Piedimonte Matese                  Home page

 

Gianfrancesco Trutta

CRONACA DI QUATTRO SECOLI

Pagine inedite del secolo XV

 

 

[111] Conseguenze Funeste delle Chiese di Piedimonte che Partorì il Laudo di Monsig.r Angiolo

 

E questo è il celebre Laudo di Monsignor Angiolo Sanfelicio, Vescovo di Alife, che mutò dai fondamenti lo stato delle Chiese di Piedimonte, parto infelice di un Prelato, che giacché Nobile, sarebbe stato megliore in Campagna a guidare uno squadrone di Soldati, che in chiesa ad ordinare cose di Servizio Divino: del pari parto infelice di una femina, che, giacché Principessa sarebbe stata meglio in Corte a fomentare l’ambizione di Carlo III di Durazzo, suo Nipote, che lo portò in Ungheria, dove fece quell’infelice fine, che da ognuno si sà; o per dir meglio a filare in casa sua accia, inasparla, ed aggomitarla.

Qual meraviglia è dunque, se pubblicato tal Laudo, venisse subito ad infievolirsi per la morte di D. Sveva, poco dopo accaduta? è vero, che Monsignor Angiolo restò sopravvivente sino al 1458; ma non poté in 41 anni, che gli sopravvanzarono di vita veder mancati tutti i Beneficiati delle Chiese di Piedimonte, e ridotte le medesime a Chiese Recettizie, ed ammessi in Esse alla Partecipazione i Preti non partecipanti. - Gli mancò anche il favore, e l’appoggio dei Signori Temporali dopo la morte di D. Sveva, perché Iacopello Gaetano [112] Conte di Fondi, ammaestrato dai travagli, che aveva [sof]ferto per lo Scisma dell’Avo, aveva costantemente risoluto di non intrigarsi in Ecclesiastici affari; e si aggiunse che poco ancor’ ei sopravvisse, come anche l’unico figlio di lui Cristoforo Gaetano, germano fratello di esso Iacopello, e successore nel Dominio di Piedimonte al Nipote: ma Questi era tutto applicato nelle Cure Politiche, e Guerriere, tanto che dopo di essere stato Capitano del Re Ladislao, e Vicere delle Provincie di Terra di Lavoro, e del Contado di Molise nel 1402, esercitò anche il Veceregnato di quelle di Abruzzi, confidatogli dalla Regina Giovanna II nel 1419. E seguitando poi il nobile mestiere dell’Armi nel 1434, mentre per la stessa Regina teneva assediato il Castello di Brindisi, vi fu fatto prigioniere di Guerra da Giov: Ant: Orsino, Principe di Taranto. - Ed essendo indi venuta a morte essa Regina nel seguente An: 1435 Ed essendosi divisi in partiti i Baroni del Regno per la Successione di Esso, quali seguendo quello del Re Alfonso di Raona - quali quello di Renato di Angiò - E venuto nel 1437 in Regno il Patriarca Carovanni Vitellesco, mandatovi, come Generale dell’Armi della Chiesa dal Pontefice favoreggiatore della parte Angioina: perché il Nostro Cristoforo si era dichiarato per lo Raonese, corse esso Vitellesco dopo espugnata Alife ad espugnare similmente Piedimonte, e presolo [113] a forza d’arme ritenendolo a nome della Chiesa, e mentre presso Benevento ruppe, e pose in fuga il Principe di Taranto, e nel Dì seguente presso a Montefuscolo dopo lunga battaglia lo vinse, e fé prigione, e poi liberollo, ed indi ripassando per Alife, e Piedimonte, andò a conquistare Vairano, Presenzano, e Venafro. E finalmento sino a che, nel 1438, ebbe a partirsi da Trani temendo di qualche sinistro per la volta di Ancona; dopo di che Cristoforo riacquistollo di nuovo, trovandolo però tutto sfasciato, e distrutto; come ebbe a trovare anche Alife Giov: Antonio Marzano, Duca di Sessa, che n’era Conte. - Ed essendo così quale ajuto, ed appoggio trovar poteva il Vescovo Angiolo Sanfelice per fare osservare i suoi Regolamenti in tempi sì sconvolti, presso un Signore Guerriero? - Ed in simile modo come esser poteva in tal bisogna, dopo la morte di esso, caldeggiato, e difeso da Onorato II, suo figlio, che datosi dalla sua prima gioventù alla milizia, rimase col Re Alfonso I di Raona, e con altri Signori in una battagli di Mare, prigioniero dei Genovesi, sebbene p[oi] rimesso in libertà coi medesimi, da Filippo [..] Visconte, Duca di Milano...? - come in quei principii del suo Dominio sopra Piedimonte, Onorato pensar poteva alla Riforma, Dio sà, come fatta, del Clero di esso, quando ebbe a sostenere una focosa lite sulla Proprietà di tal Castello, mossali da Alfonso della Lagonessa? Come non premerli assai più il suo avanzamento nella grazia del Re Alfonso, che non tutti i Preti del Mondo? Ed in fatti si crede, che nel 1442 egli si trovasse con esso [114] Re, e con tutta la più fiorita Nobiltà del Regno, nella battaglia di Carpenone, nella quale battuto, e disfatto l’Esercito di Antonio Caldora, che combatteva per Renato di Angiò, rimase esso Re Alfonso Padrone del Nostro Regno, giacché tornando Egli in Napoli nel 1443 a di 28 Feb:, nel generale Parlamento, tenuto in S. Lorenzo, Onorato Conte di Fondi, e di Morcone Protonotario offerì al Re, a Nome di tutti, che se gli si devessero pagare Carlini Dieci l’anno per Fuoco per tutto il Regno - E nella Trionfale Entrata, che fece in Napoli lo stesso Monarca seguì il Carro di Lui dopo i primi quattro principali Baroni, che furono, Ferdinando figlio di esso Re - il Principe di Taranto - il Vicerè - ed il Principe di Salerno, cavalcando col Sindaco, col Conte di Caserta, e col Duca di Sessa - 1447 -

