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Antonio Manzo

 

ANCHE I FIGLI DEL MATESE HANNO COMBATTUTO A CANNE

A proposito di Sil. 8, 399-403; 532-535, 562-567

(in Annuario ASMV 1993, pp. 171-186)

 

 

 

La descrizione, che della battaglia di Canne (216 a.C.) leggiamo nei Punica di Silio Italico[1], merita a buon diritto di essere annoverata tra i passi più famosi e interessanti di tutto il poema[2]. In essa abbiamo modo di vedere come l’autore faccia un uso accorto di espressioni, che, pur mostrandosi ridondanti e a volte anche artificiose, tanto si attagliano al significato e al valore di quello scontro memorabile, da renderne bene il giusto tono e l’esatta caratura. Già i versi, che introducono l’episodio, sottolineano quanto di notevole è insito nel loro contenuto e orientano circa le loro specifiche finalità:

 

Non alias maiore virum, maiore sub armis

agmine corripedum concussa est Itala tellus.

Quippe extrema simul gentique urbique timebat,

nec spes certandi plus uno Marte dabatur[3].

 

Da qui ha inizio un “catalogo”[4] vòlto a presentare, nell’ambito della calibrata struttura in cui esso si dispiega, le svariate popolazioni italiche, impegnate, insieme con i Romani, a combattere contro i Cartaginesi. È l’Italia[5], che Silio fa scendere in campo: insieme con Marsi, Sanniti, e Iapigi, che tengono l’ala destra dello schieramento romano e sono impegnati contro Neacle, nell’arida pianura apula si trovano anche Picenti e Umbri, che costituiscono le truppe disposte al centro e sono opposti ad Annibale[6]. Identico sarà il comportamento del poeta alla fine della battaglia, nel senso che il suo epilogo, disastroso per i Romani, viene presentato come una vera e propria rotta degli Italici[7].

Dopo queste osservazioni proemiali passiamo alla lettura dei Punica, per esaminare dappresso, secondo l’ordine offerto dal “catalogo”, i versi, che hanno attinenza con il territorio matesino e con il medio Volturno[8], e per illustrarne le caratteristiche.

 

a) Sil. 8, 399-403:

 

At, qui Fibreno miscentem flumen Lirin

sulphureum tacitisque vadis ad litora lapsum

accolit, Arpinas, accita pube Venafro

ac Larinatum[9] dextris, socia hispidus arma

commovet atque viris ingens exhaurit Aquinum.

 

Il poeta ci presenta l’hispidus Arpinate, che leva alta e possente la propria voce, per indurre all’azione il fior fiore della gioventù, quanta idonea alle armi si trovava nella sua città natale, antico centro dei Volsci[10], e nelle campagne viciniori. A queste Silio rivà col pensiero, per certo memore della magnifica lode, che Cicerone ci ha lasciato dei luoghi ameni situati alla confluenza del Liris e del Fibrenus, fiume che attraversava la sua proprietà in modo da formarvi un isolotto[11]. Nei versi sopraccitati e nei seguenti, che rendono lode a Marco Tullio[12], è stato a ragione individuato “un raggruppamento di luoghi ciceroniani”[13]; e che Larinum vi sia stato inserito con l’esplicita menzione dei suoi abitanti non è dovuto a irregolarità geografiche, perché il poeta ben sa che l’antico centro dei Frentani era ubicato non lungi dall’Adriatico[14]. Né il collegamento di Cicerone con i Larinati è forviante, tenuto conto che Larinum e i suoi abitanti avevano un loro ruolo nella Pro Cluentio, nella quale è interessante leggere come a favore del larinate Oppianico, cliente di Cicerone, presero posizione Bovianum e tante altre città del Sannio, intervenendo al processo o con dichiarazioni ufficiali o con la presenza di personaggi di alto rango[15]. Va menzionato pure un possibile suggerimento venuto a Silio dall’Eneide, dove pure tra le Italidi compagne di Camilla è nominata Larina virgo[16], se consideriamo che “in un fanatico cultore e imitatore di Virgilio come era il nostro poeta tutto è possibile”[17].

Nei versi siliani sono poi ricordate la pubes di Venafrum, chiamata a raccolta insieme con quella di Larinum, e la città di Aquinum, ubicata nella vallata del Liris, nel Latium adiectum[18], la cui qualifica di ingens è in armonia con quella di frequens usata da Cicerone[19]. Ma torniamo ora con il discorso a Venafrum[20], perchè è l’unica delle città occorrenti in questo passo siliano ad essere compresa nell’area del Medio Volturno, e ne passiamo in rassegna ciò che più dovette interessare Silio.

