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Gianfrancesco Trutta

 

CRONACA   DI  QUATTRO   SECOLI

 

Terza parte

 

 

·        Secolo XVIII

 

[252] Se negli antecedenti Secoli Della Insigne Collegiata di S. Maria Maggiore di Piedimonte abbiamo procurato di meritarci indubitata Fede, e Credenza tra le tante Scritture, che abbiamo prodotto in compruova di ciò, che abbiamo fedelmente narrato di quanto a detta Chiesa è avvenuto: maggiore Fede crediamo di meritare nella Istoria, che ci accingiamo a rapportare di questo corrente Secolo XVIII, narrando cose, non solamente da Noi lette, e sentite dire, ma cogli Occhi proprii vedute, potendo dire con Enèa presso Virgilio: Eneide Lib: 2° – “...Quaeque ipsa miserrima Vidi, / Et quorum Pars magna fui...” .

 

 

Delle Brighe Per Le Candele Delle Esequie

 

Sino dal 1695, allora che reggeva la Chiesa Alifana Monsignor D. Giuseppe de Lazara, ricorsi essendo da lui i Sacerdoti, e Chierici della Città di Piedimonte, esposero, che venivano forzati a consegnare le Candele, che gli erano date a portare in mano dai Parenti delli Defunti nelle Esequie di Questi; da Canonici, e Curati delle Chiese di S. Maria [253] Maggiore, della Annunciata, e di S. Croce, a loro stessi, sul pretesto, che tutte le Cere delle Esequie Spettino al Parroco; quandoché in Piedimonte non vi era consuetudine di lasciarle, ma ritenerle per Se, a titolo di Limosina, come si praticava nella Città di Alife, ed in tutta l’Alifana Diocesi; onde si degnasse ordinare, che non venissero per tale causa più molestati . – Se ne ordinò l’Informo; e D. Biagio Sanzio, D. Benedetto Valente, e D. Pietro Caicchia, Canonici della Cattedrale di Alife, testimonii prodotti dai medesimi Preti, dissero, che in Alife si praticava, che Ciascuno del Clero si riteneva quella Candela, che gli si dava a portare accesa nella Processione del Funerale; e così ancora avevano veduto praticare in Piedimonte, quante volte insieme col di loro Capitolo, erano intervenuti alle Esequie dei Vescovi, e dei Baroni del luogo. – In quanto poi alle altre Esequie, sapevano, essere state sempre Brighe, Contrasti, e Dissidii fra detti Preti, che ricusavano dare le loro Candele ai Curati, e Canonici di dette Collegiate, e fra essi, che le Dimandavano. –

Si interpose il buon Prelato per vedere di Quietare nel miglior modo le Parti altercanti, ma queste si trovavano troppo accanite, perché in ogni Esequie di Persona benestante, dove oltre il Capitolo, era invitato ad intervenire il Clero, vi accadeva una guerra Civile, anche fra laici [254] qual tenendo le parti dei Canonici, quale dei Preti e dei Chierici, che allora erano molti, tanto che in Piedimonte si contavano Quarantadue (XLII) Preti, detti extra-partem, e Venti (XX) Chierici, oltre Dodici (XII) Seminaristi, che allora per Abuso intervenivano anche Essi nei Funerali, Onde fu espediente lasciali ricorrere alla Sacra Congregazione dei Vescovi, e Regolari, dalla quale a 25 Maggio del 1703 fu Decretato. –

Aliphana Funerum, seu Candelarum inter Parochos et Canonicos Collegiatae Terre Pedemontis, et Prebyteros extra partem, et alios.

Constare De Sufficienti Consuetudine Reliquendi Candelam In Casu, De Quo Agitur. –

Presentato quindi esso Decreto nella Vescovile Curia di Alife, a dì 30 Giugno dell’anno medesimo, (1703) si ottenne da Monsignor Angela Maria Porfirio, da Camerino, (città nell’Umbria) che sino dai 5 Marzo di esso anno governava la Chiesa di Alife, un mandato contro i Sacerdoti, e Chierici di Piedimonte, e della Vallata, acciocché, sotto pena di ducati Venticinque per ciascheduno, ed in sussidio della Scomunica, nell’associare, che facevano i Defunti, dovessero eseguire il Soprascritto Decreto juxta Sui Seriem Continentiam etc.

Qual Decreto venne ancora intimato a dì 9 del seguente Mese di Luglio ai medesimi Preti, che ai Dieci del Mese istesso ne appellarono formalmente alla Apostolica Sede. [255] Ma perché l’Appellazione non fu proseguita inter legitima tempora, e restò la causa deserta, Furono sempre astretti a lasciare le dette Candele.

Avendo però da quel tempo i Benestanti incominciato ad eligersi la Sepoltura nelle Chiese dei Regolari; ed essendosi andato sempre a diminuire il numero dei Preti, e dei Chierici; e così ancora lagnandosi i Cittadini, che per tali Brighe erano proibiti di invitare tutto il Clero alle Esequie dei loro Defunti, i Signori Canonici hanno da un pezzo incominciato a dissimulare, e tacitamente consentire, che detto Clero si approprii le sue particolari Candele, e sonosi tolte le Scandalose bajate.

 

 

Congregazione, Monte dei Morti del Santissimo.

 

Monsignor Fra Girolamo Zambeccari nell’anno 1625; che fu il primo Anno del suo Vescovado di Alife, venuto in Piedimonte, eresse dentro S. Maria Maggiore una Congregazione, o sia Monte de’ Morti del SS.mo Sagramento, aggregandovi quanti Fratelli vi si avessero voluto ascrivere, col solo peso di pagare due grani, e mezzo il Mese, e col godere il suffragio di tre Messe il giorno da celebrarsi per detto Monte, ed in morte di ciascuno Fratello, o Sorella, Messe Quaranta basse, di una Cantata, oltre il dritto delle Esequie, da soddisfarsi ai Signori Canonici, che associati gli avrebbero.

