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    Vescovi alifani dal XVII al XX secolo

 

45. DOMENICO CARACCIOLO. – Nacque a Gaeta da famiglia patrizia, e divenne dottore in diritto canonico e civile. Il 31 Marzo 1664 fu nominato vescovo di Alife. Suo atto pastorale positivo è la celebrazione del sinodo, il 9 Aprile 1663.

Si era intromesso con ostinazione e corrivo nel campanilismo intestino di Piedimonte. S. Maria Maggiore si appoggiava all’università e alla casa Gaetani d’Aragona dalla quale tanti lasciti, relique e appoggi riceveva. Egli appoggiò l’Annunziata che resisteva all’altra, e gli girava intorno. Sarebbe niente, ma elemento indecoroso per un vescovo, si mise a scherzare coi santi (l’esaltazione dei quali significava esaltazione degli avversari), cominciò a disquisire sulla bolla di patronato di s. Marcellino: ci sta scritto patronus Pedemontanorum? Ebbene è patrono solo del quartiere di Piedimonte. Ricorso del comune e di S. Maria Maggiore, e sconfitta inevitabile: è patrono di Piedimonte e sobborghi! Nel giorno in cui celebra il sinodo, mette da parte s. Marcellino e, dimenticando la bolla di Papa Urbano VIII, dichiara s. Sisto patrono anche di Piedimonte in quanto lo è della diocesi, per cui solo quella festa è di precetto. Secondo ricorso del comune e del clero di Piedimonte, e risposta della congr. dei Riti, il 28 Gennaio 1668: clero e popolo di Piedimonte non sono tenuti a osservare di precetto la festa di s. Sisto, nonostante il decreto sinodale del vescovo. Preti e abitanti di Vallata e Castello dovevano render pubblica la festa del 2 Giugno.

Vescovo e preti di Vallata e Castello a non curarsi di niente. Mancando la forza coercitiva, gli ordini, come le «gride» contro i bravii, restavano inefficaci. Terzo ricorso del comune, e terzo ordine, il 26 Settembre 1669. La congr. dei Riti decretò: Universitas Terrae Pedemontis Aliphanae dioecesis, adversus habitatore vicorum Vallate et Castelli dictae Terrae, super pubblicatione festi de praecepto sancti Marcellini Martyris, unici et principalis Patroni dicti loci, legitime elelcti, et approbati a S. Congregatione, quae omnino mandat iuxta posita et petita omnibus Parochis et Clericis dictorum vicorum Vallatae et Castelli ut in posterum se conforment cum tota Universitate.

Indispettito dalle risposte delle congregazioni romane e dalla nunziatura a Napoli, ad evitare che a Piedimonte gli ridessero in faccia, si trasferì a Sant’Angelo. Vi rimase cinque anni.

La notte del 14/15 Ottobre 1673, un certo numero di uomini in strada chiede di esser ricevuto. Egli sa di essere ritenuto denaroso. Proibisce che si apra. Ma dovette affacciarsi, e una fucilata lo colpì, lo ferì gravemente, e gli tolse la vita. Si fece seppellire all’Annunziata.

Chi erano gli assalitori? «Una schiera di fuorusciti» dice Niccolò Giorgio, e non si è potuto sapere altro. Il prete di Vallata suo confidente e istigatore, tornato a Piedimonte, muore «disperatamente sommergendosi nel fiume Torano»[1].Da altra fonte appare che cadde nel Torano perché inseguito.

Bibliografia: Eubel IV 78 (AC 21 f. 5, data errata della morte: 1676); DHGE e Iacobelli portano la nomina al 1664; Cappelletti, XIX 111, porta il 1665, e pare abbia voglia di scherzare: «ottimo ed amoroso pastore»; Giorgio N. 173, e Iacobelli 72, parlano della morte.

 

46. GIUSEPPE DE LAZZARA. – Nacque nel 1626 a Roma (secondo Eubel, Ughelli e altri) o a Padova (stando a Iacobelli e al manoscritto di S. Maria Maggiore). A parte quest’incertezza sulla nascita, dai documenti è provato che entrò fra i Chierici regolari minori, e dall’Ottobre 1669 all’Agosto 1674 fu superiore della casa alla acque Salvie presso Roma, e nel Marzo ’74 fu parroco dei ss. Vincenzo e Anastasio.

Il 29 Febbraio ’76 fu dispensato dal quarto voto de non acceptanda dignitate, e il 23 Marzo successivo fu nominato vescovo di Alife.

I ventisei anni del suo episcopato testimoniano una notevole attività. Pensò a una seconda reliquia di s. Marcellino, e l’ebbe il 5 Maggio ’76; l’11 Ottobre pubblicò alcune costituzioni disciplinari; pure in quel tempo riununziò al legato Cittadino e pensò di trasferire il seminario a Piedimonte; il 18 Settembre ’77, in S. Maria Maggiore ordinò sacerdote s. Giovan Giuseppe; il 2 Agosto ’78 consacrò S. Maria degli Angeli, la Solitudine sul monte Muto; e il 12 Ottobre ’79 celebrò il sinodo in Cattedrale.

Negli anni che seguirono vide la Cattedrale abbattuta dal terremoto del 1688, e stabilì l’ufficiatura del Capitolo a S. Maria al Nova in Alife, poi all’Annunziata in Piedimonte; sollecitò, ed ebbe nel Dicembre 1691, la seconda bolla sul patronato di s. Marcellino, che pubblicò il 4 Gennaio ’92; il 15 Maggio ’94 consacrò S. Croce a Castello, il 23 Marzo ’97 consacrò S. Marcello a Sepicciano, destinandola a parrocchiale di quel casale. Si adoperò per l’apertura di una casa di Chierici regolari in Piedimonte. Morì il 2 Marzo 1702, e fu sepolto in S. Domenico.

Bibliografia: Eubel: V 79: AC 22 f. 199 (No. 3…); P. Dat. 1676 f. 29 sgg.; e P. Dat. 1703 f. 32; S. Br. 1571 f. 220; manoscritto di S. Maria Maggiore 593 spiega il cognome come derivato da un fiume, Lazzàra; Ughelli VIII 212.

 

47. ANGELO MARIA PORFIRI (Porfirius). – Di famiglia patrizia, nacque a Camerino nel 1648. Si laureò a Bologna in utroque il 19 Settembre 1671. Visse nello studio e nelle pratiche canoniche, e sostenne il delicato incarico di Uditore del Vicelegato pontificio di Bologna. Entrò tardi negli ordini sacri: il 19 Marzo 1700 ricevé il diaconato, e due giorni dopo il presbiteriato, cinquantaduenne.

Il 15 Marzo 1703 fu nominato vescovo di Alife. Caritatevole e fattivo, ricominciò a costruire nel seminario, alla cui amministrazione annesse molti benefici. Donde ricavasse tanto denaro è sorprendente. In Cattedrale edificò la cappella del Sacramento, di fronte a quella di s. Sisto. Nel campo dello spirito il suo nome resta legato a due sinodi, nel 1704 e nel 1728 e al ritrovamento delle reliquie di s. Sisto nel soccorpo della Cattedrale, nel 1716. Promosse il raddoppiamento dei canonici dell’Annunziata nel 1719, e nel ’25 benedisse la prima pietra della rinnovata S. Maria Maggiore. Non mancarono inesattezze giuridiche e conseguenti resistenze, come nel 1708 quando S. Maria Maggiore ricorse contro di lui.

Morì il 23 Luglio 1730, e fu sepolto all’Annunziata. La lapide dice:

ANGELUS MARIA PORFIRIUS / PATRITIUS CAMERINENSIS / EPISCOPUS ALLYPHANUS / SEPULCHRUM HOC / SIBI VIVENS PARAVIT / ANNO DOMINI 1716 MENSE FEBRUARII / OBIIT DIE 23 JULII AN. 1730.

Bibliografia: Eubel IV 78 (AC f. 86; P. Dat. 1730 f. 129; Ritzler R.-Sefrin P.: Hyerarchia catholica medii et recentioris aevi (Patavii MCMLII) V 79: nomina vescovile al 5 Marzo.

 

48. GAETANO IOVONE. – Vide la luce a Felitto (Salerno) il 15 Ottobre 1669, e fu ordinato prete il 18 Aprile 1699 a Capaccio. Poi lo troviamo parroco a Roma, a S. Lucia de Tinta. Esaminatore sinodale e Promotore fiscale della Congr. della visita apostolica. Il 23 Luglio 1693 s’era laureato in utroque. L’11 Dicembre 1730 fu nominato vescovo di Alife, e il 21 consacrato dal Card. Zondadari.

Fu amante delle persone colte e dabbene. Avrebbe voluto per vicario generale il giurista Pietro Marcellino de Lucia, ma non riuscì a staccarlo da Roma.

La sua permanenza in diocesi fu breve. Tornando da un viaggio al suo paese natale, morì a Castel San Lorenzo (Salerno) il 31 Ottobre 1733.

Bibliografia: Eubel VI 77: AC 30 f. 49; P. Dat. 129 f. 34 sgg.; Arch. Caer. F. 110; data della morte in P. Dat. 110 f. 184; manoscritto di S. Maria Maggiore data errata: 1 Gennaio 1730.

