Raffaele Marrocco: Il Matese             Articoli sul Matese

 

 

Raffaello Marrocco

 

I L    M A T E S E

 

Napoli

Editrice Rispoli Anonima

1940

 

      I Paesi

Cap. II (pp. 25-66)                                                                                                              

 

 

Da Piedimonte d’Alife a Letino

Venendo da Napoli col trenino della Ferrovia Alifana l’ultimo paese che s’incontra al termine della linea, è Piedimonte d’Alife (m 200). Situata alle falde del Cila e del Muto, ultime propaggini meridionali del Matese, bagnata dal Torano che sbocca da un largo crepaccio della vale omonima, la cittadina si presenta linda e civettuola nella sua cornice di verde. Con belle piazze, giardini, fontane, monumenti e moderni edifizi è in effetti un paese interessante.

La località è stata abitata nel neolitico come hanno rivelato non pochi cimeli preistorici e la cinta muraria del Cila, su cui si accampò Fabio Massimo (a. 221 av. C.) durante le fasi della seconda Guerra Punica, mentre l’esercito cartaginese moveva per la pianura alifana, ma essa non ha lasciato altri ricordi storici di rilievo nell’epoca romana, e soltanto verso il Mille la terra di Piedimonte comincia ad avere qualche rinomanza. Un secolo dopo s’inizia per il paese una vita fiorentissima col risveglio industriale. Le industrie, specie quelle dei panni, che nel secolo XIII si fanno notevoli, acquistano fama universale dal Sec. XVI al XVIII. Basti dire che l’Imperatore Carlo VI di Austria – che concesse a Piedimonte il titolo di città con privilegio del 24 dicembre 1730 – equipaggiava i suoi eserciti con i panni colà fabbricati, i quali, a suo dire, erano superiori per qualità a quelli dell’Olanda e dell’Inghilterra. Ma oltre le industrie della lana e dei panni, vi fiorirono quelle della carta, delle pelli, dei cotoni, del rame, ed oggi sono sviluppatissime le industrie elettriche e delle tele.

Ancora verso il Mille sorge un grandioso castello con propri feudatari. Nel 1229 il castello sostenne vigorosamente un assedio ad opera delle truppe della Chiesa guidate dal Cardinale Pelagio per la lotta contro Federico II, e nel 1437 un secondo assedio, pure ad opera delle truppe della Chiesa al comando del Cardinale Vitelleschi, per conto di Eugenio VI. Piedimonte però non rifulse soltanto per le sue industrie e per gli avvenimenti storici, ma anche per i suoi uomini illustri, tra i quali, per non citarli tutti, vano ricordati Vincenzo De Franchis (1531-1601) il più grande giureconsulto del Sec. XVI, Presidente del Sacro Regio Consiglio d’Italia; Ludovico Paterno (1533-1575) poeta; Francesco De Benedictis (1607-1678) allievo di Guido Reni, autore degli affreschi della Chiesa di Donnaregina di Napoli, ed Ercole d’Agnese (1745-1799), già membro del Direttorio della Repubblica Francese, indi Capo del potere esecutivo della Repubblica Napoletana, morto sulla forca in Napoli.

Interessanti escursioni offrono i dintorni della bella cittadina. Notevole quella sul Cila, percorrendo la interprovinciale per il Matese, e quella alla Valle del Torano, con la pittoresca sorgente. Piena di attrattive l’escursione al Santuario di S. Maria Occorrevole sul Monte Muto ed all’attiguo boschetto della “Solitudine” con tempio edificato da S. Giovan Giuseppe della Croce. Dalla “Solitudine” si domina il sottostante Vallone dell’Inferno con bella vista della piana alifana e della valle del Volturno.

Da Piedimonte si va a Castello d’Alife (m 476), seguendo la mulattiera che s’inizia dal rione S. Giovanni o la interprovinciale per il Matese che parte da piazza Gaetani. Il paese, situato su di un breve pianoro tra le valli del Rivo e dell’Inferno, è costituito da un caratteristico agglomerato di case e di linde palazzine, intersecate da viuzze e da violetti augusti, serbando un aspetto medievale. Il vasto orizzonte che si stende innanzi a Castello e che si perde lontano in un semicerchio di montagne e di colline, offre una veduta panoramica assai interessante, poiché al verde dei monti vicini e agli abissi delle valli fiancheggianti, fanno sfondo i fiorenti campi alifani e compulterini, divisi dal corso del Volturno. Anche Castello ha una storia, ma è storia legata strettamente a Piedimonte, poiché fu rione di questa fino al febbraio dell’anno 1752, epoca in cui se ne distaccò; anzi, in tempi anteriori al ‘400, quando cioè il paese non esisteva o aveva poche case, tutta la parte fortificata rappresentava la rocca di Piedimonte. La separazione si protrasse fino al 1764, quando Castello si unì nuovamente alla madre patria, per distaccarsene definitivamente sulla fine dell’anno 1801.

L’interprovinciale per il Matese, inoltrandosi attraverso frutteti ed uliveti, prosegue per sette altri chilometri fino a San Gregorio (m 750). A mano a mano che si sale, si presenta a destra ancor più maestosa la valle dell’Inferno e a sinistra, profondissima e paurosa, la Valle Paterno. Prima di salire l’erta s’incontra la “Villa San Donato” avvolta in un manto di verde.

