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   Prof. Giovanni Guadagno

 

Il secondo dopoguerra nella media Valle del Volturno 1943 - 1954

da Giovanni Caso a Giacinto Bosco

 

La speranza della conclusione della guerra per l’Italia, nata in conseguenza dell’armistizio dell’8 settembre del 1943, ebbe la sua presenza anche nelle comunità del territorio alifano-matesino.

Perciò, l’11 settembre del 1943, convinti che la guerra fosse finita, ad Alife, il secondo centro più popolato del territorio, i fratelli Armando e Guglielmo Pensa, e Ferdinando Rossi, provenienti da Piedimonte d’Alife e collegati con gli antifascisti beneventani Raffaele De Caro ed il prof. Giuseppe Fragola, liberali vicini a Benedetto Croce, costituiranno un “Comitato dell’Italia libera”.

Per rinuncia dell’agronomo Pietro Farina, che, durante il ventennio, era stato tenuto sotto controllo per le sue convinzioni politiche non sempre coincidenti con quelle del regime fascista, venne nominato Presidente del Comitato, il dott. Giuseppe Avecone, che, in quel momento, ricopriva ancora la carica di Commissario Prefettizio fascista del Comune.

Il 17 settembre il “Comitato” si riunirà, in una stanza riservata di una trattoria nel centro storico di Alife, con lo scopo di creare le basi per un’intesa e per una collaborazione di tutte le correnti che nel Comune si riconoscevano come antifasciste. In questa occasione i partecipanti decisero di modificare il nome del “Comitato”, da quello “dell’Italia libera” a quello “della Liberazione Nazionale”,  e di scegliere come suoi componenti: Giovan Giuseppe De Cesare, un  sincero antifascista vigilato nel “ventennio” perché dichiaratamente socialista, Mario Di Matteo, Dante Cappello, del Partito d’Azione, Giovanni Farrace, controllato durante il fascismo perché comunista, il sacerdote Egidio Ciaramella, i già citati Pietro Farina ed Armando Pensa, e Teodorico D’ Onofrio, segretario del comune. Si stabilì, nella stessa circostanza, di ampliare il “Comitato” con nuovi elementi di sicura fede antifascista.

Ma la speranza della fine del conflitto rimase ben presto delusa.

Il 1° ottobre del ’43, nel territorio alifano-matesino iniziarono i primi rastrellamenti tedeschi di uomini abili a predisporre i fronti di guerra del Cassinate per fermare l’avanzata degli Anglo-Americani. E, dalla stessa data, i Tedeschi ordinavano la consegna di apparecchi radio, cavalli, carretti con relative attrezzature, automezzi, generi alimentari…

Dopo le prime incursioni di aerei alleati nel territorio (un aereo americano la sera del 9 ottobre lanciò bombe sul centro abitato di Alife colpendo mortalmente sette persone), il 13 ottobre, lo scontro tra gli Anglo-Americani ed i Tedeschi sulle rive del Volturno fu violentissimo.

In quella terribile giornata, all’inizio della quale si diede luogo all’attraversamento del fiume nei pressi di Triflisco da parte degli Alleati, aerei americani, poco dopo mezzogiorno, bombardarono il centro storico di Alife, uccidendo 44 civili, e, nella serata dello stesso giorno, sul monte Carmignano di Caiazzo, vennero barbaramente trucidati per rappresaglia dai Tedeschi 23 cittadini, tra cui vecchi e bambini.

Dopo la conquista di Sant’Angelo e di Raviscanina del 25 ottobre, finalmente il territorio alifano-matesino veniva liberato dalla presenza tedesca.

In data 30 ottobre si costituì ad Alife il “Fronte Nazionale della Liberazione” in una riunione in casa del prof. Ciaramella, essendo il paese per metà distrutto, nelle persone di Ciaramella Egidio (Democrazia Cristiana), De Cesare Giuseppe (Partito Socialista), Farrace Giovanni (Partito Comunista), Di Muccio Anacleto (Democrazia del Lavoro), Isabella Pasquale (Partito Liberale) e Cappello Dante (Partito d’Azione), con questa dichiarazione: “considerata la impellente necessità di ridare al nostro paese la libertà necessaria per ogni vivere civile, aderiamo al Fronte Nazionale della Liberazione e ci costituiamo in Comitato. Nello stesso tempo eleggiamo segretario il prof. Ciaramella”.

 Ed il 5 novembre, in un locale di piazza Roma, a Piedimonte d’Alife, nascerà il “Comitato del Fronte Nazionale di Liberazione”, costituito dal dott. Giovan Giuseppe D’Amore, Presidente della locale sezione nazionale combattenti, dal rag. Antonio Troiano del Partito Liberale, dall’avv. Vincenzo Cappello  della Democrazia del Lavoro, dal prof. Alfarano rev. Marcello per la Democrazia Cristiana, dal dott. Di Panni Francesco del Partito d’Azione (Libera Italia), dal prof. Giacinto Cirioli del Partito Socialista, e dal sig. Romeo Simonetti del Partito Comunista.