 

49. PIETRO ABBONDIO BATTILORO (Petrus Abundus episcopus). – Nacque ad Arpino nel 1677 da famiglia oriunda da Piedimonte. Divenne letterato e giurista, e il 12 Giugno 1724 fu nominato vescovo di Guardialfiera (Campobasso). Il 18 Dicembre 1733 fu trasferito ad Alife. Al concilio regionale di Benevento intervenne con una dotta e ammirata relazione.

L’ipocondria lo rendeva collerico. Dopo meno di due anni morì, cinquantottenne, il 17 Ottobre 1735, e fu sepolto all’Annunziata. I suoi nipoti, don Giuseppe e don Tommaso vescovo di San Severo, dettarono per lui questo cenotaffio:

MEMORIAE SEMPITERNAE / PETRI ABUNDII BATTILORII ARPINATIS / VIRI JURIS PRUDENTIAE SACRAE DOCTRINA LITTERISQUE POLITIORIBUS / ORNATISSIMI / QUI GUARDIAE ALFERIAE PRIMUM A BENEDICTO XIII / CUI ADSTITIT IN CONCILIO BENEVENTANO / ELEGANTI HABITA ORATIONE / DEINDE ALIPHANAE ECCLESIAE A CLEMENTE XII EPISCOPUS DATUS / EGREGIUM UTRIQUE ECCLESIAE ET S. PRIMAE SEDI / NOVAVIT OPERAM / RELIGIONE CARITATE JUSTITIAE PASTORALIUM OFFICIORUM / SE DEDIT EXEMPLAR / PENE SE SEXAGENARIUS / OBIIT XVI KAL. NOV. MDCCXXXV / INGENTUM LUCTUM SUIQUE DESIDERIUM / RELINQUENS / HUIC / U.J.D. CAN.CUS JOSEPHUS BATTILORIUS ET THOMAS EPISCOPUS SANCTI SEVERI DOMESTICUS CLEMENTIS XIII PRAELATUS / ET SUPPRESSI TRIBUNALIS MIXIT CONSILIARIUS / E BARONIBUS ROCCHETTAE NEPOTES / MONUMENTUM P.P. ANNO 1767.

Bibliografia: Gams: Series 847 nomina a Guardalfiera 12 giugno 1725; Eubel: Hyer. VI 77 nomina a Guardialfiera 1724, AC 30 f. 311; P. Dat. 112 f. 186.

 

50. EGIDIO ANTONIO ISABELLI. – Il successore di Battiloro, erudito e generoso, era nato a Potenza, e vi era stato battezzato il 28 Gennaio 1686. A Roma l’11 Dicembre 1713 era divenuto Protonotario Apostolico, il 21 Novembre 1722 s’era laureato in utroque alla Sapienza, e l’8 Luglio 1725 aveva ricevuto il presbiterato. Fu vicario generale di Avellino e Frigento, e il 2 Dicembre 1735 divenne vescovo di Alife.

Il 15 Maggio ’38 annesse vari benefici al seminario; riparò l’episcopio, in Alife edificò un fabbricato con cappella, detto «Fabbrica»; il 26 Luglio ’46 ottenne che in Piedimonte si recitassero le lezioni proprie dell’ufficio di s. Marcellino; ed ebbe il momento saliente il 13 Giugno ’46, quando su invito di Papa Benedetto XIV, intervenne in Roma al quarto concistoro semipubblico per la canonizzazione dei beati Giuseppe da Leonessa, Fedele da Sigmaringen, Pietro Regalati, Camillo de Lellis e Caterina de Ricci. Sette giorni dopo fu fatto Assistente al Soglio. Poi la fine, il 3 Gennaio ’52.

Una lapide ricorda la consacrazione della chiesa e degli altari di S. Maria della Valle a Sant’Angelo.

ECCLESIAM HANC / EIUSQUE ALTARIA / AD MAJOREM EIUSDEM DEI GLORIAM / AC / GLORIOSAE VIRGINIS MARIAE / MEMORIAM ET HONOREM / SOLEMNI RITU DEDICANS SACRAVIT / DIE / X SEPTEMBRIS MDCCXLVII / AEGIDIUS ANTONIUS ISABELLI / EPISCOPUS ALLIPHANUS / QUI / IPSA DEDICATIONIS DIE 7 EANDEM ECCLESIAM DEVOTE VISITANTIBUS / UNUM ANNUM / ET / DIE ANNIVERSARIO QUADRAGINTA DIES / DE VERA INDULGENTIA IN FORMA ECCLESIAE / CONSUETA CONCESSIT.

Bibliografia: Eubel AC 31 f. 68; Bulla provisioni S 1 f. 207 sgg.; P. Dat. 112 f. 165 sgg.; Iacobelli 52 porta nomina a 8 Dicembre; Cappelletti XIX, 111; nomina di Assistente al Soglio, SB 3126 f. 356.

 

CARLO ROSATI. – A Troia in Puglia, da nobile famiglia nacque il 23 Agosto 1706. Il patrizio troiano fu ordinato prete il 24 Settembre 1729; si laureò in Teologia; divenne Preposito della Collegiata di Canosa nullius dioceseosi con giurisdizione quasi vescovile; fu canonico e provicario generale della sua diocesi. Il 20 Marzo 1752 ebbe la nomina a vescovo di Alife, e fu consacrato a Roma dal Cardinale Spinelli il 29. Il 23 Aprile ’52 divenne Assistente al Soglio. Ma dopo pochi mesi, il 17 Febbraio ’53, veniva meno alla vita, a quarantasette anni! Fu sepolto in S. Domenico, nella cappella Gaetani d’Aragona.

Fuori di questa, a sinistra sta il cenotaffio:

D.O.M. / CAROLO ROSATI / PATRICIO TROIANO / PRAEPOSITO OLIM CANUSINO / ECCLESIAE ALIPHANAE EPISCOPO / CUIUS / INGENII VIS AC MORUM PROBITAS / VEL LICET BREVISSIMO REGIMINIS SPATIO / AB VIII ID. MAJ. MDCCLII / AD XI KAL. MAR. MDCCLIII / DOCTRINA PIETATE LABORIUS / OMNIUM ANIMOS / TENUIT AC DEVINXIT İ SIC AETATIS ANNORUM XLVII / BREVITATEM / ASSIDUIS DEFATICATIONIBUS / MORTIS ACERBITATEM POPULORUM DESIDERIO / VELUTI ELUDENS / VERE PLENUS DIERUM / INGENTI DIOECESIS LUCTU ET GEMITIBUS / SACRAE MISSIONIS INTER MINISTERIA / DEO PLACENS IN IPSO AETATIS FLORE EREPTUS EST. / VINCENTIUS FOSQY ABUNCULUS / ET IGNATIUS ROSATI GERMANUS FRATER / A.P. / P.P.

Bibliografia: AC 34 f. 185; P. Dat. 129 f. 123 seq.; Eubel VI 77; S. Br. 3263 f. 242; D. Caer.: consacrazione 23 Apr. ’52.

 

52. INNOCENZO SANSEVERINO. – Nacque a Nocera dei Pagani, da nobile famiglia.

È l’ecclesiastico di carriera, mai fermo in un vescovato, com’era stato Pighino.

Divenne vescovo di Montemarano; il 12 Marzo ’53 passava ad Alife. Vi rinunziava il 29 Dicembre ’56, e si contentava, il 3 Gennaio ’57, del solo titolo di arcivescovo di Filadelfia in partibus, che però gli consentiva di risiedere a Napoli. Lì divenne consigliere del Tribunale misto e vicario generale del Card. Sersale.

A Napoli morì il 10 Luglio ’62, e fu sepolto nel duomo.

In diocesi aveva curato lavori nelle navate della Cattedrale, e con decreti di s. visita aveva annesso vari benefici al seminario.

Bibliografia: Eubel VI 77: AC 34 f. 126; dimissioni da Alife in P. Dat. 134 f. 1 sgg.; la lapide nel duomo di Napoli fu dettata dal fratello Filippo.

 

53. FILIPPO SANSEVERINO. – Fratello del precedente, nacque anch’egli a Nocera dei Pagani. Vi fu battezzato l’11 Maggio 1711, fu ordinato prete il 4 Giugno ’35, e il 14 Agosto ’45 si laureò in utroque all’università di Napoli. Prima canonico della cattedrale di Nocera, acquistò pratica di curia facendo il vicario generale a Montemarano, a Capaccio, e infine a Piedimonte, col fratello vescovo.

In seguito alla rinunzia di questo, fu nominato suo successore, il 3 Gennaio ’57, e consacrato in Roma dal Cardinale Doria, il 6.

Una volta vescovo, promosse e finanziò lavori in Cattedrale: l’uno e l’altro coro, pavimento, porte, battistero e altari. Il 24 Febbraio 1760 concesse gli ebdomadari a S. Maria Maggiore. Ottenne pure l’esenzione dal coro per i maestri del seminario; dette procure per i diritti parrocchiali contrastati.

