Il
secondo dopoguerra nella media Valle del Volturno 1943 - 1954
da Giovanni Caso a Giacinto Bosco
La
speranza della conclusione della guerra per l’Italia, nata in conseguenza
dell’armistizio dell’8 settembre del 1943, ebbe la sua presenza anche nelle
comunità del territorio alifano-matesino.
Perciò,
l’11 settembre del 1943, convinti che la guerra fosse finita, ad Alife, il
secondo centro più popolato del territorio, i fratelli Armando e Guglielmo
Pensa, e Ferdinando Rossi, provenienti da Piedimonte d’Alife e collegati con
gli antifascisti beneventani Raffaele De Caro ed il prof. Giuseppe Fragola,
liberali vicini a Benedetto Croce, costituiranno un “Comitato dell’Italia
libera”.
Per
rinuncia dell’agronomo Pietro Farina, che, durante il ventennio, era stato
tenuto sotto controllo per le sue convinzioni politiche non sempre coincidenti
con quelle del regime fascista, venne nominato Presidente del Comitato, il
dott. Giuseppe Avecone, che, in quel momento, ricopriva ancora la carica di
Commissario Prefettizio fascista del Comune.
Il 17
settembre il “Comitato” si riunirà, in una stanza riservata di una trattoria
nel centro storico di Alife, con lo scopo di creare le basi per un’intesa e per
una collaborazione di tutte le correnti che nel Comune si riconoscevano come
antifasciste. In questa occasione i partecipanti decisero di modificare il nome
del “Comitato”, da quello “dell’Italia libera” a quello “della Liberazione
Nazionale”, e di scegliere come suoi
componenti: Giovan Giuseppe De Cesare, un
sincero antifascista vigilato nel “ventennio” perché dichiaratamente
socialista, Mario Di Matteo, Dante Cappello, del Partito d’Azione, Giovanni
Farrace, controllato durante il fascismo perché comunista, il sacerdote Egidio
Ciaramella, i già citati Pietro Farina ed Armando Pensa, e Teodorico D’
Onofrio, segretario del comune. Si stabilì, nella stessa circostanza, di
ampliare il “Comitato” con nuovi elementi di sicura fede antifascista.
Ma la
speranza della fine del conflitto rimase ben presto delusa.
Il 1°
ottobre del ’43, nel territorio alifano-matesino iniziarono i primi
rastrellamenti tedeschi di uomini abili a predisporre i fronti di guerra del
Cassinate per fermare l’avanzata degli Anglo-Americani. E, dalla stessa data, i
Tedeschi ordinavano la consegna di apparecchi radio, cavalli, carretti con
relative attrezzature, automezzi, generi alimentari…
Dopo le
prime incursioni di aerei alleati nel territorio (un aereo americano la sera
del 9 ottobre lanciò bombe sul centro abitato di Alife colpendo mortalmente
sette persone), il 13 ottobre, lo scontro tra gli Anglo-Americani ed i Tedeschi
sulle rive del Volturno fu violentissimo.
In
quella terribile giornata, all’inizio della quale si diede luogo
all’attraversamento del fiume nei pressi di Triflisco da parte degli Alleati,
aerei americani, poco dopo mezzogiorno, bombardarono il centro storico di
Alife, uccidendo 44 civili, e, nella serata dello stesso giorno, sul monte
Carmignano di Caiazzo, vennero barbaramente trucidati per rappresaglia dai
Tedeschi 23 cittadini, tra cui vecchi e bambini.
Dopo la
conquista di Sant’Angelo e di Raviscanina del 25 ottobre, finalmente il
territorio alifano-matesino veniva liberato dalla presenza tedesca.
In data
30 ottobre si costituì ad Alife il “Fronte Nazionale della Liberazione” in una
riunione in casa del prof. Ciaramella, essendo il paese per metà distrutto,
nelle persone di Ciaramella Egidio (Democrazia Cristiana), De Cesare Giuseppe
(Partito Socialista), Farrace Giovanni (Partito Comunista), Di Muccio Anacleto
(Democrazia del Lavoro), Isabella Pasquale (Partito Liberale) e Cappello Dante
(Partito d’Azione), con questa dichiarazione: “considerata la impellente
necessità di ridare al nostro paese la libertà necessaria per ogni vivere
civile, aderiamo al Fronte Nazionale della Liberazione e ci costituiamo in
Comitato. Nello stesso tempo eleggiamo segretario il prof. Ciaramella”.
Ed il 5 novembre, in un locale di piazza
Roma, a Piedimonte d’Alife, nascerà il “Comitato del Fronte Nazionale di
Liberazione”, costituito dal dott. Giovan Giuseppe D’Amore, Presidente della
locale sezione nazionale combattenti, dal rag. Antonio Troiano del Partito
Liberale, dall’avv. Vincenzo Cappello
della Democrazia del Lavoro, dal prof. Alfarano rev. Marcello per la
Democrazia Cristiana, dal dott. Di Panni Francesco del Partito d’Azione (Libera
Italia), dal prof. Giacinto Cirioli del Partito Socialista, e dal sig. Romeo
Simonetti del Partito Comunista.
Alla
fine di ottobre del ’43, a Piedimonte veniva dimissionato l’ultimo podestà, il
duca Filippo Gaetani, appartenente ad una nota nobile famiglia locale, che da
secoli aveva esercitato un notevole potere politico, oltre che sociale,
economico e culturale, non solo a Piedimonte, ma su tutto il territorio, ed
alla quale apparteneva il conte Livio, deputato fascista nelle legislature
iniziate nel 1929 e nel 1934, e componente del Consiglio Nazionale dei Fasci e
delle Corporazioni dal 1939, che, nel 1933, aveva sposato Fiammetta Sarfatti,
figlia naturale di Benito Mussolini e della giornalista Margherita Sarfatti.