Alla fine di ottobre del ’43, a Piedimonte veniva dimissionato l’ultimo podestà, il duca Filippo Gaetani, appartenente ad una nota nobile famiglia locale, che da secoli aveva esercitato un notevole potere politico, oltre che sociale, economico e culturale, non solo a Piedimonte, ma su tutto il territorio, ed alla quale apparteneva il conte Livio, deputato fascista nelle legislature iniziate nel 1929 e nel 1934, e componente del Consiglio Nazionale dei Fasci e delle Corporazioni dal 1939, che, nel 1933, aveva sposato Fiammetta Sarfatti, figlia naturale di Benito Mussolini e della giornalista Margherita Sarfatti.

Il 20 novembre del ‘43, a Piedimonte sarà nominato Commissario straordinario l’avv. Vincenzo Di Matteo, che si dimetterà dopo qualche mese per essere sostituito da un altro Gaetani, il conte Antonio, che rimarrà in carica fino al 1944, quando, scelta dal locale C.L.N., si insedierà una giunta costituita dai rappresentanti del Partito d’Azione (dott. Alfredo Ricigliano), del Partito Democratico del Lavoro (avv. Vincenzo Cappello), del Partito Comunista Italiano (sig. Vittorio Ceraci), della Democrazia Cristiana (avv. Vincenzo Di Matteo), e, come supplenti, i rappresentanti del Partito Liberale Italiano (dott. Ferdinando Tedesco) e della Democrazia Cristiana (sig. Federico Lupoli). In questa occasione fu nominato sindaco il dott. Alfredo Ricigliano del Partito d’Azione che, però, nell’inverno del ’44, si dimise, per essere sostituito dall’avv. Vincenzo Cappello del Partito Democratico del Lavoro, che rimase sindaco di Piedimonte fino al marzo del 1946, fino a quando cioè, per la prima volta, si svolgeranno libere elezioni amministrative.

Intanto la ricostruzione della provincia di Caserta dell’11 giugno del 1945, che ricomprenderà i territori dell’alifano e di gran parte del matesino, sarà accolta in genere con favore, anche se le distruzioni ed i disastri della guerra, tanti e tutti allora ancora evidenti, non potevano consentire facili entusiasmi o sollecitare illusioni per un immediato futuro migliore. Il territorio alifano-matesino si presentava allora senza adeguati collegamenti con la nuova provincia, dal momento che gli impianti della ferrovia Napoli-Piedimonte d’Alife erano stati  resi inservibili dalla guerra (il treno, partendo da S.M. Capua Vetere raggiungerà Piedimonte solo nel 1963), così come il ponte “Regina Margherita” sul Volturno, pur’esso distrutto dagli eventi bellici, che univa il territorio alifano con quello di Dragoni, sarà ricostruito solo nel 1953.

Nelle prime elezioni amministrative del 24 marzo 1946 a Piedimonte d’Alife, il più importante centro della media Valle del Volturno, la lista della D.C., che comprendeva anche candidati dichiaratisi indipendenti, otteneva, con il 51,46 % dei voti, 16 seggi, mentre a quella dei Partiti Comunista, Socialista, e d’Azione, con il 34,43 %, venivano attribuiti 4 seggi, e nessun seggio venne riconosciuto alla lista dei candidati del P.L.I., dei D. del Lavoro, degli Unionisti e dei Reduci, che ebbero il 13,90% dei voti; lista nella quale si era candidato, senza ottenere successo, il sindaco uscente avv. Cappello.

Come sindaco fu scelto ancora un Gaetani, il conte Filippo, che si dichiarerà indipendente, mentre ci si preparava alle più importanti elezioni del referendum istituzionale e dell’Assemblea Costituente del 2 giugno 1946.

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Così in queste vicende politiche dell’inizio del secondo dopoguerra, come già è stato sottolineato dal compianto Giuseppe Capobianco nella premessa al suo opuscolo del 1986 sulla figura di Antonio Marasco, un comunista piedimontese molto attivo nell’organizzazione del movimento operaio locale a partire dal 1919 e soprattutto nel secondo dopoguerra, l’importante e preminente ruolo avuto dalla famiglia Gaetani nella storia della media Valle del Volturno non può essere ignorato. Se si volesse partire già solo dalla proclamazione del regno d’Italia, egli scrive, va sottolineato il particolare ruolo politico che ha avuto nel territorio matesino e la straordinaria “capacità gattopardesca” della famiglia Gaetani; una famiglia, infatti, che fu, prima dell’Unità, borbonica; che ebbe esponenti importanti tra i rivoltosi napoletani nel ’99, come Onorato che aveva sposato una Serra di Cassano; che fu napoleonica, poi; di nuovo borbonica; e, dopo la proclamazione del Regno d’Italia, sarà presente nel Parlamento Piemontese, come costituzionale con il conte Roberto, come radicale con il conte Antonio, e, di nuovo, fino al 1905, come costituzionale con il conte Luigi.

          E mentre al senato dal 1908 rimaneva fino al 1924 il principe Nicola Gaetani, nel 1923 un altro conte della stessa famiglia, Roberto, diventerà membro del triunvirato fascista locale. Poi, come già ricordato, il conte Filippo sarà podestà di Piedimonte dal 1935 al 1943, il conte Antonio sarà nominato “rettore” per la provincia di Benevento, e Francesco Gaetani per quella di Napoli; mentre il ricordato conte Livio, imparentato con i Torlonia, consultore nazionale fascista dal 1929 al 1943, diventerà anche commissario dei Consorzi riuniti di bonifica della Campania.