Nota, che nella assenza di Onorato da Piedimonte nel 1447 venne fondata S. Maria Occorrevole, e a sua Confraternita. -

Si portò nondimeno Onorato Gaetano, dopo tante sue glorie nel 1452 in questo suo Feudo, ad oscurare le medesime, essendosi quivi fatto circonvenire dalle premure fatteli dal Vescovo Angiolo, da Preti non partecipanti, e da Secolari loro aderenti, a supplicare il Pontefice, perché colla sua Autorità confermasse quegli Ordinamentali del Laudo del 1417 - Allora Papa Niccolò V - Bolla del medesimo -

[115] Bolla di Niccolò V Papa

 

Correva nel detto Anno 1452 l’anno VI del Ponteficato di Papa Niccolò V, quando alle istanze di Angiolo, Vescovo di Alife - dell’Università di Piedimonte, e suoi Casali ultra aquas, e del Nobile Uomo Onorato Gaetano, Conte di Fondi, che dimandavano la Conferma delle cose ordinate, nell’addotto Istromento del 1417, diede Egli fuori una Bolla in forma di Breve a dì 28 Gen:, diretta al Vicario Generale del medesimo Vescovo, ordinandoli, che, vocatis vocandis, et cognito etc. etc., facesse osservare li Statuti, ed ordinazioni in detto Istrumento contenuti, supplendo i difetti, che forse vi erano occorsi, e con l’altre Clausole in forma.

Ricusò intanto il Vicario Generale di eseguire questa Bolla, come manifestatamente surrettizia, stante nella Supplica al Papa si era asserito il falso, cioè che quelli Ordinamenti stavano in osservanza da che emanati si erano, cioè da non meno, che da 35 anni addietro, ed anche perché i medesimi venivano contraddetti dal Clero; e finalmente perché chiamati tutti gl’interessati, doveva constare, essersi quelli fatti senza ingiuria di alcuno.

 

Bolla di Papa Callisto III

 

Ma niente essendosi dunque potuto operare per tali insuperabili difficoltà per tre altri anni, che visse Papa Niccolò V subito che si intese l’elezione del suo successore Callisto III nel [116] 1455 (nulla facta mentione della Bolla di Papa Niccolò V) a nome dello stesso Onorato, e dell’Università, e del Clero di Piedimonte (che troppo manifestatamente si vede, esser stato composto dei soli Preti non partecipanti) fu supplicato a confermare con sua Apostolica autorità il laudo del vescovo Angiolo Sanfelice.

Nel primo Anno dunque del Pontificato di Lui, e di Gesù Cristo 1455 sotto il dì 5 Luglio, fu spedita in Roma la Bolla in forma di Breve, con cui, senza dirigerla per l’esecuzione ad alcuno, e senza ordinare, vi si chiamassero tutti quelli, che vi avevano interesse, colla sola inserta forma dell’istrumento del 1417, e colla falsa assertiva, che quello osservato si era da 27 anni addietro, et ultra, ed osservavasi al presente, furono confirmati con autorità Apostolica, i Statuti, L’ordinazioni, e le dichiarazioni, e tutto ciò, che in detto istromento si contiene, dicendosi: “... Tenore ejus in camera nostra diligenter inspecto”.

