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Cap. I

PIEDIMONTE E SUE ORIGINI

(pp. 9-21)

 

(Raffaele Marrocco: Memorie storiche)

 

PIEDIMONTE CELEBRATA DA POETI – Dalle coste del Muto e del Cila, ammantate di folti uliveti, sino al piano, ove in due nastri d’argento serpeggia il Torano, si stende Piedimonte d’Alife. Nella sua posizione incantevole tra le fresche aure ed il mormorio delle limpide sue acque sorgive, essa è stata celebrata da non pochi poeti. Il cantore di Mirzia – Ludovico Paterno – quando scrisse che la

natura non creò più verdi poggi

né valli più fiorite e colli allegri

 

non proclamò che una semplice verità, perché Piedimonte è in effetti uno dei più belli e più ridenti paesi di Terra di Lavoro, com’è anche cospicuo e fiorentissimo pei suoi numerosi edifici, per la sua modernità e per la sua operosa vita industriale.

 

RIONE S. GIOVANNI – Soltanto il rione S. Giovanni presenta, con le sue viuzze strette e ripide, con le sue case basse e con le sue antiche porte, un aspetto medioevale. Conserva tuttora l’antica Pieve, la sua piccola piazza, e i suoi caratteristici edifizi: il palazzo De Forma, ove ebbe i natali il famoso Giovanni che fu Presidente della Sommaria e Governatore di Sulmona; quello della famiglia Paterno ove nacque il celebre Ludovico, che scrisse originali poesie sullo stile del Petrarca, e, fra gli altri, il palazzo Gaetani grandioso ed imponente.

 

VALLE DEL TORANO – Giù ad oriente giganteggia la bella Valle del Torano, ove, da un crepaccio, sboccano, rumorose e spumeggianti, le limpide acque, che, dopo sinuosi giri tra macigni caduti dall’elevato roccioso, scorrono con chiocchiolio sinfonico e festoso. Alla canzone dei

 

puri e limpidi cristalli

 

risponde lo zirlìo dei grilli od il flautato fischio del merlo, sì che tutto un armoniosissimo concerto echeggia nell’incantevole valle.

I verdi Iddii delle acque canore e le Naiadi delle opaline nicchie muscose, oh! quanto hanno implorato perché la vergine forza del Torano avesse prodotto ricchezza! E Pane, il vecchio Genio, sembra ancora oggi cantarne il trionfo, poiché proprio il Torano rese feconde e ricche le nostre contrade.

Il Torano! Quanta poesia e quanti ricordi in questo nome!

Esso non è derivato da quello di un ignoto condottiero sannita, Tauro, com’è stato scritto, ma probabilmente dal leggendario toro che, secondo il Mommsen, avrebbe guidato i Sabini nel Sannio, e da essi sagrificato a Marte nel luogo stesso dove si fermò (Boiano), e dove i Sabini, secondo Strabone, si stabilirono. Ma anche questa leggenda è ormai sfatata, non trovando appoggio nei dati archeologici.

Noi riteniamo invece che  il nome derivi dalla mitologia greca, e propriamente da quando, oltre duemilatrecento anni or sono, i Greci abitarono queste contrade. Il didramma di Alife, pur essa bagnata dal Torano, ce ne dà la prova col portare nel rovescio la figura del toro androprosopo col quale quei dominatori simboleggiarono il nostro fiume. La mitologia greca, infatti, aveva immaginati i fiumi ora in figura di uomini, ed ora in figura parte di animali (tori, serpenti, cinghiali, ecc.) e parte umana. Più frequentemente i fiumi ebbero la forma di toro a faccia umana, donde gli epiteti dati loro di « taurrimorfi » da Greci, e di « tauriformes » dai Latini. E siccome i fiumi erano, specie pei Greci, benèfici apportatori di fecondità ai terreni, divennero oggetto di vero culto e in loro onore s’innalzarono tempî e si compirono sacrifizi.