Seguì l’esempio del fratello. Il 27 Gennaio ’62 rinunziò alla diocesi. Il 29 Gennaio veniva promosso arcivescovo di Nicea in partibus, e nel ’62 diveniva vicario generale dell’arcidiocesi di Napoli.

Nel Febbraio ’69 ricevette il delicatissimo incarico di confessore del Re. Da poco uscito dal consiglio di reggenza, Re Ferdinando IV aveva 17 anni e, sebbene ancora adolescente, si preparava al matrimonio con Maria Carolina d’Austria. La designazione di Sanseverino venne dal primo ministro Tanucci, ma fu necessaria l’autorizzazione del genitore, Re Carlo III (VII a Napoli), dal ’59 passato sul trono di Spagna.

Bibliografia: AC 35 f. 50 n. 7; P. Dat. 134 f. 7 sgg.; D. Caer. 6162 f. 18 sgg.; per la rinunzia ad Alife: P. Dat. 147 f. 1 sgg.; Manoscritto di S. Maria Maggiore 603.

 

54. FRANCESCO FERDINANDO SANSEVERINO. – Nipote dei due precedenti, nacque a Maratea in Basilicata, diocesi di Cassano, il 25 Febbraio 1723; il 18 Marzo ’47 fu ordinato sacerdote.

Era stato alunno della congr. dei Pii Operai a Napoli; raggiunse il lettorato in Teologia negli studi.

Stabilitosi a Roma dal 1750, divenne consultore della congr. dei Riti. Il 29 Gennaio ’70 fu nominato vescovo di Alife. In diocesi si disse che il Papa aveva chiesto se a Napoli vi erano altri Sanseverino per farli vescovi di Alife. Fu consacrato a Roma il 4 Febbraio ’70 dal Cardinale Stuart duca di York.

Durante i sei anni di episcopato l’avvenimento più importante fu l’apertura al culto in Piedimonte, il 7 Agosto 1773, della nuova S. Maria Maggiore. Amico del grande economista Genovesi, essendo versato negli studi letterari, l’arciprete di San Salvatore, Pacelli gli dedicò la sua Dissertazione critico-storica di Telese (Napoli 1775).

Nel Marzo ’74 Sanseverino sparisce dalla diocesi per un anno e mezzo. Sta a Roma, in missione segreta presso Papa Clemente XIV. Vi è stato inviato dal 1° ministro Tanucci, e deve ottenere la soppressione dell’arcidiocesi di Monreale in Sicilia, le cui forti rendite serviranno all’armamento della flotta per la difesa delle coste del reame e dello stato pontificio.

Assolse così segretamente la sua missione, che nessuno ha saputo mai niente. Solo ultimamente è apparsa sulla stampa. Il 21 Marzo Sanseverino sta a Roma, e il 28 ha udienza da Clemente XIV, ma, a causa di anonimi deve aspettare per mesi. Il 22 Settembre Clemente XIV muore, e il conclave si prolunga fino al 15 Marzo ’75, quando viene eletto Pio VI.

Il 12 Luglio gli è consegnata la bolla; il 15 sta a Napoli. Ma non è una vittoria: Monreale non è stata soppressa, da incamerarne i beni, ma solo unita a Palermo. A noi qui interessa notare che dal carteggio segreto appare un Sanseverino quale non appariva certo nel piccolo ambiente diocesano. È anticurialista e antigesuitico, e piuttosto febroniano. È per un papato, il cui rappresentante non sia il monarca assoluto della Chiesa, ma che assolva «…un’ispezione… una cura e vigilanza». Le espressioni e i giudizi sui cardinali spesso sono forti, anzi dure, specialmente per il partito dei «zelanti»: «stranezze del partito fanatico, che poi sono li Gesuiti». Le sue preferenze vanno a quelli delle «corone», vale a dire amici dei governi, e favorevoli alle riforme. Si rivela pure lettore di gran respiro, ed elegante scrittore latino.

Per come pensava ed agiva, Sanseverino a Piedimonte era sciupato. Era morto Serafino Filangeri arcivescovo di Palermo, e su designazione della Corona, il 15 Aprile 1775, fu premiato con la promozione proprio a Palermo-Monreale, ove morì il 31 Marzo 1793.

Bibliografia: Eubel VI 77: AC 37 f. 49; P. Dat. 147 f. 3 sgg.; D. Caer. 626, p. 13; Manoscritto di S. Maria Maggiore 604; Rivista di Letteratura e Storia Ecclesiastica (Napoli 1970-71): A. Russo: Di un ignorata missione segreta di F. Sanseverino vescovo di Alife presso Clemente XIV, fasc. I-II-III; Id.: Il conclave del 1774-75 nelle relazioni di D. Orsini, G. Centofanti e J. Moñino a Tanucci, fac. I-II-III-IVM; il carteggio originale sta all’Archivio di Stato di Napoli: Esteri, Roma 1137.

 

55. EMILIO GENTILE. – Tra i vescovi diocesani ha avuto l’episcopato più a lungo.

Nacque a Biccari (Foggia) in diocesi di Troia, il 12 Marzo 1733, e salì all’altare il 17 Aprile 1756. Era nipote di Filippo Gentile vescovo di Telese, e lo zil curò la sua educazione che si concluse il 16 Settembre ’56, quando si laureò in utroque all’Università di Napoli. Presso lo zio fu vicario generale della diocesi telesina, e poi di quella di Aversa. Il 15 Luglio ’76 fu nominato vescovo di Alife, e il 21 fu consacrato a Roma dal Cardinale Conti.

In Cattedrale fece costruire la nuova sacrestia, l’altare maggiore in marmo e il trono; nell’episcopio restaurò vari ambienti e, al primo piano fece dipingere gli stemmi dei vescovi diocesani; provvide il seminario di buoni professori, ed egli stesso vi insegnò, versatile com’era, Teologia e Diritto; in S. Maria Maggiore consacrò l’altare neoclassico del Sacramento. Nel 1775 ottenne da Papa Pio VI la proroga di sei mesi del Giubileo per la diocesi, e, pure in quegli anni il Papa lo autorizzò a benedire fino a 4.000 medaglie di S. Brigida. Fece togliere l’obbligo di assistenza festiva per i seminaristi nell’Annunziata, pagango a quella Collegiata quanto vantava sulle cessioni di fabbricati al seminario; e, dignitoso in tutto, restituì all’Università di Piedimonte la somma di 300 Ducati dati a suo tempo al vescovo Seta, e che vincolavano la libertà della sua residenza. La sua sorveglianza non era una direttiva dall’alto: nell’ispezione agiva personalmente, come quando, ora in una chiesa ora in un’altra, insegnava il catechismo.

Ebbe la sua ora critica nel Gennaio ’99, quando Piedimonte fu saccheggiata dai Francesi. Gentile, persuaso da un generale, si allontanò da Piedimonte, rifugiandosi a Napoli. L’episcopio fu saccheggiato, e sullo spoglio di tutto quanto possedeva, egli inviò una relazione a Roma, nella sua visita ad sacra limina. Passò la tormenta. Egli era legato all’antico regime, e palesemente, ma intanto dall’usurpatore Murat aveva accettato il cavalierato dell’Ordine delle Due Sicilie. Nel 1815 ritornò qual era, e nel ’20 soffrì noie durante la rivolta carbonara.

Le benemerenze maggiori sono due: la celebrazione di due sinodi e il ristabilimento della diocesi nel 1820. Anzitutto non si allontanò. In un anno e mezzo mosse tutte le autorità, promosse un referendum nei vari paesi, finché Papa Pio VII non ristabilì il vescovato alifano unito a Telese il 18 Dicembre 1820. È perciò il secondo fondatore del vescovato, dopo lo sconosciuto fondatore di quattordici secoli prima.

Morì il 24 Febbraio 1822, a ottentasette anni, di cui circa quarantasei di episcopato nella stessa sede. È sepolto all’Annunziata.

Pubblicazioni: Teorico pratica secondo l’ecclesiastica e civil polizia, aggiunti in fine i giudizi de’ divorzi nei matrimoni e di nullità nella professione religiosa (Napoli 1774); De beneficiis et jurepatronatu tractatus ad judiciorum praxim civilemque potitiam accomodatus (Neapoli 1796); Diritto civile ed ecclesiastico comparato e pratiche di esecuzione con la definizione del Giudice civile e religioso e delle parti altrui (Napoli); Trattato di Teologia, manoscritto presso l’Associazione storica di Piedimonte; Theologiae Dogmatica institutiones, forse del 1793; Istruzione pastorale per l’estensione del Giubileo del passato anno 1776 conceduta dal Sommo Pontefice alla diocesi di Alife (1777): tutti lavori pensati e preparati a Piedimonte.

Bibliografia: Gams 847; AC 38 f. 152: prom. c. ris. pens. fino a 400 ducati pro personis; manoscritto di S. Maria Maggiore 608; Marrocco D.: Il saccheggio di Piedimonte nel 1799 (Napoli 1965), 22.