La tradizione riconosceva Venafrum fondata dall’eroe greco-italico Diomede[21] e la poneva insieme con le altre città, cui dette vita il medesimo personaggio, individuabili lungo una linea, che correva intorno all’ambiente sannitico[22]. Anche se Venafrum figura nei testi letterari da noi posseduti non prima del De agricoltura di Catone[23], possiamo tenere per certo che la città in questione conobbe un periodo di supremazia etrusca e fu abitata da popolazioni sannitiche, alle quali ci riportano materiale votivo del IV-III secolo a.C.[24] e alcune monete enee con leggenda in grafia epicorica[25]. Ma l’abitato preromano di Venafrum, ubicato da Strabone “su un’altura, ai cui piedi scorre il Volturno”[26], si andò, col passare del tempo, spostando verso il piano, sulla via Latina, poté godere di una bella posizione nella parte bassa della conca, che separa il rilievo de Le Mainarde dal Matese (Tifernus mons), e offrì il luogo più agevole per il transito dal Samnium alla Campania. È stata avanzata l’ipotesi che la prefectura di Venafrum, insieme con quelle di Atina, di Casinum, di Aufidena e di Allifae, tutte situate su confine del Samnium e della Campania, abia avuto origine dalle assegnazioni fatte ai veterani di Scipione[27], ma si tratta di un’ipotesi insostenibile[28], mente è lecito far risalire al 290 a.C., anno della conquista romana di Venafrum, la sua praefectura e la sua inclusione nella tribus Teretina[29], creata alla vigilia della terza guerra sannitica per tenere riuniti i coloni romani stanziatisi nelle terre degli Aurunci. Venafrum cade in potere degli Italici insorti, che vi trucidano la guarnigione romana (90 a.C), ma torna presto a essere libera; si schiera dalla parte di C. Mario durante il bellum civile ed ha pertanto la sua popolazione decimata dalla rappresaglia sillana; vede aprirsi un capitolo glorioso della sua storia con la deduzione di una colonia di veterani e diviene così Colonia Augusta Iulia[30]. La quale, “fatta venire dall’Imperatore Ottaviano, ottenne il possesso delle terre, eccetto la vetta dei monti, e delle acque del Volturno, e assunse il diritto di cittadinanza dalla fedeltà e del valore”[31]. A questo periodo risalirebbe il suo schema urbanistico ortogonale, non volendo con ciò escludere che, da un confronto di questo schema con quello elaborato ad Allifae in età sillana[32], la ricostruzione di Venafrum  e di Allifae sia avvenuta in un periodo di poco posteriore alla conclusione del bellum sociale. Ricco e popoloso (celeberrimus) era, per Cicerone, il tractus Venafranus[33], ma la fama di Venafrum nell’antichità era soprattutto legata ai suoi oliveti e alla relativa produzione di olio, abbondante e di prima qualità, come ci è concordemente testimoniato[34].

 

b) Sil. 8, 532-535:

 

Illic Nuceria et Gaurus navalibus acta

prole Dicarchea, multo cum milite Graia

illic Parthenope ac Poeno non pervia Nola,

Allifae et Clanio contemptae semper Acerrae.

 

Anche questo passo dei Punica dà adito a qualche perplessità circa i criteri seguiti da Silio nel fissare i raggruppamenti entro l’impianto geografico del suo poema. Sintomatico è il caso della nostra Allifae[35], inclusa nella Regio I secondo l’ordinamento augusteo dell’Italia e come leggiamo già in Plinio[36], mentre Strabone[37] e Tolomeo[38] assegnano la città al Samnium. Oltre a quanto apprendiamo da una particolareggiata monografia di D. Marrocco[39], richiamo l’attenzione su quanto ebbe a scrivere M. Jacobelli[40] per confermare l’esistenza di una Allifae sannitica, ubicata sul monte Cila, e di una Allifae romana, sita in pianura, a circa tre chilometri dalle falde del  monte suddetto. È notevole d’altra parte, che nel 326 a.C., anno in cui inizia la seconda o grande guerra sannitica, Allifae cada in potere dei Romani: Tria oppida[41] in potestatem (scil. Romanorum) venerunt, Allifae, Callifae, Rufrium[42]. Ma nel 321 a.C., Allifae è in mano ai Sanniti, che la ebbero verosimilmente con la pace caudina, e nel 310 a.C. il console C. Marcius Rutilius Allifas de Samnitibus vi cepit[43], anche se la notizia sembra poco credibile, poiché tre anni dopo, la città è di nuovo sotto il controllo dei Sanniti[44]. Livio, infatti, ci informa che Q. Fabio Rulliano, cui era stato prorogato il comando delle azioni militari nel Samnium quale proconsole per l’anno 307 a.C., si scontra con i Sanniti ad urbem Allifas, respinge i nemici nell’accampamento e il giorno seguente ne accetta la resa a patto che i Sanniti escano con una sola veste per ciascuno e passino sotto il giogo[45]. Sarebbe interessante dire che ciò sia vero, ma sussistono dubbi sulle imprese di Rulliano: sappiamo bene come il filone Fabio abbia operato nell’annalistica romana in modo da oscurare la gloria di altre gentes[46]. Conviene anche ricordare che Annibale, nell’estate del 217 a.C., entra nelle nostre terre e si porta per Allifanum Caiatinumque et Calenum agrum in campum Stellatem[47], dove Q. Fabio Massimo cerca invano di far cadere in trappola il Cartaginese, che alla fine si accampa nell’ager Allifanus[48], mentre il dittatore romano super Allifas loco alto ac municto consedit[49]; “questo luogo è il monte Cila di Piedimonte” e “Alife dové subire per breve tempo l’occupazione dei Cartaginesi”[50], ma si mantiene fedele a Roma, come tutto il Sannio Pentro[51]. Dopo quanto s’è detto non sembra il caso di collocare Allifae tra le “località del tutto anodine”[52] dei Punica: Silio, anzi, ci informa sulla produzione vinicola di Allifae, quando parla dell’Allifanus Iaccho haud inamatus ager[53], mostrando di conoscere una notizia, che non trova riscontro in alti testi[54]. Insieme con Allifae abbiamo Nuceria (scil. Alfaterna) città osca e poi sannitica, alleata di Roma nel 307 a.C. e colonia romana, col nome di Nuceria Constantia, in età augustea[55]; Gaurus, monte vulcanico dei Campi Phlegraei, famoso per il suo vino, come Silio stesso ricorda[56]; Dicearchia (= città dove regna la giustizia), chiamata Puteoli dai Romani, di cui già nel 339 a.C. fu civitas sine suffragio, e munita di fortificazioni per opera di Q. Fabio durante la guerra annibalica[57]; Parthenope, il cui attributo Graia rievoca l’insediamento dei Greci e sottolinea una caratteristica della città, detta poi Neapolis (od. Napoli), toponimo che si legge già in monete del sec. V a.C., forse in contrapposizione al nome precedente[58]; Nola (od. Nola), conquistata dai Sanniti sul finire del sec. V a.C., divenuta in seguito uno dei loro centri principali in Campania e caduta in potere dei Romani nel 313 a.C.[59], che ne fecero una civitas foederata e la ebbero tanto fedele, da essere più volte e invano assalita da Annibale tra il 216 e il 214 a.C.[60]; Acerra (od. Acerra), centro campano di origine osca, poi etrusco, civitas sine suffragio dei Romani dal 332 a.C. e sede di una colonia sotto Augusto, situata sul medio corso del fiume Clanius e soggetta alle sue inondazioni[61].