 

VALLE PATERNO E RIONE VALLATA – Ad occidente, poi, la storica Valle Paterno – ove nell’anno 533 di Roma (221 a.C.) rintronarono i clamori della seconda guerra punica – completa il paesaggio, poiché sotto di essa si stende il rione Vallata, staccato dal corpo della città dal corso del Maretto. In questo rione nacque Vincenzo De Franchis, il più grande giureconsulto del Sec. XVI.

Ricco di caseggiati e di popolazione, il rione non conserva più la sua antica Porta ove, sino al 1792, veniva pagato il « passo », ed ove è ora una piazza cui si perviene dal lungo ed ombroso « Viale dei Pioppi ».

 

ANTICHE TRADIZIONI – Sulle origini di questa piccola città, già del Sannio Pentro, esiste un’antica e costante tradizione. Essa afferma che Piedimonte sarebbe stata fondata dagli Alifani man mano che, scampando alle espugnazioni, devastazioni e saccheggi della loro città, si ritiravano in questa contrada. Afferma pure che divenne il borgo maggiore e più importante di Alife, principalmente per la sua ubicazione a pié del Matese, e propriamente sulla strada maestra attraverso la quale comunicavano i popoli sanniti. Il Trutta, che riporta le tradizioni, le ritiene per vere, ed, a conferma, elenca numerosi avanzi di antichità e d’arte rinvenuti in Piedimonte.

 

MURA CICLOPICHE – Queste tradizioni però non rispondono a verità che in parte, poiché sorprendenti vestigia, sfuggite a quanti si sono occupati della storia locali, dimostrano invece che Piedimonte ha avuto una più antica origine. Tali vestigia, site a un di presso ove si stende la città, sono rappresentate da grandiose murazioni che lo stesso Trutta non classifica, ma che lascia intendere siano state dei fortilizi romani. Esse, invece, per il loro carattere costruttivo, rivelano lo stile così detto ciclopico dei primitivi popoli italici. Rinserravano, se non una città vera e propria, un villaggio, l’arx o l’acropoli di esso, come diremo.

Si trovano alle falde e sul pendio del monte Cila.

Il Cila (m 677 sul liv. del mare), sovrasta Piedimonte, ha la forma di una piramide tronca, con una base lunga oltre un chilometro e mezzo. È attraversato orizzontalmente dalla strada interprovinciale N. 76 per il Matese, ed in linea verticale dalla condotta forzata dell’impianto idro-elettrico della Società Meridionale di Elettricità.

Nel tempo stesso che in origine rappresentava un punto di osservazione per vigilare la pianura alifana, costituiva anche una formidabile difesa per le sue opere ciclopiche, senza le quali esso sarebbe stato aperto alle eventuali incursioni od assalti dal lato meridionale che guarda il piano.

Le murazioni comprendevano tre circuiti: uno alle falde, a circa una trentina di  metri dall’attuale piano; un secondo a circa ottanta, ed un terzo ad oltre trecento metri dal piano stesso. Questi circuiti cingevano tutto il fronte del Cila, con uno sviluppo, in allineamento, di circa settemila metri, terminanti ai fianchi del monte, verso due profondissime valli: Val Paterno e Valle del Rivo.

Il primo circuito aveva, in origine, la stessa lunghezza della base del monte (un chilometro e mezzo) ed era costituito da una duplice cinta, cioè da due muri paralleli a distanza tra loro di m 15 verso la parte mediana e di 7 nell’estremità. Questa prima cinta, per quanto se ne ammirino quattro frammenti cospicui, è quella meno bene conservata, perché in parte franata ed in parte manomessa a scopo edilizio. I ruderi si trovano nell’uliveto della Società Meridionale di Elettricità (già Riselli), tra la condotta forzata ed una cava, e propriamente al disopra della strada « Madonna delle Grazie » (diramazione per S. Nicola), e nell’uliveto di Laura Fantini, al termine di questa diramazione ed all’inizio della strada vicinale « Cila ».