 

56. RAFFAELE LONGOBARDI. – È il primo dei quattro vescovi di Alife-Telese.

Nacque a Napoli l’8 Febbraio 1755, e fu ordinato prete il 22 Giugno 1777. Si laureò in Teologia all’università napolitana. Entrato fra i Piii Operai, fu rettore e professore nella casa di s. Nicola a Toledo, e poi eletto preposito generale della sua congregazione. Dalla procura generalizia dei Pii Operai a Roma proviene questa notizia, ricavata dall’elenco dei superiori generali: «…per semplicità di costumi e bontà di vita, esemplare. Nella militare occupazione (il periodo degli usurpatori G. Buonaparte e G. Murat) esiliato ed imprigionato, tutto sostenne rassegnato».

Dopo diciott’anni di vacanza la diocesi telesina riaveva in lui il pastore. Il 7 Settembre 1818 venne nominato da Re Ferdinando I, e il 21 Dicembre fu confermato da Papa Pio VII. Il 1° Gennaio ’19 fu consacrato nel duomo di Napoli dal cardinale Luigi Ruggo, e il 23 Marzo fece il solenne ingresso a Cerreto.

Morto mons. Gentile, Longobardi, il 19 Aprile 1822 ricevé la nomina anche a vescovo di Alife. Arrivò da Napoli a Piedimonte il 15 Maggio, e fu ospitato a palazzo ducale. Il 20 prese possesso in cattedrale.

Cagionevole di salute, recatosi a Napoli per curarsi nell’Agosto ’23, vi morì il 23 Settembre. Era riuscito a visitare le due diocesi.

Pubblicazioni: Lettera pastorale, 20 Maggio 1822.

Bibliografia: manoscritto di S. Maria Maggiore: data della morte 27 Settembre; Rossi Giovanni: Catalogo de’ vescovi di Telese (Napoli 1827) 205; Iannacchino Angelo Michele: Storia di Thelesia (Benevento 1900) 289; Eubel VII 365 (AC 52 f. 190); Ritzler-Sefrin: Hyer. VII 68: data della morte 29 Settembre, anche secondo Gams, Suppl. II 9.

 

58. GIOVANNI BATTISTA DE MARTINO DI PIETRADORO. – Di famiglia aristocratica – dei duchi di Pietradoro – nacque a Napoli il 22 Aprile 1758. il 9 Giugno 1781 fu ordinato prete. Entrato sedicenne nella congregazione dei Pii Operai, ne percorse tutti i gradi fin quando ne divenne per cinque anni Preposito generale. L’8 Aprile 1824 si laureò in Teologia all’università di Napoli.

Era splendido nei modi, aveva voce sonora, nelle prediche era solenne, e s’ispirava a s. Alfonso. Era anche colto letterato.

Il 10 Marzo 1824, con real viglietto fu nominato vescovo di Telese e di Alife. Il 9 Maggio fu consacrato a Roma dal cardinale Falzacappa, e l’11 Giugno fece il solenne ingresso a Cerreto.

Ma morì il 1° Maggio ’26, a Napoli, e fu sepolto a S. Nicola alla carità accanto al suo predecessore. Pure nell’elenco dei superiori dei Pii Operai troviamo di lui questo giudizio: «Di maniere cortesi, e per operosità insigne, rispecchiò il Sales».

Pubblicazioni: Lettera pastorale (8 Maggio 1824).

Bibliografia: AC 54 f. 176; P. Dat. 188 f. 532; D. Caer. 1824 n. 39, p. 1, da cui Ritzler-Sefrin: Hyer. VII 68; Gams: Suppl. II 9 porta la nomina al 3 Maggio ’24; notizie in manoscritto di S. Maria Maggiore 613, 617; Rossi: Catalogo 208; Iannacchino: Thelesia 285.

 

58. CARLO PUOTI. – Nella nobile famiglia dei Poto (italianizzata in Puoti), signori di Castelpoto, nacque in Napoli il 12 Giugno 1763 dal marchese Gian Maria, giudice della Gran Corte della Vicaria, e da Anna de Masi patrizia leccese. La patriarcale famiglia era composta di nove fratelli e due sorelle, e dei primi, cinque si dettero a vita religiosa. Don Carlo era zio di Basilio, il famoso «purista» della lingua italiana, ed era nipote di Antonio arcivescovo di Amalfi, al quale lo affidarono i religiosi genitori affinché ne curasse la formazione. Ne venne il primo periodo di studi, e gli restò nell’anima un’impressione incancellabile: lo zio lo condusse ad Arienzo a baciare la mano a s. Alfonso. Questi gli pose le mani sul capo, e previde in lui il santo sacerdote e vescovo.

Entrò fra i Redentoristi. I Puoti ne erano benemeriti, in quanto un altro zio, mons. Giuseppe Puoti, ne aveva fatto approvare la regola. Vi completò gli studi. Fu ordinato prete, e si distinse subito in conferenze e missioni. Il 16 Marzo 1791 fu ricevuto nella compagnia di Bianchi della giustizia, e quando per i truci assassini ostinati nell’odio, c’era la pena di morte, i Redentoristi e i Bianchi dicevano: «Questo è boccone per don Carlo». Fu sempre fedele a Casa Borbone, nel cui assolutismo vedeva la fermezza paterna.

Nel 1818, con biglietto di Re Ferdinando I veniva nominato arcivescovo di Rossano in Calabria, e nel concistoro, Papa Pio VII convalidò la nomina. Per ragioni di salute chiese il trasferimento, e Re Francesco I, il 30 Maggio ’26 lo trasferì ad Alife-Telese. Nel concistoro del 15 Luglio, Papa Leone XII convalidò l’atto. Il 13 Agosto ’26 venne a Piedimonte, e prese possesso di Alife, ma ritardò il possesso a Cerreto al 22 Marzo ’27. Risiedé abitualmente a Piedimonte, capoluogo del distretto, e in ogni Pasqua si recava a Cerreto.

Affabile nei modi e di sentità umanità, dava udienza a chiunque in tutte le ore. La sua liberalità era tanta che sembrava prodigalità. Disse a un debitore che gli restituiva una somma: «Benedetto Dio che provvede a tempo. Domani non avea che dare ai poveri». E molto dette nell’alluvione del 1841. Schivo di ogni mostra, non permise si facesse il suo ritratto.

Contribuì signorilmente nel rifare il campanile della cattedrale di Cerreto, diroccato nel terremoto del 1805; contribuì al restauro delle vie che portano a Guardia Sanframondi, all’antica cattedrale di Telese, e per quella dietro il giardino dell’episcopio. Donò arredi alle due cattedrali, e per quella di Alife affrontò forti spese nei restauri. A Piedimonte, in S. Maria Maggiore ordinò il pavimento del presbitèrio (c’è lo stemma), e le due artistiche balaustre a intaglio presso gli altari del Sacramento e di s. Marcellino.

Vacato il beneficio di S. Caterina in Alife, lo divise (su proposta del Comune) in sei posti, e aggiunse i sei cappellani nominandi ai mansionari, e nel ’40 anche all’Annunziata; a incrementare la pietà in S. Maria fondò l’associazione del Cuore di Gesù, l’8 Dicembre 1836 istituì l’Opera della Propagazione della Fede, e il 14 Giugno ’40 benedisse il cimitero di Piedimonte. Nel ’33 riunì il clero di Sant’Angelo in recettizia, e concesse la mozzetta all’arciprete di San Gregorio.

Devoto e pio, osservò fino alla morte i digiuni quaresimali, e nel cholera morbus del 1837, il 26 Giugno, fece uscire le processioni di penitenza dei santi patroni di tutte le quarantatré parrocchie delle due diocesi. Egli, a Piedimonte, seguì s. Marcellino e s. Rocco a Porta Vallata e, di fronte all’apprensione del popolo, offrì a Dio la sua vita purché fosse scampato quello.

Assai stimato a Napoli dove aveva accesso alla reggia, e da dove venne due volte il Card. Ruffo a Piedimonte a visitarlo, lo fu anche a Roma. A Papa Gregorio XVI non sfuggì la santa vita di lui. Appena eletto, nella lettera del 16 Aprile 1831 si raccomandava alle sue preghiere: «…Fraternitati tuae, a cuius pietate fructum deprecationis uberem, et utilem a studio pastorali operam speramus». E lo stesso papa, nel Maggio ’39, in occasione della canonizzazione di s. Giovan Giuseppe della Croce, lo invitò alla cerimonia a Roma.

Morì di colpo apoplettico, la sera del 14 Marzo 1848.

Pubblicazioni: lettere pastorali in latino, fra cui: Ep. Past. ad archiepiscopalem ecclesiam rossanensem (Romae MDCCCXVIII), altra Epistola per l’ingresso nelle diocesi di Alife-Telese, orig. presso la raccolta del dottor R. Di Lello in Piedimonte.

Bibliografia: AC 54 f. 523; P. Dat. 189, 1826 f. 1-11, da cui Ritzler-Sefrin VII, 68, che porta il trasferimento ad Alife, al 3 Giugno; Gams: Suppl. II 9; manoscritto di S. Maria Maggiore 618; Rossi: Catalogo 211; Iannacchino: Thelesia 286; Vaiani G.: Elogio funebre di mons. Carlo Puoti nei suoi funerali, il 16 Marzo 1847 (Napoli).

