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   Il premio letterario

 

 

 

Premio letterario 2007

 

 Premiazione: 5 aprile 2008

 

Premio letterario 2010

 

Il premio letterario.

Il Consiglio Direttivo l’ha istituito il 6 Dicembre 1982, e ne ha discusso e approvato il regolamento in 18 articoli. Le sezioni sono due, poesia e prosa. L’argomento è libero, ma deve avere un riferimento al Medio Volturno.

 

Il 26 Settembre 1982 è stato conferito il primo premio letterario del Medio Volturno.

 

Hanno contribuito l’Associazione Storica e gli Enti Provinciali per il Turismo di Benevento e di Caserta.

 

Poesie e novelle premiate sono state incluse nella seconda antologia: Flora De Biase, primo premio per il Canto funebre di una mamma del Matese, e al secondo premio ex equo ad Adriano Bucci per Epitaffio per il Sannio, a Marcellino Bottone per Il campanile di monte Muto, a Domenico Longo per ‘A Madonna du Rusitu, e a Benedetto Pistocco per La diga.

 

Menzione onorevole per tutti gli altri.

 

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       Si riportano i testi delle poesie premiate.

 

Canto funebre di una mamma del Matese

 

Io non ti conoscevo ma tu sei figlio

E sapevo di te da madre a madre.

Il tuo nome:

sul volto di tua madre e in fondo agli occhi

la gioia la speranza

l’ansia la paura

la volontà il coraggio

di dare spazio alla tua giovinezza.

 

Mezzanotte.

Ti libri in un battito d’ali

il temporale d’estate

abbatte il tuo ultimo volo.

 

Mezzogiorno.

Ha inizio il tuo lungo viaggio.

 

Struggenti parole d’addio

i colorati petali nell’aria

come farfalle impaurite.

Rugiada le lacrime

sui fiori cosparsi

ad attutire i passi pesanti

di dolore e di rabbia.

 

Ora cammini

Verso astrali spazi siderei silenzi

Dolce quiete ti attende al di là del Lete

senz’ombra di rimpianto

dei giorni felici dei sogni fugaci

in una primavera senza tempo.

 

Figlio

giunge fin lì a lambirti le mani

il fiume di lacrime

che sgorga dagli occhi fatti sorgente

a tua madre?

 

Figlio

daranno fiori per tutte le stagioni

irrorati dal pianto

illuminati dai ricordi

iridescenti cristalli:

la tua voce il tuo passo il tuo sorriso

che abitano le lunghe notti insonni

consolano la solitudine

nutrono i pensieri d’amore

di tua madre

brandelli d’anima

restati attaccati al tuo sguardo.

 

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Epitaffio per il Sannio

 

Ahi, terra dal cuore profondo,

terra di gente altera e taciturna,

dove vivere è camminare senza meta,

dove morire

è deporre il fardello e chinarsi ad aspettare,

senza lamento,

senza rimpianto.

Chi mai ti canterà?

 

Verrà il crepuscolo

greve fra gli ulivi,

avranno guizzi d’argento

le foglie

e ombre fluttueranno

tra i sepolcri,

per chiamare a raccolta

i sedicimila dagli scudi d’oro:

bagliori d’armi

accendono

gli occhi insonni delle scelte.

La Lupa ritorna alla pianura!

«Spalancate gli alti padiglioni del vento,

disserrate le cateratte del cielo!

Coorti di Boviano e di Esernia,

di Telesia e di Allife,

all’olocausto!»

 

Come lontana l’epopea di Caudio!

Ormai,

nei meandri di tenebre,

l’ombra sdegnosa di Brudulo[1]

senza fine riposa.

Ormai,

antiche radici di quercia

avvinghiano i polsi di Egnazio[2]

e centurioni di rame si avventano sulle rovine.

 

Ahi, Mutilo,

grave d’armi e di sventura![3]

Apri diritta una via

al tuo sangue

ché tracci arabeschi vermigli

alla tua porta e arda,

fuoco perenne,

sulla soglia!

Il Sannio è morto!

Ditelo al vento, che accorra

e si porti lontano

quest’urlo immenso d’agonia,

lo porti a frantumare il sipario

dei monti di cristallo,

a straripare

oltre le frontiere grigie del tempo

perché verranno tristi piogge

a brucare le impronte dei calzari,

berranno cavalli d’aria

a un Volturno scarlatto

e monterà la marea nera

a spegnere

i bagliori e il sangue

delle ferite.

Terra mia dimenticata,

serrata nel silenzio e nel dolore,

terra di uomini

dal volto senza tempo

che incedono dritti nel sole

e dicono parole scarne

come sentenze,

chi mai ti canterà?

È la mia voce

Palpito d’ala nel silenzio.

Il mio lamento

È vento che geme basso

nell’uliveto.

 

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Il campanile di monte Muto

 

Pesaggi a tratti acrilico

nei verdi pennellati delle gole,

la plastica panoramica dello sfondo

che frastaglia l’orizzonte

e si incunea nell’humus

dei lontani focolari.

E nel piatto

di  grano e di mediche

l’indelebile impronta di menti,

di falangi e bicipiti rurali

che sezionano e risezionano

un noto composto di terra.

Dentro la foto normale

solo, a margine, un vezzo silente,

un’unica forma assoluta:

quel campanile di pietra

Sacerdote dell’ultimo saluto.

 

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A Madonna du Rusito

 

‘Sta muntagna ‘a penso sempe,

puro quanno stu luntano

e m’arricordo tale e quale

come si mo ‘a stess’a guardà.

 

‘Uard ‘e cime, ‘uard ‘e valli

e dint’e nuotti scure e fredde,

‘uard’a luce d’u cummento.

 

Cum’a n’uocchio d a’ Madonna

‘sta lucella m’accumpagna,

e si girasse tutt’u munno

ma purtasse semp’appriesso.

 

Certe bote m’addimanno

Si ce credo a ‘sta Signora:

nun a pigliati pe’ mattia,

ce credo cum’a mamma mia.

 

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La diga

Li ho visti!

Sono gli stessi

che hanno rubato

la sorgente al Torano

e la fertile terra gallese.

Gli uomini d’oggi

sforacchiano montagne,

rubano l’acqua alle sorgenti,

disperdono le popolazioni.

I contadini gallesi

non erano elettrotecnici

per la centrale a perdere

Capriati-Lete-Sava.

Muoiono gli ultimi vecchi

Tra le case di pietra

di Gallo Matese

e i bambini oggi nascono

a Toronto e New Yord.

Sotto il lago

per sempre riposa

la fertile terra di Alzek[4].

Dormite sonni tranquilli

libertà parola,

pace parola,

lavoro parola,

progresso parola.

Gli uomini d’oggi

Sforacchiano montagne,

rubano l’acqua alle sorgenti,

disperdono le popolazioni.

 

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[1] Brudulo è il console sannita fautore della guerra, che si suicidò quando il partito pacifista chiese che si consegnasse ai Romani.

[2] Egnazio è Gellio Egnazio, caduto nella difesa del campo alla battaglia di Sentino quando la defezione degli Etruschi, e la sconfitta dell’ala destra dello schieramento ove combattevano i Galli, costrinsero i Sanniti alla ritirata.

[3] Rutilo è l’ultimo console sannita che, fuggendo da Nola alla fine della guerra sociale, sotto l’incalzare di Silla, cercò travestito, rifugio presso la propria casa a Teano ma respinto dalla moglie, si suicidò sulla soglia.

[4] Il capo che condusse la tribù di Bulgari sul Matese.