 

c) Sil. 8, 562-567:

 

Affuit et Samnis, nondum vergente favore

ad Poenos, sed nec veteri purgatus ab ira :

qui Batulum Cluviasque[62] metunt, Boviania quique

exagitant lustra aut Caudinis faucibus haerent,

et quos aut Rufrae, quos aut Aesernia, quosve

obscura incultis Herdonia misit ab agris.

 

Il passo, che ci accingiamo ad esaminare, è interessante, perché presenta chiari i segni delle scelte operate da Silio e dalla sua arte compositiva. Al fianco dei Romani, dice il poeta, vennero anche i Sanniti e ce ne dà notizia ricorrendo a una variatio, che richiama la nostra attenzione per l’uso di Samnis invece di Samnites. L’impiego del singolare collettivo si ha nella lingua latina dell’uso e in quella poetica, nel cui ambito esso diviene frequente a partire dal periodo augusteo. “Il singolare”  -osserva Janssen-  “è preferito grazie alla sua maggiore espressività che si fonda sull’effetto plastico dell’espressione, la quale dice le cose in modo diverso che nella lingua degli intellettuali”[63]. Sotto il profilo storico Silio, che almeno fino a Canne si era mostrato benevolo con i Sanniti, ora allude alla loro defezione dopo l’infausto esito della battaglia e non tiene conto che i Pentri, fedeli a Roma, sconfissero i Cartaginesi nel corso del 217 a.C.[64], ma sottolinea come sia stata la vetus ira a indurli alla defezione, non diversamente da come dirà in sèguito:

 

Saevior ante alios iras servasse repostas

atque odium renovare ferox in tempore Samnis[65].

 

In aiuto dei Romani vengono inviati contingenti da Batulum, che per Silio si trova nel cuore del territorio sannitico, mentre la descrizione virgiliana induce a porre l’antico centro nella pianura del Sarno[66], e da Cluviae, città importante dei Carecini[67], che occupavano la parte nord-orientale del Samnium, delimitata dal fiume Sangro: divenuta municipium romano dopo la guerra sociale, ebbe in quegli anni un riassetto urbanistico con nuova cinta muraria[68]. Silio cita Bovianum (od. Bojano) facendo menzione ai Boviana lustra, termine, quest’ultimo, che ha fra l’altro la nozione di “luoghi selvaggi” già in Virgilio[69]: del resto, più ci si addentra nel Matese, più il paesaggio si fa ricco di selvagge suggestioni, soprattutto nel versante settentrionale del massiccio, dov’era Bovianum, che Livio dice caput Pentrorum Samnitium longe ditissimum atque opulentissimum armis virisque[70]. Il poeta non tralascia neppure Caudium (od. Montesarchio), cui fa riferimento con le Caudine fauces, mostrandosi memore di Virgilio, che usa fauces in senso, per così dire, geologico, quando egli designa la gola a due uscite scelta da Turno per l’agguato[71], mentre Livio parla di furculae Caudinae[72]. Sono infine ricordate le truppe, inviate in aiuto dei Romani, da Rufrae (od. S. Felice a Ruvo, nelle vicinanze di Presenzano, o Presenzano stessa), località sita nella media valle del Volturno e divenuta poi municipium romano[73], che non è né Rufrium liviano[74]Rufrae virgiliana[75], legata al mitico regno di Ebalo e perciò nell’area centrale della Campania. Insieme con Rufrae figurano anche Aesernia (od. Isernia), città dei Pentri ubicata nell’Alto Volturno, della quale si hanno notizie certe a partire dalla conclusione delle guerre sannitiche[76], ed Herdonia (anche Herdoniae e varianti come Herdonea o Erdona, centro notevole soprattutto nel IV-III secolo a.C., od. Ordona), toponimo apulo ben documentato nelle fonti greche e latine; in età romana si segnala quale municipium e notevole nodo stradale[77].

 

***

 

Nella rassegna siliana, che, partendo dal Latium vetus, raggiunge l’estremo sud[78] e poi l’estremo nord[79], è ravvisabile un certo impianto geografico, diversamente da quanto accade in Virgilio, che presenta le genti italiche accorse contro Enea secondo una disposizione del tutto irregolare e mostra come il suo disordine sia conseguente ai moduli stilistici dei katàlogoi propri della poesia ellenistica, non già frutto d’ignoranza geografica, anzi la visione virgiliana dell’Italia fa pensare che il poeta abbia avuto modo di consultare una carta geografica[80]. Il vero è che tanto Virgilio col suo “catalogo” di reges, prima che di popoli[81], quanto Silio, che fonda il suo “catalogo” non si protagonisti, a vario titolo, delle antichissime vicende italiche, ma sulle città, non si attengono a criteri meramente geografici: parleremo di topothesia, termine col quale l’esegesi virgiliana antica[82] designava la topografia fantastica dei poeti, che si contrapponeva alla topografia dei geografi. Osserveremo inoltre che Silio tiene la terza deca di Tito Livio come fonte primaria dei suoi Punica[83] e sa cogliere opportuni suggerimenti da Polibio[84], ma resta assodato che le remote vicende italiche sono da lui rivisitate con l’interesse e con l’attenzione del dotto antiquario, ragion per cui la Quellenkunde siliana si muove su un terreno malagevole e conduce di rado a risultati positivi. Si dà anche il caso che per noi un determinato toponimo acquisti in significatività solo quando riusciamo a identificare la situazione storica o ambientale, dalla quale Silio, un poeta che vive di memorie, lo ha ricavato, giacché sappiamo bene fino a che punto il geografo antico sia debitore allo storico[85]. Del resto, “nella stesura della sua opera Silio non si limitava a coinvolgere l’eredità letteraria e culturale dei modelli...: no, il passato letterario lui lo vuole coinvolgere tutto, facendo rivivere nel suo poema gli auctores in tutta la loro concretezza”[86].