Giunti a San Gregorio sorprende scorgere alcuni bei palazzi e villini sontuosi, con piccoli parchi che mascherano le casupole dei pastori, come la “Villa Luisa” fresca ed olezzante, la “Villa Ginevra” e la “Villa Tucci”. Esse non hanno niente da invidiare a quelle dei paesi alpini. L’amena posizione, l’aria balsamica, la vicinanza al Lago del Matese, la vita tranquilla che vi si trascorre, hanno fatto di San Gregorio una stazione climatica importante.

Anche questo paese fu casale di Piedimonte fino alla metà del 1748. Le sue origini sono incerte, ma trovandosi notizie di una “Chiesa di San Gregorio sul Matese” in una Bolla di Pasquale I (817-824), si deve ritenere che nei primi anni del’VIII Sec. il paese fosse già esistente. A San Gregorio nacque Beniamino Caso (1824-1883), insigne botanico e patriota.

Si ritorna a Piedimonte, donde, per un viale rettilineo, fiancheggiato da pioppi, si va ad Alife (m 110). Ma ad Alife ci si arriva anche col trenino venendo da Napoli. Prima di entrarvi, s’incontra un grandioso edificio rotondo (colombario romano) adibito un tempo a Cappella della Commenda di S. Giovanni Geresolomitano ed ora ad ara votiva, poscia il Monumento dei Caduti adorno di aiuole e di fronte una parte della cinta muraria quadrilatera.

Si entra nella città per le sue quattro porte. Nella cripta della Cattedrale si conservano le ossa del Patrono S. Sisto I. Il paese ha buoni edifici, quasi tutti ad un piano, piazze pubbliche e fontane. Di origine sannitica, poi romana, Alife vantò proprie monete durante il IV Sec. av. C., e nei tempi romani una zecca imperiale. Ebbe anche Magistrati, Augustali, Collegi ed un Senato municipale. Ma del Teatro, dell’Anfiteatro, del Circo e dei templi che l’adornavano, nulla più è rimasto. Cadde definitivamente in potere dei Romani nel II Sec. av. C. quando divenne colonia. Posta in condizione di Prefettura, cioè di Municipio romano senza suffragio, soltanto durante o appena dopo la Guerra Sociale ottenne la piena cittadinanza. Nella seconda metà del IX Sec. fu devastata dai Saraceni. Passò poi ai Normanni, divenendo una importante contea e fu feudo di diverse famiglie nobili. Fin dal V Sec. fu sede vescovile. Non pochi uomini illustri vi fiorirono e tra essi Niccolò Alunno, giurista (1328-1367), Francesco Renzo, Cardinale (1396), Orazio Michi (1595-1641) ed Alessandro Vessella (1860-1929), musicisti.

Dalla “Porta Roma” di Alife si prosegue pianeggiando per la provinciale che dalla località “Quattro Venti” si biforca a destra per Capriati al Volturno e a sinistra per Caianello. Da questa provinciale, prima di giungere ai “Quattro Venti”, si stacca la strada che, con forti svolte attraverso oliveti, conduce all’abitato di S. Angelo d’Alife (m 367) adagiato in pendio di una collina. Vanta buoni edifici e villini graziosi. È punto di partenza per l’ascensione al castello di Rupecanina. Possiede tra l’altro la monumentale cappella di S. Antonio Abbate.

Indi per una stradetta dell’abitato, oppure della stessa provinciale, imboccando la traversa a destra della cennata località di “Quattro Venti”, si giunge a Raviscanina (m 310), un pittoresco paese posto alle falde di un cocuzzolo spoglio di vegetazione, sul quale s’ergono gli avanzi del citato castello di Rupecanina. Fu proprio questo castello a dare origine a S. Angelo ed a Raviscanina. Il rinvenimento di oggetti di arte antica nel territorio che comprende i due paesi ha fatto ritenere che ivi fosse la città di Rufrio di cui parla Livio.

Sopra un poggio olivetano si presenta Ailano (267) a guisa di presepe. Per giungervi bisogna seguire la traversa che si stacca dalla provinciale. Essa si snoda per la collina di verde rasentando una valle. Il sito è ameno e non manca di vedute panoramiche. Vanta anche gli avanzi di un castello feudale e piccole sorgenti di acque minerali ricche di acido solfidrico. Nel territorio sono i resti del celebre Monastero benedettino di S. Maria in Cingla e vi si trovano fossili di varie specie.

Da Ailano la strada prosegue a serpentina per Valle Agricola (m 705), posta in una conca ai piedi del monte Ignara, nome che ricorda la leggendaria esistenza di streghe. In circa tre ore si compie, dall’abitato, l’ascensione sul monte, da cui si godono interessanti panorami. Sovrasta il paese una torre erettavi dai Pandone.

Si ridiscende ad Ailano per riprendere la provinciale e per inoltrarsi verso Pratella (m 200) dopo un percorso attraverso colline e zone boschive. Proprio sopra un colle s’erge il paese rinomato per le sue acque minerali. Infatti, verso sud-est, e propriamente a piè del Pizzuto, sorge l’acqua minerale di “Lete” a 13,2 C. (bicarbonatica-calcica-magnesiaca) ricca di anidride carbonica, usata per bevanda nelle dispepsie e nei catarri vescicali e biliari. Ma oltre questa, Pratella vanta altre sorgenti di acque minerali, cioè sulfuree e ferruginose, usate per bevande e per bagni, per cui da alcuni anni funziona nel paese uno stabilimento balneare in verità non bene attrezzato. Nelle vicinanze si notano gli avanzi di antiche mura e quelli del Castello di S. Apollinare. Nel territorio vi fu anche un feudo rustico chiamato Roccavecchia.

