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Pasquale Maturi

AMOROSI VITA RELIGIOSA E LUOGHI DI CULTO

2003

 

 

CAPITOLO II

Chiesa di S. Michele A.: vicende storiche, statue e dipinti, elementi stilistici ed architettonici

 

Vicende storiche (pp. 23-40 senza note)

 

La chiesa di S. Michele Arcangelo -S. Angelo nei documenti antichi- ha origini certamente longobarde. La sua primitiva struttura si potrebbe senz’altro datare alla fine del sec. IX. Però una prova indiretta della sua esistenza si ha solo per il 1100 circa. Infatti nelle prime carte dell’Obituarium S. Spiritus della Biblioteca Capitolare di Benevento, è citato, per quanto allo stato delle ricerche risulta, il nome “Amorusi”. L’espressione è “Obiit Iacobus conziator et Skifana uxor eius Laudisius de Amorusi”. È invece solo nelle “Rationes Decimarum” della Diocesi di Telese, elenco delle decime pagate dalle Diocesi nel Medioevo, conservato nell’Archivio Vaticano, che per la suddetta Chiesa, per gli anni 1308 e 1327, si trovano espliciti riferimenti. Le espressioni che della Chiesa parlano sono: “Clerici Casalis Amorusi” e “Ecclesiae S. Angeli de Amorusis”.

Il luogo di culto è indirettamente riconfermato nel “Quaternus omnium reddituum civitatis Thelesie et casalium...”, nel quale ci sono le espressioni “maioris Ecclesiae” e “ad Santum Angelum”. Il tutto sembrerebbe essere chiaro ed evidente, ma nel frammento del Catasto di Amorosi del 1544 vi è citato un “S.to Angelo Vethuso”. Inoltre nella Santa Visita per mons. Savino del 9 ottobre 1596, è chiaramente detto che la navata più lunga costituiva la chiesa originaria, cioè la vecchia chiesa e fu costruita anticamente (antiquitus) sotto il titolo di S. Angelo. Ancora nel Catasto Generale di Amorosi del 1750 si parla della chiesa di S. Michele Arcangelo, ma anche della “cappella vecchia” detta poi di S. Giuseppe. Volendo ritenere la “cappella vecchia” appunto come una vecchia cappella privata in confronto della nuova cappella di S. Giuseppe dei Maturi, il problema potrebbe essere superato, ma non è così, in quanto rimane il “S. Angelo Vethuso” del 1544, che in ogni modo, è cosa del tutto diversa dalla chiesa di S. Angelo. Va pure detto che, essendo di natura privata le due cappelle di S. Giuseppe, non sono state interessate alle S. Visite e che il Sant’Angelo Vethuso non può essere individuato con gli scantinati sotto l’antica masseria Cacchillo in contrada Forne, nel sottofeudo di Ranzano, pure praticandosi l’antico culto di S. Michele nelle grotte. Poiché i documenti si riferiscono a fondi siti a S. Angelo Vethuso, è possibile l’identificazione con la “cappella vecchia”. Di certo l’attuale chiesa di S. Michele fu ampliata dalla Confraternita del SS. Corpo di Cristo, che ancora non l’aveva rifinita per la visita di mons. Savino del 9 ottobre 1596, che, tra l’altro, ordinò di terminare la pavimentazione. Dalla stessa Santa Visita si ricava che sotto il transetto c’era la “cavea” grande, che la chiesa era capace di popolo e non consacrata, che il quadro della Cappella del SS. Corpo di Cristo non era ancora posizionato sull’altare per mancanza degli ornamenti di legno, che il Vescovo scese nella “cavea” per celebrare la messa dei defunti, che i pavimenti della chiesa erano ridotti male per il costume di seppellire sotto di essi i cadaveri, che i morti dovevano essere sepolti nelle tombe murate, che non c’era lo stato delle anime, ma che gli abitanti erano 150 in 40 fuochi circa, che l’altare maggiore non era consacrato e vi mancava una pietra sacra di giuste dimensioni, che sulla porta della chiesa “extant pinnae cum una campana” che il pulpito era di muratura non decente e che doveva essere di legno. Sempre da questa S. Visita si ricava che alla Chiesa erano uniti quattro benefici semplici, uno sotto il titolo di S. Sebastiano, che rendeva sei ducati, uno sotto il titolo di S. Giovanni, che rendeva dieci ducati, gli altri di S. Donato e di S. Nicola che rendevano cinque ducati ciascuno. Si ricava ancora che detti benefici erano stati costituiti da pochi anni, che erano di patronato del castello, che al prete aveva spedito le Bolle l’Ordinario, che era arciprete Vincenzo Rosato, coadiuvato da due chierici, Donato Vigliotta e Pietro Carbone e dal prete Antonio Caracciolo.