 

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[1] Un’iscrizione in greco del tempio di Afrodite in Afrodisia ci ha restituito il nome completo del poeta (cf. W. M. Calder, Silius Italicus in Asia, “Class Rev.” 49, 1935, pp. 216-217) e il nomen Asconius fa ritenere che Padova abbia dato i natali a Silio. Stando a F. Sartori, Padova nello stato romano, in Padova antica, Padova-Trieste 1981, p. 105, la suddetta iscrizione “consente non solo di ricollegarlo alla famiglia Cazia già documentata in Padova e di ritenerlo di origine patavina o comunque cisalpina, ma anche di stabilire, mediante il secondo gentilizio Asconio usato in funzione di cognominale, un legame di parentela e di transizioni ereditarie con l’autorevole casata patavina degli Asconii”. Per altro, cf. G. Laudizi, Silio Italico. Il passato tra mito e restaurazione etica, Galatina 1989, pp. 11-14.

[2] Sil. 8, 352-10, 325. Per tanti aspetti, sui Punica, grava ancora l’opinione espressa da Plinio (epist. 3, 7, 5), il quale, facendo rilevare che Silio scribebat carmina maiore cura quam ingenio, veniva implicitamente a dire che in quel poema si era ormai rotto l’equilibrio tra cura e ingenium, equilibrio proprio della poesia latina dell’età augustea, quando cura poteva essere assunta nel senso di ars. Cf. F. Cupaiuolo, Itinerario della poesia latina nel I secolo dell’Impero, Napoli 193, pp. 127-131. Ma per D. Gagliardi, Il giudizio di Plinio jr. su Silio Italico, “Civiltà classica e cristiana” 11, 1990, pp. 289-293, il significato di cura nel contesto pliniano non corrisponde a quello di ars, ma sta a indicare “la diligenza del poeta nella scelta dei particolari, nel taglio degli episodi, nella ricerca di quella curiosità antiquaria..., ch’è la cifra della tecnica compositiva di Silio”. Ma fermarsi a censurare in Silio la prevalenza della cura sull’ingenium, “di modo che al poeta epico non verrebbe consentito di attendere ai problemi di composizione e di rielaborazione delle proprie fonti con quella cura che costituisce il vanto del poeta alessandrino e neoterico” (così C. Santini, La cognizione del passato in Silio Italico, Roma 1983, pp. 13-14), potrebbe significare incapacità di studiare a fondo i Punica, che esprimono una voce di grande interesse nell’ambito della poesia epica d’imitazione, come suggeriva M. v. Albrecht, Silius Italicus. Freibeit und Gebundeheit römischer Epik, Amsterdam 1964, pp. 185-189.

[3] Sil. 8, 352-355. Il testo dei Punica è, di regola, riportato secondo l’edizione teubneriana di Josef Delz (Stuttgart 1987), per la quale cf. le osservazioni di A. Manzo in “Paideia” 46, 1991, pp. 246-250. Si ricordano anche il testo dei Punica con traduzione francese curato per “Les Belles Lettres” da P. Miniconi e da G. Devallet (tome II, Paris 1981) e F. Spaltenstein, Commentaire des Punica des Silius Italicus (livres I à 8), Genève 1986.

[4] La critica omerica degli Alessandrini usò il termine katàlogos per designare la rassegna degli eserciti presentati da Hom. Il. 2, 484-877 oppure solo quanto riguardava la forza militare terrestre e la flotta dei Greci, secondo le indicazioni di Hom. Il. 2, 494-779. Di qui anche in latino si affermò la suddetta accezione del termine catalogus, in origine imprestito di ascendenza grammaticale e scolastica. Cf. Auson, perioch. Iliad. 2 (334. 18 Prete): Enumeratio copiarum viritim, ut per catalogi seriem milites, naves, duces, patriae retexantur; Macr. Sat. 5, 15, 1: Ubi vero enumerantur auxilia, quem Graeci “catalogum” vocant, eundem auctorem suum conatus (scil. Vergilius) imitari in non nullis paululum a gravitate Homerica deviavit. Sull’argomento, R. Scarcia, s.v. Catalogo, in Enciclopedia Virgiliana I (1984), pp. 700-704.

[5] Fin dalle battute iniziali dei Punica si avverte in Silio la volontà di sottolineare l’intervento degli Italici nella guerra annibalica: Ordior arma, quibus caelo se gloria tollit / Aeneadum patiturque ferox Oenotria iura / Carthago. Da, Musa, decus memorare laborum / antiquae Hesperiae (Sil. 1, 1-4). Conviene, però, precisare che i Punica ci mostrano un’Italia rispondente all’idea, che se ne aveva in seguito al bellum sociale e alla rivoluzione romana avvenuta nella tarda età della repubblica. Idea, questa, non priva di connessioni con la produzione letteraria, pratica e storica; cf. R. Syme, La rivoluzione romana, ed. ital., Torino 1962 (=1974) p. 472; M. Sordi (a cura di), Contributi dell’Istituto di storia antica, I, Milano 1972, pp. 146-175: L’integrazione dell’Italia nello stato romano attraverso la poesia e la cultura proto-augustea. Da ultimo, M. v. Albrecht, L’Italia in Silio Italico, in Studi di filologia classica in onore di G. Monaco, III, Palermo 1991, pp. 1179-1190.