Da Pratella si va direttamente a Prata Sannita (m 387) costituita da due frazioni. A destra della strada si scorge il castello che edificarono i Conti Pandone. Da qui si vede la chiusura della Vale di Letino che incombe su Prata e la condotta forzata dell’impianto idroelettrico del Lete.

In alto è il monte Cappello alla cui destra si trova l’altipiano di Valle Agricola. Nel Sec. XV si edificò in Prata un convento dedicato a S. Francesco e nella chiesa attigua si conservarono i corpi mummificati di Carlo Pandone, della moglie Ippolita d’Aragona, figlia di Re Ferdinando I e di un loro figliuolo.

Indi la strada, inoltrandosi a valle, mette, alla sua destra, in una traversa che conduce a Fontegreca (m 330). Il paese situato a piombo di una valle, è bagnato dal Sava. Priva di entrarvi si svolta a sinistra per una strada anch’essa in salita. Da questa si gode una splendida vista dell’ampia Valle del Volturno. La strada ripiega su se stessa per ripassare sopra l’abitato. Presso il bivio si domina la conca di Venafro e in avanti quella di Valle Agricola. Attraversando, quindi, un bosco di cipressi, si svolta nella gola di S. Bartolomeo dalle imponenti rocce dolomitiche. Dal passo delle Airelle si scende nella valle del Sava di singolare bellezza.

Si ridiscende la traversa e si riprende la provinciale. Quivi un’altra traversa, a sinistra, lunga poco più di un chilometro e mezzo, porta a Ciorlano (m 330), situato sopra un colle. Vanta parecchie sorgenti di acque minerali: quella solforosa del “Valle” di gradi 17,50 che scaturisce da una roccia calcarea, adoperata per bagni e per bevanda, molto appropriata per la cura di malattie cutanee, l’altra ferruginosa, fresca e potabile. Nel suo tenimento vi è la famosa tenuta di Torcino di 2000 ettari popolata di caprioli, cinghiali e di ogni altra specie di selvaggina. Appartenne ai Conti di Venafro, poi all’Abbazia di S. Maria della Ferrara. L’acquistò Ferdinando IV di Borbone che ne fece una riserva di caccia; indi passò a Vittorio Emanuele II e Re Umberto la vendette si Principi Strangoli.

Rifacendo l’intera traversa si riprende la provinciale. Dopo percorsi tre chilometri, si giunge a Capriati al Volturno (m 300) a cavaliere di una collina, in posizione amena, dominante la valle del Sava. Ha buoni edifici e posti panoramici. Il paese era esistente nel Sec. VIII, ma meno i resti di una rocca, non conserva avanzi di antichità.

Oltre quelli citati, vi sono altri due paesi che fanno capolino nel cuore del Matese, Gallo e Letino, ai quali si giunge o con la camionabile che parte da Capriati oppure da Fontegreca. Entrambe le strade sono interessanti.

Dei due paesi, Gallo (m 875) è caratteristico per le sue casette, per le viuzze strette, per le sue valli e per la posizione dominante belle vedute. Le sue origini rimonterebbero a tre secoli avanti il Mille, quando vi posero stanza dei gruppi bulgari al seguito di un condottiero, Altzek. Costui, da re Grimoaldo, fu inviato a Romualdo, suo figlio, Duca di Benevento, e da Romualdo gli vennero assegnate varie terre del Matese.

Da Gallo, puntando a destra, si sale lungo le pendici del Cesone, donde, valicato il Sava e superata una selletta, si giunge a Letino (m 1000) a ridosso di un cocuzzolo. Si sbocca così nella conca chiusa del Lete. Interessante quanto mai questo paese, che, oltre alla sua bella posizione, alle sue grotte ed ai suoi paesaggi, possiede un lago artificiale ottenuto con lo sbarramento del fiume Lete. Letino ha anch’esso origine da popolazioni orientali.

 

 

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Da Capriati al Volturno a Roccamandolfi

 

Partendo da Capriati e costeggiando il Volturno e le falde occidentali del Matese, si perviene nella località denominata “Ponte dei Venticinque Archi”. Prendendo la strada a destra si va a Isernia. Su questa strada si stacca la traversa, molto irta, per Monteroduni (m 447). Il paese posto sopra un colle, tra zone ombrose e serene, ha delle terrazze naturali dalle quali si gode una visione panoramica assai interessante che abbraccia il biancheggiante letto del Volturno e i numerosi paesi posti tra Sesto Campano e le falde delle Mainarde e del Meta. Bella è la campagna con le sue sorgenti e con i suoi laghetti artificiali ed interessante il castello con giardino pensile. Degno di menzione è anche l’imponente dirupo del Peschio Rosso con il suo orrido aspetto.

Sempre sulla stessa strada per Isernia e propriamente sui costoni della valle del Volturno, e nel punto ove s’incrociano i fiumi Lorda e Carpino, vi  a sinistra la breve strada che conduce a Macchia d’Isernia (m 340), un tempo chiamata Macchia dei Saraceni. Il paese presenta interesse panoramico.

