’anno seguente per riaccendere la fiaccola della guerra civile. Ma nel 1218 venne arrestato da Giacomo Sanseverino, conte di Avellino, e rimase in carcere fino al principio del 1221, quando Federico II, rientrato nel regno, si fece restituire le città di Alife e Caiazzo, occupate da Siegfrid, fratello di Diopoldo.

In questa narrazione non abbiamo notato dei particolari di un certo rilievo sulle vicende della contea alifana e quindi del feudo di Piedimonte, e cioè che Diopoldo tenne la contea stessa soltanto per poco tempo, poiché nel medesimo anno 1205, epoca in cui egli viene in possesso delle nostre Terre, « il Conte Pietro di Celano – come dice il Capecelatro che attinge da Riccardo di Sangermano – presa intanto Alife, ed assediato strettamente il castello, come udì la rovina e la morte del conte Gualtieri, lasciata libera la rocca, e posto fuoco alla Terra, incontanente di là si partì ».

Che Diopoldo tenne per poco tempo la contea ed il nostro feudo, lo dimostra il fatto che nel 1206 la prima passò ad Enrico Caetani, il quale come risulta da analogo documento, viene chiamato da Federico II « miles dilectus frater Petri Caetani Comitis Alifiæ ». Ma ne prese possesso il Caetani? Ne ebbe l’investitura? A noi non sembra che ciò siasi verificato anche perché le fonti archivistiche sono mute al riguardo.

Rileviamo ancora che nel 1221 Alife, Caiazzo e Piedimonte si trovano occupate da Siegfrid di Schweisspeunt, fratello di Diopoldo, mentre nel 1210 costui aveva già ceduti i suoi castelli ad Ottone IV per il ducato di Spoleto, e che lo stesso Ottone si ritirò nel 1214 dopo la sconfitta subita. In questo groviglio di fatti e di date, possiamo uscirne deducendo che Ottone IV, avuto il possesso di Terra di Lavoro, tenne dei presidi in Alife e in Piedimonte, comandati dallo stesso Siegfrid, il quale – anche dopo la partenza di Ottone per la Germania – seguitò a tenere in possesso le nostre contrade per secondare le mire del germano Diopoldo.

 

INFEUDAZIONE NELLA CASA D’AQUINO – Devoluta al demanio la contea di Acerra, con tutte le sue dipendenze, per la cessione che ne aveva fatta Diopoldo ad Ottone IV, e rimasta in potere di Federico II sino al 1220, fu da costui concessa a Tommaso I d’Aquino. Più tardi seguì la concessione anche di Piedimonte, ritenuta erroneamente dal Ciarlanti, dal Trutta e dagli altri nostri cronisti, come fatta invece a favore di un Pietro d’Aquino. Essa si verificò dopo l’anno 1222, perché proprio in quest’anno si ha notizia – come si legge nella Cronaca di S. Maria della Ferrara – d’avere Federico II confermato all’Abate Taddeo il molino del Torano con acquedotto e gualchiera, Campo Maggiore e Campo di Capo di Campo (Matese), Monte Peduccoli (S. Gregorio) con libero uso di pascolare, acquare e pescare nel lago Matese in Castello di Piedimonte. (Molendinum Torani cum formis et Balcatorio, Campum maiorem et campum de Capite Campi, Montem Pedduccoli, cum libero uso pasquorum lignominum aquarum et piscacionum Mathesii in Castris Pedismontis).

Di questo Tommaso d’Aquino ne sono piene le storie di quei tempi. Egli conseguì l’altissima carica di Giustiziere di Puglia e di Terra di Lavoro.

Seguì Federico II nella Crociata in Terrasanta (1227-1229) ed al ritorno, come ricorda Riccardo di Sangermano, lo troviamo in difesa dell’Imperatore contro l’esercito della Chiesa comandato dal Cardinale Pelagio.