[6] Cf. Sil. 9, 267-273: Tum minitans propere describit munera pugnae, / quaque feras saevus gentes aciemque Nealces / temperat, hac sese Marso cum milite cumque / Samnitum opponi signis et Iapyge alumno. / At campi medio (namque hac in parte videbat / stare ducem Libyae) Servilius obvia adire / arma et Picentes Umbrosque inferre iubentur. Diversamente Liv. 22, 45, 6-7: In dextro cornu (id erat flumini -scil. Aufido- proprius) Romanos equites locant (scil. consules), deinde pedites; laevum cornu extremi equites sociorum, intra pedites, ad mediium iuncti legionibus Romanis, tenuerunt; iaculatores cum ceteris levium armorum auxiliis prima acies facta. Cf. V. Ilari, Gli Italici nelle strutture militari romane, Milano 1974.

[7] Cf. Sil. 10, 309-315: Postquam spes Italum mentesque in consule lapsae, / ceu truncus capitis saevis exercitus armis / sternitur, et victrix toto furit Africa campo. / Hic Picentum acies, hic Umber Martius, illic / Sicana procumbit pubes, hic Hernica turma. / Passim signa iacent, quae Samnis belliger et quae / Sarrastes populi Marsaeque tulere cohortes.

[8] Nel I secolo dell’Impero, la vallata del Medio Volturno era divisa dal fiiume tra la Regio I (Latium et Campania) e la Regio IV (Samnium).

[9] La tradizione manoscritta dà Larinatum ed è lezione confermata da Sil. 12, 173-175: Tu converte cohortes / ad laevam patrias et Larinatia signa. Sulla base di Plin. nat. hist. 3, 64, dove si fa menzione degli Interamnates, cui è dato l’epiteto di Succasini e il soprannome di Lirenates o Lirinates (cf. M. Cagiano de Azevedo, Interamma Lirenas vel Succasina, Roma 1947), già Cristoforo Cellarius, Notitia orbis antiqui, 1, Lipsiae 1701, p. 823, emendò Larinatum con Lirinatum (e Larinatia con Lirinatia) seguìto oggi da J. Delz (cf. nota 3) e da N. Horsfall, in “Boll. Stud. Lat.” 19, 1989, p. 173.

[10] Arpinum era città posta su un colle nelle vicinanze del fiume Liri. Durante il sec. IV a.C. Arpinum, come anche Atina, Casinum, Fregellae, Interamna, Lirenas e, verosimilmente, Venafrum e Aquinum, erano città sannitiche, ma nel 305 a.C. Arpinum è di nuovo sotto i Romani (cf Liv. 9, 44, 16 e Diod. 20, 90), che nel 303 a.C. concessero alla città la civitas sine suffragio (cf. Liv. 10, 1, 3) e nel 188 la cittadinanza piena (civitas optimo iure) (cf. Liv. 38, 36, 7) con inclusione nella tribus Cornelia. Dopo essere stata amministrata quale praefectura, dal 90 a.C. è municipium (cf. Fest. 262, 15 Lindsay; Cic. Planc. 20 s. e de leg. 2, 6). Col tempo la fama di Arpinum fu legata quasi del tutto al fatto di aver dato i natali a C. Mario e Cicerone. Ottima la monografia di L. Ippoliti, Il luogo di nascita di M. Tullio Cicerone, Roma 1936.

[11] Cic. de leg. 2, 6. Non è mancato chi (cf., per esempio, H. Nissen, Italisce Landeskunde, II, Berlin 1902, p. 670) ha identificato questa proprietà ciceroniana con quella acquistata poi da Silio e ricordata da Mart. 11, 48, 2: Iugera facundi qui (= Silius) Ciceronis habet; cf. I. Shatzman, Senatorial Wealth and Roman Politics, Bruxelles 1975, p. 404. Ma si tratta, a quanto consta, della villa ciceroniana di Cumae, e perciò sita in Campania, come le altre possedute da Silio; cf. J. H. D’Arms, Romans on the Bay of Naples, Cambridge Mass. 1970, pp. 199-200; 208.

[12] Sil. 8, 404-411.

[13] P. Venini, La visione dell’Italia nel catalogo di Silio Italico, “Mem. Ist. Lomb.” 36, 1978, p. 148.

[14] Larinum sorgeva a oriente della cittadina molisana, che oggi col nome di Larino ricorda l’antico abitato distrutto, e non distava dall’Adriatico, come anche Silio mostra di sapere (15, 565: Superi Larinas accola ponti). In Larinum abitava una popolazione, che presto si rese indipendente dai Frentani, la cui appartenenza al gruppo etnico dei Sanniti viene oggi posta in discussione ed è perfino messa in dubbio. Cf. B. D’Agostino, nella Introduzione al Catalogo della mostra “Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C.”, Roma 1980, pp. 25-27. A questo proposito è notevole che Liv. 27, 43, 10 menzioni l’ager Larinas distinto dall’ager Frentanus, ma Plin. nat. hist. 3, 105 parla di Larinates cognomine Frentani; per altro, Larinum della tribus Clustumina fu ammessa alla Regio II, non già alla Regio IV, come avvenne per altri municipia dei Frentani, mentre Venafrum fu inclusa nella Regio I: in entrambi i casi si dovette trattare non solo di considerazioni di ordine geografico, ma di valutazioni fondate sulla condizione politica di quelle singole comunità. Cf. A. La Regina, nella citata Introduzione al Catalogo della mostra, p. 36.