Fra queste ed altre Regole, che il detto Prelato formò [256] vi fu quella, che dessa Congregazione, o Monte, dovesse governarsi da un Rettore, Canonico della Collegiata, e da un Segretario, Prete estraparte, che dovesse attendere alla Esazione, e registrarla nel libro, e soddisfare i pesi, colla subordinazione al Rettore.

Quindi per anni ottanta regolatasi la Congregazione medesima, in modo che ciascun fratello n’era contento, e la medesima era cresciuta in dovizie, poi che tutto quello, che era sopravanzato dalla Esazione dei Fratelli, dalla soddisfazione delle Messe, Esequie ed altro, erasi posto in Capitale, e compratene annue rendite a quella buona ragione che allora correva; – Venne in testa a Monsignor Porfirio nel 1706 di creare Esso in ciascuno Anno il Rettore, e Segretario della Congregazione anzidetta, e toglierne l’elezione ai Signori Canonici, che da 80 anni erano in possesso di farla, onde volerla nel fine di detto anno 1726 proibire ai Canonici, e farla Egli, a cui credeva, che appartenesse per le massime della Curia Romana, dalla quale egli veniva. – Ma i Signori Canonici di S. Maria avvertiti di ciò, ricorsero in tempo all’Auditore dell’Apostolica Camera in Roma, e a dì 4 Sett: del medesimo anno ne ottennero ampio Monitorio contro il promotore della Sua Curia, a cui lo fecero intimare giuridicamente; – Ma il Vescovo allora considerato il Possesso inveterato, che di far tale elezione aveva il Capitolo, e conosciuto, che Ella in pieno dritto a lui spettava, come quello, ch’era composto dei principali Fratelli, riserbandosi solo l’elezione dei Razionali per vedere i Conti [257] di detti Uffiziali, cessò dalla sua Prensione, e chetossi, anzi col pretesto del miglior Regolamento di esso Monte, rivedere ne volle le Regole, e ve ne aggiunse, e postillò, e sghinizzò a suo talento.

 

 

Pretesa Separazione Della Arcipretura.

 

Era già nell’anno 1706 molto invecchiato il Dottor di legge D. Giov: Angelo delle Nozze, Canonico, ed Arciprete della Insigne Collegiata Chiesa di S. Maria Maggiore, quando veniva continuamente importunato dal Chierico Nicola Potenza, suo Nipote ex Sorore, perché prima che morisse, gli rinunciasse ad favorem il suo Canonicato, e la sua Dignità. – Il buon vecchio, che amava il Nipote, ma amava più se stesso, avrebbe voluto compiacerlo, ma non si risolveva a spogliarsi di quell’Onore, che lo aveva fatto rispettabile per tanti anni, e li diceva: – Io vorrei, Nicola mio, consolarti, ma non vorrei sconsolarmi, perché dopo la Rinuncia, restando un Semplice Prete, vecchio, e cadente, sarò il Peripsema di Tutti. – Replicava il giovinetto – Almeno, Caro Zio Arciprete, rinunciatemi il Canonicato, che può dare Sussistenza, e ritenetevi l’Arcipretura, che vi farà rispettabile sino alla fine dei Giorni vostri. – Questo gli diceva ancora il Padre e la Madre del giovine, cognato, e Sorella dell’Arciprete. – [258] Stà, se si può fare, se la Cosa ha il suo Cammino, soggiungeva il buon vecchio – Si conchiuse prenderne il parere dei Savii; ma Questi prevenuti da quelli ai Quali importava la Effettuazione dell’affare, e che travedevano per la passione, consigliarono l’Affermativa, aggiungendo soltanto, che si doveva usare Segretezza. – Onde Segretissimamente si stipulò la rinuncia del Canonicato all’uno, e la riserva della Arcipretura all’Altro; e si mandò in Datarìa, colla Ratifica, e col Contante. – Onde in un tratto furono spedite le Bolle, che venute in Piedimonte, fecero, che il Nicola Potenza ex abrupto si mise del Canonicato in Possesso. –

Restarono Storditi a tale accidente gli altri Capitolari di S. Maria, ed altro in quel Frangente far non poterono, che dire di Nullità di quell’Atto, con protestarsi, ed appellarne Ad Sanctissimum – Ed infatti se ne introdusse la lite nella Segnatura di Giustizia, dove furono presentati dai Signori Canonici i Documenti contro il Dismembramento dell’Arcipretura dal Canonicato, fra quali forse, e senza forse andò la Fondazione in Collegiata di S. Maria, e della Arcipretura in Dignità della medesima, che ora si è perciò disgraziatamente perduta, se non si era prima perduta negli incendii dell’Archivio Alifano del 1565, e del 1675. –

[259] Presentaronvi ancora il delle Nozze, e ‘l Potenza le loro mendicate Scritture, che credevano, che facessero a prò di detta separazione, ed allora saltò fuori quella miserabilissima, e falsissima Bolla, attribuita a Monsignor D. Giambattista Santorio del 1582 di cui si è fatta da Noi parola nella Appendice, posta nel fine del Secolo XVI, su della quale, credendola Scrittura Leale, mi ricordo, che faceva gran fondamento l’Avvocato D. Domenico di Tomaso (natio di Piedimonte, ma che in Napoli aveva acquistato gran fama) in una allegazione, che scrisse a favore di essi delle Nozze, e Potenza, dicendo, che perché Monsignor Santorio aveva nullamente unito l’Arcipretura di Piedimonte al Canonicato di un tal D. Vincenzo Paterno in S. Maria, usurpandosi una facoltà, che dopo il Concilio di Trento è del Sommo Pontefice, quindi dovendosi tale unione avere per non fatta, era stato libero al delle Nozze rinunciare al Canonicato, e ritenersi l’Arcipretura. – Era Sottile l’Argomento, ma laborabat in Falso Supposito, come dicono i logici.