Il secondo circuito aveva uno sviluppo approssimativamente uguale al primo, ed era anch’esso costituito da due muri paralleli che serbavano tra loro una quasi identica distanza di quella precedente, come a Megara e sull’arce di Vetulonia, in Etruria. Di tale circuito si conservano imponentissimi e numerosi ruderi a sinistra della cennata condotta forzata, e propriamente negli uliveti degli eredi del conte Luigi Gaetani, Marcellino Greco, e Raffaele Medoro. In qualche tratto questi ruderi mantengono un’altezza di circa nove metri, prossima all’originaria, fornendo esempi interessantissimi di costruzione ciclopica assai più belli e più imponenti di quelli di Cori e di Segni.

Il terzo circuito è ad un solo muro, non bene conservato in altezza. Si trova negli uliveti del Prof. Luigi Marsella e di Giuseppe Boggia fu Giovanni. Aveva, in origine, uno sviluppo di quasi mille metri.

Le murazioni sul Cila, dello spessore di circa due metri, sono del tipo ciclopico più arcaico, a massi erratici o di cava, con blocchi irregolari, senza cioè segni di squadratura o di rifinitura. Al presente sostengono i terreni sovrastanti perché non franassero, ed i blocchi – ve ne sono numerosissimi che vanno oltre la tonnellata – si sostengono a loro volta pel proprio peso, senza tracce di malta. Le murazioni conservano, inoltre, un aspetto ferrugigno per l’azione millenaria degli agenti esterni.

Che desse siano servite, in tempi posteriori alla loro fondazione, ad uso fortilizio, come il Trutta afferma, non vi è dubbio. Ne abbiamo la prova in Livio (lib. 22) quando dice che Fabio Massimo (533 di Roma) mosse il campo (da Casilino) ed uscendo dagli stretti passi, si fermò sopra Alife in luogo alto e fortificato (Fabius quoque movit castra: transgressusque saltum super Allifas loco alto ac munito consedit); e siccome sulle montagne in vicinanza di Alife non si sono rinvenuti avanzi di costruzioni difensive, è chiaro che Livio allude proprio alle murazioni sul Cila.

 

IL VILLAGGIO, L’ARX O L’ACROPOLI – L’affermazione di poc’anzi che le nostre murazioni rinserravano un villaggio, l’arx o l’acropoli di esso, non è fatta a caso, comprovandolo, innanzi tutto, le stesse murazioni, le quali – situate nel modo descritto – non potevano avere che uno scopo ben determinato: la difesa di un passo e di un paese. La prova palmare ce l’offre il terzo circuito (uliveti Marsella e Boggia) che racchiudeva, appunto, l’arce o il centro, per così dire, delle piccole tribù di pastori sparse nei dintorni e sul pendio della montagna. Le primitive popolazioni italiche usavano, infatti, riunirsi in tante leghe parziali (foedera) che avevano per centro un’altura fortificata (arx), ove le tribù dei pagi e vici circostanti convenivano per il mercato, per i sagrifizi, per l’amministrazione della giustizia, ed ove, in caso di guerra, potevano trovare rifugio col bestiame.

Le tracce di quest’arce si trovano sulla vetta, e propriamente sopra due falsi piani del demanio comunale. La enorme quantità di schegge calcaree che si rinviene sulla superficie del terreno roccioso, lascia comprendere che ci troviamo in presenza di uno spianamento ottenuto artificialmente come si usava nel neolitico ed anche nei primordi dell’età del ferro. I due piani sono intersecati da una rete di mura a secco fatta di macerie e schegge calcaree, elevate sul terreno da m 0,50 a 1,50. In queste mura vediamo come la pianta di una serie di costruzioni rettangolari, con le stradette relative, come a Satricum nel Lazio. Esse non rappresentano che la zoccolatura di capanne preistoriche, che, com’è risaputo, erano formate di pali intrecciati di vegetali – rami e giunchi – e intonacati di argilla o terra, sì che gli intrecci, così fatti, costituivano le pareti delle capanne. Di questo sistema di abitazioni, che, ripetiamo, fu generalmente in uso dal neolitico all’età del ferro, non mancano esempi anche a noi vicino, come a Sepino.

 

LE STRADE DEL VILLAGGIO PREISTORICO – Due strade principali, lunghe, larghe e parallele, dovevano essere certamente quelle che passavano tra le duplici murazioni dei due primi circuiti, ma esse, oggi, non vengono più ravvisate perché il terreno che le ricopre è coltivato.