Nella successiva S. Visita del 7 giugno 1614 per mons. Gambacorta si evidenzia l’esistenza, già riportata da mons. Savino, del fonte battesimale dal lato del Vangelo (cornu evangelii), all’ingresso della chiesa, l’esistenza di S. Maria della Libera (cappella dell’Assunta), la presenza dell’altare della cappella del SS. Corpo di Cristo. Il Vescovo parla pure della cappella di S. Rocco e della cappella dei Carbone con camera sotterranea. Nel Sinodo Diocesano del 1616, tenuto da mons. S. Gambacorta si stabiliva che “Melizanum, Amerusium, Castrum Veneris et Castrum S.ti Salvatoris et Puglianellum habent Archipretales Ecclesias”.

Nella S. Visita del 1638, fatta dal vescovo Pietro Paolo de Rusticis, la chiesa di S. Michele è definita di patronato del Barone del Castello e si impone al Barone di dimostrare, entro un mese, il diritto di patronato, pena la scomunica. L’altare maggiore viene trovato in ordine ed ha il tabernacolo di legno. Si ordina di chiamare l’economo, di fare la pietra sacra all’altare della Libera e i candelabri all’altare del Corpo di Cristo. Arciprete del tempo è don Angelo Marotta. Nella S. V. del 30 ottobre 1639, il vescovo Pietro Paolo de Rusticis scrive che l’arciprete è don Giovanni Santana e che la Chiesa è di patronato del feudatario, Ettore Caracciolo, utile signore del Castello di Amorosi. Fatte poi le orazioni e le funzioni dei fedeli defunti, visita il SS. Sacramento dell’Eucarestia. Prescrive di provvedere della Croce e della figura di S. Giovanni il fonte battesimale. Dice che l’altare maggiore ha l’onere di una messa nei singoli giorni festivi e domenicali; che bisogna, tra l’altro, provvedere l’altare del SS. Corpo di Cristo di candelabri. Bisogna pure provvedere di candelabri e di pietra sacra l’altare della Libera. L’arciprete presenta, in copia prima, i libri dei battesimi, dei morti, dei matrimoni. I registri sono in ordine. Evidenzia che gli economi (laici) del SS. Corpo di Cristo sono tenuti a dare all’arciprete e all’economo pro tempore ducati 10 per far celebrare le 100 messe dentro la loro cappella, costruita e fondata dentro la matrice ossia chiesa parrocchiale. Poi, amministrata la cresima, andò via.

Il 7 novembre 1640, ancora il vescovo Pietro Paolo de Rusticis, assistito dal notaio Martino Paulino venne nel “Castrum Amorusi” e per via diretta andò nella chiesa parrocchiale di S. Angelo di patronato del feudatario di detto castello. Tra l’altro ordinò di foderare all’interno l’altare di panno serico, di mettere la pietra sacra all’altare della Libera, di provvedere del necessario la sagrestia, di coprire la pietra dell’altare del SS. Corpo di Cristo di tela cerata, di provvedere l’altare maggiore di beneficio. Andò via in giornata.

Nella S. Visita del 2 maggio 1652 il vescovo Pietro Marione Eugubino scriveva che si portò al castrano (castellano) di Amorosi e che sotto le mura del castello fu ricevuto sotto il pallio dagli eletti dell’Università e dal clero e che per via diretta cantando il “Te Deum” si portò alla parrocchiale chiesa di S. Angelo, che avanzando baciò la Croce che nelle sue mani aveva l’arciprete Pietro Veronese e che trovò tutto in ordine.