Sperduto sui monti e propriamente su di un picco, alla cui destra scorre il Lorda, sta Sant’Agapito (m 540) a cui si accede dalla stessa strada per Isernia, per una via scabrosa che si stacca a destra della provinciale. È un singolare paese. In antichi documenti lo si trova denominato Santa Capita. Nei dintorni vi sono boschi e castagneti.

Bagnato dal Lorda che scende da Sant’Agapito, Longano (m 680) si erge pure in luogo montuoso e per giungervi si segue la medesima strada per Isernia, da cui dista più di nove chilometri. La sua posizione è di un certo interesse perché di là si ammirano delle singolari vedute.

Indi per una strada lunga quasi cinque chilometri, si giunge a Castelpizzuto (m 900) situato su di una vetta dominante il Lorda. È circondato da macchie boscose ed è caratteristico per le sue casette e per le sue viuzze anguste.

Attraverso la piccola valle del Lorda, la strada s’inoltra, tra bellissimi paesaggi, verso Isernia (m 457), posta in collina tra i fiumi Carpino e Sordo, che, unendosi, formano un terzo fiume denominato Cavaliere. La cittadina desta non poco interesse sia per la sua posizione che per le sue industrie ed opere d’arte. È costituita da una grande arteria, quasi rettilinea, lunga circa due chilometri con vie laterali. Soltanto dalla stazione ferroviaria s’inizia la parte moderna e dalla stessa stazione si va subito sulla strada che raggiunge il grande viadotto S. Spirito.

Ad un bivio vi è poi la strada di circumvallazione che mena all’altro viadotto la Prece o Cardarelli a due ordini di archi, alto cinquantasette metri e lungo centoventi, che serve la Nazionale attraversando il Sordo. Decorano Isernia bei palazzi, il Monumento ai Caduti, parecchie Chiese, come quella di S. Chiara, la Cattedrale di S. Pietro rifatta nel 1837 sugli avanzi della precedente, distrutta dal terremoto del 1805, al cui fianco si eleva un grande campanile, e le chiese di S. Francesco, dell’Assunta e di S. Celestino.

Le origini d’Isernia rimontano alla più alta antichità. Fu una delle principali città dei Sanniti Pentri. Divenuta romana vi fu dedotta una colonia latina. Coniò proprie monete. Alleata di Roma mandò contingenti di milizie agli eserciti romani, e nella guerra con Annibale le restò fedele. In quella Marsica e Sociale fu presa dagli Italici, e caduta Corfinio, divenne centro delle ostilità continuate dagli stessi Italici nel Sannio. Terminata la guerra, ottenne da Silla la cittadinanza romana. Vantò Magistrati, Collegi ed un Senato municipale. I Saraceni la distrussero nell’anno 880. Fu ricostruita nel Sec. XI. Saccheggiata nel 1199 da Marcovaldo, conte di Molise e nel 1223 incendiata dalle truppe di Federico II, fu saccheggiata ancora dai Francesi nel 1799. Subì quattro violenti terremoti negli anni 847, 1349, 1450 e 1805. Diede i natali a diversi uomini illustri: Andrea da Isernia, giureconsulto, fiorito nel Sec. XIII, Pietro Marone o Angeleri dal Marrone, divenuto poi Papa Celestino V, che, secondo Dante, “fece per viltade il gran rifiuto”, e canonizzato nel 1313, Giovan Vincenzo Ciarlante, del Sec. XVII, che scrisse la storia dell’antico Sannio.

Proseguendo per la località Ponte di S. Leonardo, da cui a sinistra, si va a Forlì del Sannio, e a destra – sulla biforcazione per Carpinone – a Cantalupo, ad una svolta lontana da Isernia circa otto chilometri, ci si immette sulla via di Pettoranello (m 737), lunga un chilometro e mezzo. Il paese domina il piano di Carpinone, e trovasi sperduto sui monti in una corona di macchie boscose. Di esso si conosce soltanto che fu danneggiato dal terremoto del 1805. Il suo nome ebbe rinomanza nel 1860 perché vi subì una disfatta la “Legione del Matese” di Piedimonte d’Alife.

Dopo il bivio per Pettoranello, la strada non tocca nessun centro abitato e si snoda prima attraverso i monti, poi, dopo varie svolte, nel rettilineo parallelo alla linea ferroviaria, attraversando la superficie di ghiaia del torrente di Val Borello ed incrociandosi con la strada per Macchiagodena a sinistra e per quella di Cantalupo a destra. Il lungo percorso è del massimo interesse panoramico perché si svolge in un contrasto di monti e di brevi pianori, di rocce nude e di macchie boscose, tra valli e torrenti. Cantalupo (m 587) dista oltre un chilometro dall’incrocio, ed è un paese che serba un aspetto caratteristico. Non si conosce l’epoca di sua fondazione, ma si trova esistente durante l’immigrazione bulgara di Altzek.

A circa sette chilometri da Cantalupo, sui fianchi in dirupo del Colle di Mezzo, dalla cui vetta si gode uno splendido panorama esteso fino alla Maiella e alle Mainarde, giace Roccamandolfi (m 875). Il paese vanta antiche origini. Possedeva nel Sec. XII una delle più potenti rocche feudali. In essa si rinchiuse il Conte di Celano, Tommaso, quando fu assediato dalle truppe di Federico II. Vinto, la rocca venne distrutta né più rifatta. Anzi, allorché Carlo I d’Angiò diede il paese a Berengario di Tarascona, non gli permise rifare le fortificazioni. Nella cronaca di Riccardo di S. Germano, Roccamandolfi viene chiamata Rocca Magenul e nei registri Angioini del 1209 col nome di Rocca Maginolfi. In una carta del 1269 è detto Roccaminolfi.