Ma come, S. Padre, (Lasciami fare uno sfogo) hai letto nella tua Camera quello Istrumento, e non l’hai Lacerato, anzi l’hai approvato...? Dunque posso predicare da oggi in avanti che ogni Prete Concubinario, basta che non canti Messa nelle Feste Solenni, può in ogni giorno celebrare francamente; perché questo è uno dei Capitoli, fatti da Monsignor Angiolo. Dunque posso esortare ogni Prete, che danzi, quando avrà detto la prima Messa, ed anche nelle Nozze delle persone a Lui Care, che abitano con Lui nella stessa sua Casa, non eccettuata La Sua Servente...? Ma no, che il Vicario di Gesù [117] (...) il Vicario di Cristo non poteva dire di aver letto tali bajate; se l’avesse letto avrebbe subito fatto quella carta in cento pezzi. È dunque Surrettizia, è contra Stylum Curiæ Romanæ; perché fatta non servato Juris ordine, con danno dei dritti dell’Apostolica Cancelleria, e Dataria, come quella, che approvi i punti perniciosissimi della suppressione di chiese Curate e di in-comunazione dei Beneficii contro il bene pubblico; oltrecché, come mai un Pontefice risolversi a fare diventare Chiese Collettizie, e perciò Laicali, Parrocchie, che di loro Natura sono Ecclesiastiche??? - Perciò non mi meraviglio, se l’anno dopo la Pubblicazione di questa Bolla, cioè nell’Anno 1456 fai quel gran Terremoto, di cui parla il Platina nella Vita di Papa Callisto III, perché si fanno leggere cose da far scuotere per rabbia anche i sassi.

Seguitò nondimeno S. Maria Maggiore di Piedimonte anche dopo questa Bolla Calistiana, a trattarsi e farsi trattare, non da Chiesa Collettizia, ma da Chiesa Beneficiale, ed Arcipretale, quale era. - Ma come, sento dirmisi, se lo sopportò il Conte Onorato, che era quello, che [118] con la sua Potenza, e Credito l’aveva impetrata dal Pontefice? Sopra di che è da sapersi, che per la morte del Re Alfonso, il dì 1 Lug: del 1458, succedutoli Ferdinando, o Ferrante, suo figliuolo, convenne ad Onorato accorrere, lasciando Piedimonte, nella Capitale, per impiegarsi nei servigii del nuovo Sovrano, e meritar la sua grazia; tanto più, che nell’anno seguente 1459, nel mese di Ottobre entrò nel Regno Giovanni d’Angiò, figliuolo di Renato a chiamata di molti principali Baroni del Regno onde bisognò, che Onorato si dichiarasse per Ferdinando contro Giovanni, e si mettesse in campagna sotto le bandiere di quello nel 1461, fermandosi a Montefuscolo, e dandosi a guastare il contado di Avellino per impedire ai ribelli di passare in Terra di Lavoro. Quindi nel 1463 essendosi trovato con esso, a quel famoso combattimento presso di Troja, in cui rimase il Re vittorioso, fu il valor di lui tostamente rimunerato, perché giunti coll’Esercito a Telese, fu la stessa tolta al Duca di Sessa, dichiarato ribelle, e data ad Onorato, siccome ancora fu nel 1464 di Alife, Dragone, S. Angiolo Raviscanina, Pietra Roscia, Crispano, Torre di Francolisi, e Mignano, tolte a Marco della ________ dichiarato ribelle e concedute allo stesso Onorato, il quale per giunta nel 1467 fu dal medesimo Re Ferdinando adottato nella Real Famiglia di Aragona. Aveva dunque egli ragione di scordarsi delle brighe dei Preti di Piedimonte, e seguitare la Corte Reale, da cui tanto bene gli veniva.