 

59. GENNARO DI GIACOMO. – Vide la luce a Napoli il 17 Settembre 1796; nel 1820 fu ordinato prete. Frequentò il seminario normale di Napoli, nel quale vigeva una metodologia speciale di apprendimento: l’alunno non doveva ripetere, ma spiegarsi e spiegare. Laureato in Filosofia, insegnò Rettorica al seminario arcivescovile, e Geografia e Storia patria alla Nunziatella, e fu assistente di Diritto canonico all’università. Poi lascia l’insegnamento. Nel ’36 è parroco di S. Maria della Rotonda, nel ’44 è canonico e parroco del duomo. Nel ’37 aveva contratto il cholera morbus per assistere i contagiati. Il 7 Ottobre ’48, Re Ferdinando II gli manda il biglietto di nomina a vescovo di Alife, tramite il Presidente del Consiglio. La nomina è preconizzata da Pio IX il 22 Dicembre. Il 4 Marzo ’49 è consacrato a Napoli, e il 19 piglia possesso. Nel Settembre ’49 sta a Portici, presso Pio IX profugo, e in Novembre partecipa alla conferenza episcopale. Intelligente e colto, ma non fine, e troppo disinvolto, a volte ha torto in pratiche giuridiche, ma è ammirato nei metodi didattici al seminario. Nel Luglio ’52, quando le diocesi di Alife e Telese vengono separate, sceglie Alife, e resta a Piedimonte. Nel ’54 non partecipa alla proclamazione del dogma dell’Immacolata, ma l’anno dopo fa festeggiare l’avvenimento in diocesi. Istituisce le Quarantore in ogni chiesa; nel ’58 crea la cappella nel carcere, modifica il percorso delle processioni, e il 14 Maggio ’60 consacra S. Maria Maggiore.

1860: anno della rivoluzione. Di Giacomo a Giugno e a Settembre ondeggia politicamente secondo gli avvenimenti, ma sistema 320 feriti borbonici al seminario, e il 26 Settembre evita il saccheggio nelle case dei liberali che sono fuggiti, conducendo innanzi a S. Marcellino una plebe avida e violenta. Sono benemerenze che emozionano, e pongono lui al di sopra di ogni critica. Poi avvicina i Garibaldini e i generali sabaudi. Il 25 Giugno, primo fra i vescovi meridionali, è ricevuto dal Re Vittorio, poi, il 24 Maggio ’63 è nominato senatore del Regno. Destarono eco i due discorsi, quello del 7 Dicembre ’64 per Roma capitale, e quello del 18 Marzo ’65 sul matrimonio civile. Ne ebbe ammirazione da parte laica e liberale, risentimenti e opposizioni da parte cattolica. Non interviene al concilio Vaticano (presentò un certificato medico); col vicario generale Cornelio fa capire apertamente di essere contro il potere temporale del Papa, insomma, durante trent’anni mostra di appartenere a un Chiesa che doveva perdere i caratteri dell’autoritarismo, delle organizzazioni sovrapposte dal Medio Evo in poi, e che doveva venire incontro alle esigenze del mondo moderno. Fu indubbiamente un precursore. Nessun commento da parte nostra. La Questione romana e l’anticlericalismo dilagante in Italia, spinse la gerarchia su posizioni di difesa, anzitutto allontanando dal proprio seno chi, nel momento della lotta (che sembrava a volte persecuzione) si stringeva allo spogliatore. Per cui, mentre a Piedimonte avvenivano le prime violente agitazioni operaie per la chiusura del grande cotonificio Egg, il vecchio prelato era ricevuto, il 2 Agosto 1873 da Pio IX che lo invitava a rinuziare alla diocesi. Di Giacomo ritarda la risposta e la decisione e, il 27, la S. Sede gl’impone un Vicario generale cum omnimoda potestate, Luigi Barbato Pasca di Magliano. Il 13 Settembre ’74 il vicario diventa vescovo coadiutore con futura successione.

Poi gli arriva la proibizione di risiedere in diocesi, e il 31 Luglio ’75 parte per Napoli. Re Vittorio gli dà l’appartamento del cappellano maggiore nella reggia di Caserta, e lì passa i suoi ultimi anni, frequentando la Cattedrale. Nel Giugno’78 segue la processione del Corpus Domini, poi una polmonite lo porta alla tomba a 82 anni, il 1° Luglio.

Dal cimitero di Caserta, i suoi resti mortali, nel 1963 sono trasferiti a Piedimonte, in S. Maria Maggiore, e tumulati sotto questa iscrizione:

ASPICE, INSPICE, PRONSPICE (Parole di lui). HIC REQUIESCIT / + JANUARIUS DI GIACOMO EPISCOPUS ALLYPHANUS / SENATOR REGNI ITALICI / QUI BASILICAM HANC SACRAVIT / PR. ID. MAJ. MDCCCLX.

Pubblicazioni: Per i discorsi al Senato v.: Atti parlamentari: Senato del Regno VIII Legislatura; In occasione del solenne rendimento di grazie il dì 14 Dicembre 1856… (Napoli 1857); Per le claustrali Benedettine di Piedimonte… (Napoli 1861); Lettere pastorali; Lettera agli on. Senatori… per riferire sopra il 1° libro del codice civile (Torino 1864); appunti sulle Pandette (inediti).

Bibliografia: Cialente R.: Ritratto in profilo di mons. G. Di Giacomo; Iannacchino A. M.: Storia di Thelesia (Benevento 1900); Marrocco D.: Mons. Di Giacomo un vescovo nel Risorgimento (Piedimonte 1963); Petella G.: La legione del Matese (Città di Castello 1910); Sarti T.: Il Parlamento subalpino e nazionale. Profili e cenni biografici (Terni 1890); Tecchio B.: commemorazione al Senato, v. Atti parlamentari, Senato XIII legislatura, tornata del 13 Luglio 1878, p. 877.

 

60. LUIGI BARBATO PASCA DI MAGLIANO. – Nacque a Napoli da famiglia patrizia, baroni di Magliano, nel 1822; si laureò in Diritto e s’impiegò presso la Nunziatura apostolica a Napoli. Cogli avvenimenti del 1860 la nunziatura finì, e Barbato Pasca divenne dopo poco, vicario generale di mons. Acquaviva vescovo di Nusco. Da mons. Salzano fu proposto come vicario generale di Alife, il 6 Settembre 1873. L’anno seguente, il 27 Dicembre ’74 fu nominato vescovo di Sinopoli in partibus, e coadiutore con futura successione.

Appena nominato vescovo di Alife, nel 1875, pensò subito alla cattedrale, nella quale fece a sue spese il pavimento del coro e la balaustra.

Estinse alcuni debiti del seminario, lasciò un legato alle collegiate di Piedimonte, e un altro molto più consistente alla Congrega di carità: nel testamento del 7 Settembre 1879 lasciò all’ospedale titoli di rendita per L. 3.405 in rendita italiana e L. 500 in rendita turca, parecchi milioni di oggi. Fu caritatevole, colto e fine, come si addiceva alla sua nascita e alla sua preparazione.

La sua indubbia carità non prevalse sul formalismo giuridico quando volle ed ottenne dalle Congregazioni romane la scomunica per l’arcidiacono Luigi Cornelio, reo di inadempienze giuridiche, in effetti di ostentato cattolicesimo liberale.

L’arcidiacono morì secolarizzato. Barbato Pasca, dopo lunga malattia, l’8 Dicembre ’79, morì in seminario dove, essendo solo, aveva sempre dimorato, e fu sepolto al cimitero di Piedimonte. Quando il 31 Ottobre ’86 i suoi resti furono esumati, la Congrega di carità gli eresse una stele funeraria con questa lapide:

LUIGI BARBATO PASCA / VESCOVO DI ALIFE / DEL VANGELO I PRECETTI ATTUANDO / I POVERI / CON SOLLECITUDINE FRATERNA / VIVENTE SOCCORREVA / LARGA PARTE DEL SUO PATRIMONIO / A QUESTO CIVICO OSPEDALE / MORENTE DONAVA. / A RICORDO DI GRATITUDINE / ED ESEMPIO DEI POSTERI. / LA CONGREGAZIONE DI CARITA’ / ADDI’ 8 DICEMBRE 1880 / PRIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE / DEL BENEMERITO PRELATO / POSE.

Il successore, mons. Volpe, nella sua prima lettera pastorale, disse di lui: «…nulli animi parcens labori, nullique sollicitudini, modo fidelis suae curae concrediti in fide ac pietate firmarentur, desiderium sui penes omnes reliquit». Pronto al lavoro, lasciò desiderio di sé.

Pubblicazioni: Gli appelli alla S. Sede. Dissertazione sull’art. VII del primo decreto del 17 Febbraio 1861, e un’appendice intorno al R. Exequatur (Napoli 1861); I decreti del 17 Febbraio 1861. Risposta al sac. don Bartolomeo de Rinaldis (Napoli 1861); Chiesa libera in libero stato. Quistioni di Diritto pubblico ecclesiastico (Firenze 1866); La separazione fra lo Stato e la Chiesa (Benevento 1868); Compendio al Formulario del Monacelli (Napoli).