 

 

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Da San Massimo a Sepino

 

Per raggiungere San Massimo (m 600) si percorre la strada a destra del rettilineo Cantalupo-Boiano. Da questo punto al paese vi sono circa tre chilometri e mezzo. Situato in luogo montuoso, San Massimo offre una bella vista di balze e di valli. In esso scende la condotta forzata del lago artificiale di Campitello alimentando la centrale della Società Molisana per le Imprese Elettriche. Interessanti le escursioni sui monti Ratto, Serra, S. Giorgio, Salvapiana, Capo d’Acqua e Serra del Monaco. È punto di partenza per il Miletto. Vantò nel Sec. XII la celebre Abbazia di S. Nicola del Matese e nel Sec. XVIII una fabbrica di maioliche. In antico era denominato semplicemente Castello.

Rifatto il percorso da San Massimo al rettilineo, appare l’intero fondovalle meno alberato ma con estesi campi di prati e di cereali, alternati con colture di tabacchi. Attraverso il Callaro la valle si mostra più ricca di vegetazione. Di lì a poco si giunge a Boiano (m 485), situata sulla destra del Biferno, verso la parte di Monte Procella. Più in alto è la frazione di Civita Superiore (m 720), un meraviglioso belvedere sul quale trovansi le rovine di un vasto Castello.

Fu capitale dei Sanniti Pentri e dominava la pianura ove i Capi della confederazione sannita si adunavano per discutere gli interessi dello Stato. Devastata da Silla, risorse al tempo di Augusto allorché vi fu dedotta una colonia dell’XI Legione e perciò chiamata undecumana. Nel Sec. IX passò sotto il dominio del ducato di Benevento e nel Sec. XIII fu devastata dalle truppe di Federico II. Nel 1070 vi dimorò S. Aldemario compiendovi dei miracoli. I resti dell’antica Boiano sono sotto l’odierna città e propriamente sotto le macerie accumulate dai terremoti dell’853, 1309 e 1456, questo ultimo disastrosissimo. Oggi Boiano è un paese interessante per i suoi numerosi edifici e per le sue opere d’arte. Ha una spaziosa piazza alberata ove si svolge un importante mercato settimanale. Vanta, fra l’altro, scuole secondarie ed una scuola sciatoria denominata “Scarponi del Matese”, unica in tutta la provincia. È alimentata dalle acque di Rio Freddo, potabilissime. Molte industrie vi fiorirono e fioriscono, specie quella della lana. Un bel monumento ai Caduti della guerra mondiale, eseguito dallo scultore Buchetti, molisano, adorna il paese. È in bronzo e raffigura un fante morente cui un milite sannita porge la palma, mentre una figura muliebre, simboleggiante la città, gli mostra il Palladio. Boiano diede i natali a molti uomini illustri, tra cui: Girolamo Pallotta, patriota, e Bonifacio Chiovitti, medico, filosofo ed archeologo. Sembra che anche Caio Papio Mutilo fosse nativo di Boiano.

La stessa strada che ci ha quivi diretto, prosegue nella valle e ci fa vedere lontano Colle d’Anchise appollaiato sulla vetta di una piccola montagna. Indi a poco si giunge ad un bivio che porta a S. Polo Matese (m 751). Il paesello è in pendio di un colle. Si vuole avesse origine da alcuni francese – scampati dall’eccidio dei Vespri Siciliani – rifugiatasi nel Molise. Giunsero sul posto il giorno consacrato a S. Paolo, donde la denominazione di St. Paul, indi S. Polo. Nelle carte dei principi del ‘300 si legge che il paese apparteneva al Vescovo di Boiano, al quale fu concesso in feudo dal re.

Continuando il percorso nella valle, ove passa il torrente Quirino, la strada, nel punto denominato Epitaffio, si biforca a sinistra per Vinchiaturo e a destra per Campochiaro (m 664). Quest’ultimo tratto è di circa quattro chilometri. Il paese – una oasi di luce e di pace – ha origine medievale, e forse derivò da Civitella ove esistono avanzi di mura poligonali. È posto sopra un colle da cui si domina il piano sottostante, bellissimo, e tutta una teoria di monti. Vi ebbero una Commenda i Cavalieri di Malta che colà fondarono un ospedale.

A sud di una valle che scende dal Mutria tra belle macchie boscose, si vede Guardiaregia (m 733). Il suo antico nome era Guardia di Campochiaro, che conservò fino a tutto il Sec. XVI. È un paese che vanta un’interessante Abbazia. Vi si accede da un bivio a sinistra della stessa strada che si è percorsa fin da Isernia. Nelle sue vicinanze vi è un orrido – profondo circa trecento metri – che ricorda visioni dantesche. In esso precipita il Quirino formando una cascata imponente. Oltre il Quirino scorre nel territorio l’altro torrente denominato Corino.