[119] Ad ogni modo se ne ricordò nel 1471, e sapendo che Piedimonte era un Castello, cinto di vecchie mura, e non solo ruinose, ma rovinate ancora nel 1220 dal Cardinale Pelagio, Generale della Chiesa allor che lo tolse a Pietro d’Aquino e poi tornate a rovinare dal Patriarca Vitellesco, similmente Generale della Chiesa allorché lo tolse a suo Padre Cristoforo nel 1437, come si è detto, particolarmente dalla parte, che guarda il fiume Torano sino all’antico Molino, o sia sino alle foci della Valle, nella quale esso nasce. E prevedendo, che nei tempi turbolenti, che correvano allora, non avrebbe, occorrendo, potuto fare alcuna capitale di esso Castello, se non vi rifacessero, e fortificassero le mura del medesimo; e non soverchiandoli denaro per le spese eccessive, che gli conveniva di fare nelle sfarzose comparse, che far doveva nella Corte; che fece? Dissimulò l’impegno, che aveva di fare eseguire gli Ordinamenti del Vescovo Angiolo, e fece suggerire ai Preti beneficiati di S. Maria, di S. Giovanni, di S. Angiolo, S. Pietro, e S. Benedetto (nota che non si nomina S. Potito, che allora non era in conto, o pure, perché vi si erano introdotti i Preti della Vallata, come dirassi) che gli avrebbe fatta cosa assai grata, se a loro spese avessero chiusa fra le pubbliche mura la loro Chiesa di S. Maria, ed indi cinta di nuove mura quella parte di esso castello, che non l’aveva, se non che smantellate sino al molino, perché essendone priva, restava indi esposta la loro Patria all’invasione dei nemici.

Non vollero sentire altro i buoni Piovani Radunati tutti a Capitolo nella Chiesa di S. Maria, a suono di Campana, consultaronsi sopra gli spedienti di trovare il denaro per detta Fabbrica, e fu scelto quello di vendere [120] alcune Salde delle loro Chiese, site nel luogo detto le Escheta, e tanto fu la premura di ubbidire a tali insinuazioni, che non pensarono a far precedere alla vendita, benché fatta pro Bono pubblico, l’Assenso Apostolico, o almeno del Vescovo. Apparisce tutto ciò da pubblico Istrumento, stipulato a 31 mar: 1471 per Notar Gaspare di Giorgio.

Cominciava questa muraglia da sotto il portone superiore del Palazzo Baronale (che apparisce, che già era stato edificato di nuovo forse, e senza forse dalla predetta D. Sveva e sulle muraglie vecchie del Castello, come ancora si vede dalla parte del Rivo) ed in poco tratto si congiungeva con quel forte edificio, che chiamavano il Portico di S. Maria ed io nelle mie antichità ho creduto fusse un crittoportico, edificato dagli alifani per radunarvisi i decurioni a trattare dei pubblici affari; ma egli si vede ora cambiato in teatro nella parte superiore, e nell’inferiore in istalle di cavalli vicino alle quali esiste ancora quella, che veniva ad essere la porta principale del Castello, e fra il detto edificio, e le case di Perleone si vede un pezzo intiero di dette nuove mura con i suoi merli, e saettiere, per indi gettar ogni sorta di saettume contro degli aggressori. Se ne vede altro pezzo di là della detta casa di Perleone, che và a congiungersi con l’antica porta del Migliarulo, oltre la quale ne manea buona parte, ch’era fondata sopra la rupe, tagliata da minatori per edificio della nuova chiesa. Camminava quindi sino alla porta del Ghetto degli Ebrei, ch’è un arco molto basso, perché la via concava, che vi passava di sotto, fu a bella posta ripiena, acciocché indi le acque piovane non incomodassero i palagi fabbricati sotto la rupe.

[121] E finalmente da sotto il quartiere del Pizzone, e per le gradelle andava a terminare da sopra l’accennato molino, o sia alla chiesetta di S. Arcang.o.

Riconciliatisi in questa maniera i Preti Beneficiati col Conte sentì esso le ragioni, per le quali opponevansi a mettere in comune i loro Beneficii coi Preti non partecipanti, perché essendo i beneficii pochi, ed i Preti molti, venivano a non potere percepire da essi quanto bisognava al loro decoroso sostentamento; e vennegli in pensiero, che si fusse trattato il numero loro a Sette (7) per la Chiesa di S. Maria, secondo che egli era, quando veniva servita dai Rettori, ed Abati. - A cinque per quella di S. Giovanni, che con S. Maria era l’istessa, determinò nell’anno 1474 di supplicare il Pontefice Sisto IV e farlo supplicare insieme con esso dalla Università, e dal Clero di Piedimonte per una tal grazia, aggiungendo a tal supplica quella di tassare anche il numero dei Preti nella Chiesa di S. Croce, a Sei (6) ed in quella di Annunciata a Sei altri (6).