Dopo varie vicende, perdette, nel 1229, Ailano ed Alife, meno il castello e la rocca di Piedimonte, che le schiere ecclesiastiche non riuscirono ad espugnare, come più dettagliatamente altrove diremo.

Sopraggiunta però la nuova che Federico II era ritornato in Puglia, l’esercito papale, intimorito, cominciò a sbandarsi.

L’Imperatore, intanto, da Napoli venne a Capua; passò per Calvi che assediò; indi, toccando Riardo, giunse a S. Maria della Ferrara, dove si trattenne tre giorni (settembre 1229), riacquistando, poi, varie città e castelli tra cui Presenzano, Rocca d’Evandro, Isernia, Alife, ecc. – come afferma Riccardo di San Germano (Eodem anno Imperatore varias occupat civitates et castella: Præsentianum, Roccam Bandræ, Isernia et Alife) – e costringendo il cardinale Pelagio a rifuggiarsi a Montecassino con i vescovi di Aquino e di Alife.

A Tommaso I d’Aquino – morto il 27 febbraio 1251 – successe nel nostro feudo l’omonimo nipote Tommaso II (anche costui ignorato dai nostri cronisti) per la morte di Atenolfo, figliuolo del primo, avvenuta nel 1243.

Lo Scandone afferma che Tommaso II, appena raggiunta l’età maggiore, sposò nel 1247, Margherita, figlia naturale di Federico II, divenendo, così, cognato di re Corrado e di Manfredi, e, morto l’avo, ne ereditò i titoli ed i beni. Ma se l’avo, dice il Ricciardi, lasciava un nome intemerato per la fedeltà che serbò verso il suo legittimo principe, pare che questo secondo Tommaso non ne abbia interamente seguite le orme. Fedele dapprima a Manfredi, passò dalla parte di Innocenzo IV nell’aprile 1251, e da questi ottenne la conferma degli antichi feudi, tra i quali Piedimonte.

Prima ancora della di lui morte (1273), Federico d’Aquino gli successe nel feudo. Anche di costui tacciono i nostri scrittori.

Ben poco conosciamo di questo Federico, congiunto, certamente, di Tommaso. Sappiamo che venne spogliato di Piedimonte da Carlo d’Angiò. E poiché tale avvenimento succedeva nel 1269, dobbiamo ritenere che il suo dominio nel nostro feudo avesse la durata di quattro anni solamente.

 

INFEUDAZIONE NELLA CASA DE ARGUTH – A seguito delle persecuzioni cui vennero fatti segno Tommaso e Federico d’Aquino, specialmente dal Fisco che mosse loro aspra lite, il feudo di Piedimonte venne donato da Carlo d’Angiò al milite Simone de Arguth. Tale donazione – riportata dal Ricca nell’anno 1270, e secondo un notamento del De Lellis nel registro angioino, nel 1271 – avvenne invece nel 1269, com’è detto nel Liber concessionum del citato anno (fol. 15 della Cancelleria angioina).

Chi mai sia stato questo Simone, non ci è dato saperlo, anche perché i nostri cronisti non ne hanno mai parlato. Sappiamo solo che appartenne ad una nobile famiglia francese e che fu uno dei baroni venuti al seguito di Carlo d’Angiò. Ci è ugualmente noto, come risulta dal registro angioino, che Marco di Maddaloni, agrimensore presso il Consiglio razionale, venne nel 1271 incaricato, fra l’altro, d’inquirere sui diritti e le rendite di Ailano e di Piedimonte, concessi al de Arguth.

 

INFEUDAZIONE NELLA CASA DELLA LEONESSA – I nostri cronisti, che si sono adagiati sulle assertive dell’Aldimari e del Ciarlanti, hanno erroneamente, ed anche in contraddizione tra loro, indicato, l’anno 1278 e 1292, rispettivamente, l’infeudazione di Piedimonte nella Casa della Leonessa, e propriamente in Giovanni I. Risulta invece che dessa avvenne nel 1280. A dimostrare, poi, l’abbaglio del Ciarlante, che indica l’anno 1292, sta il fatto che questo Giovanni morì nell’anno 1287, e fu tumulato in Montevergine nella cappella che per sé aveva eretta re Manfredi e che gli era stata donata da Carlo I d’Angiò, col quale aveva combattuto nella celebre battaglia di Benevento.