Dal bivio, che si distacca dalla strada Boiano-Pontelandolfo, si va a Sepino (m 698), percorrendo un tratto poco più di quattro chilometri. La cittadina posta allo sfocio di un vallone, in bella posizione, guarda il piano omonimo. Un torrente scorre in quei pressi cantando le glorie e le sventure del paese perché Sepino moderna trae le sue origini dal Saepinum dei Pentri, distrutto dal Console romano L. Papirio Cursore e dall’altra città, Altilia, che i superstiti fondarono verso il 1° Sec. di C. a nord-ovest, circa tre chilometri lontano, ove prosperò una colonia militare. Fu, dunque, dopo la distruzione di Altilia da parte dei Saraceni (a. 880) che venne su l’odierna Sepino, la cui epoca può fissarsi tra il X e il IX Sec. Il paese ha belli edifici ed una interessante chiesa dedicata a Santa Cristina, antica, ma rifatta in tempo recente. Conserva una cripta ed un magnifico coro di legno intarsiato. Sepino ebbe in passato numerose ed importanti industrie, tra le quali quelle della carta dei panni di lana. Vi nacque Lucio Nerazio Prisco, il famoso giureconsulto amico di Plinio, tenuto in gran conto, come consulente giuridico, da Traiano e Adriano. Vi nacque pure Angelo Catone, che fu medico di Ferdinando I d’Aragona ed insegnante dell’Università di Napoli; Giovanni De Amicis e Antonio Giordano, lodato dal Machiavelli, entrambi giureconsulti.

 

 

Da Sassinoro a Piedimonte d’Alife

 

Da Sepino si segue la provinciale parallela alla linea ferroviaria fino a Ponte Pignatara. Si volge poi a destra e dopo numerose svolte in salita, dalle quali si vede la bellissima valle del Tammaro, si giunge a Sassinoro (m 537), un paese interessante per la sua posizione, avente ai lati il Tammaro e il Sassinora scorrenti attraverso il verde delle valli. Si eleva sulle pendici del Monterotondo, intorno al vecchio castello, ed ha di fronte un orizzonte che abbraccia l’intera vallata del Tammaro e le balze dei colli vicini e lontani. Dal paese parte la pittoresca strada mulattiera che s’inerpica al Santuario di S. Lucia, caratteristico per la sua grotta naturale e meta di continui pellegrinaggi. Di Sassinoro si hanno notizie storiche soltanto dopo il Mille e si sa che fu un feudo dell’Abbazia di S. Sofia di Benevento.

Indi la carrozzabile si snoda a mezza costa del Monterotondo tra zone boschive. S’inoltra attraverso il vallone Sassinora con vista di Cercepiccola e di S. Croce, finché valicata la spaccatura di Rio Vivo, entra in Morcone (m 683) che si stende a guisa di anfiteatro. La pittoresca cittadina ha belli edifici, il Parco della Rimembranza col Monumento ai Caduti, una villa comunale e un grandioso ponte sul Tammaro. Morcone ha origini antichissime, ma è controversa la notizia che sia sorto sulla Murgantia sannitica. La sua storia dice che fu preso di assalto dal Console romano Publio Decio nel 296 av. C. e che nel medioevo venne chiamato Mucrone, divenendo nel Sec. VIII gastaldato longobardo. Nel Sec. IX Leone il Savio vi istituì una diocesi di rito greco, dipendente dal Patriarca di Costantinopoli, riconosciuta poi da Roma, e soppressa nel Sec. XIII. Le fonti archivistiche dicono che Morcone appartenne ai Conti di Ariano durante il periodo normanno e re Ruggero se ne impadronì nella lotta contro gli stessi. Nel territorio vi fu anche un feudo denominato Coffiano, abitato nel Sec. XII. Un tempo fioriva in Morcone la fabbricazione dei panni di lana che si esportavano in tutto l’antico Regno di Napoli. Vi nacquero Benedetto di Milo insegnante di Diritto a Napoli nel 1302, Blasio Paccone, allievo del Milo e Crescenzo Morelli.

Si parte da Morcone attraversando zone lussureggianti, e la strada, correndo prima lungo i fianchi della montagna, s’interna in una successione di piccoli valloni. Indi risale, per poi ridiscendere lungo le pendici, per nuovamente risalire fra rocce calcari boscose, finché giunge a Pontelandolfo (m 488). Il paese sorge sopra un colle. Ha discrete strade fiancheggiate da buoni edifici. L’aspetto è caratteristico. Vanta due sorgenti di acque minerali, l’una ferruginosa, l’altra clorurato-iodica, entrambe fredde. Pontelandolfo sarebbe stato fondato da un Principe di Benevento, Landolfo, come attestano le tradizioni. Le fonti storiche dicono che il paese venne dato alle fiamme nel 1138 da re Ruggero per vendicarsi della ribellione del conte di Ariano. Nei suoi pressi esisteva un casale denominato Santa Teodora appartenente alla Chiesa Beneventana.

Si riparte da Pontelandolfo attraversando in discesa la valle dell’Alente, con vista del gruppo del Pentine e dell’Alburno. La strada, dopo numerose svolte su fiancate montane, tocca la località Fontna del Carpano puntando su San Lupo (m 500), situato sopra un colle. Il paese assai caratteristico, prese tale denominazione dal Monastero dei SS. Luppolo e Zosimo che ne aveva il possesso. Passò poi al Capitolo di Benevento. Si vuole che il nome originario fosse Montepetroso.

Attraversando l’abitato e percorrendo svolte in discesa, si giunge per un bivio a destra, a S. Lorenzo Maggiore (m 350) situato tra belli vigneti ed uliveti, in vicinanza del torrente Ignara. Cominciò a popolarsi nel Sec. XV col decadere del vicino abitano di Limata, di cui si vedono i resti.