Abbiamo però tracce evidenti di tre stradette in salita.

Una, che è denominata « Madonnella », s’inizia a zig-zag di sopra la contrada San Nicola, nell’estremo abitato di Piedimonte; tocca i terreni d’Agnese-Torti, De Chiro, Zazzarino e Marsella, e si congiunge con la vicinale « Graro ». Dopo questo incrocio si riversa a sinistra, e attraversando i terreni Marsella, Spinosa e Della Paolera, s’innesta alla vicinale « Croce ». Indi, toccando i terreni Di Lorenzo e d’Errico, nonché un bacino della Società Meridionale di Elettricità, va a terminare sulla vetta.

La seconda, a sinistra della chiesa ed ex convento di S. Maria delle Grazie, parte dalla vicinale « Martino », tocca i terreni De Vincenzo, Gaetani, Greco e Della Villa e va ad incrociarsi con la vicinale « Cila ». Indi salendo per una insenatura, accosto al villino Iasillo, e tagliando la interprovinciale N. 76, si unisce alla vicinale « Croce », che, come si è detto, va a terminare sulla vetta.

La terza stradetta parte da Val Paterno, attraversa gli uliveti Sposato e De Gregorio, e va ad unirsi alla vicinale « Cila », presso l’uliveto Vastano.

 

LA POPOLAZIONE CHE ABITÒ IL CILA – Dal carattere costruttivo delle murazioni e dell’arce sulla cima, nonché dal ritrovamento di manufatti in selce, di ceramica preistorica, e di una quindicina di tombe alle falde della montagna venute in luce pochi anni or sono, durante cioè i lavori di derivazione delle acque del Lago Matese – tombe manomesse, allora, dagli operai, con dispersione degli scheletri, e che, dalla descrizione fattacene, comprendemmo fossero parte di un sepolcreto neolitico – risulta evidente che il Cila era abitato da una popolazione osco-sabellica, anche perché, almeno per quanto si è scritto sull’argomento, tribù di altre stirpi italiche non si diramarono nelle nostre contrade. Che fosse abitato, lo si desume anche dall’oculatezza che quella popolazione ebbe nella scelta del luogo per la costruzione delle cinque cinte murarie, del villaggio e dell’arce; dallo spirito d’iniziativa nel trarre partito delle risorse naturali del luogo, tra cui le due sorgenti, l’una sottostante (Maretto), l’altra a nord-est (Torano), e perché miglior sito non potevano prescegliere per dimora e difesa insieme.

 

RINVENIMENTO DI MANUFATTI – La miglior prova delle nostre affermazioni trova riscontro nel materiale archeologico, rinvenuto fino al 1924, conservato nel Museo Civico. Riguarda, in maggior parte, l’industria della ceramica, coeva e posteriore alle murazioni. Eccone l’elenco e la descrizione:

a)      Due punte di freccia, del periodo neolitico, levigate, con peduncolo ed alette.

b)      Boccale – alt. 0,25, circonf. 0,63 – di argilla giallo-scura, lavorato a mano, e cotto al sole. Ha un’ansa cilindrica che parte dall’orlo e termina all’inizio della pancia. Il collo va gradatamente restringendosi verso l’orlo. È liscio senza decorazioni, e di fattura trascurata.

c)      Vaso – alt. 0,30, circonf. 0,75 – di argilla frammista a terra, lavorato a mano. È decorato verso l’apertura da un’applicazione a striscia con ondulazione sinuosa formante quattro piccole anse a labbro.

d)      Vaso – alt. 0,22, circonf. 0,54½ - simile al precedente.

e)      Vaso alt. 0,16½, circonf. 0,45 – simile al precedente, meno in una delle anse che si prolunga a nastro incurvato.

f)        Vaso – alt. 0,12½ circonf. 0,47 – di argilla chiara, cotto a fuoco, lisciato senza stecca. Ha un’applicazione simile a quella del vaso c).

