(in Annuario ASMV 1979 pp. 187-203)
[146] Siccome in tutto il decorso di tutto
l’antecedente secolo XV affaticati ci siamo a mostrare, che la Chiesa di S.
Maria Maggiore di Piedimonte, fosse stata non in quello fatta Collegiata, e
contentata si fusse di esser Battesimale-Rettorale-Abbaziale e Arcipretale,
contro quei Cervelli poco intelligenti, che volevano che avesse acquistato tale
prerogativa colle due Bolle di Papa Sisto IV, e con quella di Corrado
Arcivescovo di Benevento; così nel secolo corrente contro certi altri, che
niente sanno degli Avvenimenti di questa Chiesa, ci adopreremo a dimostrare
Il
tempo, in cui Ella fu innalzata ad essere Collegiata;
Chi
fu di tal promozione l’Autore;
Con
qual Dignità, e con qual numero di Canonici;
Con
quale Dote;
Con
quali Decorazioni d’Insegne, di Coro, e di Stalli;
E
finalmente con quali Privilegi, e Prerogative;
E
dopo averne fatto vedere i Gruppi onorifici, di mano in mano descriveremo la
serie de’ fatti sino alla fine del secolo, che ad illustrare imprendiamo.
Cap. I
[147] Del tempo in cui S. Maria Maggiore di
Piedimonte fu innalzata ad essere vera Collegiata.
Dapoiché
dal dirsi nel 1499, del Dottor Giancristoforo de Parrillis in pubblico
Istrumento: Arciprete di S. Maria, senza nominarla Collegiata, e senza
nominarsi egli canonico di essa, ne abbiamo noi dedotto che in tutto il secolo
XV, non era Ella stata eretta in Collegiata; al che aggiungiamo al presente,
che nessun’altra Chiesa di Piedimonte, si trova in detto secolo, aversi
arrogato un tale titolo, e nessuno Prete cittadino essersi in detto tempo
(nonostante le Bolle di Sisto e di Corrado) nominato Canonico, e dapoiché da
due pubblici Istrumenti del 1504, stipulati da Notar Nicola d’Angiolo
d’Angiolillo, consta che essa era già Collegiata, ed aveva l’Arciprete con
altri undici Canonici, (ed altri jus e requisiti, da registrarsi tra breve) per
certa conseguenza discende che tale qualità onorifica, acquistata siasi da S.
Maria dentro il frattempo, decorso dal 1499 al 1504, e non prima, e né dopo.
Cap. II
[148] Dell’autore che innalzò S. Maria Maggiore
in Collegiata.
Chi
fu l’Autore? Risponderemmo facilmente a questo primo quesito, se non si fosse
dispersa disgraziatamente di tal fondazione la Bolla. Forse, e senza forse nel
trasportarsi l’Archivio vescovile da Alife nella Città di Piedimonte, quando i
Vescovi abbandonarono quella Residenza, dopo che nel 1565 fu bruciata, e
desolata dagli Esecutori della sentenza contro D. Ferrante Ezcarlon, suo Conte;
ma lo stesso trascorso di quasi tre secoli, da che fu ella emanata, rende
scusabile questa jattura, tanto più che non essendo la Bolla pontificia (come
fra poco vedremo) non doveva essere spedita in pergamena, ma in carta
bambacina, e di stracci, che facilmente si disperde, e si consuma dall’umido, e
dagli insetti si rode.
E
come si farà (sento dirmi) come si farà a sapere di tale Autore, se non ve ne
restano le Bolle? Rispondo, che con la Diligenza, e con lo Studio, a tutto si
arriva, implorando sempre prima l’aiuto di Dio.
Stabilita
dunque, nel modo che si è detto, l’epoca di detta Fondazione, dopo il 1499,
sino al 1504, ne andremo rintracciando l’Autore, dalla esclusione di quelli,
che non poterono esserlo; e mettiamo per Massima indifficultabile, che egli fu,
o [149] un Sommo Pontefice, o un Ordinario di
Alife, dicendo: Non lo fu il Papa, dunque lo fu certamente il Vescovo. Che non
lo fosse il Papa, ecco come si prova.
Tenne
l’Apostolica Sede dal 1492 sino al 1503, Papa Alessandro VI. Or sarebbe Egli
stato l’Autore della Collegialità di S. Maria in quei pochi anni che in questo
secolo tenne il Soglio romano? Potrebbe egli essere, ma io non ve ne ritrovo
alcun rastro, poiché ve ne dovrebbero essere le bolle, che essendo in
pergamena, difficilmente si sarebbero disperse, come non si sono disperse
quelle di Niccolò V, di Callisto III, di Sisto IV, che sono di cose di minore
importanza.
Ma
perché non avrebbe potuto esserne l’Autore uno dei suoi Legati a latere, venuti in Regno a coronare i
nostri Sovrani? Quali, dubbio non vi è, che vadano muniti di questa, e di altre
facoltà di minore importanza.
Certamente
io direi, che fosse stato questi, Giovanni Borgia Cardinale di Monreale,
venutovi a coronare Alfonso II, come fece nel duomo di Napoli a dì 7 Maggio
1494, dandoli l’investitura del Regno; ed aggiungere che tal grazia impetrata
li avesse Onorato III Gaetano, utile Signore di Piedimonte, sposo, come ho
detto di sopra, di D. Sancia, figlia naturale di esso Re; ma mi trattengo di
dirlo, perché Sancia le fu tolta dal padre Alfonso, e congiunta in [150] matrimonio a Tangredi di Borgia, bastardo di Papa
Alessandro; e perché questa coronazione per mano di detto Legato, si fu nel
1494, e nel fine del secolo XV, allorché S. Maria Maggiore non aveva preso la
qualità di Collegiata, come ivi ho mostrato, con documenti alla mano.
Direi
altresì che Autore ne fosse stato il Cardinale Cesare Borgia, quando nel 1495
si portò nel Regno con titolo di Legato, con Carlo VIII Re di Francia; ma me ne
astengo, sapendo che allora pur correva il secolo XV; e che Cesare, fuggito da
Napoli, tornò in Roma senza dare a Carlo l’insegne regali, che nondimeno
solennemente egli prese senza l’autorità del Legato.
Lo
stesso direi di Giovanni, eletto Arcivescovo di Amalfi, mandato da Alessandro
VI medesimo, legato a Ferdinando II, con amplissima potestà, ma perché ciò fu
nello stesso anno 1495, non lo so, a cagione che mi osta il tempo della venuta
di esso.
Trovo
il medesimo intoppo nella persona del Cardinale Legato Cesare Borgia, mandato
pur da Alessandro ad incoronar Federico Re di Napoli, siccome fece, con darli
nella Metropolitana la corona coll’altre insegne Reali; dispiacendomi peraltro
di non poter farlo, perché l’affinità, benché effimera, del Re con Onorato
Gaetano farebbe la mia congettura assai veridica.