Vi nacque il Vescovo Giovanni Rossi, distinto storico e letterato. Si ritorna al bivio e ripresa la provinciale, si va direttamente a Guardia Sanframondi (m 428) incastonato in una grande massa di verde. Possiede belli edifici sparsi nei pressi dell’antico castello. In quanto alle sue origini vi è una versione che lo vuole sorto ad opera dei feudatari, i Conti di Sanframondi; ma al tempo della loro iniziale dominazione, il paese già esisteva, giacché di esso abbiamo notizie fin dall’anno 841 col nome di Vico Fremondo, come si rileva dal Gattola nella sua storia dell’Abbazia di Montecassino, alla quale Abbazia, in tal anno, un Maione, figlio di Teosperto, nobile di Telese, abitante appunto nel Vico Fremondo, donò tutti i suoi beni compresi nel territorio. I Conti di Sanframondi, quindi furono essi a prendere il nome dal paese. Guardia Sanframondi ebbe un tempo grande rinomanza per le sue industrie, specie quella delle pelli, ed anche per i suoi uomini illustri, quali: Michele Foschini, distinto pittore settecentesco; Filippo Guidi, matematico e Filippo De Blasio, giurista. Il paese vanta, fra le altre, la cappella di S. Sebastiano con pregevoli dipinti. Nel Sec. XVII fu per qualche tempo sede dei Vescovi di Telese. Venne distrutto dal terremoto nel 1456, e, riedificato, distrutto novellamente da quello del 1688.

Lasciando a sinistra i ruderi dell’antico castello e scendendo lungo la bella strada che si svolge tra pendici rigogliose, si prende il bivio a destra per andare direttamente a Cerreto Sannita (260) posto sopra uno sperone tra due torrenti. La bella cittadina – ricostruita dopo il terremoto del 1688 – ha la forma di un rettangolo allungato, con ampie piazze, giardini e vie rettilinee, larghe, incrociatisi ad angolo retto. Tutto questo insieme, con i belli edifici che l’adornano, conferisce a Cerreto un particolare interesse. Ammirandone la modernità, il pensiero non può non andare alle sventure che la colpirono e all’eroismo dei suoi abitanti. La piccola città vanta anche istituti d’istruzione e di pubblica beneficenza, un Monumento ai Caduti della Guerra mondiale, e tra le Chiese, una bella cattedrale e quella monumentale di S. Gennaro.

In origine Cerreto era situata più in alto. Aveva un proprio castello che dai Sanfromondi, suoi feudatari, venne trasformato in due monasteri. Nel castello dimorò nel 1382 Luigi d’Angiò. Fin dal Sec. XVI divenne sede dei Vescovi di Telese. Nei tempi passati vantò non poche industrie, in particolar modo dei panni di lana e delle maioliche. Sembra che nei suoi pressi fosse l’antica Cominium Ceritum, diversa dalla Cominium del Latium Adiectum, come si deduce da alcune antiche costruzioni nella località di S. Maria della Libera. Non pochi uomini illustri nacquero in Cerreto: i giuristi Ascanio Raitano, Martino Dalio, Antonello da Cerreto, G. F. ed Alfonso Pennarelli, nonché i letterati Andrea Mozzarella e Pietro De Blasio.

A sinistra della principale piazza di Cerreto parte una bella strada che s’inoltra verso la località Fontana Viscosa e poi scende in una pittoresca gola tra i Monti Pizzarda e Monaco a sinistra, e il Monte Cigno a destra. Appena fuori la gola si vede, di fronte, ma lontano, il Mutria. Si gira a sinistra e si arriva a Civitella Licinia (m 350), paesetto di cui si hanno notizie fin dal Sec. VIII. Indi si scende rasentando il torrente Vivila da cui si vede il Santuario di S. Maria del Castagneto. Poi si sale il colle e si giunge a Cusano Mutri (m 500). Il paese sorse nei tempi normanni intorno ad un castello erettovi durante la dominazione longobarda. È situato in bel posto ed è luogo di partenza per l’ascensione al Mutria. La Chiesa di S. Nicola possiede un bel portale ed un reliquiario di argento del secolo XIV contenente una spina della corona di Cristo donata da un Crociato. La Chiesetta di S. Maria del Castagneto, lontana un chilometro, possiede a sua volta una statua lingea bizantina raffigurante la Vergine. Una località pittoresca è il colle del Calvario sulla cui vetta si erge una chiesetta.

A destra di Cusano parte la rotabile che tra belle macchie boscose, scende nel fondovalle del Titerno e dopo numerose svolte sale a Pietraroia (m 830) alle falde del Mutria. Il nome è una corruzione di Pietrarosa, dato forse per il colore delle cave di marmo ivi esistenti. Il paese, riedificato dopo il terremoto del 1688, trovasi in pendio, in una amena e pittoresca posizione. Il territorio è ricco di fossili e di minerali.