          Anche nel secondo dopoguerra si evidenziò il particolare ruolo politico e l’adattamento della famiglia Gaetani al nuovo sistema. Quel conte Antonio, rettore di Benevento e che era stato anche podestà di Castello d’Alife, nel 1944, infatti, per nomina alleata, come già ricordato, fu Commissario Prefettizio di Piedimonte d’Alife, e, poi, candidato monarchico alle elezioni provinciali del 1956, e per conto della D.C., candidato alla camera dei deputati, nel 1958, e, nel 1960, candidato al comune di Piedimonte d’Alife. Si tratta di quel conte Antonio, e questo va anche ricordato per comprendere le motivazioni del consenso che i Gaetani continueranno ad avere a Piedimonte, che, trasferitosi provvisoriamente nel Milanese, aiutò gran parte degli operai tessili piedimontesi, rimasti disoccupati, a trovare lavoro nello stabilimento “Carminati” di Gallarate, come ci ricorda il già citato rappresentante comunista nel C.di L.N., poi diventato socialista, Romeo Simonetti quando ha scritto nell’introduzione di una sua raccolta epistolare dattiloscritta: “ A causa della distruzione per gli ultimi eventi bellici (quelli dell’ottobre del ’43), del vecchio cotonificio, grazie a lui (Antonio Gaetani) soprattutto, si deve la realizzazione, nell’anno 1954, in Piedimonte d’Alife del nuovo stabilimento cotoniero dai benemeriti fratelli Radice: stabilimento che ha permesso la ripresa socio-economica della nostra benemerita cittadina”. Cotonificio che conterà negli anni ’80 più di 500 operai, senza che tra loro i sindacati confederali riuscissero mai ad avere significative adesioni, e che ora risulta desolatamente chiuso ed inutilizzato.

          Mentre Francesco, il già ricordato “rettore” fascista di Napoli, fu capolista per la D.C. nelle elezioni municipali di Piedimonte nelle amministrative del 1946, e sindaco della stessa città, fino al settembre del 1947; ed ancora Ugo sarà eletto Consigliere provinciale con il M.S.I. nelle elezioni del 1952. Un altro Gaetani, il conte Mario Giovanni, intanto, già era stato nominato Commissario Prefettizio del comune di Alife, incarico che svolse dal gennaio del 1944 all’aprile del 1945.

Il secolare, straordinario e, talvolta, travagliato ruolo dei Gaetani nel territorio alifano-matesino, in questo secondo dopoguerra, però, andrà gradualmente assumendo, soprattutto a partire dalla metà degli anni sessanta, contorni sempre più marginali, mentre altri personaggi e nuovi scenari politici si imporranno.

Ma per comprendere questo ricambio politico dobbiamo ritornare a quell’ “ottobre del 1943” ed ai particolari fatti che accadranno soprattutto a Piedimonte a partire dal 1944.

 

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Il 25 ottobre del 1943, come già ricordato, le truppe tedesche, che avevano combattuto sul Volturno in attesa di spostarsi sulle più attrezzate linee del Cassinate, incalzate dai soldati anglo-americani della Va armata comandata dal generale Clark, abbandonarono definitivamente il territorio alifano-matesino.

Ora, la pianura alifana, non più teatro diretto di guerra, ospiterà un reggimento della 34a divisione americana, un campo di riposo per le truppe impegnate sul fronte cassinese, e due campi aerei. E tra le truppe in riposo e la popolazione dell’alifano e del matesino circolerà il periodico “Corriere Alleato”, fatto stampare dagli Alleati nella tipografia “La Bodoniana” di Piedimonte d’Alife.

Il già ricordato agronomo Pietro Farina, che fu anche un attivo pubblicista alifano fino ai primi anni del secondo dopoguerra, nel suo diario, ancora inedito, in data 23 ottobre del 1943, annotava: “Centinaia di carretti, di asini, di cavalli, di muli, scendono lentamente dalla catena montuosa del Matese trasportando indumenti, attrezzi, donne, ragazzi, vecchi e malati. I giovani più ardimentosi procedono impavidamente sulle strade polverose, i tortuosi sentieri, i campi seminati e sconvolti dalla furia dei combattimenti, scansando buche, mine, fossati, trabocchetti, trincee, …. Ritornano dimagriti, macilenti, malati, atterriti dallo spettro della fame e dalla mancanza delle case di abitazione”.

Finalmente, la guerra con tutte le sue terribili violenze, per chi abitava nel territorio alifano-matesino, era veramente finita.

E la media-Valle del Volturno, dopo essere stata “caposaldo della difesa tedesca e, poi, retrofronte di Cassino” - scriverà più tardi, nel 1947, don Pasquale Panella, un altro diretto testimone delle tragiche vicende militari di quel periodo - ora è “ la terra di nessuno”. Ma “In simile iattura - aggiunge don Pasquale - il buon cuore dei naturali della zona (così a S. Gregorio) rifulse, approntando - ai profughi, agli sbandati, agli ex prigionieri, ai soldati - cibi, vesti e ricovero sempre gratuiti. Ed in quel periodo, scrive ancora il sacerdote, specialmente il clero locale fu “di incitamento a tali opere di bene e dovette sostenere il peso della stessa cosa pubblica, mentre gli altri abbandonavano i loro posti”. E racconta ancora: “… venne tra noi, per brevissimo tempo, uno sfuggito alla mitraglia tedesca dalle terre di Modena, il sac. don Zeno Saltini, il quale portò una scintilla che fu custodita e poi produsse: per opera del Prof. On.le Caso a Piedimonte d’Alife (fu la prima opera di vera ricostruzione e che attualmente fiorisce), e per opera di collegati ad Alife. Ci sono importanti problemi da risolvere per la nostra  ricostruzione, ma tra questi non è inferiore quello dell’infanzia: e proprio questo ci additò don Zeno ed a questo vogliamo restare fedeli occupandocene sempre meglio. Formare l’infanzia è l’unica via per risollevarci dal fondo in cui si è precipitati”.