Sicché
sarebbe da vedere se ciò fosse avvenuto ai tempi di Papa Pio III successore di
Alessandro, se la brevità del suo pontificato non rendesse la cosa impossibile.
E come avrebbe potuto ella mettersi solamente in trattato, dal dì 22 Settembre
che fu eletto, fino al dì primo di Novembre dell’anno stesso 1503, che morissi?
[151] Restaci campo intanto di poterlo averire di Papa
Giulio II, che essendo stato eletto nell’anno stesso 1504, visse oltre al 1504,
e sarìa molto probabile che lui, che era nipote ex fratre di Papa Sisto IV, avesse perfezionata l’opera
incominciata dal zio, ed avesse eretta in vera Collegiata la Chiesa di S.
Maria, i di cui Preti, Papa Sisto IV aveva fatti Canonici di solo nome, se non
fosse che in un solo anno che visse Papa, dalla sua creazione fino al termine
che si trova S. Maria già Collegiata, rendesi la cosa inverisimile, anche
perché non ce ne resta la Bolla, né pubblica né privata carta che il dica.
Aggiungesi
che in quel tempo più non contava Onorato Gaetano, che avrebbe dovuto essere il
promotore di tal faccenda, avvegnaché Ferdinando d’Anguillar, di Cordona, detto
il Gran Capitano, violentemente si era impossessato di Fondi e di altri di lui
Stati, e ne aveva investito Prospero Colonna per concessione del Re Cattolico,
del 28 Novembre 1504; e Piedimonte stesso era stato allor sequestrato, ed i
Signori Gaetani ebbero poscia a stentare per rientrare in possesso.
Per
la qual cosa concludo che S. Maria Maggiore non sia stata eretta in Collegiata
di Autorità pontificia, né di Legato Apostolico ma bensì per dritta conseguenza
di autorità ordinaria di un Vescovo diocesano, che dal fine del secolo XV, fino
al 1504, si trovò a sedere al governo della Chiesa di Alife. E chi fu questo?
Non altri che lo Spagnuolo Giovanni Zefra di Toledo (Ughelli: Italia sacra, to.
6).
[152] Egli dopo la morte di Antonio Moretto (quel
vescovo « che non volle a patto veruno eseguire le bolle di Papa Sisto IV »
come abbiamo notato di sopra) dal dì 6 di Settembre 1486 resse la Chiesa
alifana sino appunto al 1504, quando già S. Maria era Collegiata. Che maggior
certezza aver possiamo, esser stato egli (cioè Giovanni Zefra di Toledo,
Spagnolo) benefico fondatore di essa? Doveva egli essere venuto dalle Spagne con
Alfonso I di Ragona, e restato in Napoli per tutto il tempo del di lui regno,
di quello di Ferdinando I suo figlio, e di Federico, di cui veduto aveva la
catastrofe nel 1501, quando da Luigi XII Re di Francia, e da Ferdinando il
Cattolico venne spogliato del Regno; e quando i Francesi ancor essi nel 1502,
venuti a discordia con gli Spagnuoli, per li dritti della dogana di Puglia,
fatte molte battaglie, alfine furono vinti presso alla Cerignuola nel 1503, e
del tutto cacciati dal Regno nel 1504, ne rimase al Cattolico Re l’intiero
Dominio. O santo, e felice Prelato, che Dio prima di chiamarlo a sé volle
premiare con farli vedere questo Regno posto in pace, sotto il Cattolico Re. E
Piedimonte, quietato con l’erezione in Collegiata della chiesa di S. Maria, che
era stata quasi per un secolo travagliata, da che il Vescovo aveva quelle
inconsiderate ordinazioni abbozzati.
[153] Ma con quali facoltà, sento dirmisi, poté farsi
da chi si voglia Vescovo semplice, che si stabilisse un collegio in una chiesa
che non lo aveva? Rispondo francamente che senza l’autorità pontificia potevasi
in quel tempo rite et recte,e si
erigevano in Collegiate le semplici chiese. E sebbene Pirro Corrado, nella
Pratica beneficiaria, lib. 2°, e con lui tutti i canonisti, addetti alla Curia
romana, e lo stile della Dataria apostolica gridino che l’erezione delle
Collegiate spetti privativamente al Papa in esclusione degli Ordinarii;
nondimeno il Barbosa, e con lui tutti i canonisti più dotti, e cordati, fra
quali il celebre Van Espen, sono di contrario sentimento, ed almeno distinguono
fra le Collegiate, fondate prima del concilio di Trento, e le Collegiate
fondate e da fondarsi in appresso. Barboca c. 8, n. 8, de potest. Episcop. Addit. ad
alleg. Delle prime provano che siano ben fondate, quantunque l’erezione
siasi fatta dalli Ordinarii. Delle seconde l’autorità di fondarle, dicono
spettare unicamente al Pontefice. E così sostiene il Pitoni, a noi più vicino,
con tutto che abbia dato alla luce le opere sue nella medesima Roma.
In
quanto alla erezione delle Dignità nelle Collegiate, il suddetto Pirro Corrado,
item loc. cit. sostiene medesimamente
spettare privativamente al Papa, in esclusione di ogni altro; ma il Barbosa loc. cit. il Van Espen, il Pitoni, non
gliela mandano buona [154] distinguendo, fra le
Dignità fondate prima del Concilio di Trento e le (dignità) da fondarsi
appresso.
E
sebbene nella IV Regola della Cancelleria si riserva il Papa la collazione
della prima Dignità delle Collegiate purché li proventi della medesima eccedano
il valore di dieci fiorini di oro, che fanno di nostra moneta pressoché 80
ducati, nondimeno ciò non pregiudica alla fondazione, che rite et recte prima del Concilio di Tridentino se ne faceva dagli
Ordinari.
Or
essendo che il tempo in cui fu fondata la Collegiata di S. Maria, e la Dignità
arcipretale che in essa ritrovasi, era stabilita in essa molto prima della
venuta del Concilio di Trento ne viene che detta Collegiata doversi sostenere
perché per lo immemorabile decorso di poco meno di tre secoli sono state avute,
e riconosciute per tali generalmente da tutti, essendo nel possessorio
inveterato, e non essendovi memoria di uomo in contrario.
Cap. III
Con quale Dignità, e con quale numero di
Canonici fu eretta in Collegiata S. Maria Maggiore.
È
chiaro che detta erezione fu fatta con destinare ad assegnare a detta chiesa di
S. Maria Maggiore, i Canonici e Preti che la servissero in numero di dodici,
uno dei quali avesse la Dignità di Arciprete, perché sebbene non si abbia il
documento della originale Bolla della [155] fondazione, ciò consta da
moltissimi pubblici Istrumenti e documenti, e soprattutti dagli accennati
istrumenti del 1504, stipulati dal Notar Nicola di Angelo di Angelillo, il
tenore dei quali bisogna qui rapportare in compendio: Regnando Ferdinando ed
Isabella ecc.