[15] Cic. pro Cluent. 197: Boviano totoque ex Samnio cum laudationes honestissimae missae sunt, tum homines amplissimi nobilissimique venerunt, sul quale passo ha richiamato l’attenzione V. A. Sirago, Il “Samnium” nel mondo antico, “Samnium” 61, 1988, p. 50. Per altro, cf. P. Grimal, Cicerone, ed. ital., Milano 1987, pp. 72; 90-93; 120.

[16] Verg. Aen. 11, 665.

[17] P. Venini, La visione dell’Italia nel catalogo di Silio Italico, cit., p. 149.

[18] Municipium della tribus Oufentina, Aquinum fu una “grande città” (Strab. 5, 9, p. 237) e fu poi ammessa alla Regio I (Plin. nat. hist. 3, 63). Fondamentale la monografia di M. Cagiano de Azevedo, Aquinum, Roma 1949.

[19] Cic. Phil. 2, 106.

[20] In generale, cf. G. Radke, s. v. Venafrum, in Pauly-Wissowa, suppl. XIII (1955), coll. 668-670.

[21] Cf. Serv. Dan. ad Aen. 11, 246. Per altro, O. Terrosi Zanco, Diomede “greco” e Diomede Italico, “Rend. Acc. Linc.” serv. VIII, 20, 1965, pp. 270-282; M. Carulli, Alcune considerazioni sulla saga di Diomede fino a Fabio Pittore, “Boll. Stud. Lat.” 7, 1977, pp. 307-315; F. Della Corte, La mappa dell’Eneide, Firenze 1985, pp. 22-225.

[22] Cf. D. Musti, La nozione storica di Sanniti nelle fonti greche e romane, negli Atti del Convegno “Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C.”, Campobasso 1984, p. 78; Id., Il processo di formazione e diffusione delle tradizioni greche sui Dauni e Diomede, negli Atti del XIII Convegno di studi etruschi e italici: “La civiltà dei Dauni nel quadro del mondo antico”, Firenze 1984, pp. 93 ss.

[23] Cat. de agr. 146 cita in agro Venafro, ma esemplifica, come Varr. de re rust. 1, 2, 6, una forma dialettale dell’aggettivo *Venafer, -fra, -frum, testimoniato su una moneta; cf. A. Sambon, Les monnaies antiques de l’Italie, Paris 1903 (rist. 1967), p. 420. Pertanto Venafrum, a rigor di termine, nei documenti letterari non compare prima del bellum sociale; cf. E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, ed. ital., Torino 1985, p. 32.

[24] Cf. Il Catalogo della Mostra “Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C.”, cit., pp. 360-369.

[25] Cf. A. Sambon, Les monnais antiques de l’Italie, cit., p. 240 ; B. V. Head, Historia numorum, Oxford 1911, p. 43 ; R. Cantilena, Problemi di emissione e circolazione monetale, negli Atti del Convegno “Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C.”, cit., p. 93. Sotto il profilo linguistico, cf. M. Lejeune, Notes de linguistique italique, XXI: Les notations de F dans l’Italie ancienne, “Rev. Étud. Lat. ” 44, 1966, p. 179 ; A. Manzo, Trascrizioni del suono F in antichi toponimi della regione del Medio Volturno, in “Annuario 1971 Associazione Storica del Sannio Alifano”, Piedimonte Matese 1971, p. 151.

[26] Strab. 5, 10, p. 238. Cf. S. Diebner, Aesernia-Venafrum, Roma 1979, pp. 61 ss., dove l’A., sulla base dei riferimenti straboniani, si ferma a indagare sull’incerta pertinenza di Venafrum al Latium, alla Campania o al Samium.

[27] Così, per esempio, A. Bernardi, I “cives sine suffragio”, “Athenaeum” n. s. 16, 1938, p. 274. Per altro, cf. M. Humbert, Municipium et civitas sine suffragio. L’organisation de la conquête jusq’à la guerre sociale, Roma 1978, pp. 245-247.

[28] In questo senso E. Gabba, Ricerche sull’esercito professionale romano da Mario ad Augusto, “Athenaeum” n. s. 29, 1951, p. 217.

[29] Cf. Liv. 10, 9, 14. Preciso che la tradizione manoscritta liviana ha Terentina, mentre le iscrizioni ci portano a Teretina; cf. anche Cic. pro Planc. 21; 54.

[30] Cf. E. Pais, Storia della colonizzazione di Roma antica, I, Roma 1923, pp. 274-276.

[31] Così leggiamo, nella traduzione italiana, scolpito sulla lapide commemorativa posta dall’A.S.M.V. nella sala consiliare del Municipio di Venafro il 16 Giugno 1971. Preciserò che nell’editto inerente all’acquedotto, che Augusto fece costruire per i suoi coloni, Venafrum è detto oppidum (Plin. nat. hist. 3, 63), mentre lo Pseudo Acrone (ad Hor. carm. 3, 5, 55) Venafrum civitas est.

[32] Cf. A. La Regina, Venafro, “Quaderni Ist. Topografia Antica Univ. Roma” 1, 1964, pp. 55-57.              

[33] Cic. pro Planc. 22.

[34] Ricorderemo Catone (de agr. 146), autore che celebra Venafrum anche per la costruzione di attrezzi agricoli in ferro (Cat. de agr. 125); Varrone (de re rust. 1, 2, 3), che, nel rappresentare l’Italia come la terra più prospera del mondo quanto a risorse naturali, si chiede quale olio di oliva potrebbe mai essere paragonato a quello di Venafrum. Tra i poeti, cf. Hor. serm. 2, 4, 69; 2, 8, 45-46; carm. 2, 6, 45-46; Iuv. 5, 86; Mart. 12, 63, 1 e 13, 101, 1.

