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Nicola Covelli
Nicola Covelli nacque a Caiazzo (CE), il
20 gennaio 1790 da Giuseppe ed Angela Sanillo e morì, il 15 dicembre 1829, a
Napoli, ove fu sepolto nel Duomo, nella Congregazione dei Catecumeni.
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Notizie biografiche su
Covelli si possono leggere, oltre che nei libri sulla storia della città di
Caiazzo[1],
anche in “Gente De Simone nei secoli”, del dott. comm. Stefano De
Simone, la cui nonna, Angelina Covelli, era cugina di Nicola. Covelli studiò a Napoli,
prima Medicina e poi Chimica e Botanica, verso cui si sentiva
maggiormente attratto. Nel 1812, avuto un “bravo
di studi” (borsa di studio), fu inviato dal Governo a Parigi, per farlo
perfezionare in Medicina comparativa, Naturalistica ed Economia rurale.
Tornato a Napoli, nel 1815, ebbe la cattedra di Chimica e Botanica
nella R. Scuola Veterinaria. Ma, nel 1821, fu esonerato
dall’incarico perché aveva partecipato alla rivolta carbonara. Allora aprì e
diresse una farmacia a Napoli. |
Si occupò intensamente di Mineralogia,
Geologia e Vulcanologia, con particolare riguardo al Vesuvio e alla
sue eruzioni.
Così, malgrado le sue idee
politiche (era liberale), verso la fine del 1829 fu nominata Professore
della Scuola di applicazione delle acque e strade. Ma poco dopo si
ammalò di polmonite e morì prematuramente.
Scoprì, nelle fumarole
del Vesuvio, un minerale che, in suo onore fu chiamato covellite o covellina.
Si tratta di solfuro di rame CuS, in lamelle esagonali di varia
grandezza e di colore indaco-azzurro.
Fu socio di diverse
Accademie e Società culturali, quali l’Accademia delle Scienza, l’Accademia
Pontaniana, l’Istituto d’Incoraggiamento.
Scrive De Simone che
Covelli, durante le sue frequenti visite a Caiazzo, girava per le campagne per
studiare la flora e raccogliere le pianticelle, che conservava in un erbario.
A lui sono stati intitolati
una piazza (Largo Nicola Covelli) ed il Liceo scientifico di Caiazzo.
Lasciò circa 24 scritti,
preparati da solo o in collaborazione del Monticelli, e pubblicati.
■ La Covellina nel Vesuvio
Soffermiamoci
un po’ sugli studi eseguiti da Nicola Covelli sull’eruzione vulcanica
del 1822[2],
perché proprio dopo quell’eruzione egli scoprì, nelle fumarole del
Vesuvio, un minerale (bisolfuro di rame, CuS), che poi fu
chiamato covellina o covellite.
Riporto
direttamente parte del testo mediante il quale lo scienziato caiatino
annunciò la sua scoperta, omettendo alcune frasi, per brevità.
Covelli,
in una sua Memoria[3]
del 23 Giugno 1826, scrive:
Dall’epoca
del 1822, il Vesuvio è restato in quella calma perfetta che suole
ordinariamente seguire le grandi eruzioni.
Ma
in questo silenzio le parti esterne del vulcano non stettero nell’inerzia.
La
superficie interna del cratere, il pendio orientale ed il pendio occidentale
del cono presentano agli occhi dell’osservatore un grande lavoratorio, dove le
sostanze vulcaniche esercitano scambievolmente la loro affinità sotto
l’influenza di una temperatura più o meno elevata; e siccome questa si abbassa
gradatamente in ciascun anno, veggonsi nella stessa proporzione diminuire i
fenomeni chimici; e fra poco altro tempo se questa tranquillità non verrà
disturbata, non vi saranno altri segni vulcanici nel Vesuvio, che la forma del
suo cono, le sue lave e le sue scorie.
………i
fummajoli del pendio orientale, stabiliti sulle eiezioni molto più
abbondanti, e più vicine al centro d’esplosione, trovansi ancora in una
temperatura molto elevata, e producono attualmente una serie di composti, molti
de’ quali appartengono a specie mineralogiche nuove.
Qui
sublimasi ancora il cloruro di piombo puro…In questo stesso luogo l’acido
idrosolforico reagendo su questo cloruro in vapori, dà luogo alla
formazione della galena in piccole squame disseminate sulle termantiti.