Il
I è della data del Gennaio del detto anno 1504, stipulato nella terra di
Piedimonte, fra D. Giovanni Paterno, ed Angelo di Giacomo d’Ambrosio,
Procuratori del Clero di essa Terra, e Canonici di S. Maria, tanto in proprio,
e particolare nome di essi D. Giovanni e D. Angelo, quanto in nome di detti
loro Principali da una parte; ed il Rev. P. F. Restaino Priore, ed altri Frati
del convento della chiesa di S. Domenico della medesima Terra, con cui, esposte
le loro liti, e controversie, intorno al doversi di detti Frati, o non doversi
prestare a detto Clero e Canonici la IV dei Legati pii a loro fatti; con la
mediazione del dottor Giacomo de Franchis di Piedimonte, che fu Consigliere de
S. R. Consiglio, e Lettore della cattedra de’ Feudi nell’Università di Napoli,
anzi zio del celebre Presidente De Franchis, vengono a parecchie convenzioni
fra di loro.
la
II è della data del 27 Maggio del medesimo anno 1504, stipulato in Piedimonte
per lo stesso Notaio regnanti i Serenissimi Re Ferdinando e Isabella) dentro la
chiesa di S. Maria, fra li Venerabili D. Benedetto Clavelli [156] Arciprete, D. Giovanni de Paterno, D. Giacomo de
Randolfo, D. Giovanni de Matturio, D. Angelo di Giacomo d’Ambrosio, D. Giovanni
de Colantonio de Ianolisto canonici di S. Maria da una parte; e li venerabili
D. Gualtiero Pagano, D. Nardo di Covino, D. Giovanni de Scotio, D. Angelo e D.
Giacomo d’Ambrosa canonici tutti insieme radunati dentro di essa chiesa di S.
Maria a suono di campanella, nella quale sono soliti radunarsi per fare i loro
affari. Nei quali Istrumenti, dopo aver asserito che la chiesa di S. Maria, la
chiesa di S. Giovanni, la chiesa di S. Venditto, la chiesa di S. Potito, la
chiesa di S. Pietro e di S. Angelo della terra di Piedimonte, hanno, tengono, e
possiedono alcuni pezzi di terra aratoria, siti e posti ne’ più vari luoghi,
de’ quali pezzi di territori, non possono avere piena intelligenza per sé stessi, e che ciò ridonda in grave
detrimento di essi asserenti. Onde considerando l’utilità e il comodo loro,
hanno stimato di dividere dette terre in due porzioni eguali, e che ciascuna di
dette parti abbia la parte sua di dette terre, ed il frutto delle stesse.
Perciò
sono venute alle convenzioni infrascritte, cioè I che si abbiano da eliggere da
loro alcuni uomini dabbene, che piglino una certa informazione di tutti li
pezzi di terra, che hanno le dette chiese, e poi li detti uomini, ed insieme
con loro li Canonici l’abbiano da dividere in due parti, avendosi in
considerazione la qualità, e quantità di esse terre; e divise che siano,
ciascuna di esse parti pigliarsi quella porzione che li toccherà, con gli
onori,e carichi loro, pigliandosene i frutti, e gli stagli, che ne provengono,
come, meglio potranno.
[157]
II Convenzione, che ciascuna parte di essi canonici abbia da curare, lavorare,
e dare a lavorare la parte loro di esse terre, come meglio le parerà
espediente, e tutto ciò ad effetto che si possa avere maggior intelligenza, e
notizia delle terre che hanno dette chiese.
III
Convenzione, che quando accada la vacanza de lo loco di ciascuno di essi
canonici, il nuovo canonico che succederà, debba passare nel numero di quella
medesima parte.
V
Convenzione, che se alcuni di detti canonici da allora in avanti, dovesse
contravvenire e non stare a detta loro convenzione, resti privo per un anno
delli frutti che li toccano in detto anno.
VI
Convenzione, che con tutte le suddette cose non s’intenda recare pregiudizio
alle loro Bolle, protestandosi di ciò in ogni miglior modo. Pro quibus etc.
Ed
ecco, che rapportati due Istrumenti raccogliesi, che fin dal primo mese di
detto anno 1504 esisteva la Collegiata di S. Maria Maggiore di Piedimonte,
colli Canonici di lei, e coll’Arciprete; il numero dei quali, e i nomi sono
espressi nel secondo Istrumento del 27 Maggio, col nome dell’Arciprete, il fu
D. Benedetto Clavelli, o Clarelli, primo Arciprete di essa Collegiata, giacché
gli altri erano stati tali quando essa ancora tale non era; e perciò non ne
erano stati Dignità, come necessariamente, all’esser di Dignità, quando la
Collegiata ebbe ad esser innalzata la loro chiesa da Monsignor Giovanni Zefra,
che poteva far l’uno, e l’altro, come si è detto, e provato.
Raccogliesi
similmente da esso istrumento il numero definitivo dei Canonici e Capitolari di
S. Maria [158] perché, oltre che vi si contano
dodici nomi di essi, una con quello dell’Arciprete; essendosi divisi in due
parti, cioè sei per sei, ed avendo espressamente pattuito che i sei di una
parte, potessero dividersi detta parte a loro arbitrio; chiunque sa numerare inferisce,
che i Capitolari di S. Maria nei suoi principi, erano in tutto dodici.
Raccogliesi
in III luogo che allora non esisteva Collegiata alcuna in S. Giovanni, perché
se i beni di S. Giovanni si possedevano dai Canonici di S. Maria, nello stesso
modo, che si possedevano quelli di S. Venditto, di S. Potito, di S. Angelo, e
di S. Pietro, con quali frutti di beni potevano mantenersi i supposti Canonici
di S. Giovanni? Se si dirà che essi, di propria autorità si erano già uniti,
dico, che chi così dice, è nell’obbligo di provare la di loro esistenza colà
dalla celebre epoca della Bolla di Corrado sino all’anno precedente di questo
1503. Ora voglio essere liberale, se mi si farà vedere in questi ventidue anni
un solo Prete, che in una pubblica scrittura si nomini Canonico, di S.
Giovanni, voglio darmi vinto, e confessare che S. Giovanni sia stato
Collegiata; ma se non mi si potrà additare da alcuno, ed io all’incontro posso
mostrare dai 27 Gennaio di quest’anno 1525, in appresso, sempre dodici
Capitolari in S. Maria, compreso l’Arciprete, come quando a dì 30 Settembre
1525, concedono alli Mastri del SS.mo con istrumento stipulato da
Notar Pietro Giacomo de Parrilli di Piedimonte, un sito in detta loro chiesa da
edificarvi un altare. È noto che questo Istrumento si trova riassunto con
decreto del S. R. C. da Notar Ercole de Parrillis di Piedimonte, addì 22
Febbraio 1598.