[35] Nei codici dei gromatici e degli Itineraria abbiamo Allifae, in Sil. 8, 535 alcuni leggono Alife ed altri Alliphe, ma si tratta di grafie malsicure: cf. A. Manzo, Trascrizioni del suono F in antichi toponimi della regione del Medio Volturno, cit., pp. 150-151. Per altro, Venafrum è un toponimo di etimologia sconosciuta: cf. G. B. Pellegrini, Toponimi ed etnici nella lingua dell’Italia antica, in Lingue e dialetti dell’Italia antica, a cura di A. I. Prosdocimi, Roma 1978, p. 103.

[36] Plin. nat. hist. 3, 63.

[37] Strab. 5, 10, p. 238.

[38] Ptol. geogr. 3, 1, 58.

[39] D. Marrocco, L’antica Alife, Piedimonte d’Alife 1951.

[40] M. Jacobelli, Resti archeologici dell’Allifae sannitica, in “Annuario 1968 Associazione Storica del Sannio Alifano”, Capua 1968, pp. 67-73.

[41] Era normale, nell’antichità, che su di un rilievo esistesse un luogo fortificato (oppidum o castellum), che poteva servire da rifugio in caso di necessità del pagus. Cf. E. Gabba, Urbanizzazione e rinnovamenti urbanistici nell’Italia centro-meridionale del I sec. a.C. “Stud. Class. Or.” 21, 1972, p. 79.

[42] Liv. 8, 25, 4. Cf. G. De Sanctis, Storia dei Romani, II, Firenze 1960, p. 285, nota 28. Rufrium dei Sanniti doveva stare in posizione elevata e perciò da non accomunare alla Rufrae dei Romani, ubicata in pianura, o quasi.

[43] Liv. 9, 38, 1.

[44] Cf. E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, cit., p. 251.

[45] Liv. 9, 42, 6-7.

[46] Cf. G. De Sanctis, Storia dei Romani, cit. p. 335; E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, cit., p. 268; S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, Roma-Bari 1990, p. 290.

[47] Liv. 22, 13, 4; cf. R. Di Lello, Dal Trasimeno a Canne: Annibale nel Medio Volturno, in “Annuario 1977 Associazione Storica del Medio Volturno”, Piedimonte Matese 1977, pp. 93-101.

[48] Liv. 22, 17, 4.

[49] Liv. 22, 17, 4.

[50] D. Marrocco, L’antica Alife, cit., p. 134.

[51] Cf. infra, 182.

[52] P. Venini, La visione dell’Italia nel catalogo di Silio Italico, cit. p. 210.

[53] Sil. 12, 526-527.

[54] Per esempio, Hor. serm. 2, 8, 39 ricorda gli Allifana pocula: coppe rozze, ma capaci, com’è, in genere, la Campana supellex (Hor. serm. 1, 6, 118).

[55] L’odierna Nocera Superiore occupa il posto dell’antica Nuceria e ne continua il nome. La città era assegnata alla Regio I, come informa Plin. nat. hist. 3, 62.

[56] Stando a Plin. nat. hist. 3, 60, il gruppo vulcanico del Gaurus si chiamava Gaurani montes. Per quanto attiene al celebre vino, cf. Sil. 12, 159-160, ma ne parlano anche Plin. nat. hist. 14, 38 e 64; Stat. silv. 3, 1, 147; 3, 5, 99; 4, 3, 63-64; Iuv. 9, 57-58 e altri autori.

[57] Cf. Liv. 24, 7, 10.

[58] La città, assegnata alla Regio I (Plin. nat. hist. 3, 62), fu per lungo tempo residenza di Silio Italico, che ivi morì (Plin. epist. 3, 7, 1).

[59] Cf. Liv. 9, 28, 3-6.

[60] Livio (23, 16, 16) ricorda come il successo ottenuto dai Romani sotto Nola sia stato grande: non vinci enim ab Hannibale tunc difficilius fuit quam postea vincere.

[61] Il Clanius, detto anche Liternus, sfociando nel Tirreno presso Liternum, formava la palude Literna nell’ultima parte del suo corso. Il verso siliano riprende Verg. georg. 2, 225: Vacuis Clanius non aequus Acerris.

[62] La tradizione manoscritta è concorde nel presentare la lezione Nucrasque, ma il toponimo Nucrae si cerca invano negli altri testi latini posseduti, né si hanno indicazioni nominative, che ad esso possano essere riportate in modo convincente. Par lecito scrivere addirittura Cluviasque, cogliendo un suggerimento, che viene dall’apparato critico dell’edizione siliana di J. Delz (cf. nota 3).

[63] H. H. Janssen, Le caratteristiche della lingua poetica romana, in La lingua poetica latina, a cura di A. Lunelli, Bologna 1989, pp. 104-105, con indicazioni bibliografiche circa l’uso del singolare al posto del plurale.

[64] Numerio Decimo, per stirpe e per ricchezza uno dei più autorevoli cittadini non solo di Bovianum, ma anche di tutto il Samnium, con i suoi 8mila fanti e 500 cavalieri riesce a salvare M. Minucio Rufo, magister equitum di Q. Fabio Massimo, e i suoi, che si erano venuti a trovare in una situazione critica nei pressi di Gerunium (od. Casacalenda), e lo libera dalla morsa di Annibale. Cf. Liv. 22, 24, 11 ss.; il fatto d’arme è riportato anche da Polyb. 3, 105, 5 ss., che però tace la parte che vi ebbero i Sanniti. Cf. R. Tullio, Gavio Ponzio e le forche caudine, “Atene e Roma” n. s. 38, 1993, pp. 16-17.