 

Bolla I di Papa Sisto IV

 

Non fu difficile Sisto a concedere, quanto gli veniva dimandato nel medesimo Anno 1474 indirizzandone la Bolla, in forma di Breve, ad Antonio Moretto succeduto ad Angiolo nel Vescovado di Alife sino dal 1458 ed in mancanza di lui all’Arcidiacono, e Primicerio Dignità [122] della di lui Cattedrale, imponendo loro, che sentiti gli interessati, e constata la Utilità della cosa (non già ex abrupto, come aveva fatto Papa Callisto) dovessero decretare di Apostolica autorità, e fare osservare in avvenire, che tale fosse nelle Chiese anzidette il Numero dei Preti, addetti al di loro servizio, aggiungendo, che detti Preti dovessero percepirne gli Emolumenti, siccome allora soliti erano di fare, e chiamarsi, e nominarsi canonici.

Rifiutò nondimeno esso Vescovo Antonio, e così le due dignità dell’Alifano Capitolo, di eseguire detta Bolla, ammaestrati forse da quello, che aveva fatto alla Bolla di Papa Niccolò V lo stesso Vicario Generale del Vescovo Angiolo; e non volendo nelle difficoltà, che trovate avrebbero in detta esecuzione entrare in controversie con persona così potente, quale era il Conte Onorato, ma nulla del suo impegno perciò esso conte cedendo, si risolse di rinnovare le sue suppliche, e quelle della Università, e del Clero, al Pontefice, esponendo, che senza alcuna ragionevole causa il Vescovo, e le Dignità Alifane ricusato avevano di eseguire l’antecedente Bolla di Lui.

 

Bolla II di Papa Sisto IV

 

Ed ecco impetrata una nuova Bolla nel 1475 diretta all’Arcivescovo di Benevento, ed al Vescovo di [123] Telese, commettendogli Sisto di fare tutto ciò, che era stato commesso a farsi al detto Vescovo Antonio, e sue Dignità, vale a dere: “... Si et posquam, vocatis, qui forent evocandi, de præmissis omnibus, et singulis Nobis expositis, eis legitime constaret, quod in dictis Ecclesiis Sanctæ Mariæ Septem, et in S. Joannis quinque, et in S. Crucis sex, et in Annunciatæ Ecclesiis etiam Sex Presbyteri deberent doservire, et emolumenta, alias prout tunc soliti erant percipere, et Canonici vocari, et nominari etc. aggiungendo che essi Arcivescovo, e vescovo dovessero le suddette Sue Lettere a quelli dirette eseguire perinde ac si illæ vosbis directæ extitissent.

Al margine una Nota.

 

[124] Queste sono le Famigerate (cioè famose) Bolle si Sisto IV, colle quali si vuole, che fossero state erette le Collegiate di Piedimonte. Ma come per Carità?

Chi lo dice, have veduto il cardinale de Luca, disc: 19 de canoniciis. N. B. “Canonicus dicitur ille, qui habet Canonicatum in titulum collationum ab ordinario, vel a sede apostolica intra vacationum contingentias, non autem, qui sine aliquo titulo solum habet nuncupationem impropriam, ac abusivam de facto, quæ non facit canonicum”. Sicché, miei Canonici, nuncupativi. E perciò mettetevi in pace il cervello; sino a tanto che non siete tali a titolo collativo. Siete canonici di scena. Ma dove in Esse Bolle è la narrativa, che si suole premettere in simili erezioni, delle prerogative, e dei meriti della chiosa, o Chiese, che s’inalzano alla Dignità di avere proprio Collegio? Leggasi la prima Bolla diretta al Vescovo Antonio; e poi la Seconda Bolla diretta all’Arcivescovo di Benevento, ed al vescovo di Telese, e vi si leggeranno Demeriti e Satire contro di esse Chiese. - Vi si leggeranno le Differenze - Le Altercazioni - e le Discordie passate fra Preti Beneficiati, e non Beneficiati, e fra Secolari di Piedimonte, e tutte le altre Baje, contenute nel Laudo di Monsignor Angiolo, e nella Bolla di Calisto. Oh che bel Panegirico...!! Concubinati - Dadi - Bestemmie - Danze etc. etc.

[125] Si suole commendare colui, che tal Chiesa governa, o coloro che ne hanno la Cura. Oibò, non vi ci si nominano per sogno i loro Rettori, ed Abbati, né l’Arciprete, se non che, quando si obbliga a pagare per le Decime Papali, per li Sussidii caritativi, e per le Visite.