[159]
E quando con altro Istrumento stipulato per Notar Aquilante de Martinis di
Piedimonte, nel 1533, esso Arciprete di S. Maria con undici Canonici affrancano
un corpo redditizio a detta loro chiesa; e quando dal 1532 sino al 1539
ricevono, anno per anno, dal loro Procuratore, quanto ad essi dodici, insieme
coll’Arciprete, spetta in vettovaglie, e denaro; e quando nella relazione che
fa al Card. Protonotario monsignor Dossena nel 1660, asserisce aver veduto una
Bolla del 1534, ed un’altra del 1535, colle quali nove Canonici di S. Maria
provvedono due canonicati, vacanti nella loro chiesa, uno per libera rassegna,
l’altro per obitum. Ma che serve
additar la luce del sole?
Dove
mai, per carità, dove e quando mai furono Canonici in S. Giovanni? Se per
questo decorso dal 1482 sino a tutto il 1503, si confessa da noi che non ve ne
furono in S. Maria, come potevano esserne in S. Giovanni? Ma la Bolla di Sisto
IV (soggiungono) con la sentenza di Corrado, che dovessero eseguirsi juxta sui seriem, continentiam, et tenorem, assegnano
in S. Giovanni cinque Canonici. Va bene. Ma non basta che un Principe mi faccia
una grazia, un Giudice mi faccia un Decreto a favore; sta se io me ne serva:
perché io forse stimerò quella Grazia un mio affronto; quel Decreto un mio
pregiudizio; e sino a tanto che avrò quelli accettati, ed eseguiti, a nulla
sarò mai tenuto per essi. Appunto come, se ben la legge dispone a favore dei
figli della eredità dei genitori, pure essi astenere se ne [160] possono, anzi rinunziarlo, e sino a tanto che non
sarà loro provato, che non siano portati da eredi, a niente saranno obbligati
per lo fatto di quelli. Per la qual cosa incombe ai calunniatori di S. Maria,
prima constare in qualche tempo di questi Canonici sognati di S. Giovanni, e
poi la loro unione fatta di privata autorità in S. Maria, acciò non si sentano
dire da essa « Nego suppositum »... E
poi, come ha del verosimile, che due chiese siano unite così di soppiatto? È
vergogna a farselo uscir di bocca.
Raccogliesi
in IV luogo del detto II Istrumento che l’Arciprete, e Canonici suddetti, che
come godevano i beni suddetti, così godevano i beni di S. Giovanni. Ma, e con
qual titolo? Con quello stesso (rispondo) che godevano quelli di S. Benedetto,
o S. Venditto, di S. Potito, di S. Angelo, di S. Pietro, e le godevano questi,
come di Chiese battesimali, soppresse dal laudo del vescovo Angelo; così
ancora, goder dovevano quelli di S. Giovanni, che pure era una delle Chiese
battesimali del castello di Piedimonte; che sebbene non soppressa da esso
laudo, dové restar soppressa da monsignor Giovanni Zefra, allora che eresse in
Collegiata S. Maria, altrimenti Ella non avrebbe potuto avere, tenere e
possedere i beni di S. Giovanni. E questo è un argomento che S. Giovanni non fu
mai Collegiata, perché S. Maria come dir poteva di avere beni di Parrocchie
soppresse, così non avrebbe potuto dire di aver beni di Collegiata esistenti.
[161] E così resta risposto alle tante opposizioni
degli Emuli di S. Maria, che non poteva sopprimersi una Collegiata senza
l’autorità del Pontefice; né poteva annessarsi ad un’altra senza il consenso
del Pubblico, né senza il Real Beneplacito, tutte belle dottrine, ma addotte
fuor di proposito.
Del
resto è da avvertirsi, che siccome in virtù del laudo di monsignor Angelo, dopo
la soppressione delle quattro parrocchie, S. Maria portò i pesi di quelle, e
principalmente la loro cura dell’anima, e mancati i Retori vi destinò i Patìni,
e gli Ebdomadari; così troviamo ab
immemorabili che sia restata addossata a S. Maria la cura delle anime di S.
Giovanni, col peso di farvi celebrare la Messa nei dì festivi per comodo del
Popolo del suo rione; e di andare a cantare i Vespri, e Messa solenne nelle
festività del Battista, e del Vangelista: ma non è restato in detta chiesa peso
alcuno Collegiale, da adempirsi; perché l’obbligo di andarvi i tre ultimi
Canonici di S. Maria a cantarvi la Messa la Domenica delle Palme, e recitarvi i
tre Offici delle Tenebre, ed i Vespri, e Messa cantata nella commemorazione di
tutti i Defunti, proviene da obbligo di tabella imposto da qualche benefattore,
e non Collegiata.
Cap. IV
Della dote
Siccome
maritandosi una Zitella, è necessario farle la dote, acciò essa insieme col
marito possa portare i pesi del matrimonio, così fondandosi qualsiasi chiesa è
bisogno dotarla, acciò ella [162] come nutrire i
Ministri suoi, lo perché S. Maria fin da principio si vede, che fu ben dotata,
perché si argomenta che aveva ella sola tante rendite quante ne avevano tutte
le altre chiese beneficiali di Piedimonte, insieme unite; avvegnaché con un dei
decreti del Laudo di monsignor Angiolo, l’Arciprete, che n’era il Rettore,
assieme coi Diaconi e Suddiaconi, e Chierici vien tassato a pagare per le
visite, decime, e sussidi, o Beneficiati dell’altre Chiese. Essendosi poi
soppresse col detto Laudo, le quattro Parrocchie, più volte nominate, ne
andarono a ricadere le entrate a S. Maria, tanto che dal Conte Onorato furono
stimati i beni di lei per bastante fondo di una Collegiata nuncupativa, che fu
dotata con quello splendido, e ridicolo assegnamento: « qui Presbyteri deberent emolumenta alias, prout tunc soliti erant,
pertinere ». E finalmente essendosi anche soppressa la parrocchia di S.
Giovanni, anche i beni di lei da S. Maria si acquistarono. Onde i dodici
Canonici, che si costituiscono nell’addotto secondo Istrumento, asseriscono,
che la loro Collegiata, possiede oltre i suoi beni, quelli della chiesa di S.
Giovanni, di S. Venditto, di S. Potito, di S. Angelo, e di S. Pietro, senza
aggiungervi un palmo di terra, che gli fosse stato donato da altro Benefattore,
né dal Pubblico, di cui perciò in detta elezione non vi fu bisogno di permesso,
e consenso.
Cap. V
[163] Degli obblighi, e di pesi di questa nuova
collegiata
Con
la prima delle convenzioni dello enunciato Istrumento si obbliga ciascuna delle
parti a prendersi la porzione, che le toccherà, delle terre, cum earum honoribus et oneribus. Questi
pesi, ed onori non si possono specificare da noi con tutta quella distinzione
che ci vorrebbe; ma si possono ricavare tutti quasi dal Laudo di monsignor
Angelo; e gli aggiunti dopo di esso; e prima di questa convenzione, saranno i
pesi di S. Giovanni, trasportati a S. Maria. Di più tutti i pesi che debbonsi de jure portare dalle Collegiate, dippiù
le Messe basse, addette a ciascuna Terra, secondo i legati dei benefattori.