Nella S. Visita del 13 maggio 1660 il vescovo P. Francesco Moia, dopo aver pregato e cantato nella chiesa, si portò al Palazzo del Marchese della terra di Amorosi e, dopo il pranzo in umido, andò in visita alla Chiesa di S. Michele Arcangelo, nella quale, preso l’aspersorio dalle mani dell’economo don Francesco Coppola, benedisse i circostanti. Poi, dopo aver fatto le solite preghiere ai defunti, ordinò, tra l’altro, di indorare il tabernacolo e di rivestire la piramide del fonte battesimale. Prese anche atto che l’altare maggiore era decente e senza oneri, che decente era pure l’altare della Libera, che la cappella del SS. Corpo di Cristo aveva l’onere di cento messe annue. Fece ritorno al palazzo del Marchese. Lo stesso Vescovo, il 6 maggio 1667, ordinate alcune cose da fare, evidenziò che le cento messe andavano celebrate per i benefattori all’altare del SS. Corpo di Cristo. Poi andò via.

Nella Santa Visita del 6 ottobre 1672, il vescovo Pietro Francesco Moia, arrivando nel castello di Amorosi, venne ricevuto dal fattore Pietro Fattore e, riposatosi un poco, si portò alla chiesa di S. Angelo. Ordinò poche modifiche all’altare maggiore e a S. Maria della Libera di patronato dell’Ill.mo Marchese del Castello. Tra l’altro prese atto che le cappelle del Corpo di Cristo era di patronato dell’Università, come pure la cappella delle Anime del Purgatorio (del Carmine) e di S. Rocco. Nella S. V. del 1683 fatta dal visitatore delegato Nicola Cito, si evidenzia l’esistenza dei seguenti altari: l’altare maggiore, l’altare dello Spirito Santo (Corpo di Cristo) “de iure castri Universitatis”, l’altare del Santissimo Rosario, l’altare di S. Rocco (de iure Universitatis), l’altare di S. Maria della Libera (di patronato del feudatario).

