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Mura megalitiche
a sud dell’abitato di Castello Matese (di Domenico Loffreda)
Quante
volte, da ragazzo, ho fatto, a piedi, con i genitori il percorso della
mulattiera da S. Gregorio, passando per quella di Castello per raggiungere
Piedimonte, e viceversa, dopo il mercato
per ritornare al paese, e, diciassettenne al tempo della prova di
maturità classica, preparata con un anno di anticipo con il dotto Arciprete d.
Pasquale Panella, vicino di casa al paese, e in città con il prof. Bartoli a
Via Seponi, senza vedere altro che cappelle dove sostare a riposare per il
caldo o a ripararmi dalla pioggia o, talvolta, a prendere respiro per la
violenta borea, senza dare uno sguardo, accanto, alle muraglie grigio scure,
simili a tutte le altre costruite a trattenere terreno. Eppure erano anche
allora, là dove ancora sono. Né io, né altri ne udivamo il richiamo.
Mai un
cenno che quelle erano state ben altro: o per voce o per scritto. Quella
mulattiera era stata l’unica via di congiungimento tra i tre abitati,
fino agli anni novecentoventi.
Quella
mattinata…, il prodigio.
Dopo oltre
un anno di rinvio, ora per un motivo ora per un altro, quel mercoledì mattino
del 16 maggio si concretizza la visita ai luoghi dove l’amico prof.
Giuseppe de Angelis, che con me firma e documenta questa prima descrizione,
attento osservatore qual è, perché curioso di sapere, non per caso anche di
professione geometra, aveva notato qualcosa d’interessante in quelle
mura, che da sempre non sembravano altro che terrazzamenti, con pietre più
grosse del solito.
Egli
m’aveva già accennato di aver pensato a mura basali per fortezze, anche a
mura ciclopiche.
Ne aveva
visto solamente la parte laterale prospettica che dà sulla strada
Da Piazza
Roma, percorriamo Via S. Antonio del centro abitato, voltiamo per Via S.
Spirito, seguiamo Via P.P. Medici, ancora Via Muro Rotto, che ci porta nei
pressi della Cappella del Purgatorio. Parcheggiata l’auto a Via
Pretestrette, dopo pochi passi eccoci alla Cappella, presso la quale Peppino ed
io sostiamo tanto per dare un rapido sguardo all’incantevole panorama
lontano, l’ampia piana del Volturno e, vicino a sinistra la Solitudine,
il convento di Santa Maria Occorrevole con la torre campanaria, a destra, il
Monte Cila.
Dopo un
corto tornante, altra breve sosta sul breve primo tratto lineare della mulattiera.
Proprio all’inizio, sulla destra, guardando a valle, non isolato, si leva
dalla roccia un muro con massi e pietre.
E’
indicibile lo stupore, la meraviglia e il piacere di fronte allo scoprimento di
cosa inattesa, pensata, desiderata. A quella prima vista, io, con nella mente e
negli occhi il tratto di mura megalitiche a nord dell’abitato, i gradoni
poligonali a Monte Cila1
disegnati da Flavio Russo e le riproduzioni fotografiche delle mura poligonali
a nord dell’abitato e a Monte Cila, dei quali arricchisce il suo bel
testo, di fronte all’insolito insperato spettacolo che tocco con mano,
stupefatto, e quasi sbigottito: “ Ma queste, Peppino, sono le mura megalitiche,
come quelle del Cila e quelle altre presso la Torre.”- E Peppino: “
No. Ora, vedo. Sono più imponenti.”
Proprio
quelle che erano anonime muraglie, o murelle
in gergo locale, sono le mura poligonali che confermano le parole di T. Livio Fabius quoque movit castra, transgressusque
saltum, super Allifas loco alto ac
munito consedit2, quando ricorda la
scelta che Fabio Massimo fa del luogo sicuro, dove accampare il proprio
esercito e da dove disturbare e contrastare il Cartaginese.
Vediamo
mura che si stendono per non ripido pendio, lungo la strada, ancorchè non
usata, ben conservata, con la protezione di basso, non spesso muretto.
A distanza
pressoché regolare, si dipartono gradoni o
muraglioni d’identico spessore e di simile struttura, seguendo quelle
linee che in cartografia sono distinte col nome di curve di livello.