Il 20
novembre del ‘43, a Piedimonte sarà nominato Commissario straordinario l’avv.
Vincenzo Di Matteo, che si dimetterà dopo qualche mese per essere sostituito da
un altro Gaetani, il conte Antonio, che rimarrà in carica fino al 1944, quando,
scelta dal locale C.L.N., si insedierà una giunta costituita dai rappresentanti
del Partito d’Azione (dott. Alfredo Ricigliano), del Partito Democratico del
Lavoro (avv. Vincenzo Cappello), del Partito Comunista Italiano (sig. Vittorio
Ceraci), della Democrazia Cristiana (avv. Vincenzo Di Matteo), e, come
supplenti, i rappresentanti del Partito Liberale Italiano (dott. Ferdinando
Tedesco) e della Democrazia Cristiana (sig. Federico Lupoli). In questa
occasione fu nominato sindaco il dott. Alfredo Ricigliano del Partito d’Azione
che, però, nell’inverno del ’44, si dimise, per essere sostituito dall’avv.
Vincenzo Cappello del Partito Democratico del Lavoro, che rimase sindaco di
Piedimonte fino al marzo del 1946, fino a quando cioè, per la prima volta, si
svolgeranno libere elezioni amministrative.
Intanto
la ricostruzione della provincia di Caserta dell’11 giugno del 1945, che
ricomprenderà i territori dell’alifano e di gran parte del matesino, sarà
accolta in genere con favore, anche se le distruzioni ed i disastri della
guerra, tanti e tutti allora ancora evidenti, non potevano consentire facili
entusiasmi o sollecitare illusioni per un immediato futuro migliore. Il
territorio alifano-matesino si presentava allora senza adeguati collegamenti
con la nuova provincia, dal momento che gli impianti della ferrovia
Napoli-Piedimonte d’Alife erano stati
resi inservibili dalla guerra (il treno, partendo da S.M. Capua Vetere
raggiungerà Piedimonte solo nel 1963), così come il ponte “Regina Margherita”
sul Volturno, pur’esso distrutto dagli eventi bellici, che univa il territorio
alifano con quello di Dragoni, sarà ricostruito solo nel 1953.
Nelle
prime elezioni amministrative del 24 marzo 1946 a Piedimonte d’Alife, il più
importante centro della media Valle del Volturno, la lista della D.C., che comprendeva
anche candidati dichiaratisi indipendenti, otteneva, con il 51,46 % dei voti,
16 seggi, mentre a quella dei Partiti Comunista, Socialista, e d’Azione, con il
34,43 %, venivano attribuiti 4 seggi, e nessun seggio venne riconosciuto alla
lista dei candidati del P.L.I., dei D. del Lavoro, degli Unionisti e dei
Reduci, che ebbero il 13,90% dei voti; lista nella quale si era candidato,
senza ottenere successo, il sindaco uscente avv. Cappello.
Come
sindaco fu scelto ancora un Gaetani, il conte Filippo, che si dichiarerà
indipendente, mentre ci si preparava alle più importanti elezioni del
referendum istituzionale e dell’Assemblea Costituente del 2 giugno 1946.
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Così in
queste vicende politiche dell’inizio del secondo dopoguerra, come già è stato
sottolineato dal compianto Giuseppe Capobianco nella premessa al suo opuscolo
del 1986 sulla figura di Antonio Marasco, un comunista piedimontese molto
attivo nell’organizzazione del movimento operaio locale a partire dal 1919 e
soprattutto nel secondo dopoguerra, l’importante e preminente ruolo avuto dalla
famiglia Gaetani nella storia della media Valle del Volturno non può essere
ignorato. Se si volesse partire già solo dalla proclamazione del regno d’Italia,
egli scrive, va sottolineato il particolare ruolo politico che ha avuto nel
territorio matesino e la straordinaria “capacità gattopardesca” della famiglia
Gaetani; una famiglia, infatti, che fu, prima dell’Unità, borbonica; che ebbe
esponenti importanti tra i rivoltosi napoletani nel ’99, come Onorato che aveva
sposato una Serra di Cassano; che fu napoleonica, poi; di nuovo borbonica; e,
dopo la proclamazione del Regno d’Italia, sarà presente nel Parlamento
Piemontese, come costituzionale con il conte Roberto, come radicale con il
conte Antonio, e, di nuovo, fino al 1905, come costituzionale con il conte
Luigi.
E mentre al senato dal 1908 rimaneva
fino al 1924 il principe Nicola Gaetani, nel 1923 un altro conte della stessa
famiglia, Roberto, diventerà membro del triunvirato fascista locale. Poi, come
già ricordato, il conte Filippo sarà podestà di Piedimonte dal 1935 al 1943, il
conte Antonio sarà nominato “rettore” per la provincia di Benevento, e
Francesco Gaetani per quella di Napoli; mentre il ricordato conte Livio,
imparentato con i Torlonia, consultore nazionale fascista dal 1929 al 1943,
diventerà anche commissario dei Consorzi riuniti di bonifica della Campania.