Si agitò dunque la Causa in detta Segnatura di Giustizia, che odorata la Falsità della Bolla Santoriana, e veduto, che l’Arcipretura era stata sempre unita al Canonicato, a 23 Dic: 1706 decretò che si circoscrivessero i possessi dei Beneficii, e sopra i loro frutti si mettesse il sequestro. –

[260] Qual Rescritto fu confermato dal Cardinal Spada, Prefetto di detta Segnatura di Giustizia colla Formola – Pareto literis arbitrio Rotae, circumscripta possessione, et apposito Sequestro – come apparisce dal mandato di esso Prefetto delli 17 Febbrajo 1707, o sia dall’Istrumento originale di detto Decreto, che fu presentato nella vescovile Curia Alifana a dì 12 Marzo dell’anno medesimo, e nello stesso giorno, dal Cursore Ordinario di lei intimato, e notificato a detto R.do D. Gio: Angelo delle Nozze, ed al Chierico Nicola Potenza in casa propria, relicta Copia Authentica in potere di esso D. Gio: Angelo, e chierico Nicola – quali si accorarono tanto della perdita di tal causa, che fra breve ambedue se ne morirono. – E la Dataria Apostolica ad altri, l’uno e l’altro Beneficio provvide.

 

 

Lite Per l’Applicazione Della Messa Conventuale

 

I Preti Beneficiati delle Sei Chiese Battesimali di Piedimonte non ebbero mai obbligo di cantare la Messa Conventuale Quotidie, ma solo nelle Domeniche, nelle Festività del Signore, e della Beatissima Vergine, e degli altri Santi Doppî, cioè Feste di Precetto, [261] onde si radunavano in S. Maria, ed ivi cantavano Messa Solenne, e l’applicavano pro Populo, come appare dai Regolamenti del Vescovo Angelo. Num: IV –

Unite poi dette Sei Chiese a S. Maria, seguitò ivi a non celebrarsi, né cantarsi nei giorni Feriali detta Messa Conventuale, e neppure vi si celebrò mai sollevata ad esser Collegiata, ed avere un Capitolo di XII Canonici coll’Arciprete, che fu nei principii del XVI Secolo, per la ragione, che detta Messa Cantata dovendosi applicare pro Benefactoribus, di questi in tempo di sua Fondazione non ne aveva avuto alcuno, e crederono, che come non erano obbligati alla Recita delle Ore Canoniche Cotidianamente, così non avessero assunto altro obbligo, che quello di Parrocchie, e di Beneficii, de quali solamente possedevano le Rendite. –

Nell’anno poi 1591, essendosi dal Capitolo di S. Maria, ai 5 Aprile, per Istrumento, rogato da Notar Cesare Loffreda, ricevuto un Annuo Assegnamento per la celebrazione di una Messa il giorno per D. Cassandra di Capua, alla Elevazione della Quale dovessero chiamarsi alcuni Tocchi della Campana grande, cominciò detta Messa a chiamarsi Conventuale, e così seguitò a dirsi sino al 1597, in cui essendo cessato l’Assegnamento di detta Signora, pure seguitò a celebrarsi detta Messa cotidianamente con Tocchi della Campana grande, ma con applicarsi ad arbitrio del Canonico Celebrante, come deposero i Testimonii, esaminati nel Processo della Riduzione Novenale di Messe dell’Anno 1667. –

[262] E D. Diana di Capua, Duchessa di Laurenzano, appunto Sette anni dopo, che S. Maria Maggiore vinse la lite della Insignità nella Congregazione de’ Sacri Riti, cioè nel mille seicento sessantanove (1669) fatto un pingue legato a favore di Essa Chiesa, le impose, tra gli altri Pesi, di doversi Recitare Cotidianamente le Ore Canoniche in Coro, e con Esse cantarsi la Messa Conventuale Quotidie, senza obbligo però di applicarla per alcuno, e lasciò al Canonico, che la cantava, la libertà di applicarla così per altro obbligo, come per propria divozione. – Ed aggiunse, che il Capitolo potesse in avvenire ricevere, ed accettare altre somme, promesse, e da promettersi da altri Benefattori per l’applicazione di detta Messa Conventuale, della quale avesse a partecipare tanto Essa D. Diana, quando ognun altro. –

Ed infatti, sotto il Dì 4 Marzo del 1682 – D. Carlo Gaetano, figlio di essa D. Diana, con istrumento rogato per Notar Carlo Ciccarelli, fatto un legato di Ducati Mille a favore del Capitolo, gl’impose l’obbligo di applicare per la sua Anima la detta Messa Conventuale nei giorni non Festivi di Precetto (giacché nei giorni Festivi di Precetto deve cantarsi, ed applicarsi pro Populo) ed in quelli, citra praejudicium di Deta D. Diana, e di altro Benefattore anteriore, che mai stato vi fusse. –

Praticossi così per 24 anni, nel 1706 saltò in testa a Monsignor Porfirio, nella visita di essa [263] Insigne Collegiata ordinare, che, oltre la Messa Conventuale, che vi si cantava, applicandosi per D. Carlo Gaetano, D. Diana di Capua, ed altri, se ne dovesse cantare un’altra pro Benefactoribus in genere: – né ci fu verso, né via per capacitarlo facendoli vedere, che tal peso non aveva dalla sua Fondazione la Chiesa, e che mai portato lo aveva da Secoli, e non vi era Fondo, su del quale imposto si trovasse. –