 

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Chi era don Zeno?

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il sacerdote don Zeno Saltini, accusato di aver esaltato l’avvenuta tregua dell’Italia con gli Alleati, per sfuggire definitivamente alla cattura tedesca, partì, il 19 settembre dello stesso anno, con 25 giovani, da San Giacomo Roncole (Modena), dove aveva fondato, nel 1933, l’Opera Piccoli Apostoli. Il viaggio durò due mesi, prima di poter attraversare fortunosamente, sul fiume Sangro, il sospirato fronte, che divideva il Nord, occupato dai nazi - fascisti, dal Sud “liberato” dagli Alleati.

Il 26 novembre 1943, don Zeno ottenne dall’autorità militare alleata un lasciapassare per poter incontrare padre Pio a S. Giovanni Rotondo, dove aveva dato appuntamento ai suoi giovani accompagnatori il 22 gennaio del 1944. Dei 25 partiti con lui, a S. Giovanni ne incontrerà solo quattro, perché gli altri erano tornati indietro per arruolarsi tra i partigiani modenesi. Da S. Giovanni Rotondo andrà a Bari, dove assisterà al bombardamento tedesco del porto; poi, a Brindisi, a Taranto e, infine, a Napoli.

Il 31 dicembre del ‘43 sarà a Casapesenna, ospite di don Salvatore Vitale (del quale attualmente dovrebbe essere in corso il processo di beatificazione), che ispirato proprio da don Zeno, fonderà “La Piccola Casetta di Nazareth” per accogliere bambini poveri. Continuando nel suo peregrinare, don Zeno, all’inizio di febbraio del 1944, giungerà a Pompei, ospite di mons. Ercole Crovella.

E’ l’ 11 maggio del 1944 quando don Zeno giunse a Piedimonte.

 

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In un’intervista rilasciata nel 1973 a Padre Fausto venuto a Piedimonte da Nomadelfia, la nota fondazione creata da don Zeno a Fossoli di Carpi (Modena), e, dal 1953, trasferita nella Maremma grossetana e tutt’ora in piena attività, monsignor Espedito Grillo,  allora parroco dell’Annunziata di Piedimonte, tra l’altro, ricordava: <<ai primi di maggio del 1944 avevo bisogno di un predicatore e mi rivolsi a monsignor Miranda di Napoli. E con un giorno di ritardo del Novenario, arrivò questo sacerdote (don Zeno) più o meno magrino, con una sottana più o meno malandata, senza colletto, con un fazzoletto legato al collo, con una fisarmonica e iniziò il Novenario. Fin dalla prima sera mi accorsi che più che oratore classico, cioè quegli oratori roboanti, con parole roboanti e con enfasi, era piuttosto un conferenziere, ma un conferenziere “oratore”, cioè sotto questo aspetto annunziava e spiegava simpaticamente il Vangelo, la giustizia. Si accorse subito dell’ambiente: era pieno dopoguerra, tutti i partiti in fervore: frazioni, lotte intestine, lotte cittadine, e più che lotte: odio tra gli iscritti di un partito o l’altro. E io che avevo visto mediante i ritiri di Perseveranza la chiesa piena di uomini ogni mese, soffrivo tanto nel vedere la chiesa deserta di uomini appunto perché più attaccati ai partiti … C’erano solo donne. Don Zeno si accorse subito di questo dissesto. I comunisti che gridavano: “Lavoro e pane”. E pane e lavoro, e lavoro e pane; fatto si è che la chiesa era deserta e nessuno pensava al grande Novenario. E dalla prima sera incominciò Don Zeno a parlare della giustizia. Ma in una maniera così originale, così attraente, e vorrei dire così nuova … Allora i comunisti subito dissero: “E’ venuto un ribelle”. I liberali dissero: “deve essere mandato via!”. Gli altri partitini, il Partito d’Azione specialmente: “Tutti i preti devono dire questo!”. E anche nel clero si era incominciato un po’ a essere seccati di questa innovazione. Don Zeno imperterrito continuava ogni sera. Fin che una sera uscì a parlare di giustizia che non può prescindere dalla religione, e la religione che non può prescindere dalla giustizia>>.

Il 23.03.44, il parroco Grillo, aveva implorato effettivamente mons. Miranda con una lettera accorata perché lo aiutasse a trovare tra gli ordini religiosi un oratore “che - come scrisse - porti fervore e nuove parole adatte, in questi tempi difficili, a tutti i guasti”. “Vent’anni or sono - egli scrive - la mia parrocchia era <<rossa>> e oggi si sforza di ritornare tale”. E poi, il parroco era preoccupato anche perché - come scrive: “un gran numero di <<signori>> che quasi mai si ribassano ad ascoltare la parola di Dio, usa venire a dilettare l’occhio e l’orecchio” e la loro partecipazione potrebbe costituire un’occasione per “cibare” le loro anime.