La Chiesa, che a Collegiata si inalza, bisogna che venghi Dotata, o almeno accresciuta la Dote, che tiene. Ed in dette Bolle appena si dà Facoltà a’ suoi Preti di, emolumenta alias, prout tunc soliti erant, percipere.

Si tassa con la Erezione il Numero dei Canonici, che la debbano Servire, ma non si dice la Bugia, che il numero loro non sia tassato, quando era prima più che tassato, giacché nella nostra Prefazione di questa Cronaca abbiamo fatto vedere da un Istrumento, che in S. Maria vi erano quattro Rettori: da un altro Istrumento; che ve ne erano altri Due: e da un altro che v’era l’Arciprete, che pur n’era Rettore. Dunque in S. Maria ve ne erano Sette. Or come si dice: “Numerus, qui alias taxatus non est?”.

Per S. Giovanni è facile il mostrare, che v’erano Cinque Preti di numero tassato, e questo dopo che Monsignor Angiolo suppresse le Quattro Parrocchie S. Angiolo, S. Pietro, S. Benedetto e S. Potito, nelle quali come vi erano i Rettori, esservi dovevano i loro Sostituti, o siano [126] Vice-Curati. Soppresse le dette Parrocchie, Questi, che non potevano essere licenziati, furono col vicecurato di quel Rettore, destinati a servire S. Giovanni, e non esentati di servire S. Maria, come Titolo Maggiore, e come obbligati a farlo per lo IV Ordinamento del Vescovo Angiolo. Ed eccone altri cinque tassati. Or come tal Numero alias taxatus non est?

Di più erigendosi una Chiesa in Collegiata, si dice: “Erigimus, fundamus, creamus tali”, e tali per Canonici , e non si dice Freddamente “Qui Presbyteri debeant Canonici vocari, et nominari”. Ricordiamoci della Dottrina del Cardinal de Luca: Disc. 19 de Canonicis N. 6. Oh che bella Dignità! Canonici di Nome; ma bisogna esserlo di fatti.

Di più in tali Bolle si dice apertamente il Falso, quando si dice: “che pochi erano i Beneficii in Piedimonte, dove il numero dei Preti era eccessivamente cresciuto: poiché ciò non fu poi trovato Vero quando, avendone presa Informazione l’Arcivescovo di Benevento, constò, che appena in S. Maria ne soverchiava Uno, Un altro in S. Giovanni, e nella Annunciata altri Due.

Sicché queste Due Bolle furono Contraddittorie a se stesse, perché mentre approvavano i Regolamenti del Vescovo Angiolo, ne rivocavano quello, di mettere in comune le Rendite dei Beneficii, anche a’ Preti non Beneficiati; sul pretesto, che tassavano il Numero loro, quando non ve ne stabilivano altro, che quello, che era stato ab initio.

[127] Messo ciò per sicuro, ora non saria d’uopo andar trovando se cotali Bolle di Sisto siano state sì, o no eseguite da Corrado Arcivescovo di Benevento, perché

 

Bolla di Corrado Arcivescovo

 

Ho motivi di credere Due cose totalmente contrarie. Gli uni mi muovono a credere, che l’Arcivescovo di Benevento avesse realmente eseguito le Due Bolle di Papa Sisto IV gli altri, che la sua Esecuzione sia tutta sognata. Cominciamo dai Primi. (motivi)

Corre per le mani di certi Ecclesiastici di Piedimonte una copia della Bolla del menzionato Arcivescovo, della data del 23 Sett: del 1481 di Benevento, nella quale si inserisce prima la Bolla di Sisto, diretta al vescovo Antonio, ed alle Dignità della sua cattedrale, in data dei 25 mar: 1474 e poi l’altra Bolla di lui, della data dei 23 dic: 1475 diretta al vescovo di Telese, e ad esso Arcivescovo; e poi Egli come Giudice, ed Esecutore, dalla S. Sede Apostolica specialmente Deputato, viene a profferire Decreto, che le suddette Apostoliche Lettere fossero eseguite, juxta illarum continentiam, et tenorem. La cosa è semplice, e potrebbe essere vera, perchè altro non fa, se non che tassare 7 Preti in S. Maria, 5 in S. Giovanni, 6 in S. Croce, e 6 nell’Annunciata. Qui prebyteri possint emolumenta alias, prout tunc soliti erant, percipere, et debeant canonici vocari, et nominari.