Bibliografia: DHGE: nomina a vescovo di Sinopoli, 1 Luglio 1878.

 

61. GIROLAMO VOLPE. – Nacque a Napoli l’8 Agosto 1824 da modesta famiglia (conservava e mostrava il ritratto del genitore pizzaiolo); entrò fra i Pisani, la congregazione degli eremiti del beato Pietro de Pisis; ordinato prete nel ’47, divenne provinciale della sua congregazione e maestro in Teologia.

Il 1° Aprile 1876 veniva nominato vescovo di Teja in partibus e coadiutore del vescovo De Martino di Venosa, al quale successe il 15 Luglio ’78 e ripristinò il seminario quasi distrutto.

Il 27 Febbraio ’80 veniva trasferito ad Alife, ove prese possesso il 13 Luglio. Contribuì per gli stalli della cattedrale a intaglio, e lasciò titoli di rendita per due coadiutori nelle collegiate di Piedimonte. Per la balaustra in marmo in cattedrale spese L. 2.000, e per i restauri nell’episcopio L. 20.000.

Morì in Napoli il 9 Agosto 1885.

Pubblicazioni: Orazione sulle tombe, 2 Novembre 1864 nel cimitero di Gragnano (Napoli 1865); Dissertazione filosofica su di un testo dell’Angelico Dottore (Napoli 1865); Epistula pastoralis (Napoli 27 Febbraio 1880).

 

62. ANTONIO SCOTTI. – Nacque a Napoli l’11 Dicembre 1837, e fu ordinato sacerdote nel 1860.

Divenne vicario generale dell’arcivescovo di Benevento card. Di Rende, poi, il 15 Gennaio 1866, fu nominato vescovo di Sarepta in partibus e ausiliare di Benevento. Nell’Ottobre 1886 fu trasferito dal titolo di Sarepta ad Alife.

Una volta in diocesi, istituì in seminario l’Opera della S. Famiglia; nel ’90 fondò la congregazione dei missionari diocesani; nel ’91 ottenne le nuove cappe per le collegiate di Piedimonte; nel ’93-94 promosse pure a Piedimonte, l’incoronazione dell’Immacolata. Durante il suo episcopato incoraggiò la comunione riparatrice, e il mese mariano; in S. Domenico insegnava personalmente il catechismo ai fanciulli.

Era un uomo di fede. Nelle prediche, sentite e solenni, alle quali si preparava con cura, a volte si flagellava in pubblico per i peccati propri, del clero e del popolo, e si fermava solo dopo l’insistente grido del popolo e l’intervento di ecclesiastici. In S. Maria Maggiore pretese la confessione pubblica di un prete già scomunicato e concubino, e non dette l’assoluzione se non quando fu autorizzato dal popolo che gremiva la chiesa: «Lo scandalo è stato dato a voi; l’assoluzine, se credete darla, è vostra, non mia». Nell’annunziata accusò in pubblico il parroco della chiesa, Orlando. Questi ricorse contro le «stranezze» del vescovo alle congregazioni romane, e fu causa del suo allontanamento.

***

Assente il vescovo, l’amministrazione diocesana, il 16 Ottobre 1893, passò al metropolita Card. Camillo Siciliano dei marchesi di Rende, rappresentato dal vicario generale mons. Vincenzo Lopez abate di Paduli (poi Gran Priore di S. Nicola di Bari). L’amministratore volle impiegare i titoli di rendita delle Collegiate di Piedimonte, ma il 16 Maggio ’87 morì improvvisamente a Montecassino, lasciando la propria amministrazione in stato fallimentare. I suoi familiari, marchesi di Rende, per venire incontro alle richieste di restituzione, cedettero nobilmente la parte di patrimonio che sarebbe spettata al cardinale. Ma questo non riuscì a coprire che una parte dei capitali presi.

Il 24 Marzo ’98 Papa Leone XIII faceva rinunziare a mons. Scotti anche al titolo. Ebbe da allora il titolo di vescovo di Tiberiopoli, e la pensione di metà della rendita. A Torre del Greco morì il 12 Giugno 1922. Ai funerali, tra tante personalità del mondo religioso, fu notato Bartolo Longo.

Pubblicazioni: Lettera pastorale (1888).

 

63. SETTIMIO CARACCIOLO DI TORCHIAROLO. – Uscito dal patriziato napolitano – dei principi di Torchiarolo e Ripa e dei marchesi di Pietravalle – di indole e tratto popolare e faceto, nacque a Napoli il 17 Settembre 1862.

Laureato in Teologia e in utroque, si trasferì a Roma per accudire nella sua infermità, allo zio materno, card. Raffaele Monaco La Valletta, del quale fu erede, e fu nominato canonico di S. Giovanni in Laterano.

Il 24 Marzo ’98 fu nominato vescovo di Alife, ma ritardò il possesso al 18 Dicembre. Visitò varie volte la diocesi; donò suppellettile sacra alla Cattedrale; costituì due fondi patrimoniali della rendita di L. 100 annue per gli esercizi spirituali in S. Maria Maggiore e nell’Annunziata; nel 1906 acquistò l’antico convento di S. Francesco in Prata, e lo dette ai Serviti; consacrò le chiese di S. Lucia in Piedimonte, S. Maria di Loreto a San Potito, e la Parrocchiale di Ailano.

Il 10 Aprile 1911, con decreto della Congr. del Concilio, fu trasferito ad Aversa, restando per il momento amministratore di Alife. Morì il 23 Novembre ’30, ed è sepolto nell’ambulacro intorno all’altar maggiore di quella Cattedrale. La lapide dice:

VIXIT ANNOS LXVIII, IN EPISCOPATU XXXII / IN SEDE AVERSANA XIX. / OBIIT A. D. IX KAL. DEC. A. MCMXXX. / HIC IN PACE QUIESCIT.

 

64. FELICE DEL SORDO. – Di modi signorili ed affabili, nacque a Nusco il 10 Febbraio 1850 da nobile famiglia. Il 20 Dicembre ’73 fu ordinato prete. Collaborò col suo vescovo Acquaviva come segretario e cancelliere della curia; nel 1879 divenne parroco di S. Maria Vetere, e restaurò a proprie spese il cadente edificio. Nell’88 fu nominato canonico della Cattedrale nuscana e nel ’99 arciprete della stessa. Già nel 93-94 era passato a Brindici come vicario generale, chiamato dall’arcivescovo Palmieri; nel ’94 era divenuto prelato domestico, e nel 1905-06 fu rettore del seminario.

Il 16 Ottobre 1906 fu nominato vescovo titolare di Claudianopoli e coadiutore del suo vescovo, ma, resasi vacante Venosa, vi fu trasferito il 15 Luglio 1907, e ne prese possesso il 15 Dicembre. Nell’Ottobre seguente riaprì il seminario interdiocesano, emanando apposito regolamento. Ma si dové curare un’infermità in famiglia, e lasciò Venosa. Il 16 ottobre 1911 (o 14 Settembre) fu trasferito ad Alife.

Nel ’15, per sua proposta, Papa Benedetto XV concesse la mantelletta al Capitolo della Cattedrale; nel ’21 istituì l’Opera dei chierici sussidiati, e nel ’24 fu nominato assistente al soglio pontificio; con la stessa lettera Papa Pio XI gli riconosceva il titolo di conte: «… Te Episcoporum pontificiali Solio Adstantium titulo privilegiisque officimus… inter Prelatos Nostros domesticos adnumeramus, ac nobilem Te, eadem Nostra auctoritate creantes, titulo Comitis Te exornamus…», e lo autorizzava ad avere l’oratorio privato e a indossare gli abiti prelatizi di occasione.

Nel 1920 chiamò a S. Salvatore e a S. Benedetto, i due monasteri di Piedimonte, le Benedettine Adoratrici; nel ’25 chiamò i fratelli Iodice di Giugliano a decorare il salone del seminario, spendendo L. 10.000 di proprio; fece anche riordinare la biblioteca, mettendola a disposizione degli studiosi. Il 7 Luglio 1928 morì in seminario. Il corpo, dal cimitero di Piedimonte, fu trasferito a Nusco.

Pio e mite, una volta riprese in pubblico un ecclesiastico; qualche giorno dopo, capito di aver errato in buona fede, signore com’era chiese pubblicamente scusa. Ed anche il testamento è specchio di lui: assai devoto di s. Amato vescovo e patrono di Nusco – il santo feudatario che mise pace fra Longobardi e Normanni, e dette a Nusco lo statuto delle sue municipali libertà – lasciò al simulacro di lui la croce d’oro pettorale; fece distribuire somme fra i poveri di Piedimonte, Alife, Nusco e Venosa; altra croce pettorale e paramenti dette alla cattedrale di Alife; lasciò al vescovo di Nusco un palazzo affinché si fondasse un asilo infantile; un altro palazzo con giardino, con un reddito annuo di L. 6.000 lasciò affinché si fondasse l’ospedale, e altro reddito lasciò alla congrega di carità nuscana.