Il Novenario continuava, ma la parte più reazionaria e conservatrice sia politica che clericale della città faceva pressione sul parroco Grillo perché il predicatore venisse mandato via. Ma, alla fine, molti rimasero scossi ed affascinati per le “predicazioni” di don Zeno.

          Racconta ancora il parroco Grillo “il primo ad essere convertito … fu proprio Giovanni Caso. Si convertì in una maniera così radicale che subito volle seguire (don Zeno) in tutte le sue idee, grandi e piccole … Così fece l’Opera Piccoli Apostoli a Piedimonte, in una maniera fenomenale, dando tutto se stesso…”. 

          Giovanni Caso, dal 1932 libero docente di Medicina del Lavoro all’Università di Napoli, e già sindaco di Piedimonte nel 1924, dopo essere stato eletto come consigliere comunale in una lista dei combattenti in contrapposizione a quella fascista; sarà autore di pubblicazioni di chiara ispirazione fascista, tra le quali “Dall’intervento alla marcia su Roma”, dove esaltava il nuovo regime, e “Dal sindacato di classe allo stato corporativo” del 1929.  Aveva quarantotto anni, invece, quando conobbe don Zeno. E lui stesso così ci descrive l’incontro: “Maggio 1944 - incontro con don Zeno Saltini, confuso io nella folla degli ascoltatori nel Santuario di A.G.P. ed Egli nella luce della Cattedra della verità cristiana. Una folgorazione sul mio corpo, una scossa allo spirito addormentato in vecchie formule ed in abusati preconcetti morali e sociali, un attimo di esitazione e poi la mia conoscenza intima con Lui, sacerdote e sociologo, apostolo di Cristo il quale sembrava nuovo, nel fragore della battaglia di allora e nel cozzo degli egoismi …”

 

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Il 15 giugno del 1944 don Zeno, tra l’altro, così scriverà da Piedimonte ai Piccoli Apostoli del Modenese: “Sono come in esilio; errabondo tra mille miserie di popolo; …. Così alla notizia della liberazione di Roma io sento viva la speranza di rivedervi e riabbracciarvi presto. Quando ho sofferto! Quando soffro! E in questa sofferenza ho voluto lasciare un dono a questa Italia Meridionale bagnata da tante mie lacrime: l’Opera Piccoli Apostoli nella Diocesi di Alife”.

E più avanti scrive: “Ho bussato a tante porte , ho scongiurato autorità e ricchi a salvare l’innocenza in abbandono…

Ho incontrato uomini e tra essi Sacerdoti che faranno miracoli quando potranno essere con noi una cosa  sola. Io vi vedo qui attorno al mio scrittoio in questo ospitalissimo Seminario di Piedimonte a scrivere la mia benedizione e a dirmi con quella prontezza che tanto ricordo: “Don Zeno, pronti; corriamo ...”. Invece sono qui solo a piangere una inoperosità che finirà per essere stata il più fecondo seme della più feconda rinnovazione di questo popolo di Piedimonte che senza dubbio sarà un faro di luce e di amore a tutta l’Italia Meridionale”.

Certo è che, don Zeno, trasferitosi a Roma alla fine del giugno del ’44, il 1° settembre dello stesso anno, in Piedimonte d’Alife, per iniziativa del prof. Giovanni Caso, e con l’approvazione del vescovo Luigi Noviello, viene istituita l’Opera Piccola Apostoli, modellata in parte sullo Statuto e sul programma della modenese Fondazione Piccoli Apostoli (che diventerà, nel 1948, Nomadelfia) di don Zeno Saltini.

Il 25 febbraio del 1946 il prof. Caso, che sarà eletto, soprattutto per il consenso popolare ottenuto con la istituzione dei Piccoli Apostoli a Piedimonte, nella lista della D.C. all’Assemblea Costituente nelle votazioni del 2 giugno dello stesso anno, comunicava a don Zeno che l’Opera di Piedimonte dai 30 allievi iniziali del 1° settembre 1944 ora ne assisteva 470.

Il 15 settembre ’46, intanto, iniziava le sue pubblicazioni, che dureranno due anni, il quindicinale “Libertas”, come organo della D.C. dell’Alifano, stampato nella tipografia “La Bodoniana” di Piedimonte, e diretto dal ventitreenne insegnante Franco Cobianchi, che sarà, poi, segretario politico provinciale della D.C. dal 1975 al 1980.

          Dopo qualche mese dall’elezione a deputato, l’on. Caso può assicurare don Zeno del buon andamento dell’Opera. Molte porte gli sono state aperte, e può scrivergli in data 25 maggio 1947: “L’Opera Piccoli Apostoli di Piedimonte d’Alife va avanti discretamente con tre oratori (uno per ogni parrocchia) e così pure per i vicini paesi di Alife, San Gregorio, Gioia, S. Angelo, Prata Sannitica. Viene somministrata la pietanza calda al mezzogiorno, con i generi che ci fornisce l’U.N.R.R.A.. La Scuola Artigiana è allocata nei locali dell’Edificio Scolastico e contiene un centinaio di ragazzi. E già il secondo anno che presso di essa è istituito un corso per meccanici generici”.