Anche nel secondo dopoguerra si
evidenziò il particolare ruolo politico e l’adattamento della famiglia Gaetani
al nuovo sistema. Quel conte Antonio, rettore di Benevento e che era stato
anche podestà di Castello d’Alife, nel 1944, infatti, per nomina alleata, come
già ricordato, fu Commissario Prefettizio di Piedimonte d’Alife, e, poi, candidato
monarchico alle elezioni provinciali del 1956, e per conto della D.C.,
candidato alla camera dei deputati, nel 1958, e, nel 1960, candidato al comune
di Piedimonte d’Alife. Si tratta di quel conte Antonio, e questo va anche
ricordato per comprendere le motivazioni del consenso che i Gaetani
continueranno ad avere a Piedimonte, che, trasferitosi provvisoriamente nel
Milanese, aiutò gran parte degli operai tessili piedimontesi, rimasti
disoccupati, a trovare lavoro nello stabilimento “Carminati” di Gallarate, come
ci ricorda il già citato rappresentante comunista nel C.di L.N., poi diventato
socialista, Romeo Simonetti quando ha scritto nell’introduzione di una sua
raccolta epistolare dattiloscritta: “ A causa della distruzione per gli ultimi
eventi bellici (quelli dell’ottobre del ’43), del vecchio cotonificio, grazie a
lui (Antonio Gaetani) soprattutto, si deve la realizzazione, nell’anno 1954, in
Piedimonte d’Alife del nuovo stabilimento cotoniero dai benemeriti fratelli
Radice: stabilimento che ha permesso la ripresa socio-economica della nostra
benemerita cittadina”. Cotonificio che conterà negli anni ’80 più di 500
operai, senza che tra loro i sindacati confederali riuscissero mai ad avere
significative adesioni, e che ora risulta desolatamente chiuso ed inutilizzato.
Mentre Francesco, il già ricordato
“rettore” fascista di Napoli, fu capolista per la D.C. nelle elezioni
municipali di Piedimonte nelle amministrative del 1946, e sindaco della stessa
città, fino al settembre del 1947; ed ancora Ugo sarà eletto Consigliere
provinciale con il M.S.I. nelle elezioni del 1952. Un altro Gaetani, il conte
Mario Giovanni, intanto, già era stato nominato Commissario Prefettizio del
comune di Alife, incarico che svolse dal gennaio del 1944 all’aprile del 1945.
Il
secolare, straordinario e, talvolta, travagliato ruolo dei Gaetani nel
territorio alifano-matesino, in questo secondo dopoguerra, però, andrà
gradualmente assumendo, soprattutto a partire dalla metà degli anni sessanta,
contorni sempre più marginali, mentre altri personaggi e nuovi scenari politici
si imporranno.
Ma per
comprendere questo ricambio politico dobbiamo ritornare a quell’ “ottobre del
1943” ed ai particolari fatti che accadranno soprattutto a Piedimonte a partire
dal 1944.
******
Il 25 ottobre
del 1943, come già ricordato, le truppe tedesche, che avevano combattuto sul
Volturno in attesa di spostarsi sulle più attrezzate linee del Cassinate,
incalzate dai soldati anglo-americani della Va armata comandata dal generale
Clark, abbandonarono definitivamente il territorio alifano-matesino.
Ora, la
pianura alifana, non più teatro diretto di guerra, ospiterà un reggimento della
34a divisione americana, un campo di riposo per le truppe impegnate sul fronte
cassinese, e due campi aerei. E tra le truppe in riposo e la popolazione
dell’alifano e del matesino circolerà il periodico “Corriere Alleato”, fatto
stampare dagli Alleati nella tipografia “La Bodoniana” di Piedimonte d’Alife.
Il già
ricordato agronomo Pietro Farina, che fu anche un attivo pubblicista alifano
fino ai primi anni del secondo dopoguerra, nel suo diario, ancora inedito, in
data 23 ottobre del 1943, annotava: “Centinaia di carretti, di asini, di
cavalli, di muli, scendono lentamente dalla catena montuosa del Matese
trasportando indumenti, attrezzi, donne, ragazzi, vecchi e malati. I giovani
più ardimentosi procedono impavidamente sulle strade polverose, i tortuosi
sentieri, i campi seminati e sconvolti dalla furia dei combattimenti, scansando
buche, mine, fossati, trabocchetti, trincee, …. Ritornano dimagriti, macilenti,
malati, atterriti dallo spettro della fame e dalla mancanza delle case di
abitazione”.
Finalmente,
la guerra con tutte le sue terribili violenze, per chi abitava nel territorio
alifano-matesino, era veramente finita.
E la
media-Valle del Volturno, dopo essere stata “caposaldo della difesa tedesca e,
poi, retrofronte di Cassino” - scriverà più tardi, nel 1947, don Pasquale
Panella, un altro diretto testimone delle tragiche vicende militari di quel
periodo - ora è “ la terra di nessuno”. Ma “In simile iattura - aggiunge don
Pasquale - il buon cuore dei naturali della zona (così a S. Gregorio) rifulse,
approntando - ai profughi, agli sbandati, agli ex prigionieri, ai soldati -
cibi, vesti e ricovero sempre gratuiti. Ed in quel periodo, scrive ancora il
sacerdote, specialmente il clero locale fu “di incitamento a tali opere di bene
e dovette sostenere il peso della stessa cosa pubblica, mentre gli altri
abbandonavano i loro posti”. E racconta ancora: “… venne tra noi, per brevissimo
tempo, uno sfuggito alla mitraglia tedesca dalle terre di Modena, il sac. don
Zeno Saltini, il quale portò una scintilla che fu custodita e poi produsse: per
opera del Prof. On.le Caso a Piedimonte d’Alife (fu la prima opera di vera
ricostruzione e che attualmente fiorisce), e per opera di collegati ad Alife.