La famiglia della Leonesa, di origine gota, fu assai temuta nei tempi della dominazione sveva. Ebbe monete proprie perché occupando uno dei sette grandi uffici del Regno, presiedeva alla zecca. Il nostro Giovanni fu Maresciallo del Regno e Capitano Generale dei Balestrieri in Provenza.

Gli successe in questo feudo il suo primogenito Carlo, dominandovi dal 1287 a tutto il mese di luglio del 1304.

Il Carlo occupò le cariche di Gran Siniscalco e di Capitano Generale dei Presidî, nonché di Provveditore delle Fortezze. Morì il 31 luglio del 1304 e il suo corpo venne tumulato nella stessa cappella del padre in Montevergine. Lasciò la Terra di Piedimonte al suo secondogenito Giovanni, e al primo – Enrico – quella di Airola. L’infeudazione in Giovanni II, risulta da una notizia riportata nel Repertorio angioino, tratta a sua volta da un documento (fol. 30, t.) che era nel registro dell’anno 1308 E, ora mancante nell’Archivio di Stato di Napoli. E poiché questo secondo Giovanni non ebbe figli per la successione diretta, il figlio di Enrico, Roberto, divenne nel 1331, signore di Piedimonte e di Airola insieme. Cade, quindi, l’asserzione dell’Ammirato quando dice che il Giovanni II della Leonessa divise i suoi beni tra i figliuoli, assegnando a Nicola, primogenito, Piedimonte per tutto quello che eccedeva il dotario che si doveva pagare a Sveva Sanseverino già moglie di Enrico II.

 

NUOVA INFEUDAZIONE NELLA CASA D’AQUINO – Roberto della Leonessa morì, sembra, nel 1338, e gli successe nel nostro feudo la moglie Caterina d’Aquino – anche questa mai menzionata dai nostri cronisti – che vi dominò negli anni 1339-1340.

La Caterina era figlia di Bertrando, conte di Laurito. Essa aveva su Piedimonte, per suo dotario, 120 once all’anno, come risulta da un documento del Registro angioino (fol. 142, anno 1339-40, B), che pure manca nell’Archivio di Stato di Napol.

 

NUOVA INFEUDAZIONE NELLA CASA DELLA LEONESSA – Alla Caterina d’Aquino successe, nel 1341, Enrico II della Leonessa, signore di S. Martino, da cui, in linea retta, discesero i Principi di Sepino e i Duchi di S. Martino, Ceppaloni e Mirabella. Se figlio di Roberto o di altro personaggio della Casa, l’ignoriamo. Sappiamo solo che nel 1360 sposò Sveva Sanseverino.

 

INFEUDAZIONE NELLA CASA SANSEVERINO – Sveva, figlia di Roberto Sanseverino – della celebre e potente famiglia che ebbe gran parte nelle vicende del Regno, pronipote di S. Tommaso d’Aquino e zia del Re Carlo III di Durazzo – rimasta vedova di Enrico II della Leonessa, con un figlio, Carletto, successe al marito nel nostro feudo. Morto anche il figliuolo, il feudo le venne devoluto a vita, com’è riportato dal Carinci, e come risulta da documenti analoghi presso l’Archivio di Stato di Napoli.

Tra le cose notevoli da lei compiute in Piedimonte vanno annoverate la Chiesa ed il Convento di S. Tommaso d’Aquino eretti a sue spese.

 

INFEUDAZIONE NELLA CASA GAETANI – La Sveva, intanto, passò in seconde nozze con Giacomo Gaetani, conte di Fondi.