g)      Boccale – alt. 0,20 circonf. 0,45 – di argilla chiara. È lavorato a mano, liscio, cotto a fuoco. Ha un’ansa a nastro, che dall’orlo scende fino all’inizio della pancia. È di fattura rozza.

h)      Orciuolo – alt. 0,14, circonf. 0,57 – in bucchero cinereo formato di argilla frammista a cenere finissima e cotto con preservazione dal contatto dell’aria. È a fiasca schiacciata e sferoidale, con pareti sottili, sonanti, ben cotte, lisciate. Ha due anse a nastro che partono dall’orlo e terminano alla pancia. È decorato con due circoli concentrici, punteggiati (pointillé), di cui uno sotto il collo, l’altro sulla pancia, racchiudenti degli angoli a triplici lati, anch’essi punteggiati. Questo bucchero è raro ed appartiene al periodo di transizione fra l’età neolitica e la successiva eneolitica.

i)        Piccolo boccale – alt. 0,12, circonf. 0,25 – in bucchero cinereo bluastro, formato di argilla impastata con cenere finissima, pure cotto con preservazione dal contatto dell’aria. È decorato di angoli acuti, a triplici lati, graffiti sottilmente con unghia. Anche questo bucchero è raro ed è dell’età neolitica.

l)        Testa in terracotta di fattura osca, vuota all’interno. Alle tempie ha due piccoli fori.

m)    Faccia di Apollo arcaico, in terracotta, di fattura greca.

n)      Lucerna in terracotta ad un’ansa con occhiello. È decorata, di sopra, con punteggiatura a rilievo. Sotto, entro un disegno a mandorla, stampigliato, porta il nome: KEΛCEI, anch’esso stampigliato, che è il nome del fabbricante.

o)      Mezzo obolo di Fistelia: D. Testa imberbe e capelli corti arricciati; R. Spiga di orzo racchiusa in un mollusco, e sopra leggenda osca retrograda: ZIVVTZI8.

p)      Piccola borchia rotonda in lamina di bronzo con busto femminile diademato a d., ed acconciatura greca, nel cui campo vi sono delle stelline a cinque punte.

Orbene, questi ritrovamenti comprovano che entro le mura del Cila si stabilì effettivamente una popolazione primitiva italica; che dessa ebbe, nei secoli successivi, rapporti commerciali con altri popoli viciniori, e cioè Etruschi, Greci e Campani, e che nel III Sec. avanti l’E.V. era in gran parte ancora sulla montagna, come dimostra la monetina di Fistelia, che è, appunto, di quel secolo (380-350).

 

NOME DEL VILLAGGIO PREISTORICO – Qual nome avesse, poi, il villaggio preistorico sul Cila, nulla ci è dato riferire, né riteniamo cosa seria azzardare delle ipotesi.

Nessuno degli antichi storici o geografi ha mai fatto parola di questo villaggio, né desso si trovò esistente ai tempi di Livio, ché in opposto ne avrebbe fatto menzione. D’altra parte siamo privi di qualsiasi elemento epigrafico che potesse dare qualche vago indizio. Non crediamo neppure il caso di supporre che il villaggio sia stato una più antica Alife, perché, in tal caso, Diodoro Siculo, Strabone, ecc., ne avrebbero parlato, come parlano dell’Alife situata nella pianura. E ammesso anche che l’arce sul Cila sia stata un’arce alifana, l’ipotesi non reggerebbe lo stesso se si consideri che le murazioni nostre, del tipo ciclopico arcaico, sono anteriori ad Alife. La questione del nome, adunque, resterà insoluta per del tempo, e potrà forse, risolversi soltanto mercé eventuali ritrovamenti epigrafici.

Possiamo da ciò trarre queste conclusioni, e cioè che gli uomini che abitarono il Cila scesero giù, alle falde della montagna, dando origine al borgo che si trasformò nell’attuale Piedimonte. La tradizione, quindi, che afferma esser stato il nostro paese il borgo maggiore e più importante di Alife, va corretta nel senso che gli Alifani, più che a fondare Piedimonte, l’ingrandirono e ripopolarono man mano che, scampando agli incendi, devastazioni e saccheggi della loro città, si ritiravano in questa contrada.