Pubblicazioni: Prima lettera pastorale al clero e al popolo di Venosa (Melfi 1907); Programma del seminario liceale interdiocesano di Venosa (Venosa 1908); La bestemmia e la profanazione dei giorni festivi (Venosa 1909); Dell’istruzione religiosa (Melfi 1910); Lettera pastorale di congedo (Melfi 1912); Prima lettera pastorale al clero e popolo della diocesi di Alife (Melfi 1912); Il mio giubileo sacerdotale (Piedimonte 1924).

Bibliografia: nell’ingresso solenne in Venosa di mons. don Felice del Sordo (Melfi 1908), con molte notizie anche sulla regione; Per la fausta ricorrenza del giubileo sacerdotale di mons. Felice del Sordo (Piedimonte 1923); In memoriam (Piedimonte 1928).

 

65. LUIGI NOVIELLO. – Nacque a Napoli il 10 Agosto 1875. Compiuti gli studi teologici fu ordinato prete il 27 Maggio 1899. Il 15 Aprile 1915 ebbe la parrocchia di S. Maria del Soccorso a Capodimonte. Nominato vescovo di Alife, fu consacrato il 31 Agosto 1930 nel duomo di Napoli. Il 19 Ottobre prese possesso per procura, e il 26 personalmente.

In diocesi nel ’39 eresse la nuova parrocchia di S. Michele sulle colline di Alife, nel ’40 a Prata vecchia, nel ’45 a Carattano, dopo espletata la pratica per riaverla. Nel ’31 promosse l’istituzione della confraternita del Sacramento a Raviscanina; a Piedimonte incoraggiò la conferenza di S. Vincenzo de Paoli per soccorrere i poveri in casa; i giorni di ritiro per il clero, e i ritiri mensili di perseveranza per operai; due volte, nel ’38 e nel ’45, volle la missione dei Paolini.

Affabile, e incapace di distanze, avvicinò tutti e, favorito dalla calma politica, riscosse la simpatia di tutti e l’appoggio delle autorità. Oltre alla pacata azione nelle coscienze, egli resta nella storia della diocesi per due azioni.

La prima è il rinnovamento artistico degli edifici sacri Dilexi decorem domus tuae, era uno dei suoi slogans. E il pittore Bocchetti gli affrescò l’Annunziata nel ’31, lavori che culminarono nelle feste del 16-19 Aprile ’31 a commemorazione del 15° centenario del concilio di Efeso, con l’intervento del card. Ascalesi di Napoli, e dell’arcivescovo Piazza di Benevento; nel ’35-’36 incoraggiò i restauri in S. Maria Maggiore, nel ’37 nella cattedrale e in S. Croce di Castello.

L’altra benemerenza sta nell’azione svolta nell’Ottobre ’43: durante l’occupazione tedesca svolse opera di sollievo per la popolazione e per i 128 deportati di San Salvatore Telesino che, il 13 Ottobre riuscì a far fuggire. Quanto aveva fatto fu noto. L’11 Maggio ’33 ricevette in seminario la visita del Principe Umberto, ammirato di tanto.

Morì il 18 Settembre ’47, e fu sepolto all’Annunziata. La lapide dice:

ALOYSII NOVIELLO ALLYPHANAE ECCLESIAE ANTISTITIS / PIISSIMI ATQUE OPTIME MERITI / DUM CORPUS IN HUIUS TEMPLI YPOGEO / SUB IMMACULATAE DEIPARAE ICONE / TUMULATUM QUIESCIT / SPIRITUS NOBIS COELIBUS / TUTELARIS UT ANGELUS SEMPER ADEST.

Fu dettata dal prof. M. di Muccio.

Pubblicazioni: Lettere pastorali; L’addio alla parrocchia e il saluto alla diocesi (Napoli 1930).

Bibliografia: Nel decennale episcopale di mons. Luigi Noviello (Piedimonte 1940); Anonimo: Diario dei giorni di deportazione (Piedimonte 1945); Marrocco D.: La guerra nel Medio Volturno nel 1943 (Napoli 1974), 178.

 

66. GIUSEPPE DELLA CIOPPA. – Nacque il 2 Marzo 1886 a Bellona; frequentò il seminario di Capua, e il 18 Dicembre 1909 fu ordinato prete a Lanciano, dal vescovo Angelo della Cioppa suo prozio. Il 17 Luglio ’43 fu nominato vescovo titolare di Tiberiade e prelato palatino di Altamura e Acquaviva, e fu consacrato il 19 Marzo ’44 dall’arcivescovo Baccarini di Capua.

Nella diocesi capuana si era distinto negli incarichi di curia, fra cui di vicario generale, ma ancor più nell’insegnamento ventennale nel seminario. Ad insegnare Teologia dogmatica (incarico affidatogli dal Cardinale Capecelatro dal 7 Settembre 1909) s’era preparato frequentando a Roma il Collegio Leoniano e la Gregoriana, dove si laurò in Teologia, cui aggiunse la laurea in Filosofia presso l’Accademia S. Tommaso, e quella di Diritto canonico presso l’Apollinare. Nel ’12 era divenuto Teologo del Duomo.

Il 20 Settembre ’47 fu trasferito ad Alife, e il 7 Marzo ’48 prese possesso. L’infermità visiva determinò il suo ritiro nel 1952.

Si ebbe come amministratore apostolico il vescovo di Cerreto Del Bene. Mons. Della Cioppa morì in clinica, a Napoli, il 17 Ottobre 1957.

Bibliografia: Di Muccio Michele: Cor magis tibi Roma pandit, e Carminum adnotationes (Piedimonte 1950).

 

67. VIRGINIO DONDEO. – Il 21 Settembre 1904 nasceva a Castelverde del Zappa (Cremona), e, compiuti gli studi nel Seminario diocesano, veniva ordinato prete il 14 Agosto 1927. Approfondiva i suoi studi con la laurea in Teologia a Roma, e nell’Agosto ’36 con l’altra in Filosofia all’Università Cattolica di Milano.

La sua vita si svolgeva nelle scuole, alternando l’insegnamento della Religione al Magistrale e al Liceo classico, con la Teologia morale al seminario. Dal ’36 al ’53 fu rettore del seminario, dal ’38 al ’48 preside dell’Istituto magistrale parificato «Matilde di Canossa» a Cremona. Nel ’38 divenne canonico della Cattedrale cremonese. Ha viaggiato all’Estero, ed ha compiuto il pellegrinaggio in Terra Santa.

Il 29 Maggio ’53 fu nominato vescovo di Alife, e consacrato il 27 Giugno. Prese possesso il 20 Settembre. Durante otto anni di permanenza a Piedimonte celebrò il primo congresso eucaristico diocesano nel ’54; ridusse il numero ed il percorso delle processioni (incontrando resistenze per quella di s. Marcellino a Vallata); favorì la venuta delle Canossiane, nel ’54, al posto delle Benedettine di S. Salvatore, che andavano via; intervenne nella ricostruzione della chiesa di S. Lucia in Piedimonte; influì sull’amministrazione comunale di Piedimonte affinché fossero conservati i boschi di Bocca della Selva.

Fece sentire sempre la sua presenza come un fatto di controllo, per un riordinamento delle manifestazioni religiose, che a volte incontrò il favore, altre volte, sapendo di estraneo, «settentrionale», incontrò resistenze.

Il 18 Aprile ’61 fu trasferito ad Orvieto. Quando partì, il 28 Settembre in S. Maria Maggiore, gli fu offerto un calice d’oro, e la cittadinanza onoraria di Piedimonte il 21 Settembre.

Nella nuova diocesi divenne anche amministratore di Bagnoregio nel ’67, e vescovo di Todi nel ’70. Vi è morto, dopo dolorosa malattia, il 6 Agosto 1974.

Pubblicazioni: lettere pastorali: Donum Dei et pax est electis eius (Cremona 1953); Lettera pastorale per la Quaresima (1954); La parrocchia (1958); Famiglia educatrice (1959).

Bibliografia: L’eco della diocesi (numero speciale Ottobre 1961, redatto da Pietrangelo Gregorio).

 

68. RAFFAELE PELLECCHIA. – Nacque ad Avellino l’11 Febbraio 1909. Compiuti gli studi nel seminario di Benevento, fu ordinato sacerdote il 25 Luglio 1932. Dal ’35 insegnò nel seminario vescovile, e ne fu anche rettore, oltre ad avere numerosi incarichi di curia e d’insegnamento. Dal ’40 penitenziere della cattedrale, nel ’53 ne divenne arciprete. Tanta attività non gl’impedì di laurearsi in Teologia a Benevento nel ’32, e nel ’37 in Lettere all’università di Napoli. Nel ’57 fu nominato protonotario apostolico. Il 2 Giugno 1960 fu nominato vescovo titolare di Amiso con deputazione di ausiliare del vescovo di Caiazzo, e fu consacrato nella cattedrale di Avellino dal cardinale Mimmi, il 13 Marzo ’60.

Il 1 Settembre ’61 fu trasferito ad Alife dove, il 24 Ottobre, prese possesso per procura, e il giorno seguente personalmente.

Il 9 Ottobre ’82 partì per il concilio ecumenico, e l’8 Dicembre ’65 fu accolto in diocesi, allo scioglimento della grande assemblea.