Ci sono importanti problemi da risolvere per la nostra ricostruzione, ma tra questi non è inferiore
quello dell’infanzia: e proprio questo ci additò don Zeno ed a questo vogliamo
restare fedeli occupandocene sempre meglio. Formare l’infanzia è l’unica via
per risollevarci dal fondo in cui si è precipitati”.
*****
Chi era
don Zeno?
Dopo
l’armistizio dell’8 settembre 1943, il sacerdote don Zeno Saltini, accusato di
aver esaltato l’avvenuta tregua dell’Italia con gli Alleati, per sfuggire
definitivamente alla cattura tedesca, partì, il 19 settembre dello stesso anno,
con 25 giovani, da San Giacomo Roncole (Modena), dove aveva fondato, nel 1933,
l’Opera Piccoli Apostoli. Il viaggio durò due mesi, prima di poter attraversare
fortunosamente, sul fiume Sangro, il sospirato fronte, che divideva il Nord,
occupato dai nazi - fascisti, dal Sud “liberato” dagli Alleati.
Il 26
novembre 1943, don Zeno ottenne dall’autorità militare alleata un lasciapassare
per poter incontrare padre Pio a S. Giovanni Rotondo, dove aveva dato
appuntamento ai suoi giovani accompagnatori il 22 gennaio del 1944. Dei 25
partiti con lui, a S. Giovanni ne incontrerà solo quattro, perché gli altri
erano tornati indietro per arruolarsi tra i partigiani modenesi. Da S. Giovanni
Rotondo andrà a Bari, dove assisterà al bombardamento tedesco del porto; poi, a
Brindisi, a Taranto e, infine, a Napoli.
Il 31
dicembre del ‘43 sarà a Casapesenna, ospite di don Salvatore Vitale (del quale
attualmente dovrebbe essere in corso il processo di beatificazione), che
ispirato proprio da don Zeno, fonderà “La Piccola Casetta di Nazareth” per
accogliere bambini poveri. Continuando nel suo peregrinare, don Zeno,
all’inizio di febbraio del 1944, giungerà a Pompei, ospite di mons. Ercole
Crovella.
E’ l’
11 maggio del 1944 quando don Zeno giunse a Piedimonte.
***
In
un’intervista rilasciata nel 1973 a Padre Fausto venuto a Piedimonte da
Nomadelfia, la nota fondazione creata da don Zeno a Fossoli di Carpi (Modena),
e, dal 1953, trasferita nella Maremma grossetana e tutt’ora in piena attività,
monsignor Espedito Grillo, allora
parroco dell’Annunziata di Piedimonte, tra l’altro, ricordava: <<ai primi
di maggio del 1944 avevo bisogno di un predicatore e mi rivolsi a monsignor
Miranda di Napoli. E con un giorno di ritardo del Novenario, arrivò questo
sacerdote (don Zeno) più o meno magrino, con una sottana più o meno malandata,
senza colletto, con un fazzoletto legato al collo, con una fisarmonica e iniziò
il Novenario. Fin dalla prima sera mi accorsi che più che oratore classico,
cioè quegli oratori roboanti, con parole roboanti e con enfasi, era piuttosto
un conferenziere, ma un conferenziere “oratore”, cioè sotto questo aspetto
annunziava e spiegava simpaticamente il Vangelo, la giustizia. Si accorse
subito dell’ambiente: era pieno dopoguerra, tutti i partiti in fervore:
frazioni, lotte intestine, lotte cittadine, e più che lotte: odio tra gli
iscritti di un partito o l’altro. E io che avevo visto mediante i ritiri di
Perseveranza la chiesa piena di uomini ogni mese, soffrivo tanto nel vedere la
chiesa deserta di uomini appunto perché più attaccati ai partiti … C’erano solo
donne. Don Zeno si accorse subito di questo dissesto. I comunisti che
gridavano: “Lavoro e pane”. E pane e lavoro, e lavoro e pane; fatto si è che la
chiesa era deserta e nessuno pensava al grande Novenario. E dalla prima sera
incominciò Don Zeno a parlare della giustizia. Ma in una maniera così
originale, così attraente, e vorrei dire così nuova … Allora i comunisti subito
dissero: “E’ venuto un ribelle”. I liberali dissero: “deve essere mandato
via!”. Gli altri partitini, il Partito d’Azione specialmente: “Tutti i preti
devono dire questo!”. E anche nel clero si era incominciato un po’ a essere
seccati di questa innovazione. Don Zeno imperterrito continuava ogni sera. Fin
che una sera uscì a parlare di giustizia che non può prescindere dalla
religione, e la religione che non può prescindere dalla giustizia>>.
Il
23.03.44, il parroco Grillo, aveva implorato effettivamente mons. Miranda con
una lettera accorata perché lo aiutasse a trovare tra gli ordini religiosi un
oratore “che - come scrisse - porti fervore e nuove parole adatte, in questi
tempi difficili, a tutti i guasti”. “Vent’anni or sono - egli scrive - la mia
parrocchia era <<rossa>> e oggi si sforza di ritornare tale”. E
poi, il parroco era preoccupato anche perché - come scrive: “un gran numero di
<<signori>> che quasi mai si ribassano ad ascoltare la parola di
Dio, usa venire a dilettare l’occhio e l’orecchio” e la loro partecipazione
potrebbe costituire un’occasione per “cibare” le loro anime.