Qualche notizia nuova si trova nella relazione della S. V. del 1685. Infatti vi si dice che la chiesa è nella contrada che volgarmente viene denominata “Alli Moncilli”, che la chiesa è di longitudine 30 circa e di latitudine 20, che sulla latitudine 20 c’è la porta, che sull’altare maggiore c’è l’immagine di S. Michele, che nella chiesa vi è una campanula, che nell’altare maggiore si celebrano due solennità: l’8 maggio e il 29 settembre. Ancora in una visita del 1685 il Vicario e visitatore delegato trova al fonte battesimale, presso la porta, il cancello di legno e molte vane immagini dipinte e sull’altare maggiore la “tabula” dipinta con la figura di S. Michele Arcangelo titolare della chiesa. Per il terremoto del 1688 la chiesa non subì danni rilevanti. Infatti nella relazione di Mons. G. B. Bellis del 9 febbraio 1690 si legge che Amorosi ha una sola parrocchia, che il paese conta 333 anime, che la cura è retta da un arciprete, che le case del paese e la chiesa non ebbero molti danni dal terremoto. La chiesa aveva ben dodici camere sotterranee, tra cui ricordiamo quella dei Carbone, che veniva indicata dalla seguente iscrizione: “Hoc opus faciendum curavit Iacobus Carbonus 1607”. Gli ingressi alle cappelle sotterranee erano due: uno nella cappella per l’accesso all’organo posto sulla porta della chiesa, l’altro nella cappella del Carmine. Davanti all’altare maggiore c’era poi la botola grande per calarvi i morti. Nelle prime S. Visite il Vescovo celebrava “missam in caveam pro fidelibus defunctis”. Sotto la chiesa i morti furono sepolti fino al 1838, quando si cominciò a seppellire nel cimitero di via S. Nicola o via del Pianto. Il cimitero era nel sito del campo sportivo polivalente. Non era stato possibile costruire prima la struttura perché i fondi stanziati da Napoli venivano di continuo stornati per attività belliche. Nella S. Visita del 1726 il Vescovo trovò la chiesa quasi completa nella struttura. Ordinò di completarla a perfezione in tutto. Nella S. Visita del 3 giugno 1729, tra l’altro, ordinò di costruire un pulpito bellissimo amovibile e far scavare due croci negli stipiti della porta maggiore della chiesa, all’altezza che potessero baciarla quelli che entravano. Solo il 19 maggio 1730 la chiesa venne consacrata assieme all’altare maggiore dal vescovo Beccari in S. Visita, avendola l’arc. Rossi “pervigili cura extructam”. Per l’occasione il Vescovo ordinò che a perpetua memoria nella chiesa fosse posta una lapide scolpita e che il contenuto fosse prima a lui sottoposto. Nella visita del 4 maggio 1731, tra l’altro, ordinò che le cornici dei quadri di tutti gli altari fossero indorate. Ordinò ancora che fosse costruito “ab illis de Regimine Universitatis per totum proximum mensem septembris” un nuovo pulpito e tolto il vecchio indecente, pena l’interdizione della chiesa. Insistette perché si costruisse la lapide a ricordo della consacrazione. Affrontò per la prima volta il discorso sul campanile (De campanili). Ordinò infatti di costruirlo a spese dell’Università per tutto il mese di aprile dell’entrante anno, altrimenti nella prossima S. Visita avrebbe provveduto all’interdizione della chiesa. Esso andava costruito nell’angolo della chiesa dalla parte destra della porta maggiore, in modo che vi si potesse accedere dall’ultima cappella e non fosse necessario uscire dalla chiesa per suonare le campane. Nella S. Visita del 10 maggio 1732 il Vescovo insistette, sulla indoratura delle cornici dei quadri degli altari, sulla lapide, sul pulpito nuovo, sul campanile. Nella S. Visita del 15 maggio 1733 il Vescovo prese atto che era stata indorata la cornice del quadro dell’altare maggiore e che era stato fatto il pulpito. Prescrisse per uniformità di indorare le cornici di tutti gli altri altari e rinnovò l’invito a fare la lapide e a costruire il campanile. Nella S. Visita del 1 maggio 1736 il Vescovo ordinò di adattare il baldacchino degli infermi alla forma della chiesa beneventana, di indorare le cornici di tutti gli altari, come il maggiore e i due laterali. Ordinò poi di fare una nuova sepoltura per i sacerdoti nel presbiterio a spese naturalmente degli stessi presbiteri per tutto il mese di ottobre. Passato tale termine, in caso di morte, tutte le sepolture dovevano rimanere loro interdette. Insistette sulla lapide e sul nuovo organo che doveva accordarsi alla magnificenza e alla bellezza della chiesa. Rinnovò l’ordine di costruire il campanile, altrimenti le campane sarebbero rimaste interdette e conservate a parte. Nella S. Visita del 4 maggio 1741 il Vescovo interdisse l’altare di S. Rocco e altri quattro altari perché privi del necessario. Ordinò di costruire le sepolture dei preti. Rinnovò il decreto di costruire l’apparato per l’organo sulla porta della chiesa, essendo l’organo posto dietro l’altare maggiore. Ordinò ancora di innalzare la fabbrica del campanile e di finirlo alla totale perfezione per tutto il 1742. Nella S. Visita del 15 giugno 1742 lasciò l’interdetto agli altari minori, ordinò di sistemare l’organo sulla porta della chiesa, di costruire la sepoltura per i preti, di indorare le cornici degli altari del transetto, di perfezionare il campanile. Inoltre impose agli economi del Corpo di Cristo e del Rosario di provvedere la sagrestia di vino, ostie ed altro. Minacciò l’interdizione della chiesa. Nella S. Visita del 14 maggio 1744 rinnovò l’interdetto agli altari minori, ordinò sotto pena di interdizione di costruire il sepolcro ai preti, di sistemare l’organo sulla porta della chiesa, di finire e perfezionare il campanile. Nella S. Visita del 17 maggio 1745 prese atto che nulla era stato fatto e minacciò l’interdizione. Nella S. Visita del 1 giugno 1746 ordinò, tra l’altro, di perfezionare l’organo sulla porta della chiesa e il campanile sotto pena di interdizione delle campane.

Accanto al campanile, nel sito della sala parrocchiale c’era, un tempo, non l’abitazione dell’arciprete, ma un capannone. Nel Catasto Generale di Amorosi del 1750 si rinvengono notizie inerenti il mantenimento del pubblico orologio, sito sulla facciata della chiesa, già di patronato dell’Università, poi Comune, le spese del culto, i beni posseduti dalla Chiesa e Confraternite interne alla stessa chiesa, i beni delle cappelle esterne o meglio benefici semplici e così via. Sui lavori di restauro e sulle spese di culto si rinvengono ancora numerose delibere di Giunta e di Consiglio Comunale per i tempi successivi, a noi anche prossimi. Per il terremoto del 1802 la chiesa non riportò danni rilevanti. Lo scampato pericolo veniva ancora ricordato qualche anno fa con il suono delle campane la sera della festività di S. Anna.