          Gli stanziamenti governativi per l’Opera, ora, non mancano. Scrive ancora l’on. Caso il 27.8.1947 ad un collaboratore di don Zeno che si lamentava per la poca attenzione dei governanti nei confronti dell’opera Piccoli Apostoli modenese “Condivido le vostre lagnanze ma … il già ottenuto … è sempre qualcosa di fronte alla trascuratezza dei passati governi anticlericali. Io ho una fiducia angelica negli on.li De Gasperi e Andreotti i quali sapranno ben superare le pastoie burocratiche per compiere un’opera di carità sociale”.

Il 18 aprile del 1948 Giovanni Caso, candidato al senato, avrà a Piedimonte il 78,21% dei voti, trascinando col suo ottimo risultato quello democristiano della camera dei deputati del 72,24%; mentre nel settembre del 1947 al comune di Piedimonte si era dimesso, ufficialmente per motivi di salute, il sindaco Francesco Gaetani, ed era stato eletto in sua vece il prof. Angelantonio Caso.

Giovanni Caso, quindi, eletto senatore può continuare a curare ancora meglio la sua “Opera Piccoli Apostoli”, che divenne sempre più una sicura fonte di consenso elettorale anche perchè ha trovato ad Alife un collegamento molto serio nel sacerdote don Pasquale Panella, fondatore, in qualità di Piccolo Apostolo, di un “Opera” collaterale a quella di Piedimonte, denominata “Le R.O.S.E. dell’Ausiliatrice”, e, dal 1949 al 1954, di un periodico mensile denominato “L’Eco dell’Ausiliatrice”.

Ed è soprattutto questo sacerdote che guiderà la ricostruzione materiale e morale di Alife e che collaborerà ad organizzare la sez. della D.C. locale, portandola alla vittoria in diverse elezioni amministrative e politiche del dopoguerra, assumendosi talvolta la responsabilità di tenere direttamente comizi in piazza. Anche se, per comprendere il forte recupero delle destre (43% dei voti validi) verificatisi al Alife nelle elezioni del 18 aprile ’48, oltre l’ottima tenuta della D.C., che prenderà il 48% dei voti, mentre alle sinistre andrà solo l’8% dei consensi, non va trascurata la candidatura di un insegnante locale nella lista del Blocco Nazionale ed il ruolo che ebbero gli Alifani d’America che si erano riuniti in un potente sodalizio chiamato “Alife Society of America” che, il 22 febbraio del 1948, proprio alla vigilia delle prime elezioni politiche dell’aprile del 1948, inviò ai cittadini di Alife, tramite l’Amministrazione Comunale, un manifesto da pubblicizzare dove, tra l’altro, si legge: “Seguendo ansiosamente gli avvenimenti politici che avvengono in Italia, sentiamo il dovere di rivolgere a voi… un appello, acciocché nelle prossime elezioni politiche nazionali che si terranno in Italia, con il vostro voto possiate portare la sconfitta dei candidati del Partito Comunista che vogliono allontanarvi dall’amicizia sincera e fraterna degli Stati Uniti d’America  per soggiogarvi a quella dittatoriale della Russia Sovietica. Il popolo americano, di cui noi ci onoriamo di far parte, è pronto a darvi quell’aiuto che vi metterà in condizioni di riacquistare la vostra libertà politica e commerciale e riprendere nel mondo il posto di grande nazione”.  

In una corrispondenza del 14.6.1948 l’on. Caso, intanto accogliendo una richiesta di don Zeno, che proprio in quell’anno aveva trasformato l’Opera Piccoli Apostoli in Nomadelfia (termine derivato dal greco che significa “La fraternità è legge”), è pronto a creare una Nomadelfia anche a Piedimonte su una superficie considerevole di terreno.

          Ed il 19 marzo 1949, Giovanni Caso, a proposito dell’assistenza pubblica all’infanzia abbandonata o in difficoltà, proporrà al senato un ordine del giorno dove elogerà l’opera benefica già svolta nel campo dell’assistenza sia privata che pubblica, ma inviterà il Ministro dell’Interno a voler proporre al Parlamento opportune norme sull’unificazione dell’assistenza ai fanciulli, tenuto conto come egli scrive: “che a questi … occorre soprattutto il caldo affetto della famiglia del sangue e, ove questo manchi, sostituirlo con i matronati”.

Così le convinzioni di don Zeno, attraverso Giovanni Caso ed altri senatori, riecheggiarono in Parlamento.

Ma il 22 marzo del 1950, nuove e strane notizie giungono al senatore Caso, che insieme ai senatori Riccio e Medici interpelleranno il Presidente del Consiglio dei ministri ed il ministro dell’interno, “per conoscere se risponde a verità quanto è pubblicato dalla stampa quotidiana circa la vendita all’asta pubblica dei beni mobili di Nomadelfia ed in caso affermativo quali provvedimenti intendono adottare di urgenza per evitare lo scempio della dissoluzione di un’opera altamente sociale ...”.

La crisi di Nomadelfia del 1950 coinciderà con la nascita di seri problemi anche all’Opera Piccoli Apostoli di Piedimonte, e con l’inizio del declino politico di G. Caso.

Il 14 settembre del 1950 l’on. Caso comunicherà a don Zeno di aver richiesto al Vescovo della Diocesi di Alife, Giuseppe della Cioppa, l’autorizzazione a prendere contatto con i Salesiani di Caserta.