Dei nostri scrittori, alcuni assegnano la data di questo matrimonio nel 1380, altri nel 1384. Entrambe le date sono errate perché confuse con quella dell’assegnazione del feudo al Gaetani, avvenuta con Diploma di Carlo III di Durazzo a 8 settembre 1383, ratificato da Ladislao il 22 maggio 1391. Cade, quindi, anche l’asserzione del Ciarlanti che assegna l’anno 1390 l’infeudazione di Piedimonte in Giacomo Gaetani. Ad avvalorare maggiormente il nostro asserto, basterà tener presente il fatto che il terzogenito di Giacomo e di Sveva Sanseverino – Antonio Gaetani – fu nominato Patriarca d’Aquileja il 12 febbraio 1395. Riesce, quindi inconcepibile, che l’Antonio venisse elevato a tale carica tra gli undici o i quindici anni! Il matrimonio tra Giacomo e Sveva si verificò invece nel 1360, come è documentato anche nella « Caietanorum genealogia », ed essi ebbero, precedentemente ad Antonio, altri due maschi: Iacobello e Cristoforo, e posteriormente: Giovanna, Agnesella e Nicola.

Con Giacomo Gaetani, adunque, cominciò in effetti la dominazione della Casa in Piedimonte. Egli fu, quindi, della famiglia Gaetani, il primo signore del feudo. Nel 1380 si trovò con Carlo III di Durazzo, contro la Regina Giovanna I d’Angiò. Il re lo gratificò investendolo nel 1383 dei castelli di Roccarainola, Ailano, Santopadre, Pulcarino e Piedimonte, nonché della quarta parte di Spineo. Nell’agosto del successivo anno gli donò anche i castelli di Roccamandolfi e di Bassiano, nonché una parte del castello di S. Massimo ed altri beni feudali in Terra di Lavoro, oltre una pensione annua di settecento once da trasmettersi ai successori. Bonifacio IX, il 9 novembre 1389, fece dono a Giacomo Gaetani del palazzo di Roma, confiscato al germano Onorato per ribellione. Dopo la morte di costui, Giacomo ebbe la contea di Fondi, ma invece di tramandarla alla linea primogenitale, la trasferì a Cristoforo, suo secondo figlio.

Fu proprio questo Cristoforo a succedergli nella Terra di Piedimonte nell’anno 1423, divenendo il capostipite dei Gaetani d’Aragona, dei Duchi di Laurenzana e dei Principi di Piedimonte. Ricoprì l’alta carica di Gran Protonotario del Regno, nonché di Maresciallo e di Viceré in Terra di Lavoro e in Molise. Difese Roma nell’assedio del 1412. Caduto Renato d’Angiò, passò dalla parte degli Aragonesi. Morì il 9 Maggio del 1441, non già nel 1439 durante l’attacco del Castello del Carmine di Napoli, come asserisce il Castelmola nella sua Storia generale di Casa Gaetani.

A Cristoforo successe il figlio Onorato, conte di Fondi e di Morcone e I Duca di Traetto. Fu anche egli Gran Protonotario e Logoteta. Assistette, d’ordine del Re, all’incoronazione del Papa Niccolò V nell’anno 1447. Coprì la carica di Consigliere e di Presidente del Sacro Real Consiglio. Delegato a ricevere Federico III ed Eleonora di Spagna quando vennero a visitare re Alfonso li accolse nel suo castello di Fondi il 2 aprile 1452. Fu insignito dell’Ordine dell’Ermellino. Morì il 28 aprile 1491.

Onorato Gaetani, suo omonimo e nipote, figlio di Pier Bernardino, ebbe la Signoria nel nostro feudo. Fu il settimo e ultimo Conte di Fondi, Duca di Traetto, primo principe di Altamura nel 1506, Gran Protonotario e Logoteta. Sposò Lucrezia d’Aragona il 24 novembre 1493, figlia del re Ferdinando I.