Bisognò dunque ricorrere alla Sacra Congregazione de’ Vescovi, ed affidarsi al Patrocinio del celebre Francesco Monacelli, Autore del Formulario Legale Pratico del Foro Ecclesiastico, il quale nel mese di Settembre 1707 scrisse a favore di S. Maria, una ben ragionata Allegazione, che va stampata nella Edizione del Baglioni di Vinezia, o Venezia. Tom: 1 Addit: pag: 33. – Quale Allegazione ebbe la Sorte di capacitare la DURA TESTA del Porfirio; tanto che da indi in poi teneva sempre sul Tavolino l’Opera del Monacelli, e non se appartava una Iola. –

 

 

Lite per la Cura delle Anime.

 

È così antico il Dritto dei Canonici di Piedimonte di eligere in ciascuno anno Due delli loro capitulari ad amministrare per un anno, la Cura delle anime, che conta la sua Origine da poco meno di Quattro Secoli. –

[264] Dal 1417 che furono fatti i celebri Regolamenti del Vescovo Angelo per S. Maria Maggiore, e per le altre cinque Chiese beneficiali, sue Compagne, e Figlie, incorporandole egli quelle (N.I.) dopo che fussero mancati, o per Morte, o per Dimissione, i Rettori delle Medesime, disse, che per l’Amministrazione della Cura delle Anime si fossero eletti due o tre Preti, dei più probi, e dei più ben visti dal Popolo, e questi, anno per anno amministrassero i Sacramenti sotto nome di PATINI (vocabolo proprio di Piedimonte, che danno i Battezzati al Curato, ed il Curato ai Battezzati da lui) – Questa Elezione fu fatta senza Querela da Preti per tutto il Secolo XV – e per tutto il Secolo XVI da Canonici; Se non che nell’ultimo Anno di esso Secolo, cioè nel 1600 procurò Inficiarla il Vescovo Fra Modesto, con volerla trasferire nell’Arciprete. – Ma li Signori Canonici ne appellarono alla S. Sede Apostolica nelle debite forme, dove fata la Causa a dì 20 Feb: del 1601 fra gli altri Decreti, da Noi registrati nel principio del Secolo XVII ne riportarono piena vittoria con quello, registrato al Num: IV, che dice: - che i Canonici in ogni principio di anno debbano deputare Due di loro, che amministrino la Cura per un anno, da approvarsi però dal Prelato. – E detto Decreto nel 1608 venne confermato con gli altri dalla stessa  Sacra Congregazione, che ne scrisse al Vicario Capitolare di allora, facendoli premura di fare osservare i suoi [265] Decreti del 1601, dei quali ne gli acchiuse autentica copia. –

Nel 1648 – nondimeno si mosse nuovamente questa Pedina da Monsignor Pietro Paolo de’ Medici – il quale nella visita a’ Sacri limini asserì, che sarebbe stato spediente erigere le Cure di S. Maria, della Annunciata, e di S. Croce in perpetue Vicarìe, e la Congregazione del Concilio acconsentì a tale inchiesta. – ma poi, a ricorso dei Canonici, gli ordinò che Niente avesse innovato, ed egli stesso nel medesimo anno approvò la Elezione da farsi dai Capitoli, ordinando solo, che si facesse per Voti Segreti. –

Venne poi Vescovo di Alife Monsignor D. Domenico Caracciolo, e perché voleva far novità, i Canonici gli presentarono la seguente lettera del Segretario della Sac: Congregazione, il Cardinale Ginetti del 25 Agosto 1665. –

Per la Istanza, fatta dal Clero, ed Università di Piedimonte – Questi miei Eminentissimi Signori mi han comandato, di scrivere a lei, che si contenti osservare i Decreti, emanati dalla Sac: Congregazione.

Finalmente questo dritto sì antico diede negli occhi di Monsignor Porfirio, il quale su i principii del 1708 fece relazione alla stessa Sacra Congregazione contro la Cura Abituale dei Tre Nostri Capitoli, e disse: - Essere un abuso, che cagionava grave Detrimento alle Anime, il perché con lettera del Cardinal Carpegna, che gliene dava l’ordine, prefisse agli anzidetti Nostri Capitolari [266] il termine di giorni Quaranta a dedurre in Roma le proprie ragioni – Nulla però di manco Io trovo, che si fosse per allora proseguita la Causa. –

Essendone però nascoso sotto la Cenere il Foco per Diciassette anni, egli tornò a divampare nel 1725 per una frivolissima Causa. – Avevano nell’ultimo giorno del 1724 uniti in Capitolo i Canonici di S. Maria eletto per Curati dell’entrante anno 1725 D. Casimiro de Benedictis, e D. Nicola di Stefano – E ‘l Benedictis essendosi immediatamente presentato al Vescovo, fu ammesso; ma non così il de Stefano, che per legittimo impedimento d’infermità trattenne a farlo qualche giorno; ma in quello dei 3 di Gennajo, ad istanza del Fisco, dichiarò esso Vescovo, che il dritto di eligere il Curato MANCANTE a lui spettava – E per ciò deputava per uno dei Curati del corrente Anno 1725 il R.do Arciprete D. Michele Angiolo Pagano, già tale negli anni passati, con tutte le facoltà etc. E fece tale Dichiarazione intimare. –