 

ISCRIZIONI IMPERIALI – Ritornando sull’argomento relativo all’esistenza di Piedimonte in tempi remoti, altre testimonianze ce ne danno conferma, cioè alcune iscrizioni dell’epoca imperiale rinvenute proprio nel nostro abitato. Queste iscrizioni non vi furono trasportate da Alife, ma fortuitamente rinvenute, tanto vero che il Trutta ed il Mommsen – pure attribuendole ad Alife – non le citano provenienti da quella città, come fanno con altre rintracciate in Piedimonte.

Le iscrizioni, poche invero, sono onorarie e sepolcrali.

Le seguenti, ad esempio, furono trovate tra le rovine dell’antica chiesa di S. Maria Maggiore:

1)      GERM... / DIVI.AVG... / AVGVR...

2)      L. PACILI... / LABEO...

 

Queste altre nella contrada Coppetelle o San Nicola (Cila):

3)      T. IVLIO. DEXTRO / FILIO DVLCISSIMO / ADOLOS. PIENTISSIMO / QVI. VIXIT. ANN... / MEN. V / IVLIA. TATIANA / MATER / M. P.

4)      VITALI. ÆDIAE. / SERVILIÆ. SERVO / VIX. AN. XXIV

 

Presso il Monastero delle Benedettine, nel rione Vallata :

5)      M. A... / ÆDIV... / DESTI... / TI. C...

6)      ...DIVS. M. F. BA... / ...I. CÆSARIS AVGVSTI

 

Anche nello stesso rione Vallata:

7)      FABIA. M. L. LEVCA / SIBI. ET / L. AVRVNCVLEO. FAUSTO / FABIÆ. C. L. VENVSTE / FABIÆ. C. L. PRIMÆ / TESTAMENTO

8)      D. M. S. / C. FADIO. SVCCESSO / FADIA. FELICITAS / CONIVGI. BENE / MERENTI / FECIT

9)      D. M. / C. FADI. FELERNI / VIXIT. ANNIS. DV / OBVS. MENSIS. V / DIEBVS. XX / FADIA. STEPHANIA / MATER / PIENTISSIMA

10)  PLOTIAE. P. F... / D. D.

11)  P. FVFICIO P. F. POLLION / FILIO. MEO / CN. CLVVIO. C. F. VIRO / AHERNIA. C. F. RUFA / FECIT. H. M. H. N. S.

 

Quest’ultima è stata rinvenuta di recente nel rione S. Giovanni:

12)  D. M. S. / NVMISIAE DIAE / CONIVGI QVAE VIXIT / ANNIS XXXV M III / ET PLOTIAE TERTVLÆ / ...

 

L’iscrizione è in marmo ed inedita, cioè sconosciuta agli epigrafisti. Trovasi conservata nel Museo Civico di Piedimonte.

 

ANTICHI ACQUEDOTTI – Altre prove vengono a sostegno del nostro argomento: gli antichi acquedotti. Dei cinque che ne enumera il Trutta, « due avevano principio alle radici del Cila, da una delle due fonti del Torano, ed un terzo dalla valle dello stesso Torano... Son essi – dice il Trutta – della grandezza ed altezza medesima, cioè di sei palmi questa e di due quella, tanto che andar vi potea un uomo in piedi per entro. Erano tutti incrostati di malta fatta di mattone pesto e calcina...».