 

INFEUDAZIONE NELLA CASA COLONNA – Nel 1504 s’interrompe la Signoria di Onorato Gaetani su Piedimonte, che passa nella Casa Colonna. L’avvenimento è stato ignorato dai nostri cronisti.

L’infeudazione si verificò – come risulta da documenti conservati nell’Archivio Gaetani di Piedimonte e nel Quinternone V (ora mancante), fol. 77, dell’Archivio di Stato di Napoli – perché il nostro feudo, devoluto alla Regia Corte, per ribellione di Onorato e Giacomo Maria Gaetani, fu da Ferdinando il Cattolico, con Privilegio del 28 novembre 1504, donato a Prospero Colonna, al quale il precedente re Federico – convalidando una concessione fatta verbalmente da Ferrante II – già aveva – nel 1497, donato Fondi, Traetto ed altre Terre dei Gaetani.

Onorato Gaetani impugnò la concessione, ed in ordine alla ribellione, dimostrò che dal 1501 al 1503 egli ed il fratello furono costretti a rendere omaggio a Ludovico XII, Re di Francia, perché i loro beni si trovarono nella parte del regno spettata allo stesso Ludovico nella divisione fatta da Papa Alessandro VI il 7 luglio 1501.

 

NUOVA INFEUDAZIONE NELLA CASA GAETANI – Intervenuta una capitolazione di pace tra Ferdinando il Cattolico e Onorato Gaetani, costui, nel 1507, venne rimesso in possesso di Piedimonte (come risulta dal Quinternone 54, fol. 6, dell’Archivio di Stato), meno però di Fondi, Traetto ed altre Terre. E Prospero Colonna, in cambio della restituzione di Piedimonte e di altri fondi, ebbe dal Re Caramanico, Agnone ed altre Terre in Abruzzo.

Onorato seguì Carlo V, e si trovò nella celebre battaglia di Pavia ove fu fatto prigioniero Francesco I, re di Francia, tradotto in Spagna dallo stesso Onorato ed a proprie spese.

A costui successe il figlio Ferdinando, che coprì la carica di Governatore di Capitanata e Molise.

Al Ferdinando seguì il figlio Giovanni, ed a costui, Luigi Gaetani, figliuolo di Scipione: indi Alfonso, fratello di Luigi. Questo Alfonso fu il primo Duca di Laurenzana, per aver acquistata quella Terra per duc. 39 mila, come risulta dall’istrumento per Not. Schiavello di Napoli stipulato nel 1606. A tale acquisto fu impartito il Regio Assenso dal Viceré Giovanni Alf. Pimentel de Erera in nome di Re Filippo. Il possesso della Terra di Laurenzana avvenne nello stesso anno 1606, e contemporaneamente essa venne fittata, per ducati annui 3315 ad Ettore de Ruggiero e ad Enrichetta Carafa. Il 9 marzo dell’anno seguente Re Filippo diede esecuzione al Privilegio col quale aveva concesso ad Alfonso Gaetani il titolo di Duca di Laurenzana. Questo feudo venne poi ceduto a Luigi Barone in cambio della Terra di Gioia, dallo stesso posseduta, e sulla permuta fu impartito il Regio Assenso dal Re Filippo IV il 22 marzo 1645.

Francesco Gaetani, figlio di Alfonso, secondo Duca di Laurenzana, successe al padre nel feudo di Piedimonte, del quale – a seguito di lite con la cugina Camilla Gaetani che ne pretendeva il possesso – ebbe concessione mercé privilegio del 30 gennaio 1618, riconfermato con Diploma di Filippo III in data 22 dicembre 1620, dato a Madrid, ed esecutoriato in Napoli il 20 aprile 1626.

Un altro Alfonso Gaetani, figlio di Francesco, terzo Duca di Laurenzana, lo seguì nel feudo. Questo Alfonso portò al massimo sviluppo le industrie della Casa, come altrove diremo. Andò in Fiandra al servizio della Spagna e nel 1645 morì a Madrid, presso la Corte.