Non se la tenne il de Stefano per non essere stato compatito per un giorno; né se la tennero i Canonici, che stimarono loro affronto il non essersi ammessa in tutto la loro Elezione – Ed anche perché il Vescovo aveva eletto l’Arciprete, da cui altre volte, che lo avevano eletto, avevano ANTECEDENTEMENTE ESATTO UNA DICHIARAZIONE DI ESERCITAR LA CURA, NON COME ARCIPRETE, ma COME CANONICO, DA ESSI ELETTO E [267] DESIGNATO – Sicché  appellarono al Metropolitano di Benevento dal decreto del vescovo, e ne ottennero la sentenza, che segue. –

In Causa – Die 20 Februarii 1725 – RR.mus Dominus P. vicarius Generalis Archiepiscopalis, et Iudex Metropolitanus – Visis – Decrevit; – Male fuisse, et isse judicatum per dictam Curiam Episcopalem Aliphanam, et bene Appellatum per dictos canonicos, et D. Nicolaum de Stephano, et decretum latum pro electione Domini Archipresbyteri in locum dicti Canonici de Stephano fore, et esse Revocandum – prout revocavit – Eudemque Canonicum de Stephano pro Exercitio Curae dictae collegiatae electum a dictis canonicis Manutendum fore, et esse – prout manuteneri mandavit in possessione exercendi curam in Ecclesia praedicta, et mandatum necessarium etc. relaxavit – Ita pronunciavi Ego (Archipresbyter Macerone P. vicarius Generalis, et Iudex Metropolitanis) –

Ognuno può figurasi, quanto si tenne offeso da tal sentenza il Porfirio, che fatto ricorso all’Eminentissimo Pro-auditore del Papa, per la remissione della Causa nella Sacra Congregazione del Concilio, ed ottenutala, fece intimare i signor Canonici, coi quali si concordarono i seguenti dubii, da disputarsi in detta Sac: Congregazione.

Primum – An ad Cononicos Ecclesiae S. Mariae Majoris Pedemontis, ejusque Capitulum Spectet Cura habitualis ejusdem Ecclesia in Casu – Et quatenus affirmative – Riporto, per tenere sotto occhio la risposta... etc.

[268] Primum Dubium – An ad Cononicos Ecclesiae S. Mariae Majoris Pedemontis, ejusque Capitulum Spectet Cura habitualis ejusdem Ecclesia in Casu – Et quatenus affirmative. –

R. – Ad primum affirmative. –

D. II – An iidem Canonici possint in fine cujus libet Anni devenire ad electionem Duorum Canonicorum pro exercenda cura actuali – Vel debeant eligere Sacerdotes extra gremium Capituli in casu etc. Et quatenus affirmative. –

R. – Ad secundum affirmativa, quod primam Dubii partem; et ad Secundam Negative.

D. III – An dicta Electio sit approbanda ab Episcopo in Casu...

R. – Ad tertium Affirmative, et amplius. –

Non ostante però questo Amplius così specchiato, che vietava di più proporsi tal causa : Quei, che facevano in Roma le parti del Vescovo, ebbero l’audacia di dimandare la Nuova Udienza. –

Trovarono, però il LAMBERTINO, che ricevé il loro Memoriale, e sebbene gliene fu dato un altro per li Canonici, acciocché detta nuova udienza negasse, pure gliela volle accordare. Ma che...? Presero Essi per Avvocato aggiunto il famoso Domenico Ursaja, onde ajutati prima dalla Ragione, che gli assisteva, e poi dalla Penna, e dalla lingua di Esso; [269] nel medesimo anno 1726 vinsero di nuovo Rotondamente la Causa; a cui fu imposto Perpetuo, ed inviolabile silenzio. –

Da quel tempo tutti i Vescovi che sono venuti dopo il Porfirio, non si sono mai più ingeriti nella Elezione dei Curati, ma solo si han mantenuto il dritto di approvarli, coll’esame, se non erano Confessori, ed anche senza, quanto erao tali; e non gli ostava alcuna mancanza. E se ma gli Eletti han portato legittima scusa d’infermità, di avanzata vecchiaia, e di altro impedimento Canonico per cui non poteva esercitare la Cura, hanno rescritto: - Fiat nova Electio, per quos spectat. –

 

 

Brighe per le processioni co’ Domenicani

 

Facevano i Frati Predicatori del Convento di S. Tommaso di Aquino di Piedimonte in ogni Prima, e Seconda Domenica di ciascun Mese Due Processioncelle, cioè quella della B. V. del Rosario, e quella del Bambino Gesù, uscendo da detta chiesa, e girando per la Piazza di S. Domenico, e rientrando in Essa; quando, come ognuno sa, eletto Sommo Pontefice F. Vincenzo Cardinale Orsini, Arcivescovo di Benevento, col Nome di Benedetto XIII volle gratificare il suo Ordine, dando fuori la Bolla, Pretiosus con cui rinnovò, ampliò, e di nuovo concesse a quello più e più Privilegi. – Invaniti i Frati suddetti [270] portarono di fatto la Processione della Vergine del Rosario sino alla Piazza del Mercato di Piedimonte, il che fu nella Prima Domenica di Gen: 1728.