Il
Novenario continuava, ma la parte più reazionaria e conservatrice sia politica
che clericale della città faceva pressione sul parroco Grillo perché il
predicatore venisse mandato via. Ma, alla fine, molti rimasero scossi ed
affascinati per le “predicazioni” di don Zeno.
Racconta ancora il parroco Grillo “il
primo ad essere convertito … fu proprio Giovanni Caso. Si convertì in una
maniera così radicale che subito volle seguire (don Zeno) in tutte le sue idee,
grandi e piccole … Così fece l’Opera Piccoli Apostoli a Piedimonte, in una
maniera fenomenale, dando tutto se stesso…”.
Giovanni Caso, dal 1932 libero docente
di Medicina del Lavoro all’Università di Napoli, e già sindaco di Piedimonte
nel 1924, dopo essere stato eletto come consigliere comunale in una lista dei
combattenti in contrapposizione a quella fascista; sarà autore di pubblicazioni
di chiara ispirazione fascista, tra le quali “Dall’intervento alla marcia su
Roma”, dove esaltava il nuovo regime, e “Dal sindacato di classe allo stato
corporativo” del 1929. Aveva
quarantotto anni, invece, quando conobbe don Zeno. E lui stesso così ci
descrive l’incontro: “Maggio 1944 - incontro con don Zeno Saltini, confuso io
nella folla degli ascoltatori nel Santuario di A.G.P. ed Egli nella luce della
Cattedra della verità cristiana. Una folgorazione sul mio corpo, una scossa
allo spirito addormentato in vecchie formule ed in abusati preconcetti morali e
sociali, un attimo di esitazione e poi la mia conoscenza intima con Lui,
sacerdote e sociologo, apostolo di Cristo il quale sembrava nuovo, nel fragore
della battaglia di allora e nel cozzo degli egoismi …”
***
Il 15
giugno del 1944 don Zeno, tra l’altro, così scriverà da Piedimonte ai Piccoli
Apostoli del Modenese: “Sono come in esilio; errabondo tra mille miserie di
popolo; …. Così alla notizia della liberazione di Roma io sento viva la
speranza di rivedervi e riabbracciarvi presto. Quando ho sofferto! Quando
soffro! E in questa sofferenza ho voluto lasciare un dono a questa Italia
Meridionale bagnata da tante mie lacrime: l’Opera Piccoli Apostoli nella
Diocesi di Alife”.
E più
avanti scrive: “Ho bussato a tante porte , ho scongiurato autorità e ricchi a
salvare l’innocenza in abbandono…
Ho
incontrato uomini e tra essi Sacerdoti che faranno miracoli quando potranno
essere con noi una cosa sola. Io vi
vedo qui attorno al mio scrittoio in questo ospitalissimo Seminario di
Piedimonte a scrivere la mia benedizione e a dirmi con quella prontezza che
tanto ricordo: “Don Zeno, pronti; corriamo ...”. Invece sono qui solo a
piangere una inoperosità che finirà per essere stata il più fecondo seme della
più feconda rinnovazione di questo popolo di Piedimonte che senza dubbio sarà
un faro di luce e di amore a tutta l’Italia Meridionale”.
Certo è
che, don Zeno, trasferitosi a Roma alla fine del giugno del ’44, il 1°
settembre dello stesso anno, in Piedimonte d’Alife, per iniziativa del prof.
Giovanni Caso, e con l’approvazione del vescovo Luigi Noviello, viene istituita
l’Opera Piccola Apostoli, modellata in parte sullo Statuto e sul programma
della modenese Fondazione Piccoli Apostoli (che diventerà, nel 1948,
Nomadelfia) di don Zeno Saltini.
Il 25
febbraio del 1946 il prof. Caso, che sarà eletto, soprattutto per il consenso
popolare ottenuto con la istituzione dei Piccoli Apostoli a Piedimonte, nella
lista della D.C. all’Assemblea Costituente nelle votazioni del 2 giugno dello
stesso anno, comunicava a don Zeno che l’Opera di Piedimonte dai 30 allievi
iniziali del 1° settembre 1944 ora ne assisteva 470.
Il 15
settembre ’46, intanto, iniziava le sue pubblicazioni, che dureranno due anni,
il quindicinale “Libertas”, come organo della D.C. dell’Alifano, stampato nella
tipografia “La Bodoniana” di Piedimonte, e diretto dal ventitreenne insegnante
Franco Cobianchi, che sarà, poi, segretario politico provinciale della D.C. dal
1975 al 1980.
Dopo qualche mese dall’elezione a
deputato, l’on. Caso può assicurare don Zeno del buon andamento dell’Opera.
Molte porte gli sono state aperte, e può scrivergli in data 25 maggio 1947:
“L’Opera Piccoli Apostoli di Piedimonte d’Alife va avanti discretamente con tre
oratori (uno per ogni parrocchia) e così pure per i vicini paesi di Alife, San
Gregorio, Gioia, S. Angelo, Prata Sannitica. Viene somministrata la pietanza
calda al mezzogiorno, con i generi che ci fornisce l’U.N.R.R.A.. La Scuola
Artigiana è allocata nei locali dell’Edificio Scolastico e contiene un
centinaio di ragazzi. E già il secondo anno che presso di essa è istituito un
corso per meccanici generici”.