Noto
però che in quel principio, sebbene si cantavano (come si faceva ab antiquo) le Messe in S. Maria, nei
giorni festivi, e così i primi e secondi vespri nelle Domeniche, e nelle feste
della B. Vergine, e dei Santi doppi,
e cioè di precetto, così cantavano ancora nei giorni dei loro titoli, nelle
altre Chiese battesimali: ma non si recitavano l’Ore canoniche che s’incominciarono
a recitare in S. Maria nel 1669 per legato di D. Diana de Capua, né si cantava
la Messa conventuale quotidie, che
incominciossi a cantare per lo stesso legato, senza obbligo di applicarla: né
si applicava pro benefactoribus che
cominciossi a fare nel 1682 per legato di D. Carlo Gaetano.
Cap. VI
[164] Con quali decorazioni, ed insegne di coro e
di stalli fu eretta la nuova collegiata di S. Maria
I.
La prima delle Prerogative di S. Maria fu quella di avere la Prima Dignità,
cioè l’Arciprete, ben prebendato.
II.
La seconda fu quella di avere il Suggello, e Cassa comune, ed aver voto in
Capitolo, la Prima Dignità io dissi.
III.
La terza fu quella di aver Canonici in Titulum
collectivum, sebbene non dall’Ordinario, e dalla Sede Apostolica, ma per privilegio
concesso dalli medesimi suoi membri.
IV.
La quarta fu quella di avere li Stalli nel coro, conservatisi nella vecchia
Chiesa sino agli anni passati, che minacciavano rovina fu d’uopo demolirla, e
toglierne i medesimi, già per la vecchiezza ancor mezzo consumati, conoscendo
essi la medesima antichità della Collegiata, ed il principio di questo secolo
XVI, onde gli avversari di S. Maria, che nella lite preminenziale le si
opposero nella S. C. de’ Riti nel 1735, con dire che detti Stalli erano
rosicchiati dai tarli, e cigolavano sotto pié dei Canonici, furono derisi
poiché dalla novità del loro Coro, e dalla vecchiezza di quello di S. Maria,
appariva la Maggioranza, ed antichità di costei; perché tanto prima di loro
ebbe Stalli per li Canonici suoi; che non ebbero essi se non che dall’anno
1719, che furono accresciuti al numero di dodici, giacché prima di detto tempo
non ebbero affatto alcun Coro.
V.
La quinta fu quella di vestire l’Almuzia, senza però il cappuccetto per
distintivo dei Canonici della Cattedrale alifana, dei quali non più che
sessant’anni addietro, l’abito canonicale altro non era che quest’Almuzia col
cappuccetto, e la cotta, sebben poi, avendo essi preso il rocchetto in tempo
del Vescovo Isabelli lo presero ancora i Canonici di S. Maria, ed anche il
cappuccetto; se non che Monsignor Sanseverino concesse loro la mezza cappa, e
così la lagnanza ebbe fine.
VI.
La sesta fu quella di essere unica Collegiata in Piedimonte, e non accompagnata
da due altre, cioè quella di S. Croce del Castello superiore, e quella della
SS.ma Annunziata della Vallata. Apparisce ciò chiaramente dal Breve
di Pio IV, della data di Roma dei 17 Ottobre 1564, diretto al Vescovo di
Caiazzo, e suo Vicario generale; spedito detto Breve per l’istanza ad esso Papa
fatta dalla Collegiata di Piedimonte, contro gli attentati del Vescovo Giacomo.
Né si meravigli chicchessia, che solamente S. Maria sia detta Collegiata della
Terra di Piedimonte, perché non va a ferire la chiesa di S. Giovanni, che non
era riputata Collegiata di Piedimonte in quel tempo, come non lo fu mai: e non
va a ferire S. Croce, perché sita nel Castello superiore, che giudicavasi non
Corpo di Piedimonte, ma Ripartimento: né va a ferire la SS.ma
Annunziata, che dicevasi di Vallata in perti- [166]
nenza della Terra di Piedimonte; come nell’Istrumento del 1504, stipulato da
Notar Nicola d’Angelo « d’Angelillo »; e nell’altro del 1525, a’ 22 Ottobre,
stipulato da Notar Battista d’Eremita.
VII.
Ma il privilegio più bello di S. Maria fu quello di eligere i successori dei
canonicati di lei, che vacassero post
obitum, o cessione, giacché, siccome i preti beneficiati di Piedimonte
eligevano i successori nei benefici, come consta dal laudo del Vescovo Angelo,
così divenuti essi Canonici della Collegiata di S. Maria, si confermarono un
Privilegio così speciale, e raro; né lasciarono, che il Pontefice, o
l’Ordinario conferissero i loro Canonicati, mantenendosi in tale possesso da
che vennero fondati; e ne spediva a favore di quelli che eligeva lo stesso
Capitolo, la Bolla. Due delle quali, cioè dell’anno 1534, e dell’anno 1535,
dice di aver vedute Monsignor Dossena, nella sua relazione al Cardinale
Pro-Datario, nel 1680. Anche in appresso si fece senza spedire a favore degli
Eletti le Bolle, ma solo facendo stipulare da un Regio Notaio un atto pubblico:
quale si è mello stipulato per Notar Ercole de Parrillis di Piedimonte, a 14
Aprile 1550, con cui l’Arciprete D. Marco Confreda, ed altri Canonici di S.
Maria conferirono a D. Girolamo Paterno il canonicato vacato per morte di D.
Francesco Natalizio [167]. E quale finalmente si
è ancora quell’altro stipulato per Notar Ercole de Parrillis del 1560, con cui
l’Arciprete, e Canonici di S. Maria sopradetti crearono il Prete D. Fulvio di
Franco per Canonico, in luogo di un altro Lor compagno premorto.
Andò
nulladimeno a crollare col tempo questo bel Privilegio, ma cominciamo dall’ovo.
Discordie fra il capitolo di S. Maria ed
il Vescovo Giacomo Giberto
Nel
decorso di anni diciotto da che fu cominciato il S. Concilio di Trento, sotto Papa
Paolo III Farnese nell’anno di Gesù Cristo 1545 sino a che terminò nel 1563
sotto Papa Pio IV de Medici; siccome ebbe la S. Chiesa Romana cinque Pontefici,
cioè lo stesso Paolo III, ed indi Giulio III de’ Monti, indi Marcello II
Cervini, ed indi Paolo IV Caraffa, e finalmente il già detto Pio IV, così la
Chiesa di Alife ebbe cinque Vescovi, cioè Ippolito de Marsiliis, di Lucca, e
poi Sebastiano Pighi, da Regio di Lombardia, e poi Filippo Serragli,
Fiorentino, e poi Antonio Agostino, da Saragozza, e finalmente Giacomo Giberto,
da Nogueras, Spagnuolo.