Un altro Francesco Gaetani, figlio di Alfonso, ebbe la Signoria su Piedimonte. Egli fu quarto Duca di Laurenzana. Morì celibe, dopo nove anni dalla morte del padre. Questo Francesco fu il primo della famiglia Gaetani che ebbe il titolo di Principe di Piedimonte con anzianità al 1506 (in luogo di Altamura) come da privilegio di re Filippo in data 21 novembre 1624.

Gli successe Antonio Gaetani, suo germano, quinto Duca di Laurenzana, che sposò Cecilia Acquaviva della quale ci occuperemo. Quest’Antonio, nonostante che Casa Gaetani figurasse sin dall’anno 955 tra le patrizie del regno, come fra quelle del Sedile di Forcella nell’anno 1150 e fra le altre del Sedile di Nido nel 1634, mosse causa nel Collaterale a fine di ottenere il trattamento di personaggio di sangue reale, dimostrando non soltanto il parentado con Lucrezia d’Aragona, ma di avere avuto, fra gli antenati, due pontefici, Gelasio II e Bonifacio VIII. Il Collaterale gli fece diritto con decisione del 6 ottobre 1665.

A lui seguì il figliuolo Niccolò Gaetani, che fu sesto Duca di Laurenzana, Carlo VI, con privilegio in data 2 novembre 1715, spedito da Vienna, gli confermò il titolo di Principe di Piedimonte, da godersi in perpetuo dai suoi eredi e successori. Coprì il grado di Tenente Generale, ed ebbe il trattamento di Grande di Spagna. Sposò Aurora Sanseverino. Morì senza discendenti maschi.

Gli successe nel feudo suo nipote Giuseppe Antonio, figlio di Francesco. Fu egli settimo Duca di Laurenzana. Da Ferdinando I di Borbone venne nominato Giustiziere del Regno e nel 1777 chiamato a far parte della Real Camera, quale Gentiluomo con esercizio.

Ebbe la successione nel feudo suo figlio Nicola, ottavo Duca di Laurenzana.

Quantunque dopo Onorato Gaetani, figlio di Cristoforo, non vi fosse stata più alcuna nomina di Protonotariato del Regno (questa carica era ritenuta ereditaria nella Casa Gaetani per concessione di Alfonso I d’Aragona), Ferdinando I di Borbone, la concesse al Nicola nell’anno 1787.

Ultimo Signore di Piedimonte fu Onorato Gaetani, nono Duca di Laurenzana. Fu Ministro di Stato, Luogotenente Generale in Sicilia, Gentiluomo di Camera, Gran Croce dell’Ordine Costantiniano e di Francesco I, Cavaliere della Legione d’Onore, Cavallerizzo della Regina e Socio di Accademie letterarie e scientifiche nazionali ed estere. Si schierò a favore della Repubblica Napoletana e la sua testa corse pericolo quando fu sottoposto a giudizio statario ordinato nella restaurazione del 1800. Ottenne la grazia sovrana, ma fu esiliato nell’isola di Pantelleria, donde lo tolse Gioacchino Murat che lo nominò Prefetto di Napoli. Indi ottenne la carica di Consigliere di Stato. Rientrati i Borboni, nel 1816, fu perdonato dal Re e nominato Gentiluomo di Camera con esercizio. Da Ferdinando II venne nominato, nel 1831, Ministro Consigliere di Stato, indi Luogotenente Generale in Sicilia nel 1837.

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La Casa Gaetani o Caetani, dicono i cronisti, sembra traesse origine da Annecchino Goto, il quale, nell’anno 773, fuggendo le turbolenze che agitavano la Spagna, emigrò in Italia, stabilendosi nella Campania Felice. Giovanni, un suo discendente e potente Capitano, fu innalzato alla dignità di Patrizio da Giovanni Picingli, Patrizio greco, per toglierlo dalla lega che aveva fatto coi Saraceni. Pervenne Giovanni ad essere Duca di Gaeta e con l’aiuto del Pontefice Giovanni X, e di altri potenti signori, scacciò i Saraceni nell’anno 915. Da questo Giovanni discesero, poi, i Duchi di Gaeta, i quali, dal nome della loro patria, si dissero Gaetani o Caetani, nome che tramandarono ai loro discendenti.