Gli stanziamenti governativi per
l’Opera, ora, non mancano. Scrive ancora l’on. Caso il 27.8.1947 ad un collaboratore
di don Zeno che si lamentava per la poca attenzione dei governanti nei
confronti dell’opera Piccoli Apostoli modenese “Condivido le vostre lagnanze ma
… il già ottenuto … è sempre qualcosa di fronte alla trascuratezza dei passati
governi anticlericali. Io ho una fiducia angelica negli on.li De Gasperi e
Andreotti i quali sapranno ben superare le pastoie burocratiche per compiere
un’opera di carità sociale”.
Il 18
aprile del 1948 Giovanni Caso, candidato al senato, avrà a Piedimonte il 78,21%
dei voti, trascinando col suo ottimo risultato quello democristiano della
camera dei deputati del 72,24%; mentre nel settembre del 1947 al comune di
Piedimonte si era dimesso, ufficialmente per motivi di salute, il sindaco
Francesco Gaetani, ed era stato eletto in sua vece il prof. Angelantonio Caso.
Giovanni
Caso, quindi, eletto senatore può continuare a curare ancora meglio la sua
“Opera Piccoli Apostoli”, che divenne sempre più una sicura fonte di consenso
elettorale anche perchè ha trovato ad Alife un collegamento molto serio nel
sacerdote don Pasquale Panella, fondatore, in qualità di Piccolo Apostolo, di
un “Opera” collaterale a quella di Piedimonte, denominata “Le R.O.S.E.
dell’Ausiliatrice”, e, dal 1949 al 1954, di un periodico mensile denominato
“L’Eco dell’Ausiliatrice”.
Ed è
soprattutto questo sacerdote che guiderà la ricostruzione materiale e morale di
Alife e che collaborerà ad organizzare la sez. della D.C. locale, portandola
alla vittoria in diverse elezioni amministrative e politiche del dopoguerra,
assumendosi talvolta la responsabilità di tenere direttamente comizi in piazza.
Anche se, per comprendere il forte recupero delle destre (43% dei voti validi)
verificatisi al Alife nelle elezioni del 18 aprile ’48, oltre l’ottima tenuta
della D.C., che prenderà il 48% dei voti, mentre alle sinistre andrà solo l’8%
dei consensi, non va trascurata la candidatura di un insegnante locale nella
lista del Blocco Nazionale ed il ruolo che ebbero gli Alifani d’America che si
erano riuniti in un potente sodalizio chiamato “Alife Society of America” che,
il 22 febbraio del 1948, proprio alla vigilia delle prime elezioni politiche
dell’aprile del 1948, inviò ai cittadini di Alife, tramite l’Amministrazione
Comunale, un manifesto da pubblicizzare dove, tra l’altro, si legge: “Seguendo
ansiosamente gli avvenimenti politici che avvengono in Italia, sentiamo il
dovere di rivolgere a voi… un appello, acciocché nelle prossime elezioni
politiche nazionali che si terranno in Italia, con il vostro voto possiate
portare la sconfitta dei candidati del Partito Comunista che vogliono
allontanarvi dall’amicizia sincera e fraterna degli Stati Uniti d’America per soggiogarvi a quella dittatoriale della
Russia Sovietica. Il popolo americano, di cui noi ci onoriamo di far parte, è
pronto a darvi quell’aiuto che vi metterà in condizioni di riacquistare la
vostra libertà politica e commerciale e riprendere nel mondo il posto di grande
nazione”.
In una
corrispondenza del 14.6.1948 l’on. Caso, intanto accogliendo una richiesta di
don Zeno, che proprio in quell’anno aveva trasformato l’Opera Piccoli Apostoli
in Nomadelfia (termine derivato dal greco che significa “La fraternità è
legge”), è pronto a creare una Nomadelfia anche a Piedimonte su una superficie
considerevole di terreno.
Ed il 19 marzo 1949, Giovanni Caso, a
proposito dell’assistenza pubblica all’infanzia abbandonata o in difficoltà,
proporrà al senato un ordine del giorno dove elogerà l’opera benefica già
svolta nel campo dell’assistenza sia privata che pubblica, ma inviterà il
Ministro dell’Interno a voler proporre al Parlamento opportune norme
sull’unificazione dell’assistenza ai fanciulli, tenuto conto come egli scrive:
“che a questi … occorre soprattutto il caldo affetto della famiglia del sangue
e, ove questo manchi, sostituirlo con i matronati”.
Così le
convinzioni di don Zeno, attraverso Giovanni Caso ed altri senatori,
riecheggiarono in Parlamento.
Ma il
22 marzo del 1950, nuove e strane notizie giungono al senatore Caso, che
insieme ai senatori Riccio e Medici interpelleranno il Presidente del Consiglio
dei ministri ed il ministro dell’interno, “per conoscere se risponde a verità
quanto è pubblicato dalla stampa quotidiana circa la vendita all’asta pubblica
dei beni mobili di Nomadelfia ed in caso affermativo quali provvedimenti
intendono adottare di urgenza per evitare lo scempio della dissoluzione di
un’opera altamente sociale ...”.
La
crisi di Nomadelfia del 1950 coinciderà con la nascita di seri problemi anche
all’Opera Piccoli Apostoli di Piedimonte, e con l’inizio del declino politico
di G. Caso.
Il 14
settembre del 1950 l’on. Caso comunicherà a don Zeno di aver richiesto al
Vescovo della Diocesi di Alife, Giuseppe della Cioppa, l’autorizzazione a
prendere contatto con i Salesiani di Caserta.