Il primo di essi camminava lungo la sponda desta del Torano e se ne vedono le tracce « sotto la peschiera di un orto vicino alla Porta detta della Vallata ». Altre tracce « si vedono in alcuni poderi alla ripa di detto fiumicello (Torano) per le rotture de’ quali entrar si potrebbe, se non l’impedisse il limo di cui sono più che per metà ingombrati ed il timore de’ rettili che vi si sogliono esser annidati ». Il secondo acquedotto « che pur dalla stessa sorgente del primo incominciava e di cui nell’orto medesimo alcun vestigio si vede, poco vi è da notare, eccetto che indirizzavasi verso l’occidente estivo e giungeva ad una bella possessione sita di sopra la via che da Piedimonte mena ad Alife ». Il terzo, poi, è dubbio « esser opera degli Alifani; piuttosto opera la crederei de’ Romani ». Incominciava dalla Valle del Torano e camminando « sopra archi di mattone, s’introduceva nell’abitato di Piedimonte, e passava per lo sito della nuova Chiesa di S. Maria Maggiore (dove negli scavi di fondamenti se ne sono incontrati pezzi sì duri che uguagliavan la medesima pietra). Quindi costeggiando il Cila fino alla chiesetta campestre di S. Maria delle Grazie... passava per la Vallata e per la strada detta Paterno, in ci sotto le ruine di un antico palazzo si avanzava » verso Alife.

 

VILLE PATRIZIE E CRITTOPORTICI – Altre prove ci offrono le antiche ville e i crittoportici, di cui si rinvennero molti avanzi. Nella località Monticello – anticamente denominata Corneliana o Cornigliano – esisteva, secondo le indagini e le osservazioni del Trutta, una villa patrizia di una famiglia Cornelia alifana, una diramazione forse dell’omonima romana. Un’altra villa era lungo il Torano (nei pressi di piazza Cavallerizzo), dalle cui fondamenta vennero scavati fregi, capitelli, cornici e basamenti. Apparteneva, dice il Trutta alla « famiglia dei Giuli (Julia), giacché in una grossa pietra vi si legge a bei caratteri un frammento d’iscrizione, onde raccogliesi che una Giulia, liberta di Caio, aveva posto quel monumento a Caio Giulio, figlio di un altro Caio ».

Queste due ville, per non citarne altre, avevano i crittoportici, cioè dei portici sotterranei per godere il fresco, ed i sisti, con portici esterni ricoperti, per riparo delle piogge.

Un crittoportico visitato ed esaminato dal Trutta era quello esistente nella villa della cennata contrada Monticello. « Ve n’è rimasta una sola grotta – egli dice – lunga palmi centocinquanta e larga quattordici, ma da’ fondamenti di altre mura che avea a’ fianchi dalla parte di mezzogiorno, e perché non ha finestra alcuna, si conosce che le grotte erano tre, l’una a canto dell’altra; e si conosce ancora ch’aveva di sopra edificato il sisto, perché su di essa grotta rimasta, restavi il di lui pavimento fatto a mosaico... Dentro della medesima non a guari, vi furono trovati fistole e condotti di piombo, onde si trae vi fussero bagni e fontane, tanto più che dalla parte di settentrione evvi una volta sotterranea profonda che suole esser piena di acqua, e vi si cala come in un pozzo accosto ad una cappella rurale chiamata la Madonna del pozzo ».

 

CIMELI D’ARTE ANTICA – Oltre le citate mura, iscrizioni, acquedotti, ville e crittoportici, in Piedimonte si sono rinvenuti altresì numerosi vasi ed oggetti svariati antichi, di cui molti conservati nel Museo Civico, oltre ad un capitello corintio scavato nella località « Pigna » (Pioppitelli) di proprietà Romagnoli; due mezze colonne scanalate nell’alveo del Maretto, al presente collocate agli angoli del palazzo Laurenza, tra via Carmine e via Cila; e, infine, alcuni avanzi di trabeazione romana, oggi murati in basso al campanile della Chiesa di S. Domenico, ed un bassorilievo – murato all’angolo di un cancello del fondo di proprietà Ventriglia presso la contrada Pioppitelli – con la figura di Vertunno.

Se poi terremo presenti tutti gli altri cimeli conservati dalle famiglie del luogo e quelli, che ancora si ricordano, andati smarriti, distrutti o venduti, dovremo ritenere che mai come questa volta quelle che apparivano delle congetture hanno trovato pieno riscontro nei fatti.

Piedimonte – di cui ci è ignoto l’antico nome – che un tempo ebbe pure la sua notorietà seguendo le sorti di Alife, cadde però per più secoli in oblio, per divenire più tardi una cittadina fiorente e cospicua.

 

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