Poteva la cosa dissimularsi, e non farne alcuno Caso, perché in realtà né aggiungeva Splendore all’ordine de’ Predicatori, né toglieva alcun vantaggio all’Insigne Collegiata di S. Maria. – I Canonici però di lei, in quel tempo stimarono, che fosse un attentato di grave loro Pregiudizio, ricorrendo al Vescovo Porfirio, acciò vi dasse riparo, e Questi ordinò che si procedesse, Servatis servandis, A interim nihil innovari. – Arsero i Frati, allorché gli fu notificata tale Provvidenza, di Sdegno, ed allegarono l’Incompetenza del Giudice; ma poi con loro supplica, allegando la suddetta Bolla Pretiosus interpellarono il Vescovo a pubblicare la medesima, raffrenando con Censure l’audacia dei loro Avversari, acciò potessero fare tutte le Processioni, al loro Ordine promesse, alzare la Croce, portare la Stola, amministrare Sagramenti... ed aggiunsero, che in caso contrario ne appellavano al Vicegerente di Benevento, a Monsignor Nunzio Apostolico in Napoli et usque ad pedes SS.mi in Roma – Ammise il Vescovo l’Appellazione si, et in quantum, ma pendente la stessa ordinò: Nihil innovari sub paenis attentatorum, e replicò lo stesso Decreto di Nihil innovari all’istanza, che gli ferono i Canonici, acciò impedisse la Processione, che vantavano di voler fare essi Frati nel giorno undecimo dello stesso mese, per tutto il Distretto della loro Parrocchia. –

[271] Intanto in Benevento non dormiva il Procuratore dei Frati, onde essendo comparso a loro nome in quella Curia Metropolitana, ne ottenne a 15 del mese istesso le lettere Inibitoriali in forma contro la Vescovile Curia Alifana, quali furono intimate alla medesima, ed ai Canonici nelle solite forme, e si fece ordine al Cancelliere di dar copia degli Atti etc. ed a tutti d costituire i loro Procuratori in quella Città. –

Ma i Canonici ne vollero TROPPO, perché avendo la Curia Metropolitana decretato; spettare a’ Frati l’ampliazione del Passaggio delle controverse Processioni e nel tempo stesso rimesso al Vescovo il determinare sin dove esse dovessero estendersi, con tutto ciò ne interposero l’appellazione, e fecero istanza, che il Vescovo non procedesse a detta determinazione, con protestarsene. Così fanno coloro che possono finire una Briga, e la vogliono tirare avanti sino all’infinito. –

Ciò però non ostante, il Vescovo lo stesso giorno spedì la solita Requisitoria,che voleva procedere all’Ampliazione del Transito delle Processioni accennate indi a due giorni, cioè nel Dì 8 di Marzo; come fece decretando, che in avvenire le Processioni del SS.mo Rosario, e del SS.mo Nome di Gesù, solite farsi in ogni prima, e seconda Domenica di ciascun mese, allungando l’antico cammino, si dovessero stendere sino alle case dei Magnifici fratelli d’Agnese, ed alla Chiesa del SS.mo Salvatore delle RR.de Monache, esclusive.

Niente però furono contenti i Frati di questa miserabile ampliazione, onde proseguendo la Causa nella Curia Metropolitana, impetrarono l’accesso di essa sulla faccia del luogo, che fu fatto con Agrimensori, e Tavolarii, con le loro Funi, [272] e catene, e con disegnatori, che fecero la Mappa Topografica della Piazza di S. Domenico sino a tutto il Mercato di Piedimonte. – Quasi tra Canonici, e Frati si contendessero del Dominio Temporale di esse Piazze, e Città. – In far che, essendosi consumati presso a due mesi, finalmente a dì 29 Maggio agitatasi la Causa in detta Curia Metropolitana, vi fu profferito un Decreto, manifestissimamente parziale ai Frati – adulatorio al Pontefice – ingiurioso alla Autorità Vescovile – ed ingiusto alla Collegiata, e diceva in sostanza:

Che stante il mensuale Transito delle Processioni del SS.mo Nome di Gesù, e del SS.mo Rosario, designato per la Curia Vescovile di Alife, e ‘l di lei Ill.mo, e R.mo Vescovo, era del tutto inetto, e scandaloso, il vicegerente di essa curia metropolitana aveva detto, e decretato, essersi bene appellato da Frati del convento di S. Tommaso d’Aquino, e malamente giudicato dalla detta vescovile curia, e perciò la designazione da lei fatta doversi circoscrivere, come la circoscrisse, e volle, e comandò, che si avesse per circoscritta. E che in appresso in Transito delle predette mensuali Processioni si dovessero dirigere, ampliare dal detto V. Convento di S. Tommaso di Aquino per la pubblica Piazza, che porta al piano del Mercato, e compito il circuito di detto Mercato, per la piazza medesima tornando al detto Convento, a tenore della Mappa Topografica, esibita negli Atti – E ciò sotto le pene comminate nell’Apostolico Indulto etc.

Questo TRIONFO de’ Frati però, come un lampo, che apparve e disparve – perché, essendo morto indi a poco Papa Benedetto XIII il di lui Successore Clemente XII ridusse ad tramites Juris tutte le Esorbitanti Bolle di lui, e le cose tornarono ad Pristinum.

 

 

[273] Brighe per li Funerali dei Canonici Cattedralisti.

 

Seguita la morte di D. Francesco Meola, Primicerio della Cattedrale di Alife a 26 del mese di ottobre del 1734 nella città di Piedimonte, nella di lui propria casa, sita nella Parrocchia della Insigne Collegiata di S. Maria Maggiore, i di lei Canonici, dal proprio di lui Fratello, ed Eredi furono chiamati ad associare il cadavere alla vicina chiesa dei PP. Cappuccini, dove vivente si aveva eletto la Sepoltura. – Ed eccoti svegliata pretensione del Capitolo Alifano di associare Esso il Defunto, col pretesto, che era Egli una delle di lui Dignità, benché non invitato, anzi contro la Voglia dell’Erede, e Domestici del Defunto. E nel mesedimo tempo eccoti rilasciata un’inibizione dalla Vescovile Curia Alifana, per mezzo del Pro Cancelliere di Essa, a voce fatta a Due del Capitolo di S. Maria, acciò non si fosse dal di loro Capitolo fatta l’Esequie, e ciò contro il Jus Naturale, delle Genti, e Civile, anzi contro i Decreti della S. Congregazione, che definiscono non potere i Parochi  essere impediti di associare i cadaveri dei loro Parrocchiani alla Sepoltura.