Nel 1876 il campanile fu “leso e sfregiato dal fulmine”. Il Consigli Comunale, essendo la chiesa di patronato del Comune, deliberò, d’accordo con la Congrega di Carità di assicurarla assieme al campanile nell’anno successivo 1877.

Lavori rilevanti furono realizzati dal canonico arciprete Antonio Maria Rosaria Maturi tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900. In particolare ricordiamo: la sistemazione della facciata (1903), la cancellata (1905) all’ingresso della chiesa, il rifacimento dell’altare maggiore (1886), la sagrestia nuova. A lui pure è attribuito l’acquisto di statue, quadri ed altro, mentre don Eduardo De Cicco avrebbe fatto sistemare la cappella di S. Antonio. Per il terremoto del 23 luglio 1930, detto del Vulture, la chiesa fu chiusa al culto, ma già in precedenza le condizioni erano disastrose. Furono fatti lavori per un importo complessivo di 66.747 lire. Tra l’altro furono meglio sistemati tutti i tetti, innalzandoli con diversi metri di muratura. Il riscontro è possibile anche oggi, non essendo intonacati i muri esterni ed essendo stati fatti interventi anche sulla sagrestia nuova. La chiesa riportò danni irrilevanti nel terremoto del 1962. Il parroco don E. De Cicco destinò all’Azione Cattolica la sala tra il campanile e la sagrestia vecchia. Notevoli lavori di restauro, la pavimentazione in marmo, gli altari laterali della navata centrale in marmo, la balaustra all’altare maggiore in sostituzione di quella in ghisa, affreschi nella cappella di S. Rocco, affreschi sotto la mancata cupola a firma di A. Caso, che richiamano il quadro della cappella del Cortile del Salvatore nell’Università di Napoli, l’elettrificazione delle campane ed altri lavori sono stati realizzati al tempo dell’arc. Graziano Vincenzo Tebano con il contributo del popolo amorosino, anche emigrato.

Danni notevolissimi il sacro edificio subì a causa del sisma del 23/11/1980. Dichiarato inagibile, le funzioni vennero continuate nella palestra comunale, sita alle spalle della Scuola Elementare in via Roma. Il parroco, don Lazzaro Marino Labagnara, fu affiancato da un comitato cittadino. Si cercò di ottenere, al più presto, gli stanziamenti necessari per la ricostruzione. Dal 1980 al 1987 vi sono stati fatti rilevanti lavori di consolidamento e di restauro (aggancio della facciata alla volta, rafforzamento della volta, siringhe di cemento nei muri, pitturazione dell’intero edificio, impianti di luce, vetrate istoriate, rimozione della balaustra all’altare maggiore). Il 4/10/1987, presenti S. E. Felice Leonardo e molte autorità civili e militari, con grande solennità, la Chiesa fu aperta al culto.

Grande fu la gioia della cittadinanza, commossa la partecipazione alla sacra cerimonia della comunità cattolica praticante. Successivamente sono pure state restaurate le pitture, comprese la Via Crucis.

Nel 1996, intanto, un incendio mandò in fiamme la sagrestia nuova. Andarono distrutti, arredi sacri e alcuni quadri (di certo un S. Nicola). Ultimamente non sono mancati dissapori tra il parroco e il sindaco pro tempore per l’esproprio del giardino della canonica e successiva costruzione della sala comunale delle conferenze.

Nel 2000 infine si è proceduto, da parte dell’Amministrazione Comunale, alla illuminazione del campanile, mentre la facciata della chiesa è stata illuminata la prima volta nel Natale 2001. Come la Piazza Comunale è pur sempre luogo di raccolta e di incontro degli Amorosini, così la chiesa di S. Michele Arcangelo è luogo caro agli Amorosini cattolici del paese e “del mondo”, che vi esplicano la loro devozione e vi indirizzano i segni della loro pietà.

 

 

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