I motivi contrarii poi sono; come essendo le Bolle di Sisto del 1474 e 1475 Corrado l’avesse eseguito solamente dopo anni Sei. Di più, che di detta [128] Bolla di Corrado non si sa, dove sia l’originale. Nelle nostre chiese non è; e neppure vi è in Benevento, dove per diligenze fatte, non si è pur trovata nel Registro. E si aggiunge che di essa non si trova fatta menzione nelle nostre scritture, dalle quali apparisce che i Preti di S. Maria, di S. Giovanni, S. Angiolo, siccome nelli detti anni sei (6), che restò sospesa l’esecuzione di quella di Sisto, perché in una sentenza autentica della Curia Autentica di Benevento, pubblicata a dì 6 Ag: 1481 e passata in pubblico Istrumento in perpetuo per Antonio Ferrazzano Notaro Apostolico, si nominarono i Preti del Quarto di Piedimonte, e della Vallata, e non Canonici affatto, così negli anni, che scorsero, da allora sino al fine di questo secolo, e principii ancora del Secolo Seguente, non si chiamarono, né furono mai chiamati Canonici; segno evidente, che questa Bolla di Corrado fu detta alla Macchia.

Credasene quel che si voglia. Ognuno è desideroso di sapere, che faceva, che diceva Onorato in quei sei anni, cioè dal 1475 fino al 1481, non vedendo tali Bolle eseguirsi né dal Telesino, né dal Beneventano Prelato? (cioè il Conte Onorato).

Rispondo, che Onorato allora aveva bene a che pensare. Ebbe in detto frattempo a cedere al Re Alife, S. Angiolo Ravecanina, Dragoni, e le cinque altre Terre, che abbiamo nominato di sopra, e ciò per la necessità, che aveva il Re di fornire l’Armata contro il Turco, che preso aveva Otranto. Quali nel 1482 esso Re, per tale effetto vendé a Pasquasio Ezcarlon. - A tanto giunse la generosità [129] di Onorato verso del suo Principe. A privarsi di tanti bei Feudi, e da vedersi dai suoi balconi, dominato da altri quel piano, che aveva per molti anni posseduto, e che per non aver motivo di affliggersi giornalmente, portossi a respirar l’aria di Fondi, d’onde nel 1481 concedé all’università di Piedimonte di cassare da detti capitoli quello del jus Protomiscos.

Or veda ognuno, se in tanto il povero Principe pensar poteva alle Bolle di Papa Sisto.

Fatto sì grande sacrificio Onorato, succedé quello de’ suoi figli, che con immenso dolore a se non vedeva assomigliarsi. Il primo fu quello di Baldassare, conte di Morcone, il quale, essendosi al Re ribellata Terracina, mandato ad espugnarla, se ne tornò senza nulla aver fatto, laddove il povero Padre credeva, se n’avesse a fare molto onore, onde lo condannò a menare vita privata, nella quale se ne morì giovinetto senza successione. - Il secondo fu quello di Pierberardino, pur Conte di Morcone, e suo figliuolo, il quale tutto che vedesse la grande Fedeltà del Padre verso il Monarca, e che non sparambiava né gli averi, né la grave età per impiegarli in servizio di quello; volle entrare nella grande Congiura, che contro Ferdinando macchinò la maggior parte dei Baroni del Regno. E quantunque il Re lo dissimulasse, disposto a volere, che il merito del Padre cancellasse il Demerito del Figlio, Onorato non lo soffrì, e lo persuadé a carcerare, e [130] castigare Pier-Berardino, rinnovando l’esempio di Bruto. Arrossò Ferdinando alla Magnanimità di Onorato, e risoluto in ogni modo volerla superare, chiamò il figliuolo del Conte Carcerato (che ancora Onorato aveva nome) e benché fanciullo gli fé sposare Sancia sua Nipote, figliuola naturale del Duca di Calabria, e gli promise in Dote la Vita, e gli Stati del Padre. Ecco quello, a che aveva a pensare il Conte di Fondi, altro che a’ Canonici Nuncupativi di Papa Sisto.

Ma ebbe egli anche più a che pensare, perché facendosela in Piedimonte, come in luogo forte, e munito, dove poteva più che altrove resistere ai Baroni, nemici del Re, realmente ve lo vennero nel 1485 a sollecitare, perché si unisse con loro, al che avendo Egli ripugnato, ve lo assediarono, e tentarono espugnare la fortezza, ma non avendone potuto venire a capo, posto a ferro, e fuoco, il Contado, si portarono altrove.