[65] Sil. 11, 7-8. Qui il Samnis è saevior, mentre in 10, 314 è belliger, come belliger è Annibale in 1, 38.

[66] Cf. Verg. Aen. 7, 739, che ricorda Batulum insieme con Rufrae e gli arva Celemnae. Già l’esegesi virgiliana antica mostra incertezza circa la collocazione di Batulum, che Servio (ad loc.) ritiene insieme con Rufrae da annoverare tra i castella Campaniae e Servio Danielino precisa dicendoli a Samnitibus condita.

[67] Stando a Plin. nat. hist. 3, 58, i Carecini (cf. Tac. hist. 4, 5, 1) si dividevano in due gruppi: i Supernates e gli Infernates, i primi di Cluviae e i secondi di Iuvanum.

[68] Cf. A. La Regina, Cluviae e il territorio carecino, “Rend. Acc. Linc.” ser. 8, 22, 1967, pp. 145-169. Altra è Cluvia, località che doveva trovarsi lungo la direttrice Allifae-Bovianum e corrispondere all’od. Castello del Matese, il cui Consiglio Comunale, con delibera n. 61 del 25 Giugno 1981, volle via Cluvia fra le strade cittadine; sulle vicende storiche di Cluvia, cf. Liv. 9, 31, 2-4.

[69] Cf. Verg. Aen. 4, 151 e 11, 570.

[70] Liv. 9, 31, 4. Ricordo che A. La Regina, Le iscrizioni osche di Pietrabbondante e la questione di Bovianum Vetus, “Rhein Mus.” 109, 1966, pp. 260-286, e nel Catalogo della Mostra “Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C.”, cit., pp. 30-31, mostra come in Bovianum sia stata dedotta una prima colonia circa il 43-41 a.C., corrispondente alla B. Vetus, e una seconda, tra il 73 e il 75 d.C., dlla legio XI Claudia, corrispondente alla B. Undecimanorum. Cf. Plin. nat. hist. 3, 107, che assegna la città di Bovianum alla Regio IV augustea, mentre Strabone, che pure riserva alla storia e all’etnografia dei Sanniti una cospicua sezione, osserva come, dopo la repressione sillana dell’82 a.C., le città sannitiche si siano ridotte a villaggi e alcune, quali per esempio Bovianum ed Aesernia, siano del tutto scomparse (5, 11, p. 250).

[71] Cf. Verg. Aen. 11, 516. Servio (ad loc.) giudica fauces una metafora antropomorfica, il cui tratto dominante è quello di una strettoia con un’apertura.

[72] Cf. Liv. 9, 2, 6; Luc. 2, 137 parla di Furcae Caudinae.Per altro, cf. P. Sommella, Antichi campi di battaglia in Italia, Roma 1967, p. 53.

[73] Per altro, cf. D. B. Marrocco, Guida del Medio Volturno, Piedimonte Matese 1985, p. 122.

[74] Cf. supra, nota 42. Per quanto riguarda l’espressione ad Rufri mecerias o maceriam di Cat. de agr. 22, 4, e 135, cf. G. Conta Haller, Ricerche su alcuni centri fortificati in area campano-sannitica, Napoli 1978, p. 38 nota 97.

[75] Cf. supra, nota 66.

[76] Cf. Plin. nat. hist. 3, 107, che assegna Aesernia alla Regio IV augustea; per il comportamento di Strabone, cf. supra, nota 70.

[77] Cf. H. Krahe, Die Ortsnamen der antiken Apulien un Calabrien, “Zeitschr. f. Ortsnamenforschung” 5, 1929, p. 13.

[78] Sil. 8, 568 ss.

[79] Sil. 8, 588 ss.

[80] Cf. A. Grilli, “Imago Italiae” in Varrone, Virgilio e Plinio il Vecchio, negli Atti del Convegno “Varrone e la geografia antica” (in “Il Territorio”, 9, 1993, pp. 33-44).

[81] Verg. Aen. 7, 641 ss. Cf. W. P. Basson, Pivotal Catalogues in the Aeneid, Amsterdam 1965, pp. 131 ss. cui opportunamente si richiama P. Venini, La visione dell’Italia nel catalogo di Silio Italico, cit., p. 200.

[82] Serv. ad Verg. Aen. 1, 159. Cf. F. Della Corte, La mappa dell’Eneide, Firenze 1985, pp. 84-85.

[83] Cf. L. Bauer, Das Verhältnis der “Punica” des Silius Italicus zur dritten Dekade des T. Livius, Erlangen 1883 ; M. Secchi, Silio Italico e Livio, “Maia” 4, 1951, pp. 280-297.

[84] Cf. gli studi di A. Klotz, Die Stellung des Silius Italicus unter den Quellen zur Geschichte des zweiten punischen Krieges, “Rhein. Mus.” 83, 1993, pp. 1-34; J. Nicol, The Historical and Geografical Sources used by Silius Italicus, München 1984; H. G. Nesselrath, Zu den Quellen des Silius Italicus, “Hermes” 114, 1986, pp. 203-230. Cf. anche  il commento polibiano di F. W. Walbank (Oxford 1957).

[85] Opportuna precisione di A. Grilli, I geografi antichi sulla Daunia, in La civiltà dei Dauni nel quadro del mondo antico, (Atti del XIII Convegno di Studi Etruschi e Italici), Firenze 1984, p. 85.

[86] Con queste parole volge a conclusione il profilo siliano tracciato da M. Bettini, L’epitaffio di Virgilio, Silio Italico, e un modo di intendere la letteratura, “Dialoghi di archeologia” 9-10, 1976-77, p. 448.