 Don Zeno non sarà d’accordo sulla decisione dell’on.le Caso e lo inviterà, il 22.5.50, a rifiutare le proposte dei Salesiani ed a fondare anche a Piedimonte, senza indugio, Nomadelfia. Si impegnerà a portare personalmente un sacerdote P.A. a Piedimonte, che potrebbe fermarsi per fondare Nomadelfia. Ma, in verità il rapporto tra i due non era più quello di una volta, per un’imprevista caratterizzazione politica che don Zeno diede alla sua vita ed alla sua opera.

Don Zeno, nel febbraio del 1950, aveva creato, infatti, un movimento politico nuovo: “Il Movimento della fraternità umana”, che proponeva una vera democrazia diretta e l’abolizione di ogni forma di sfruttamento da parte del capitale privato e dello Stato. Aveva tenuto una serie di discorsi in tutta la provincia di Modena, a Torino, a Milano, a Siena, a Brescia, a Verona, a Mantova, a Ferrara e a Reggio Emilia, creando molti entusiasmi intorno al suo progetto; mentre le forze politiche del governo e gli ambienti ecclesiastici cercavano, invano, di fermare la sua iniziativa. Per questo il governo aveva bloccato ogni aiuto per Nomadelfia, che, perciò, entrerà in una profonda crisi finanziaria. Ed il 5 febbraio 1952, il S. Ufficio ordinerà con decreto a don Zeno di lasciare Nomadelfia e di mettersi a disposizione del proprio Vescovo. Nel decreto si preciserà che una commissione farà fronte alle passività, e che, a Nomadelfia, saranno inviati i Salesiani. Don Zeno ubbidirà. Forse non fu una semplice coincidenza il fatto che anche l’on. Caso si fosse rivolto ai Salesiani per portare avanti l’ “Opera” a Piedimonte. Il 28 settembre del 1950 Giovanni Caso scriverà: “Mio caro don Zeno …. Io ci tengo a dirti che mi sono rivolto a loro (ai Salesiani) sapendo di far bene  perché ai P.A. Piedimontesi mancava e manca l’assistenza religiosa”.

La corrispondenza tra i due divenne sempre più laconica.

Nelle elezioni amministrative, intanto, del 25 aprile del 1952, a Piedimonte si registra in tutte le liste un ampio ricambio dei candidati, dei 48 del 1946 saranno ricandidati solo 8. La lista della D.C. avrà il 47,56% dei voti, e 16 seggi; la lista Rinascita, di sinistra, il 27%, con 2 seggi, e quella del P.N.M. e M.S:I. il 25,14%, con 2 seggi. Ormai la D.C. mostra una notevole capacità d’attrazione, mentre la destra, con la quale si schiera il già ricordato conte Antonio Gaetani, come era avvenuto in molti comuni del Sud, riesce a contendere alla Sinistra la conquista della minoranza. In questa occasione viene rieletto sindaco l’avv.Vincenzo Cappello, che, disgregatosi il Partito Democratico del Lavoro nel 1947, diventa nello stesso anno presidente del Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano, e successivamente Presidente della locale Banca del Matese, mentre si avvicinava sempre più alla D.C., al quale partito il figlio Dante (il cui ruolo nelle vicende politiche ed amministrative sarà, nei decenni successivi, molto incisivo non solo sul territorio alifano-matesino, ma di tutto il casertano), dopo aver militato nel partito d’azione, già aveva aderito, e col quale era stato eletto, nell’ottobre del 1946, nel consiglio comunale di Alife. Ma altre difficoltà dovrà affrontare ed altre umiliazioni dovrà subire l’on. Caso. Non ultima quella di non essere ricandidato senatore nelle elezioni politiche del 1953, quando sarà sostituito, soprattutto per volontà di Amintore Fanfani, come rappresentante della D.C., dall’on. Giacinto Bosco, nel sicuro collegio di Piedimonte d’Alife-Sessa Aurunca. L’on. Bosco, già eletto senatore nel 1948 nel collegio di S. Maria Capua Vetere - Aversa con il simbolo dello stemma civico della sua città natale S.Maria C.V. in una coalizione di monarchici, missini e democristiani di destra, si era distinto nel corso della difficile legislatura 1948 -1953, dopo essere passato dal gruppo misto a quello della D.C., nei dibattiti parlamentari e negli incarichi internazionali che gli erano stati affidati.

Ed al fine di chiarire come sia comparsa la figura dell’on. Giacinto Bosco sullo scenario politico dell’alifano-matesino utile appare l’intervista comparsa sul “Corriere del Mezzogiorno” del 14 ottobre 2001, a firma del giornalista Angelo Agrippa, al sammaritano onorevole Giuseppe Santonastaso, tra l’altro, si legge: “ … il padre di Giacinto Bosco, il medico condotto Manfredi, era molto amico di mio padre, uno dei primi marescialli dei carabinieri di origine meridionale, arruolato nel 1895. Fu mio padre a chiedermi di favorire l’ingresso di Bosco nella D.C..

Ma l’on. De Michele, parlamentare sammaritano, si oppose, con lui un altro leader politico di allora, Piscitelli, di Cervino. Bosco non la spuntò; tanto che nel ’48 si presentò con una lista civica avente per simbolo, anche una corona. Insomma arrivò il ’52 ed io, da vice segretario della sezione della D.C. di S. Maria C.V., promossi un altro tentativo contro il mio amico segretario di sezione. E così l’iscrizione di Bosco fu accettata per un solo voto”. Però, alle elezioni del ’53, l’on. Bosco venne eletto a Piedimonte e non nel collegio di S.Maria, dove si ritenne di doverlo punire del tradimento politico facendolo scendere dal 59,03% di voti presi nel 1948, al 29,05%.