Vogliono altri storici che la famiglia Gaetani fosse, invece, originaria di Anagni, sortita dalla famiglia Anicia, romana, dalla quale uscirono anche la Francipane, la Pierleone, l’Aquino e la Casa Imperiale d’Austria.

In effetti questa famiglia discende dagli antichi Duchi e Consoli di Gaeta, e di questa origine se ne ha traccia nel Codex Caietanus, e propriamente in una pergamena dell’anno 839, che è il primo documento storico che si conserva.

La famiglia Gaetani ha goduto nobiltà in Spagna, Napoli, Roma, Anagni, Benevento, Messina, Siracusa, Palermo, Firenze, Orvieto, Sessa, Gaeta, Tricarico, Udine e Pisa. In quest’ultima città fu con la Gherardesca, la Sigismondi e la Gambacorta, una delle quattro primarie.

Si divide in diversi rami, dei quali uno da Pisa passò in Messina in tempo di Guglielmo il Malo, condottovi da Guglielmo Gaetani.

La famiglia fu ricevuta nell’Ordine di Malta nel 1416. Ottenne il Grandato di Spagna e fu insignita degli Ordini del Toson d’Oro e di Santo Stefano.

Ha posseduto centoquarantanove feudi, ed ebbe per Contee: Alife (1206, 1466 e 1600), Buscemi, Campagna, Caserta (1294), Civita Lavinia, Fondi, Traetto, Venafro (1796); per Marchesati: Antello (1649), Bellante, Biccari, Castellontano, Cirigliano, Cisterna, Marca d’Ancona (1293), Miligie, Sortino (1602), Telese (1293); per Ducati: Laurenzan (1606), Gioia, Miranda, Sammarco, Sermoneta (1298), Traetto (1380), Valverde (1715); e per Principati: Altamura (1506), Cassero (1631), Piedimonte, invece di Altamura, e Teano.

Ebbe anche due Pontefici: Gelasio II e Bonifacio VIII, nonché Cardinali, Viceré, Dogi, Generali, Straticò, Consoli, Senatori, Capitani Generali, Gran Camerlenghi, Vicari, Patriarchi, Luogotenenti, Consiglieri d’Impero, Governatori, Giustizieri, Gran Camerari, Protonotari, Gran Protonotari, Marescialli di Campo, Cavalieri di vari Ordini, ecc. ed imparentò con le principali famiglie italiane e straniere.

Per quanto si sa dell’arme gentilizia con cui si fregiarono i Gaetani, fu Papa Bonifacio VIII (Benedetto Caetani) che adottò per stemma la figura di due onde in ricordo di due battaglie vinte dai suoi antenati contro i Saraceni, poiché solo dalla sua epoca esse si trovano negli scudi di famiglia.

Il pronipote di Bonifacio VIII, Goffredo, figlio di Pietro, Conte di Caserta, divenuto Conte di Fondi pel matrimonio con Giovanna dell’Aquila, Contessa di Fondi, fu il primo Gaetani che inquartò alle onde l’aquila d’argento, impresa della famiglia dell’Aquila. Oggi questo scudo è comune soltanto ai due rami Sermoneta e Laurenzana, perché i figli di Giacomo Gaetani e di Sveva Sanseverino, pronipoti di Giovanna dell’Aquila, sono gli stipiti dei due rami.