Riprendendo il percorso da Guardia Sanframondi e propriamente dalla sua sinistra, si scende a Castelvenere (m 118) in territorio fertilissimo. Sembra che il nome originario sia stato Venere, da un tempio dedicato alla dea della bellezza. Secondo una tradizione locale a Castelvenere sarebbe nato S. Barbato che fu anche Vescovo di Benevento. Nel tenimento sorge, in una macchia di verde, il Grand Hotel Telese. Da Castelvenere si scende alla nuova Telese (m 60) bagnata dal Grassano. Sorge a breve distanza dal Calore, nei dintorni della Stazione ferroviaria, da ci in rettilineo, si va agli Stabilimenti balneari Minieri, ove fluiscono ventinove sorgenti che nascono alle falde del Monte Pugliano. Di esse diciannove sono sulfuree-carboniche a 21°, amicrobiche, ricche di carbonati alcalini e di anidride carbonica. Queste acque apparvero in seguito al terremoto del 1349 e sono generalmente usate per bevanda e per cura delle malattie cutanee. Godono di fama mondiale.

Uno dei più importanti ponti costruiti nell’Italia meridionale in tempi passati è quello denominato “Maria Cristina” che unisce il territorio di Telese all’altro di Solopaca attraverso il fiume Calore. Il ponte è in ferro, sospeso, con le estremità poggianti su due scogli e coi pilastri che reggono le catene. Fu ideato dall’Ing. Giura e aperto al transito nel 1835.

Telese – quella antica – vantò una propria moneta con leggenda sannitica. Diede i natali al famoso Quinto Pompaedio Silone, all’altro non meno famoso Ponzio Telesino, che sconfisse i Romani alle Forche Caudine, e a Francesco da Telese, giureconsulto.

Sia andando dalla provinciale che taglia il “Viale dei Platani” sia prendendo l’altra strada panoramica, alberata, che parte dagli Stabilimenti balneari rasentando il corso del Grassano, si giunge in brevissimo tempo a S. Salvatore Telesino (m 95) che sorge nei pressi ov’era l’antica Telese. Prese tale nome dalla celebre Abbazia omonima erettavi nel Sec. X. Tra gli Abbati che la governarono vi fu il famoso Alessandro, autore della storia: “De rebus gestis Rogerjis Siciliane regis”. Lo stesso re Ruggero dimorò due volte nell’Abbazia, cioè nel 1133 e nel 1136, come vi dimorò quarantatre anni prima S. Anselmo. Il paese vanta moderni edifici ed alcuni sontuosi villini. Per la sua vicinanza agli Stabilimenti balneari di Telese, S. Salvatore ha fatto rapidi progressi nell’edilizia ed è incamminato verso un lieto avvenire. Alle sue spalle e propriamente alle falde del Pugliano nasce il Grassano e nei suoi pressi hanno origine le sorgenti minerali che vanno a Telese.

La Provinciale Sannitica, proseguendo in salita attraverso zone lussureggianti di vigneti ed uliveti, da cui si vedono, lontano, i monti Tifatini e l’ampia valle del Volturno, giunge, dopo una rapida discesa, ad un bivio che conduce a Faicchio (m 150). Il paese situato presso il Titerno, è chiuso in una conca di verde. Ha di fronte il monte Acero. Vanta buoni edifici e dei villini, nonché un castello feudale. Lo sovrasta il Convento di S. Pasquale in un’amena posizione. Quivi e sull’Acero vi sono cospicui avanzi di antichità. Un ponte romano attraversa il Titerno unendo Faicchio alla frazione di Massa Inferiore. Nacque in Faicchio il celebre vulcanologo Luigi Calmieri (1807-1896).

Dall’abitato, costeggiando il Titerno e a mezza costa del monte la Pizzuta, fra vigne ed uliveti, si giunge, dopo il Rio della Madonna e di Fontanavecchia, a S. Lorenzello (m 250), un paese situato presso il Titerno stesso, circondato da giardini. Esso venne ricostruito dopo il terremoto del 1688. Alla sua destra la strada prosegue per Cerreto Sannita.

Si ritorna a Faicchio per riprendere la provinciale sannitica correndo per le falde del monte Erbano e poi del monte Monaco. Si tagliano belle zone olivette e folti querceti, e si arriva a Gioia Sannitica (m 295). Una costante tradizione vuole che il nome derivasse da un tempio dedicato a Giano, e propriamente da un’Ara Jani che sarebbe esistita nel territorio. Un ampio palazzo civico e parecchi buoni edifici adornano il paese, la cui parte bassa viene tagliata dalla strada provinciale. Conta parecchie frazioni. Nella località Carattano esisteva un castello omonimo che nel 1304 ospitò Carlo II D’Angiò, come risulta da un diploma dell’epoca. Gioia vanta tuttora i ruderi del proprio castello nella contrada Caselle.

Indi la strada, allungandosi per le falde del Monaco, passa per la frazione di Auduni, tocca il bivio per la frazione di Calvisi e lascia vedere a sinistra la valle del Volturno. Prosegue per il così detto “Ponte Storto” e giunge a S. Potito Sannitico (m 230). Il paese già casale di Piedimonte fino al 1749, possiede buoni edifici e villini graziosi. Nella piazzetta accosto al Palazzo Civico sorge il Monumento ai Caduti circondato da aiuole. Gli avanzi archeologici esistenti nel territorio dimostrano l’origine antica del paese che s’adagia in dolce declivio, alle falde della “Grotta del Toro”, tra una lussureggiante vegetazione.

Dalla località Torelle, la strada, in ripida discesa, si slancia infine sulla borgata di Spicciano, per scendere verso Piedimonte d’Alife biancheggiante nel verde dei suoi monti e nel fragore delle sue pulsanti attività industriali.

 

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