Don Zeno non sarà d’accordo sulla decisione
dell’on.le Caso e lo inviterà, il 22.5.50, a rifiutare le proposte dei
Salesiani ed a fondare anche a Piedimonte, senza indugio, Nomadelfia. Si
impegnerà a portare personalmente un sacerdote P.A. a Piedimonte, che potrebbe
fermarsi per fondare Nomadelfia. Ma, in verità il rapporto tra i due non era
più quello di una volta, per un’imprevista caratterizzazione politica che don
Zeno diede alla sua vita ed alla sua opera.
Don
Zeno, nel febbraio del 1950, aveva creato, infatti, un movimento politico
nuovo: “Il Movimento della fraternità umana”, che proponeva una vera democrazia
diretta e l’abolizione di ogni forma di sfruttamento da parte del capitale
privato e dello Stato. Aveva tenuto una serie di discorsi in tutta la provincia
di Modena, a Torino, a Milano, a Siena, a Brescia, a Verona, a Mantova, a
Ferrara e a Reggio Emilia, creando molti entusiasmi intorno al suo progetto;
mentre le forze politiche del governo e gli ambienti ecclesiastici cercavano,
invano, di fermare la sua iniziativa. Per questo il governo aveva bloccato ogni
aiuto per Nomadelfia, che, perciò, entrerà in una profonda crisi finanziaria.
Ed il 5 febbraio 1952, il S. Ufficio ordinerà con decreto a don Zeno di
lasciare Nomadelfia e di mettersi a disposizione del proprio Vescovo. Nel
decreto si preciserà che una commissione farà fronte alle passività, e che, a
Nomadelfia, saranno inviati i Salesiani. Don Zeno ubbidirà. Forse non fu una
semplice coincidenza il fatto che anche l’on. Caso si fosse rivolto ai
Salesiani per portare avanti l’ “Opera” a Piedimonte. Il 28 settembre del 1950
Giovanni Caso scriverà: “Mio caro don Zeno …. Io ci tengo a dirti che mi sono
rivolto a loro (ai Salesiani) sapendo di far bene perché ai P.A. Piedimontesi mancava e manca l’assistenza religiosa”.
La
corrispondenza tra i due divenne sempre più laconica.
Nelle
elezioni amministrative, intanto, del 25 aprile del 1952, a Piedimonte si
registra in tutte le liste un ampio ricambio dei candidati, dei 48 del 1946
saranno ricandidati solo 8. La lista della D.C. avrà il 47,56% dei voti, e 16
seggi; la lista Rinascita, di sinistra, il 27%, con 2 seggi, e quella del
P.N.M. e M.S:I. il 25,14%, con 2 seggi. Ormai la D.C. mostra una notevole
capacità d’attrazione, mentre la destra, con la quale si schiera il già
ricordato conte Antonio Gaetani, come era avvenuto in molti comuni del Sud,
riesce a contendere alla Sinistra la conquista della minoranza. In questa
occasione viene rieletto sindaco l’avv.Vincenzo Cappello, che, disgregatosi il
Partito Democratico del Lavoro nel 1947, diventa nello stesso anno presidente
del Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano, e successivamente Presidente
della locale Banca del Matese, mentre si avvicinava sempre più alla D.C., al
quale partito il figlio Dante (il cui ruolo nelle vicende politiche ed
amministrative sarà, nei decenni successivi, molto incisivo non solo sul
territorio alifano-matesino, ma di tutto il casertano), dopo aver militato nel
partito d’azione, già aveva aderito, e col quale era stato eletto, nell’ottobre
del 1946, nel consiglio comunale di Alife. Ma altre difficoltà dovrà affrontare
ed altre umiliazioni dovrà subire l’on. Caso. Non ultima quella di non essere
ricandidato senatore nelle elezioni politiche del 1953, quando sarà sostituito,
soprattutto per volontà di Amintore Fanfani, come rappresentante della D.C.,
dall’on. Giacinto Bosco, nel sicuro collegio di Piedimonte d’Alife-Sessa
Aurunca. L’on. Bosco, già eletto senatore nel 1948 nel collegio di S. Maria
Capua Vetere - Aversa con il simbolo dello stemma civico della sua città natale
S.Maria C.V. in una coalizione di monarchici, missini e democristiani di
destra, si era distinto nel corso della difficile legislatura 1948 -1953, dopo
essere passato dal gruppo misto a quello della D.C., nei dibattiti parlamentari
e negli incarichi internazionali che gli erano stati affidati.
Ed al
fine di chiarire come sia comparsa la figura dell’on. Giacinto Bosco sullo
scenario politico dell’alifano-matesino utile appare l’intervista comparsa sul
“Corriere del Mezzogiorno” del 14 ottobre 2001, a firma del giornalista Angelo
Agrippa, al sammaritano onorevole Giuseppe Santonastaso, tra l’altro, si legge:
“ … il padre di Giacinto Bosco, il medico condotto Manfredi, era molto amico di
mio padre, uno dei primi marescialli dei carabinieri di origine meridionale,
arruolato nel 1895. Fu mio padre a chiedermi di favorire l’ingresso di Bosco
nella D.C..
Ma
l’on. De Michele, parlamentare sammaritano, si oppose, con lui un altro leader
politico di allora, Piscitelli, di Cervino. Bosco non la spuntò; tanto che nel
’48 si presentò con una lista civica avente per simbolo, anche una corona.
Insomma arrivò il ’52 ed io, da vice segretario della sezione della D.C. di S.