Così come, per la comprensione dei personaggi e degli avvenimenti politici degli anni successivi, importante, credo, uno dei ricordi di un simpatico retroscena elettoralistico raccontato dall’on. Dante Cappello e pubblicato sempre sul “Corriere del Mezzogiorno” al giornalista Agrippa il 18 luglio del 2001: “… don Giacinto in campagna elettorale girava con la tuba in testa per i paesi dell’alto casertano e parlava di politica estera. Io lo richiamai e gli dissi : …. don Giacì, ma se continuate così, qui che sono tutti contadini, non raccogliete nulla. Fate come me: dispensate saluti, date pacche sulle spalle e abbiate un po’ di attenzione per i bambini … L’indomani mi recai a casa sua, a S.Maria C.V.. Aveva i polsi gonfi e coperti da impacchi di liquido vegetale: aveva stretto troppe mani”.

Non va trascurato, ma è tutto da approfondire, poi, il ruolo che hanno avuto nella candidatura e nei positivi risultati elettorali dell’on, Bosco nel collegio di Piedimonte-Sessa delle due logge massoniche di Piedimonte: la “Ercole d’Agnese” e, l’altra, “I figli del Matese”, che, interrotte le loro attività durante il Fascismo, si ricostituiranno nell’immediato dopoguerra. Va segnalata in particolare la presenza nell’ambiente massonico piedimontese negli anni cinquanta dell’agronomo Alfredo Carfì che allora svolgeva la sua attività professionale nel Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano, diventato nel ’47 completamente autonomo.

Alfredo Carfì era un massone, che già inviato dal Fascismo al confino perché, sebbene segretario politico del partito fascista di Avellino, e, poi, federale della stessa città, aveva tenuto nascosto la sua appartenenza alla Massoneria, e che lasciò tanto rimpianto, soprattutto nell’ambiente massonico locale, che, alla sua morte avvenuta negli anni sessanta, nascerà una loggia che porterà il suo nome.

 Intanto nella competizione elettorale provinciale del ‘52 sarà eletto il democristiano Paolo Farina, nativo di Alife e figlio del già citato pubblicista locale Pietro, anch’egli notoriamente massone. Paolo Farina nel comune di Piedimonte sarà superato, soprattutto per motivi campanilistici, dal candidato del M.S.I. e P.N.M, dal già citato conte Ugo Gaetani, che sarà, come già ricordato, anche eletto.

Solo il 12 settembre del 1954, all’on. Caso, intanto, venne dato l’attesa notizia che dal mese successivo i Salesiani sarebbero giunti a Piedimonte per iniziare le loro attività presso l’Opera dei Piccoli Apostoli, che da due anni aveva preso ormai il nome di Opera Sociale Ragazzi di Don Bosco.

Ma ormai il ruolo politico di Giovanni Caso nel territorio alifano-matesino si era concluso inesorabilmente.

Così a Piedimonte se terminerà la storia dell’Opera Piccoli Apostoli, ed inizierà quella della presenza dei Salesiani, la vicenda umana di Giovanni Caso si concluderà definitivamente il 9 aprile del 1958.

Il fondatore dei Piccoli Apostoli a Piedimonte morirà stroncato da un infarto, nel teatro cittadino Mascagni, mentre svolgeva un comizio per le elezioni politiche del maggio 1958, nel quale intendeva dimostrare soprattutto di non aver mai abbandonato i suoi ideali democratici e cristiani, anche se il non essere stato candidato senza giustificati motivi politici nel 1953, lo aveva indotto, poi, a sposare la causa del P.M.P.

L’episodio della tragica morte di Giovanni Caso viene raccontato così da mons. Espedito Grillo nella già citata intervista del 1973: “gli venne un infarto mentre faceva un comizio contro la Democrazia Cristiana … Certo che lui non doveva cambiare partito, si mise con i monarchici. E io gli dissi: “Onorevole questo tradimento non dovevate farlo in nome di Don Zeno”. Dice: “Mi hanno costretto!” - “Mah !”. E alla sera che, dove aveva spiegato in teatro il perché era uscito dalla Democrazia Cristiana, un infarto, arrivò a dire la parola “Scusate ...” e cadde a terra morto.”

E mentre il già uscente senatore Giacinto Bosco nel 1958 veniva confermato, riuscendo primo eletto del gruppo democristiano della Regione Campania, ottenendo a Piedimonte il 49,90% dei voti (nel 1953 aveva raggiunto il 38,50%), la lista del P.M.P. per l’elezione della Camera dei deputati, otteneva il 14,64%, soprattutto perché era candidata la signora Masella Maria, moglie di Giovanni Caso, che raccolse, su 762 voti di lista, 655  preferenze. Così, mentre la nuova era politica, simboleggiata soprattutto dalla figura di Giacinto Bosco, che si affermava e consolidava, per il suo spessore culturale e politico, sempre più a livello nazionale oltre che nel collegio senatoriale alifano-matesino e sessano, la vicenda umana e politica di Giovanni Caso con le sue luci e le sue inevitabili ombre definitivamente veniva  consegnata alla storia.

                                                                                                                                                                                                                   Giovanni Guadagno

 

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