In diocesi promosse radicali restauri alla cattedrale, ed ottenne contributi governativi per la costruzione di un secondo piano al seminario; pure nel ’67 promosse una settimana di studi conciliari, e il 15 Marzo di quell’anno elevò a santuario la chiesa di Calvisi.

Il 19 Marzo 1967 fu trasferito alla chiesa titolare di Arpi con la deputazione di coadiutore dell’arcivescovo di Sorrento, con diritto alla successione, e quale amministratore del vescovato di Castellammare di Stabia, e lì si spense il 2 Maggio 1977.

Pubblicazioni: lettere pastorali pubblicate da vescovo di Alife: Attorno alla cattedra di Pietro (Piedimonte 1961); In novitate vitae (Piedimonte 1962); La crociata del Rosario a Piedimonte (Piedimonte 1963); Il secondo centenario dell’effige dell’Immacolata (Piedimonte 1963); L’eucarestia nella vita cristiana (Piedimonte 1965); Il concilio della speranza (Piedimonte 1966); Rinnoviamo la parrocchia (Piedimonte 1967), pastorale collettiva insieme con il clero; La nuova biblioteca del seminario alifano per gli studiosi del Medio Volturno, su Annuario 1966 dell’ASSA.

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Benché non abbia portato il titolo di vescovo di alife, dev’essere qui ricordato mons. VITO ROBERTI vescovo di Caserta, che per quasi dodici anni è stato Amministratore apostolico della diocesi.

Nato l’11 Settembre 1911 a Matera, è stato alunno del seminario romano, si è laureato in Filosofia e in utroque Jure, e a questi titoli ha aggiunto nel 1932 la licenza in Teologia e la pratica di quattro lingue. Il 23 Dicembre ’33 è stato ordinato sacerdote. Nella sua diocesi ha sperimentato tutte le cariche curiali, è stato insignito della terza dignità della cattedrale, «cantore», ed è stato preside della scuola media «S. Anna» di Matera.

Nel Gennaio ’50 è stato chiamato in Vaticano come Minutante nella Congr. degli affari ecclesiastici straordinari, e il 13 ottobre ’62 è stato eletto arcivescovo titolare di Tomi e inviato come Delegato apostolico nel Rwanda e Congo, incarico mutato l’11 Febbraio ’63, in quello di Nunzio apostolico anche nel Burundi. Nelle tre capitali ha avvicinato Re Mwambutsa IV, Kasavubu Presidente del Congo, e Kajibanda del Rwanda.

Il 15 Agosto ’65 è stato trasferito a Caserta, e il 29 Maggio 1967 ha ricevuto anche l’amministrazione della diocesi di Alife.

È il suo decreto del 25 Marzo ’68 per l’istituzione di un museo diocesano; a Roma ha aperto un convitto per i chierici delle due diocesi; ha promosso la costruzione delle chiese parrocchiali di S. Michele sulle colline di Alife e di Carattano, la progettazione della chiesa a Tòteri e della casa parrocchiale e della casa parrocchiale a Castello. All’assistenza e alla visita alle parrocchie ha aggiunto il 26 Settembre ’68 la mostra ricca di materiale spedito dalle tribù del Rwanda e Burundi, in occasione del gemellaggio fra Piedimonte e Butwe.

Pubblicazioni: L’istruzione religiosa, su Bollettino Ufficiale delle Diocesi di Caserta e di Alife, 1968 VI; La diocesi di Alife nelle osservazioni e nel programma del vescovo, su Annuario 1968 dell’ASSA; Presenza e funzione del sacerdote in fabbrica (Caserta s. d.); e la coraggiosa Notificazione pastorale in occasione del referendum sul divorzio (1974).

Bibliografia: A. Sua Eccellenza mons. Vito Roberti… ricordando il solenne ingresso in diocesi (Caserta 1965).

 

69. ANGELO CAMPAGNA. – È nato il 20 Giugno 1923 in S. Tecla, frazione di Montecorvino Pugliano in provincia di Salerno.

Entrato a dieci anni nel seminario arcivescovile di Salerno, vi compì il corso ginnasiale, completando la sua formazione culturale nei corsi liceale e teologico del seminario regionale «Pio XI» di Salerno.

L’8 Dicembre 1945 fu ordinato sacerdote nel duomo di Salerno dall’arcivescovo primate Demetrio Moscato. Da questi fu nominato vicecancelliere della curia, insegnante di Matematica al corso ginnasiale del seminario, e viceassistente diocesano degli aspiranti di Azione cattolica. Dal 1950 al Giugno ’78, ha insegnato Religione nelle scuole di stato. Veniva intanto promosso cancelliere della curia e canonico del duomo, diveniva assistente diocesano e regionale dei giovani di Azione cattolica, consulente ecclesiastico del C.S.I. il centro sportivo italiano, e cappellano del collegio dei mutilatini di don Gnocchi a Salerno. Dal Giugno ’67, per quattro anni, diviene rettore del seminario, e vi torna ad insegnare matematica.

Il nuovo arcivescovo di Salerno, mons. Gaetano Pollio lo vuole al suo fianco, dal 1 Maggio 1971, quale provicario generale dell’arcidiocesi, e delegato vescovile per la diocesi di Acerno, e intanto viene insignito delle dignità di Prelato d’onore di S. S. e, dal 1975, di Protonotario apostolico.

L’8 Aprile 1978, Papa Paolo VI lo ha nominato vescovo di Alife e di Caiazzo con due bolle separate, ad indicare che le due diocesi restano autonome. Il 14 Maggio, Pentecoste, è stato consacrato nella chiesa dei Salesiani a Salerno: consacrante il card. Sebastiano Baggio Prefetto della congregazione dei vescovi, consacratori l’arcivescovo primate di Salerno mons. Pollio, e mons. Calabria arcivescovo di Benevento, con la partecipazione di numerosi altri vescovi e sacerdoti della regione, nell’entusiasmo di uno stuolo di fedeli convenuti dalla città e diocesi di Salerno, nonché dalle diocesi di Alife e di Caiazzo.

Il 4 Giugno ha preso possesso nella cattedrale di Alife, quinto prelato oriundo del Salernitano, e il 18 Giugno ha preso possesso a Caiazzo, terzo venuto da quella provincia.

È appassionato cultore, fra l’altro, di storia locale, ed ha curato la pubblicazione di due annuari della diocesi di Salerno, nel 1959 e nel 1975, di una monografia sulla chiesetta della Madonna dell’Arco nel suo paese natale, e di un’opera di notevole importanza «Salerno sacra – Ricerche storiche», edizione curia vescovile di Salerno 1962. In collaborazione con mons. G. Crisci, attraverso oltre 600 pagine vi dà un quadro completo delle istituzioni ecclesiastiche di Salerno, coll’aggiunta di notizie sulla storia politica del principato longobardo e della scuola media.

 

VESCOVI CONTESTATI. – Oltre ai numerosi «anonimi» in Ughelli e nei cronisti locali, che non denotano certo la presenza di un vescovo (ad eccezione del n. 11. e n. 12, dopo Landolfo), non possono essere accettati:

Secondo il catalogo della curia e Finelli[2], prima di Paolo (n. 3) è esistito il vescovo Leone, il cui nome si troverebbe nella bolla di consacrazione, 1 Novembre 979, di s. Stefano Menicillo vescovo di Caiazzo. La notizia è infondata: Leo Suranae sedis episcopus, e cioè di Sora, non ha a che fare con un vescovo di Alife.

Secondo le stesse fonti, dopo Pighino (n. 30) sarebbe stato vescovo di Alife un Leonardo Ambrosio canonico del duomo di Napoli, morto nel 15…, lo stesso anno della nomina, dopo pochi mesi di episcopato. Questo nome non figura nella Historia collegii Patruum Canonicorum Metropolitanae Ecclesiae Neapolitanae ab ultima eius origine ad haec usque tempora (Neapoli 1900), e manca pure in R. Ritzler-P. Sefrin: Hyer. cath. IV.

Secondo Cappelletti[3] fra il 1722-24 sarebbe stato vescovo di Alife Francesco Antonio Fini. Monsignor Fini, già familiare dell’arcivescovo Orsini di Benevento, fu vescovo di Avellino, come dice la lapide sulla tomba, al Gesù nuovo di Napoli:

…FINIO …ABELLINATIUM EPISCOPO.

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Riguardo all’origine, dei sessantanove vescovi storicamente sicuri, tre sono sicuramente di Alife, 8 probabilmente diocesani, 40 sono nati nel reame di Napoli e Meridione, 12 provengono dall’Italia centrale e settentrionale, 3 dalla Spagna. Di alcuni non si può dir niente.

Uno di essi era benedettino olivetano, 3 domenicani, 2 francescani osservanti e 2 conventuali, 1 carmelitano, 2 serviti, 3 pii operai, 1 chierico regolare minore, 1 gerolamino, 1 redentorista.

 

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[1] Manoscritto di S. Maria Maggiore, 590.

[2] Città e diocesi di Alife (Scafati 1928), 152.

[3] XIX 111.