Alri
fummajoli producono il rame ossidato nero in foglie tenuissime,
metalloidi e splendenti, mediante la reazione de’ vapori acquei sul cloruro di
rame, alla temperatura rossa, che si manifesta all’interno di questi
attivissimi fummajoli.
Qui
formasi ancora il perossido di ferro, metalloide rosso di rame, o violaceo, con
lo stesso processo.
Mentre
qui i vapori acquei reagiscono sul percloruro di ferro, altrove
questo stesso vapore esercitando la sua chimica azione alla stessa temperatura,
su i miscugli di cloro e percloruro dello stesso metallo producono il ferro
oligisto in piccoli cristalli o lamelle aggregate su le scorie e ne’
loro voti……
A
misura che può aprirsi un cammino nell’interno del cratere per fare delle
esperienze presso quell’interessanti fummajoli, scopronsi altre specie non mai
vedute al Vesuvio.
Il
mio Collega, il Cav. Monticelli, da alcuni saggi che gli erano stati
portati dall’interno del cratere, aveva giudicato con la sua non ordinaria
penetrazione, che potevasi scoprire qualche cosa di nuovo, e m’impegnò a
visitare i fummajoli in questa interessante località.
Io
scesi dunque, in Luglio, nel cratere e mi arrestai sul pendio interno, alla
distanza di circa 300 piedi dall’orlo della grande smargianatura orientale, per
la quale sboccò la gran corrente di lava che minacciò la distruzione del
villaggio di Boscotrecase, nel 1822.
I
fummajoli che mi arrestarono qui, mostrano le più belle cristallizzazioni di
calce solfata in lamine divergenti perlacee e di zolfo.
Scavando
nell’interno di tali fummajoli trovasi su le scorie una specie d’intonaco, di
crosta o di grumi che non sono dello stesso colore, mostrando la gradazioni del
nero, del turchino e del verde mescolati in tutte le
proporzioni.
Qualche volta la stessa sostanza prende l’aspetto di una tela di ragno, o quello di fuligine di un nero appannato, nelle cellette delle scorie.
Non avendo mai visto nel
Vesuvio simili produzioni ne raccolsi de’ saggi per esaminarli con più agio.
Ma
non si doveva trascurare la natura de’ vapori che facevansi strada a traverso
le fenditure delle lave. Questo vapore fu raccolto coll’apparecchio
distillatorio di vetro per essere esaminato a casa…
Esame
della sostanza nera.
…….trattata
col cannello…..brucia con odor di acido solforoso….e fondesi in una scoria
nera.
Questa
scoria trattata sul carbone, alla fiamma interna del cannello riducesi in rame
metallico, esente di ferro……
La
sostanza nera è insolubile nell’acqua; disciogliesi nell’acido nitrico……
Nell’atto
della reazione dell’acido formasi una crosta giallo-bruniccia galleggiante…..
…la
sostanza nera è solfuro di rame.
….questo
solfuro è composto in cento parti come segue:
Atomi
Zolfo………….32………… 159……………2
Rame…………66………… 83……………1
Perdita…………2
_________
100
Quest’analisi, conclude Covelli, mostra
dunque che la sostanza nera è un bi-solfuro di rame.
Esame della sostanza turchino-bruniccia e turchino-verdiccia incrostata su le scorie.
…..la
sostanza in questione è un miscuglio di solfato di rame e d’idroclorato e
solfato di questo metallo.
Varietà del bi-solfuro di
rame.
Fuliginoso,
reticolato, nero,…..
Incrostante,
nero turchino-bruniccio-verdiccio,………
Nascente
dalla scomposizione delle varietà antecedenti esposte all’aria.
Epigeno
superficiale turchino bruniccio o verdiccio, incrostante,……
Giacitura.
Trovasi
ne’ fummajoli del Vesuvio, …ed in piccoli ottaedri aggregati.
NOTA.
Sul
Vesuvio ho potuto reperire facilmente un varietà di covellina, di
un bellissimo colore indaco–azzurro.
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[1] Vedi, ad esempio, Marotta
Diamante: Nicola Covelli, scienziato napoletano del XIX secolo,
Arte Tipografica, Napoli 1990.
[2]
- Giugliano
Michele: Il Vesuvio negli studi
di Luigi Palmieri; in Annuario
1999 dell’ASMV; edizioni ASMV, Piedimonte Matese, 2000.
[3] - Atti della R. Accad. delle Scienze, Sezione della Società R. Borbonica, Vol. IV, Bibl. Naz. di Napoli.