Or
questo Giacomo appunto è quel Vescovo di Alife, che eletto appena a dì 8 Ag. da
detto Papa Pio IV, e venuto in Diocesi cominciò a brigare col Capitolo della
sua Cattedrale, e coi Cittadini di Alife, [168] non
meno che col clero della Diocesi, e soprattutti coi Canonici di S. Maria
Maggiore di Piedimonte a causa che voleva Egli eligere i Canonici di essa
Chiesa nelle vacanze, e non permettere, che eligesse secondo il solito Capitolo
per maggioranza di voti.
Ma
essendo convenuto andare dopo poco ad assistere per ordine del Re Filippo II al
Concilio di Trento, assieme con altri vescovi Spagnuoli, si unì in istretta
lega con essi, ponendo in scompiglio il Concilio medesimo col suo, e di loro
naturale focoso. E con esso cessò nel medesimo tempo di tenere (benché lontano)
in moto, e scompiglio S. Maria con le sue minaccevoli Lettere, se non si fosse
fatto secondo il suo irragionevole volere. (Pallavicino Cardinale, e Sarpi, del
Conc. di Trento, allude a quel di sopra).
Per
la qual cosa furono forzati nel 1564 ricorrere, prima che tornasse in Diocesi
Monsignore, i Canonici di essa Collegiata di Piedimonte a detto Papa Pio IV, ed
essendo gli attentati di esso Vescovo, impetrarne il Breve anzidetto, della
data dei 17 di Ott., diretto, come si è detto al Vescovo di Caiazzo, e suo
Vicario Generale, acciò colla comminazione delle Censure, e colla implorazione
del braccio Secolare contro gli attentati del Vescovo Giacomo, avessero
mantenuto essi Canonici nel possesso immemorabile di nominare, e presentare i
Semplici Preti alli Canonicati della Loro Chiesa, omni appelatione remota.
Questo
Monitorio però, così concepito, non diede soddisfazione ai Canonici di S.
Maria, perché non stimavano, che il loro possesso fosse di nominare, e
peresentare, ma di eligere, e conferire; per la qual cosa non vollero passare
avanti, né perseguitare il di loro Pastore, facendoli parti contro nel processo
che li si faceva nel S. Officio di Roma, dove era inquisito di Eretica pravità
e Carcerato. [169] Quello però, che far non
volle detto Capitolo di S. Maria di Piedimonte, lo fece la Cattedrale di Alife,
cioè l’Arcidiacono Ascanio e Notariis, il Primicerio Troiano Mirillo, e sei
altri Canonici, li qual a dì 30 Sett. 1565 dentro la Chiesa di S. Lucia, si
costituirono davanti a Notar Ercole de Parrillis di Piedimonte, e per Atto
Pubblico fecero Procura in testa del Dottor Luigi Droghi, commorante in Roma, a
comparire coram SS.mo Papa Pio
IV e gli Officiali della S. Inquisizione, a denunciare, certificare, e
notificare tutti li Scandali, mali esempi, e gravami per lo R.do
Giacomo Giberto, Vescovo Alifano, fatti e dati. Trasmisero al detto Procuratore
a dimandare, a Loro nome, al detto Sommo Pontefice, di provvedere detta Città
di altro Cattolico Pastore, dopo che, come si dice, detto Vescovo sta carcerato
in Roma per Eretica Pravità.
Lo
stesso giorno in Alife dentro la Chiesa di S. Caterina, si costituirono avanti
lo stesso Notaro il Sindaco Florio Petronio, ed il Correttore Francesco
Carlone, e tutti gli uomini di detta Città, ivi congregati, facendo per Atto
Pubblico Procura al medesimo Dottor Luigi Droghi, commorante in Roma a
comparire davanti il S. Padre, contro il R. Giacomo Giberto, loro Vescovo,
accusarlo al S. Officio, e fare istanza al Papa provvedere: la loro Chiesa di
altro Cattolico Vescovo.
Che
volete, che io dica di questa Tragedia? Altro non so, che Monsignor Giacomo
morì nella sua Carcere nel 1566; ma Papa Pio IV lo prevenne morendo a dì 9 Dic.
1565. Voglia Dio, che tutti Due siano in Luogo di Salvazione.
[170] La Collegiata di S. Maria il privilegio di
Creare Canonici, quindi le Bolle secondo il Decreto del Conc. Trid. Cap.
Vince
la Causa S. Maria contro il Vescovo Giacomo Giberto da Nogueras col detto
Monitorio, impetrato dal Papa, ma si trovò che l’aveva perduta, subito che si
vide, che nel Concilio si era ordinato che si osservassero le Regole
dell’Apostolica Cancelleria. Onde indi poi si provvidero i Canonicati secondo
la Regola dei Mesi, quando dal Papa, e quando dall’Ordinario colla spedizione
delle Bolle e dell’Uno e dell’Altro, secondo che il caso occorreva, non più
colla Elezione dei Capitolari, o coll’Atto Pubblico, stipulato da Regio Notaio.
E così essendo Essi Bollati, si fecero tali ancora i Preti di S. Croce del
Castello Superiore, e quei della SS.ma
Nunziata della Vallata, perché nelle vacanze cominciarono ancor essi
a ricorrere in Dataria.
Questa
dunque fu l’Epoca memorabile di detta Spedizione di Bolle, prima per S. Maria,
e poi per l’Annunciata, e S. Croce, cioè dopo la morte del Vescovo Giacomo, o,
per dir meglio, dopo il Concilio di Trento cominciato nel 1545 e terminato nel
1563.
[171] Ma come in detto Istrumento del 1504, i Canonici
di S. Maria si protestarono di non voler, con la Divisione, che fecero delle
loro Terre, in due parti uguali, inferir Pregiudizio alle loro Bolle,
protestandosene in ogni modo e maniere, a cagione di non confondere le Bolle
predette?
Si
risponde che non intendevano delle loro Bolle particolari, che non erano
cominciate ancora a spedirsi a ciascuno, come si è detto, ma delle Bolle di
Erezione della loro Chiesa in Collegiata nella quale doveva certamente essere
stato ordinato, che i Canonici dovessero vivere in Massa Comune, come erano
stati soliti a vivere i Preti loro Antecessori, a norma del primo dei
Regolamenti del Vescovo Angelo, che dice, che tutti i frutti, rendite e
proventi de’ loro Beneficii.
Essi
Preti se li dividessero comunemente tra loro e dovessero tenere in comune
quella parte dei stabili, che tenne, e possedé il Prete, che morì. E vi doveva
ancora essere stato ordinato, che a norma del III Regolamento del Vescovo
Angelo, si dovessero seguitare ad esigere tutti i frutti della medesima Chiesa,
dai Patìni, che avevano facoltà di distribuire a ciascuno, la parte che
spettava delle rendite, e frutti. E perché colla divisione delle Terre
suddette, si veniva a derogare in certo modo alla Messa comune, ed a farsene
tante prebende, fecero ottimamente a protestarsi, di non intendere di inferir
pregiudizio alle lor Bolle, e di non volerci recare confusione, di modo che,
accadendo vacanza di luogo, il successore passi nel numero di quelli della
medesima parte, nella quale la vacanza sia accaduta, il che vuol dire, che non
vi stia Ostrazione di quelli dell’altra parte, la [172]
citazione avrebbe generato confusione, e litigio in quel tempo.