Onorato II Gaetani, IV Conte di Fondi, Signore di Piedimonte, figlio di Cristoforo, e nipote per linea retta di Giacomo, fu quegli che ebbe da Ferdinando I (1466) il privilegio di usare lo stemma reale aragonese in aggiunzione al suo. I suo discendenti sono unicamente gli attuali componenti del ramo Gaetani dei Duchi di Laurenzana.

Perciò delle due famiglie Caetani o Gaetani – Sermoneta e Laurenzana – l’una, la Sermoneta, ha per stemma le onde inquartate con le aquile; l’altra, la Laurenzana, ha diritto, per il privilegio di Ferdinando I, di aggiungere allo scudo Gaetani-Dell’Aquila, quello aragonese.

Lo stemma di Casa Gaetani figura anche nella sala dell’armeria del Palazzo Reale di Capodimonte (Napoli) unitamente a quelli di Savoia, Normanno, Angioino, Aragonese, Farnese ed altri, dove Umberto I volle si collocassero per ricordare le tradizioni cavalleresche delle case patrizie napoletane.

La Casa Gaetani, infine, ebbe anche monete con l’arme di famiglia. Ne usò Antonio Gaetani, terzogenito di Giacomo, quando fu nominato Patriarca di Aquileja. I tipi conosciuti sono i seguenti denari:

1)      D. Stemma (due onde poste in banda).

R. Gran croce che taglia la leggenda, accantonata da quattro rose.

2)      D. Stemma (c. s.) con cimiero tra A-N che taglia la leggenda.

R. Aquila e leggenda.

Enrico Caetani (1550-1599) del ramo Sermoneta, al tempo in cui fu Cardinale di Bologna, usò anch’egli una moneta d’argento avente nel:

            D. Scudo di Sisto V con leggenda.

            R. San Petronio con due scudetti, l’uno a s. di Casa Caetani, l’altro a d. della Città di Bologna.

L’ultima moneta, e l’altra indicata al numero 2, sono conservate nel Museo Civico di Piedimonte.

 

ELENCO GENERALE DEI FEUDATARI DI PIEDIMONTE – Avendo parlato della successione feudale, diamo ora un elenco, pressoché esatto, di tutti i feudatari di Piedimonte con l’indicazione, per ciascuno, dell’epoca d’infeudazione. Dobbiamo però avvertire che i diversi autori che hanno scritto sui nostri feudatari, specie su quelli appartenenti a Casa Gaetani, non sono stati precisi nel fissare le date d’investitura. Hanno, anzi, così ingarbugliato l’ordine della successione, da indurci ad un lavoro difficoltosissimo per distrigarlo e per compilare l’elenco.

  1. Anno   1168    Novellone de Bussono
  2.           1205    Diopoldo di Schweisspeunt
  3.           1223    Tommaso I d’Aquino
  4.           1251    Tommaso II d’Aquino
  5.           1265    Federico d’Aquino
  6.           1269    Simone de Arguth
  7.           1280    Giovanni I della Leonessa
  8.           1289    Carlo della Leonessa
  9.           1304    Giovanni II della Leonessa
  10.           1331    Roberto della Leonessa
  11.           1339    Caterina d’Aquino
  12.           1341    Enrico II della Leonessa
  13.           13..      Sveva Sanseverino
  14.           1383    Giacomo Gaetani
  15.           1423    Cristoforo Gaetani
  16.           1441    Onorato I Gaetani
  17.           1491    Onorato II Gaetani
  18.           1504    Prospero Colonna
  19.           1507    Onorato II Gaetani
  20.           1528    Ferdinando Gaetani
  21.           1554    Giovanni Gaetani
  22.           1563    Luigi Gaetani
  23.           1606    Alfonso I Gaetani
  24.           1618    Francesco I Gaetani
  25.           1626    Alfonso II Gaetani
  26.           1645    Francesco II Gaetani
  27.           1653    Antonio Gaetani
  28.           1704    Niccolò Gaetani
  29.           1741    Giuseppantonio Gaetani
  30.           1782    Nicola Gaetani
  31.           1805    Onorato Gaetani

 

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