Maria C.V., promossi un altro tentativo contro il mio amico segretario di
sezione. E così l’iscrizione di Bosco fu accettata per un solo voto”. Però,
alle elezioni del ’53, l’on. Bosco venne eletto a Piedimonte e non nel collegio
di S.Maria, dove si ritenne di doverlo punire del tradimento politico facendolo
scendere dal 59,03% di voti presi nel 1948, al 29,05%.
Così
come, per la comprensione dei personaggi e degli avvenimenti politici degli
anni successivi, importante, credo, uno dei ricordi di un simpatico retroscena
elettoralistico raccontato dall’on. Dante Cappello e pubblicato sempre sul
“Corriere del Mezzogiorno” al giornalista Agrippa il 18 luglio del 2001: “… don
Giacinto in campagna elettorale girava con la tuba in testa per i paesi
dell’alto casertano e parlava di politica estera. Io lo richiamai e gli dissi :
…. don Giacì, ma se continuate così, qui che sono tutti contadini, non
raccogliete nulla. Fate come me: dispensate saluti, date pacche sulle spalle e
abbiate un po’ di attenzione per i bambini … L’indomani mi recai a casa sua, a
S.Maria C.V.. Aveva i polsi gonfi e coperti da impacchi di liquido vegetale:
aveva stretto troppe mani”.
Non va
trascurato, ma è tutto da approfondire, poi, il ruolo che hanno avuto nella
candidatura e nei positivi risultati elettorali dell’on, Bosco nel collegio di
Piedimonte-Sessa delle due logge massoniche di Piedimonte: la “Ercole d’Agnese”
e, l’altra, “I figli del Matese”, che, interrotte le loro attività durante il
Fascismo, si ricostituiranno nell’immediato dopoguerra. Va segnalata in
particolare la presenza nell’ambiente massonico piedimontese negli anni
cinquanta dell’agronomo Alfredo Carfì che allora svolgeva la sua attività
professionale nel Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano, diventato nel ’47
completamente autonomo.
Alfredo
Carfì era un massone, che già inviato dal Fascismo al confino perché, sebbene
segretario politico del partito fascista di Avellino, e, poi, federale della
stessa città, aveva tenuto nascosto la sua appartenenza alla Massoneria, e che
lasciò tanto rimpianto, soprattutto nell’ambiente massonico locale, che, alla
sua morte avvenuta negli anni sessanta, nascerà una loggia che porterà il suo
nome.
Intanto nella competizione elettorale
provinciale del ‘52 sarà eletto il democristiano Paolo Farina, nativo di Alife
e figlio del già citato pubblicista locale Pietro, anch’egli notoriamente
massone. Paolo Farina nel comune di Piedimonte sarà superato, soprattutto per
motivi campanilistici, dal candidato del M.S.I. e P.N.M, dal già citato conte
Ugo Gaetani, che sarà, come già ricordato, anche eletto.
Solo il
12 settembre del 1954, all’on. Caso, intanto, venne dato l’attesa notizia che
dal mese successivo i Salesiani sarebbero giunti a Piedimonte per iniziare le
loro attività presso l’Opera dei Piccoli Apostoli, che da due anni aveva preso
ormai il nome di Opera Sociale Ragazzi di Don Bosco.
Ma
ormai il ruolo politico di Giovanni Caso nel territorio alifano-matesino si era
concluso inesorabilmente.
Così a
Piedimonte se terminerà la storia dell’Opera Piccoli Apostoli, ed inizierà
quella della presenza dei Salesiani, la vicenda umana di Giovanni Caso si
concluderà definitivamente il 9 aprile del 1958.
Il
fondatore dei Piccoli Apostoli a Piedimonte morirà stroncato da un infarto, nel
teatro cittadino Mascagni, mentre svolgeva un comizio per le elezioni politiche
del maggio 1958, nel quale intendeva dimostrare soprattutto di non aver mai
abbandonato i suoi ideali democratici e cristiani, anche se il non essere stato
candidato senza giustificati motivi politici nel 1953, lo aveva indotto, poi, a
sposare la causa del P.M.P.
L’episodio
della tragica morte di Giovanni Caso viene raccontato così da mons. Espedito
Grillo nella già citata intervista del 1973: “gli venne un infarto mentre
faceva un comizio contro la Democrazia Cristiana … Certo che lui non doveva
cambiare partito, si mise con i monarchici. E io gli dissi: “Onorevole questo
tradimento non dovevate farlo in nome di Don Zeno”. Dice: “Mi hanno costretto!”
- “Mah !”. E alla sera che, dove aveva spiegato in teatro il perché era uscito
dalla Democrazia Cristiana, un infarto, arrivò a dire la parola “Scusate ...” e
cadde a terra morto.”
E
mentre il già uscente senatore Giacinto Bosco nel 1958 veniva confermato,
riuscendo primo eletto del gruppo democristiano della Regione Campania,
ottenendo a Piedimonte il 49,90% dei voti (nel 1953 aveva raggiunto il 38,50%),
la lista del P.M.P. per l’elezione della Camera dei deputati, otteneva il
14,64%, soprattutto perché era candidata la signora Masella Maria, moglie di
Giovanni Caso, che raccolse, su 762 voti di lista, 655 preferenze. Così, mentre la nuova era
politica, simboleggiata soprattutto dalla figura di Giacinto Bosco, che si
affermava e consolidava, per il suo spessore culturale e politico, sempre più a
livello nazionale oltre che nel collegio senatoriale alifano-matesino e
sessano, la vicenda umana e politica di Giovanni Caso con le sue luci e le sue
inevitabili ombre definitivamente veniva
consegnata alla storia.
Giovanni
Guadagno
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