Si gravarono dunque i Signori Canonici di S. Maria di detto irragionevole Mandato, con fare istanza, che si circonscrivesse detta Inibizione etc. ma cantarono ai Sordi; poiché il dì seguente, 27 dello stesso mese, prope meridiem, gli fu notificato il seguente Decreto di essa Curia Vescovile.

[274] Per Curiam – ejusque substitutum – Visa – fuit provisum, et decretum, quod omnia – intimentur R.dis Canonicis Cathedralis Ecclesiae, et interim, citra praejudicium ambarum Paritium ; RR.di Curati Collegiatae Ecclesiae S. Mariae Majoris huius Civitatis statim accedant ad associandum Cadaver quondam D. Francisci Meola, alias licitum siet fieri associatio supradicti CAdaveris per Reverendos Canonicos Capitulares Tantum – Et ita per hoc Suum, A intimetur – Ioseph Canonicus Battiloro Pro-Vicarius Generalis Pasquale R. Canonicus.

Del qual Decreto ne fu dai Signori Canonici di S. Maria immediatamente interposta l’Appellazione ad SS.mum, quale fu ammessa secondo lo stile “Si, et quantum et quod actum devolutivum, et non suspensivum” – Ma vaglia l’onor del vero, in procedere troppo precipitosamente, non volendo pregiudicarsi, si pregiudicarono oltremodo, perché tanto l’Esequie si fecero senza di Essi, e quello che fu peggio senza che i loro Curati avessero fatto la Benedizione del Cadavere in Casa prima di asportarsi alla chiesa, nella quale Benedizione consiste principalmente il Dritto Parrocchiale, e non già nell’associarlo per Via. – Dippiù si sbilanciarono imprudentemente in intraprendere un litigio, di cui era certissimo il Danno, ed il Dispendio, e la Vittoria difficile – Dovevano dunque Mandare un Curato a fare detta Benedizione del cadavere, e per chi si sia mandare a Scusarsi con la Parte; che non stavano comodi di venirla Servendo in quell’ora.

[275] Così avrebbero sfuggito la Simultà, che contrasseso col Vescovo Monsignor D. Pietro Abbundio Battiloro, natio di Arpino, ma oriundo di Piedimonte, trasferito dalla Cattedra di Guardia Alfesia alla Chiesa di Alife a dì 19 Dic: 1733, Uomo Colerico, e che perciò non visse, se non che fino alli 15 Ottobre 1735. – Questi, fattosi trasportare dal suo Naturale Bilioso, Spiccò Ordine quella mattina, che si suonassero a Duolo le Campane di S. Maria, con tutto che il Cadavere non si tumulasse in detta Chiesa – Potevano i Canonici Darli questa Soddisfazione almeno per Riguardo della Casa del Morto. Oibò! Replicarono di avere Capitolare Conclusione, che le loro Campane si dovessero suonare solo per uso della loro Chiesa, e non per altrui. – Il Prelato la voleva vinta, e mandò Due Malandrini perché le suonassero – I Canonici gli discacciarono, avendo prima fatto togliere dalla Campana Grande il Battocchio, e chiudere la Porta del Campanile col Catenaccio. – tornarono i Malandrini, e vollero abbatterla, urtandola con una Scala di legno, trovata ivi vicino, come se fosse una Macchina da Guerra: (il Tasso)

“Catapulta – Monton – Patto – o Balista”

Ma perché sentirono dire, che si erano mandati a chiamare i Birri per carcerarli, come disturbatori dei Divini Officii, che in quell’Ora appunto [276] si celebravano, atterriti si partirono – Ma incontrando per via un Cursore assunto col Collare di Prete (di cui era stato provveduto dal Vescovo) chiamato l’Arcisasso, accompagnato da una manica di altri Ribaldoni cum armis, et fustibus, e coll’Onirifico Titolo di Scoppettelli, e col Pro-Cancelliere della R.ma Curia, che mi vergogno di nominare, perché era Canonico della Cattedrale, tornarono di nuovo, minacciando di mandare a terra la medesima Porta coi Picconi di Ferro, e Martelli – Quel Ribaldo però col Collare Illustrissimo, pensando meglio Disse: “Alto, lasciate fare a Me”; e presa la Scala suddetta, con essa Salì sopra il Palco dell’Organo, da cui vi era al Campanile il Passaggio, e fattivi salire altri parecchi dei più Bravi Furfantoni, andò con essi alle Campane, ma trovatele senza Battocchi, le incominciarono Spietatamente a Percuotere con quei Martelli, che portato avevano per Isfasciare la Porta – Pensate che Tumulto ..! ..! ..! Accorsero i Sindaci, e Giudici della Università, gridando, che le Campane erano del Pubblico, e che si venivano a rompere, battendosi così alla Peggio, – Ma non erano sentiti, né alcuno si arrischiava andarsi a cimentare là sopra con quei Birboni, che della Torre Campanaria eransi [277] impossessati, e minacciavano gittar Sassi sopra quelli, che vi stavano attorno, se non rifossero partiti. – La cosa terminò, come Dio Volle, e la Campana Grande a capo a pochi Mesi, perduto il Suono, Si trovò Spaccata, che bisognò fondarla di nuovo. –

Per la quale Discordia col Vescovo, i Canonici della SS.ma Annunziata crederono essere Tempo Opportuno per loro, il far rinascere dalle Ceneri la lite Preminenziale, agitata nel Secolo antecedente nella S. Congregazione de’ Riti, di cui si è colà parlato da Noi, del quale Rinnovamento si parlerà dopo della Causa Funeraria, che abbiamo al presente sotto la Penna. –