Sono, ad
iniziare dalla prima in alto, una serie di mura costituite da grossi massi alla
base e da pietre non piccole, non squadrate, che sono ora a sostegno di piccole
aree a coltura, conservate com’erano; solamente, all’inizio, dopo
la cappella del Purgatorio sul lato destro della strada per Piedimonte, la
parte superiore è stata consolidata o in parte ricostruita. Quasi tutte le mura
si sono conservate così com’erano nel IV secolo a. C.
Ed esse mai
riconosciute, perciò mai descritte, se ne sono state là per millenni ad
attendere, perché avevano ancora qualcosa da ricordare o confermare agli
immemori.
Frattanto
non cessava lo stupore, e piacere, ancora più vivo di quanto sentito a Valle
Valle, nel tratto di Valle del Torano, presso a Valle Orsara, nello stesso
comune di Castello, sempre per merito di Peppino, al momento
dell’individuazione dei resti della dipendenza della grangia cistercense
di S. Gregorio3. Due scoperte, con
parola impegnativa. Come definirle altrimenti?.
Ora, una
seconda volta, come la prima per il conventino,
potevo ammirare sul luogo e godere con Peppino la individuazione di quelle
stupende mura che non potevano non essere là poste se non quali antemurali per
la difesa di Castello e del Passo S. Croce, via per Boiano, a S. Gregorio.
Quelle mura
dovevano esistere: le avevo pensate con la stessa convinzione che m’ero
fatta della esistenza dell’altra costruzione cistercense ora ricordata,
oltre quella in alto alla Valle di Tora, a S. Gregorio, per la ragione della
presenza in quel luogo dei resti d’un antichissimo mulino, che qualcuno
doveva pure gestire.
Chiedevo a
Nicolino Lombardi e a Lino Di Muccio se avessero foto aeree dal deltaplano
dell’area di Castello, soprattutto della costa. Nicolino, no; Lino sì, ma
illeggibili. Esplorare, indagare, con pazienza, in loco, ecco il segreto.
Dopo la
sosta, Peppino ed io c’inoltriamo nell’area delle mura megalitiche,
nella quale fino ad allora erano entrati solo i proprietari, qualche ragazzo e
qualche cacciatore. Ne percorriamo, tra l’erba folta, la prima cinta,
poi, degradando, una seconda, una terza, una quarta, una quinta, e, alla
seconda visita sul luogo il 18 giugno, una sesta, l’ultima, tutte simili:
sei gradoni collegati da unico muro sul lato destro della strada con il volto
rivolto alla pianura. Lo spazio tra l’uno e l’altro, ora a colture
sempre più rare, è conveniente a mobilità e operatività difensiva. Le misure
sono variabili.
Sono, a partire
dal gradone presso la citata Cappella:
I -------------lunghezza muro m 80 circa
m 8 circa tra grad. e grad. ;
h m 1,50 c.
II ..................l m 40 circa
m 5 circa; h m
1,50
III ................ m 44 c.
m 5 c. ; h m 1,50 c.
IV ................. m 42 c.
m 8 c. ; h m 1, 50 c.
V
...............m .32 c.
m 8 c. ; h m
1.50 c.
VI..............m
30 c.
m
10 c. ;
h m 2,50 c.
La
lunghezza delle mura, che segue l’andamento del terreno secondo le curve
naturali, è pur essa variabile, come indicato nel grafico.
La tecnica
poligonale è di quelle che, su quattro “Maniere”, il Russo
classifica, della prima e seconda Maniera54, ossia, le più grezze, “cui
appartengono le “fortificazioni sannite”.
Non si
riproducono le foto Del Russo e le ricostruzioni per i noti giusti divieti
editoriali.
Delle
operazioni militari dalle mura megalitiche, in generale, il Russo scrive:
Non è
difficile…immaginare le ondate d’assalto romane lanciate lungo le
ripide pendici dei monti del Sannio, ed al contempo i difensori immobili,
schierati in duplice ordine su ogni loro sbarramento poligonale, pronti a
brandire la terribile arma,... il giavellotto...del quale stimando intorno ai
Delle mura,
aggiungo:
partono da quota 390 e si elevano fino a quota 400;
poggiano su roccia solida e compatta;
lo spessore è di m
0,80 circa.