Tutto
ciò non ostante, vediamo, che la detta divisione delle Terre della Chiesa di S.
Maria in due parti (i frutti di una delle quali, si godevano da sei Canonici,
ed i frutti dell’altra, da altri sei) da immemorabile tempo è stata abolita. E
da altro immemorabile tempo posteriore, vi si è fatta un’altra divisione in tre
parti, della prima delle quali si godono quattro Canonici, della seconda
quattro altri, e della terza quattro altri. E nella vacanza vi è l’ostazione,
passarvi di modo che in qualunque parte la vacanza succeda, sulla fine di
Agosto è libero a ciascuno Canonico superstite, incominciando dai Seniori; e
quella che resta vacante, si occupa dal Canonico nuovo. Quando ciò cominciasse
ad osservarsi, ci è ignoto, perché non l’abbiamo trovato registrato; e neppure
si trova il libro antico del Registro di esse Terre; e quello che abbiamo, è
moderno, del 1703, con le dette tre parti.
Secolarizzazione di Sant’Angelo - La secolarizzazione di Sant’Angelo, di notabile
troviamo avvenuto nella Chiesa di S. Maria Maggiore, in tempo del Vescovo
Angelo Rossi, successore di Giacomo; perché il di lui Vescovado non durò più di
un anno, vale a dire dal 1567 al 1569. In quello poi del Vescovo Gian Battista
Santorio, che ne durò diciotto, sebbene avvenne la traslazione del Monastero
delle Benedettine del Monastero di S. Salvatore, che era fuori dell’abitato di
Vallata, dentro il [173] Distretto di S. Maria,
e propriamente nella Piazza detta della Crocevia; non meno che la fondazione
dei Cappuccini nello stesso Distretto, nel luogo detto la Petrara; seguitò Ella
a godere la sua pace, e non è punto vero che Egli, questo buono e dotto
Prelato, fosse l’Autore di una falsissima Bolla, in cui si dice, che avesse
soppresso sei Canonicati di S. Giovanni, ed erèttili di nuovo in S. Maria, a
cui avesse aggiunto ancora l’Arciprete, che non aveva prima Chiesa alcuna, dove
potesse celebrare la Messa. Vergognose calunnie, addossate a Monsignor
Gianbattista in occasione di certo piano, che non mancheremo di registrare a
suo luogo.
Nel
tempo poi che fu Vescovo di Alife Fra Enrico Cini, da Siracusa, cioè dal 1586
sino al 1594, fu secolarizzata la Chiesa di S. Angelo, una delle Parrocchie
soppresse da Sanfelice perché non piacendo a lui la Stanza di Alife, e godendo
di quella di Piedimonte, avuta una piccola abitazione accosto la detta Chiesa,
sul pretesto che minacciava rovina, per l’antichità, profanolla, e vi si
edificò, col consenso dei signori Canonici, una casa mediocre.
Osservazione.
Della secolarizzazione, e profanazione della Chiesa di S. Pietro, altro non
sappiamo che fu Ella conceduta in enfiteusi, affrancato gli anni passati, 1586.
[174] Capitoli di
tutta la Diocesi celebri in S. Maria oltre il Capitolo di tutto il Clero di
Piedimonte, celebrato nel 1417, l’altro nel 1471, 30 Marzo, nella stessa
Chiesa, di S. Maria - Nel principio del governo del detto F. Enrico Cini,
trovasi celebrato un Capitolo Generale di tutto il Clero dell’Alifana Cittò, e
Diocesi, congregato, e radunato insieme, a suono di campanelli, nella Chiesa di
S. Maria Maggiore, di Piedimonte, ad
instar Cathedralis, stipulandosi uno Istrumento di transazione tra il clero
Alifano, e di tutta la Diocesi, e l’Ill.mo D. Gio. Angelo Egizzio,
Visitatore e Commissario generale, Deputato della Sede Apostolica sopra gli
Spogli della detta Città, e Diocesi, e ciò per atti di Notar Emilio Paterno di
Piedimonte, a dì 20 Feb. 1587. Intervengono al medesimo D. Marco Petronio, ed
altri canonici del vescovado della città di Alife. Don Cesare de Girardis,
arciprete ed altri del Capitolo di S. Pancrazio della terra di Prata. D.
Alessandro Perrino, Vicario generale alifano. D. Torquato Saccente, ed altri
canonici della Ven. Chiesa di S. (M.) Maggiore di Piedimonte, sino al numero di
nove, D. Giovannello Tartaglia, ed altri Can. della Ven. Chiesa dell’Annunziata
della Vallata, sino al N. di cinque [175]. D.
Biagio Perrino ed altri Canonici della Ven. Chiesa di S. Croce del Castello di
detta terra sino al N. di cinque. Asseriscono, che nelli mesi scorsi si fusse
fatto un contratto di composizione tra li suddetti canonici, cleri, e capituli
di essa Alifana Diocesi, e l’Ill.mo e Molto R.do D. Gio.
Angelo Egizzio, visitatore e commissario generale, deputato dalla S. Sede
apostolica, col quale si era convenuto di pagarsi quotannis a nome di spoglio, una data somma, con liberarsi poi
ciascun canonico, e beneficiato di esserli sequestrato quanto in morte si
trovava presso di lui, sotto pretesto, che l’avesse acquistato con le rendite
della Chiesa.
Questo
spoglio si è esatto dalla Cattedrale alifana, e si è pagato da essa alla
Nunziatura di Napoli dal detto anno 1587 sino al 1762, quale il pietosissimo
Carlo III Borbone, che conquistò Napoli, nel 1733, ce ne liberò, ordinando, che
non più si pagasse, come dalla Consulta, del Delegato della Giurisdizione de’ 6
Gen. 1757, e nel Dispaccio dei 15 Maggio 1762.
Di
altro simile Capitolo, fatto nella Chiesa di S. Maria Maggiore, ad instar Cathedralis si parlerà nel
principio del secolo seguente, o sia nel 1603.
Appendice
[176] Falsa bolla di Gian Battista Santoro vescovo:
Della Arcipretura di Piedimonte.