Per effetto dunque dell’Appellazione, interposta in Roma nella S. Congregazione de’ Riti, fu della causa destinato Ponente l’E.mo Gotti, ed in presenza di lui si accordarono i Dubbii seguenti nel principio dell’Anno 1735 –

I. – An Canonicis Cathedralis Ecclesiae Civitatis Allifarum non invitatis liceat associare cadavera Canonicorum dictae Cathedralis, defunctorum intra Fines Insignis Ecclesiae Collegiatae S. Mariae Majoris, Civitatis Pedemontii, et quatenus affermative. –

II. An intervenientibus Canonicis dictae Ecclesiae S. Mariae Majoris cum suo proprio Parocho, ipsi teneantur accedere sub Cruce dictae Cathedralis vel potius sub propria Cruce in Casu. –

[278] Furono dibattuti questi Dubbii in S. Congregazione – E scrisse su di essi in Facto, et Jure Pietro Marcellino di Luccia, che veder fece – spettare all’Erede del defunto ordinare l’esequie di Esso a suo beneplacito, né potere in esse esequie intervenire chiunque non sia da esso invitato, come è stato determinato anche da Real Dispaccio di poi. – Mostro, che nelle Conclusioni dell’Alifano Capitolo fra le altre vi era questa particella nel Numero 7 “Se poi morisse in Piedimonte, (qualche nostro Canonico) se non vorrà essere associato Capitolarmente con Cotta, e Mozzetta nel luogo dove si lascia, siano tenuti (gli altri Canonici) almeno assisterli appresso il Feretro con gli abiti lunghi”. – Dunque, diceva, che vogliono questi Signori Canonici, quando l’Erede non gli Chiama...? – E se dicessero di aver fatto altra Conclusione di andare a dette Esequie, e che perciò erano obbligati di andarvi Egli soggiungeva, che essendovi il Pregiudizio del Terzo, la Conclusione era Illecita, e Nulla. –

Scrisse ancora a favore di S. Maria in Jure, l’avvocato Domenico Ursaja, ed oltre le Patenti Ragioni, che apportò in favore di Lei, Strapazzò, come si meritava, l’Operato, e la Relazione dell’Ordinario, chiamando con la RUOTA – “Inanem, et nullo Juris fultam Praesidio”, la pretensione del Capitolo Cattedrale di intervenire Collegialmente in detti Funerali. Siccome la detta Relazione, non Relazione, ma scritto a favore, e lui non Giudice ma avvocato [279] parzialissimo; perché la di lui Curia aveva proceduto More Belli (come si può dire con ogni proprietà di parlare) e nella proibizione di non farsi l’Esequie del proprio Parroco, e nel comandarli poi di andarvi a suo Dispetto, e commettere tutte le avarie, che si sono riferite, e quella dippiù, di avere fatto carcerare malamente il Sacristano, Chierico di Ordini Minori, e tenerlo da Otto giorni in Ceppi, perché non aveva voluto manifestare il Canonico, che gli aveva dato l’ordine di togliere dalle Campane i battocchi, e serrare a Catenaccio del Campanile e la Porta. – In quanto al Malandrino col Collare, che non sapeva che – Qui scendit aliunde, ille Fur est, et Latro, via via – Ma non può mandarsi buona a un Prelato, che non si ricordi, che sono Essi – non quasi Dominantes in Cleris, sed Forma facti Gregis ex Animo. – I Banditi, gridava il Popolo scandalizzato, sono più dabbene della Nostra Corte Ecclesiastica, perché assalgono i Campanili per non fare toccare ad arme le Campane, ma QUESTA lo fa per fare venire una Rivoluzione. –

Ma che fine (sento dirmi) ebbe poi la causa Funeraria in Roma? Rispondo che non ne ho trovato Documenti nell’Archivio Capitolare: ma da una Risoluzione, presa dai Signori Canonici di S. Maria Maggiore di Piedimonte, e della Annunziata della Vallata, argomento, che si sia ad ambi i [280] Dubbii risposto affirmativamente: perché i Canonici della Cattedrale hanno seguitato a venire all’esequie di loro Confratelli, tanto in Piedimonte, quanto in Vallata: ma nell’uno, e nell’altro Quartiere si sono fatte trovare serrate le Porte delle loro Chiese, e dei loro Campanili, di modo che è lor bisognato portare i Defunti in altre Chiese; e così associarono dalle loro case, site nella Vallata, i cadaveri delli Canonici Pascale, e Paterno, nella Chiesa dei Celestini l’uno, ed in quella dei Domenicani l’altro. – E così nella medesima Chiesa dei Domenicani, dalle loro Case, dove erano morti in Piedimonte, il Cadavere del Canonico de Marco, e quello del Primicerio de Benedictis; ma dopo esserci andato preventivamente il Curato di S. Maria a benedire i cadaveri. – E questa Risoluzione è stata molto prudente, essendosi così sfuggito il caso del Secondo Dubbio, di andare sotto la Croce della Cattedrale.

(Osservazione)

Io mi ricordo – Morì in Vallata dopo il 1800 il Can.co Renzo, e fu sepolto nella Collegiata A.G.P. – però i Canonici di Vallata si fecero trovare solo avanti la porta della loro Chiesa, quindi gl’Alifani volendovi entrare, il Can.co Caso D. Domenico gli levò la croce da sopra l’asta, e la fece nascondere per poco dal Can.co Montanaro. Molti furono per questo i clamori degli Alifani. etc.

Il Teologo Lombardi D. Giovanni, morì, e fu sepolto ivi. etc.

 

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