L’esplorazione del luogo s’impone insieme con la mappatura
di tutta la zona per avere la misura esatta di quanto ancora si può desiderare
di conoscere su questo luogo fortificato.
Il pendio è
per se stesso una difesa. A destra e a sinistra, le mura sono protette dai due
valloni, del Rivo e del Torano, asperrimi da scalare, ampiamente descritti
nell’articolo sulla necropoli in attesa di pubblicazione. Qui ne basta il
cenno, per non ripetermi.
Il luogo,
che s’era riempito di suggestioni, invita a guardare oltre, qui e là.
Scopriamo che è un sito archeologico sannita e medioevale di grande interesse,
che si lega anche allo sviluppo urbanistico dell’abitato più a
monte.
Per quello
sannita c’è da osservare che le mura megalitiche poste a Nord, presso la
torre maggiore, sono il completamento residuo di quelle ben più strategicamente
strutturate a sud dell’abitato, tutte quasi intatte; che Castello è la
vera fortezza sannita, molto più adatta del monte Cila e alla difesa e alla
protezione dell’abitato; che questo, a mio parere, può essere
identificato come la sede dell’Alife sannita: in quel perimetro
fortificato gli alifani avevano cercato e trovato maggiore sicurezza nel
settantennio delle guerre sannite, prima di ricollocarsi o collocarsi nella
pianura, presso il fiume con accanto le abbondanti acque del Torano, lasciando
la fortezza alla difesa e sicurezza, se ce ne fosse stato bisogno, degli
abitanti della pianura, come avviene, alla fine dell’a. D. 800, dopo le
violente distruzioni saracine (il monasterium
puellarum benedettino di Alife), già posto, forse verso la fine del
Per quello
medioevale accenno solamente ai resti ancora ben leggibili: una porta di
entrata ed uscita dalle mura di cinta, che ancora si possono scorgere e individuare;
una torretta di avvistamento, isolata, ben conservata, che sorge pur essa su
solida compatta roccia. Dalla costruzione, di forma quadrata, si tiene sotto
osservazione, il prossimo monte Cila, la mulattiera che parte da Piedimonte e
tutto il Monte Muto; il sito nel quale tutta si svela la bella cappella del
Purgatorio con la facciata barocca, sede, probabilmente della quarta torre
medioevale: dal quale luogo si può partire per la individuazione della quinta,
conosciuto che i resti della terza, non lontana da quelle che restano, da non
molti anni è stata demolita per fare luogo ad una abitazione; una chiesa,
indubbiamente medioevale, tale riconoscibile per gli elementi strutturali
residui, quali il resto di un pilastro centrale, nella zona della cripta, il
quale doveva fare da sostegno a una volta, sul quale il pavimento, e, ancora, i
resti di una edicola: totalmente distrutto il tetto.
Mura
poligonali sannite e resti medioevali hanno reso quella visita ricca di
notizie, quante fino ad oggi non se ne conoscevano. Per merito anche della
Fortuna, la dea che Cesare faceva partecipe delle sue vittorie, concludendo il
proprio diario con vicit Caesar et
Fortuna, ancora una volta parlo di molti altri importanti resti
archeologici che alla storia di S.Gregorio con Castello e di tutta la contrada
alifana aggiungono pagine mai prima lette, e che, anche proprio per questo
motivo, impongono riflessioni e revisioni. Peppino ed io siamo
soddisfatti.
Domenico
Loffreda – Giuseppe De Angelis
23 giugno 2000
Fotografie di
D. Loffreda
Comunicazione
a Rotary Club Alto Casertano
di Piedimonte
Matese 29 giugno 2000
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1 F. Russo, Dai sanniti all’esercito Italiano – La Regione fortificata
del Matese, Laterza, Bari,
1991, p. 29; 72 e 30 e segg.
2 Livio, 22 18 6
3 D. Loffreda, Abbatiae Sanctae Mariae De Ferrara In Agro Vairano Notarii Francisci
Antonii De Pernutiis Platea 1622 – 1623, Loffredo Editore,
Napoli, 1999, Cap. IV, p. 93 e segg.
5 F. Russo, o. c., pp. .32, 33, 39