Siccome
alfine dell’antecedente secolo XV abbiamo registrato i falsi Editti del vescovo
Angelo, per non mischiarvi colle scritture autentiche, leali; così ci fa ora
mestieri registrare in questa Appendice del secolo XVI, la falsa bolla del
vescovo Gian Battista Santonio, della quale poco dianzi abbiamo fatto menzione,
dicendo, ch’egli fosse stato calunniato, come autore di una falsissima bolla,
di collazione dell’arcipretura di S. Maria, in persona di Gian Vincenzo
Paterno, con la falsa assertiva, ch’egli prima, in S. Visita avesse soppresso
sei canonicati di S. Giovanni, ed erettoli di nuovo in S. Maria, a cui avesse
annessato ancora l’Arcipretato di Piedimonte, che prima era vago, e non aveva
chiesa alcuna, dove celebrare la messa. Tralasciando però di qui riferire
l’occasione che presero di commettere tale eccesso gl’infelici falsificatori,
riferiremo qui solamente il tenore di detta malnata scrittura, perché ad
evidenza se ne vegga la falsità inescusabile. Ed eccone il promesso tenore
dell’assertiva però solamente.
Joannes
Baptista, Dei et Apostolicae Sedis gratia Episcopus Allifanus ad perpetuam rei
memoriam. Ex
injuncto nobis, meritis licet imparibus, Episcopalis Dignitatis officio. Cum
igitur Nos, alias Dioecesim No- [177] stram
Alliphanam, pro injuncto Nobis pastorali officii debito, et executione, et
Sacrorum Canonum, praesertim Concilii Tridentini observatione visitantes,
comperissemus quod Terra Pedemontis Nostrae Dioecesis, quae Collegiali S.
Mariae Majoris nuncupatae existebat, in qua licet decora, et venuta, ac in
ampla forma constructa, et aedificata, nulla Dignitas et Sex dumtaxat Canonici
reperiebantur. Nos igitur pro majore Dei honore, et cultu, et veneratione,
Archipresbyteratum dictae Terrae, cuius Archipresbyter pro tempore existens
nullam determinatam Ecclesiam habebat, in qua grates Deo Hostiaso fleret, in
eandem Ecclesiam transtulimus, illudque inibi in Dignitatem principalem, cui
cura imminet animarum authoritate
ordinaria, perpetuo ereximus. Et pro majori populi antedicti et terra devotione
spirituali consolatione, in eandem Ecclesia divini cultus augumentum, sex
canonicatus, ac totidem, praeben di in Ecclesia S. Johannis Baptistae dictae
Terrae, ad conventum Christifedeliuim minime apta, et in loco ad id minus apto,
et fere inaccessibili, et non frequentato, existente, et populi dictae Terrae
devotione erga eam in dies refrigescente, sita, inibi suppressimus et
exstinximus, totidemque Canonicatus et preabensas, loco suppressorum
praedictorum, in eadem Ecclesia Beatae Mariae, pro sex canonicis cum aliis
dictae Ecclesiae B. Mariae Canonicis, unum Capitulum efficerent, ac hora
canonicas, aliquae [178] divina Officia, ad Dei Laudem, gloriam et
honorem, decantarent, eadem authoritate similiter perpetuo, sub certis
rationibus, modo et forma, tunc expressis, ereximus, et instituimus. Et cum
praedictus Archipresbyteratus, et extra Romanam Curiam vacaverit, et vacet ad
praesens.
La
falsità di questa bolla deve dare negli occhi di chiunque abbia letto le cose
da noi poste in nota in questa nostra cronaca, e che vi si noteranno nei secoli
seguenti, colle quali discorda toto coelo
(?), la soprascritta assertiva, essendo i fatti passati assai diversamente,
di quello che in essa si apportano.
I.
Come non è falso quel
dirvisi che in S. Maria « nulla dignitas
et sex dumtaxat Canonici reperiebantur »? I pubblici documenti attestano
che vi era la dignità arcipretale dai secoli più rimoti. Vedi la nostra
prefazione che vi fussero XII canonici dal 1504 in poi, si è dimostrato alla
lunga. E come nel 1581 n’aveva trovato sei solamente monsignor Santorio? Erano
forse spariti gli altri?
II.
E come non sono
apertamente quelle di aver trasferito in S. Maria di autorità ordinaria l’arcipretato
della Terra di Piedimonte, e di averlo eretto in Dignità principale, col peso
della cura delle anime, giacché prima non aveva chiesa alcuna determinata, in
cui potesse celebrare la S. Messa? Quante bugie in poche parole! Egli non
avrebbe avuto autorità alcuna di farlo se l’avesse fatto, perché visse dopo il
Concilio di Trento, ma lo trovò fatto molti secoli prima, [179] che desso fusse nato. Oh povero arciprete di
Piedimonte, svergognato da un falsario di non avere una chiesuola da
celebrarvi, quando la Matrice di tutte era il suo titolo! Ma qual cura delle
anime ebbe mai l’Arciprete dopo che monsignor Angelo ebbe quella addossata ai
Patini e Procuratori? Si vedano i suoi Regolamenti.
III.
Ma che sfacciataggine è
quella di far dire a questo Prelato, di aver egli soppresso, ed estinto sei
canonicati, che erano nella chiesa di S. Giovanni? L’arcivescovo Corrado nel
1481 ve ne stabilì solo cinque di nome; ma in verità non ve ne fu mai alcuno.
Ora nel 1581 si fa attestare al Santorio di averne soppresso sei. Che modo di
pensare puerile! Bisognavano sei canonici a questo ribaldo scrittore per
situarli in S. Maria, cinque non bastavano, ce ne aggiunse uno di più, se no,
non poteva trovarsi nei coti. Ma pensar doveva ai redde rationem, che gli poteva, che gli poteva esser detto.
IV.
E quel sogiungere: « totidemque Canonicatus, et praebendas, loco
suppresorum praedictorum, in Ecclesia B. Mariae ereximus et instituimus...».
È cosa, che tira i sarcugnoni dalle mani più innocenti. Ma grazie signor mio,
chiunque tu sei, S. Maria da tre secoli ha dodici Capitolari, non ha bisogno di
questi altri sei, che vuoi darle.
V.
Lascio tutto il dipiù
che si potrebbe notare per la falsità di falsissima carta, che porta la data di
fuor la Porta Nomentana, altrimenti Pia di Roma, della Diocesi [180] di Tivoli, nell’anno 1581 a’ 22 di Dicembre, alla
presenza di due Familiari del vescovo, senza il di lui ordinario Sigillo, ma
solo sottoscritta da un Notaio, senza che il suo carattere sia legalizzato da
due altri Notari. Gatto ci cova!
Intanto io mi prometto di non voler incolpare
chicchessia di una falsità così sporca. Ella si conosce, che sia fattura degli
anni, che seguirono il MXCLXII (1662) che si agitò in Roma la gran lite della
Insignità tra S. Maria Maggiore da una parte, e fra le chiese dell’Annunciata e
di S. Croce dall’altra; e lo deduco per certo, perché se fusse fattura degli
anni antecedenti, si sarebbero serviti di essa gli avversarii per provar
l’unione insufficiente di S. Giovani a S. Maria. Ne avrebbe fatto capitale il
Pro-Datario Cecchini, ne avrebbe fatto menzione Monsignor Dossena nella sua
relazione colà. Onde conchiudo che è opera del corrente secolo XVIII.
Fine del secolo XVI