Si deve qui notare una cosa, cioè che ciò che si è detto da Noi di Pierberardino, da Lodovico Antonio Muratori (annal: Tom: IX p. 296) all’anno 1486 si dice di Baldassare così: “...Si ribellò Baldassare suo figlio, Conte di Traetto, e Morcone, onde fu fatto imprigionare dal Re”. Ma o fosse Baldassare, come vuole il Muratori, o Pier-Berardino, come vuole il Porzio, Onorato dopo aver nel 1487 impetrato da Innocenzo VIII un Breve per S. Maria Occorrevole, rotto dagli anni, cominciò a pensare alla morte, testando nel 1489 con Fede-Commesso, a favore di [131] Onorato III, e Giacomo Maria, suoi nipoti, figli del detto Pier-Berardino, che diseredò; ed avendo fatto confermare da esso Re Ferdinando tal Disposizione nel 1490, poco poi se ne passò all’altra vita, con essere restata S. Maria in sua piena libertà, e nello stato di prima sino alla fine di questo Secolo XV, niente essendosi mutato circa lo Stato di Essa, senza volersi avvalere dello Spregevole Privilegio, che i suoi Preti avessero il Semplice Nome di Canonici, e bastandoli solo, che dei suoi emolumenti non ne godessero i Preti non partecipanti, ma solo quelli, che vi avevano parte ab antiquo.

Che così fusse, lo dimostrano Due Istrumenti Pubblici. Il Primo stipulato a dì 7 Mar: del 1493 da Notar Nicola d’Angelillo del Castello di S. Massimo, e ciò in Piedimonte avanti la Porta della Chiesa di S. Maria, nel quale, ad istanza di D. Nicola Sparzuti, e di D. Benedetto de Clavellis, Procuratori di detta Chiesa, e di altre Chiesa della medesima Terra, tanto in loro parte, quanto in nome, e parte dell’Ill.mo Conte di Fondi, Onorato III, utile Signore di Piedimonte, quanto in nome, e parte ancora dell’università di detta Terra, e suoi Casli ultra Aquas, si riassume dal suo Originale la Bolla di Papa Calisto III del 1455, coll’inserta forma del Laudo del Vescovo Angiolo del 1417. E nota che nullibi(a)

(a) forse dice nullum

si dice delle Due Bolle di Papa Sisto IV.

Or essendo questo Istrumento del 1493 come si è detto, vale a dire 12 anni dopo la Bolla dell’Arcivescovo Corrado, emanata, come pur si è detto, nel 1481, è una evidente pruova, che di essa Bolla non si era fatto alcuno caso, poiché i Preti, e Procuratori di S. Maria, e dell’altre Chiese di Piedimonte, e suoi Casali ultra aquas, sussistevano come prima, né avevano preso nome di canonici; altrimenti a qual fine aver tanto zelo per la conservazione di questa Bolla Calistiana? Ed a che tanta paura, ch’Ella non si avesse a disperdere? Se avessero avuto l’Ambizione del Titolo Canonicale, avrebbero dovuto piuttosto lasciare che si perdesse la Memoria, che erano Essi stati semplici Beneficiati, e Beneficiali le loro Chiese.

Il Secondo Istrumento del 1499 stipulato per Notar Angiolo de Corneliis di Alvignano, dimostra chiaramente lo stesso, cioè, che in S. Maria non si era preso Titolo di Canonici dai Preti, che la servivano, come faceva il Dottor D. Giancrisostomo de Parrillis, Arciprete di S. Maria, che avendo per sua divozione fondato il Beneficio di S. Maria delle Grazie al Monte Cila; come vi si disse Arciprete, qual era, così si guardò bene di nominarvisi Canonico, che, di solo Nome, gli sembrava Vergogna. Oltreché, come bene avvertisce il Cardinale de Luca, qualora i Preti Partecipanti di una Chiesa in Numero prefinito vengono chiamati Canonici, non perciò vengono ad [133] acquistare il Carattere di Collegiati. Disc: 19 de canonicis N. 6.

Or qual meraviglia, se a tante carte di Fuori-Regno, non si sia impetrato il Regio Beneplacito per eseguirsi? Di esse è delitto farne uso senza il Regio Exequatur. Ma chi non ne vuole far uso, non commette alcuna Mancanza, anzi abbonda in Rispetto. Che Reale Beneplacito volevano i Preti di Piedimonte impetrare alle Bolle di Niccolò V di Calisto III e di Sisto IV, dalle quali approvati venivano quei sciagurati Regolamenti del Vescovo Angiolo Sanfelice, la maggior parte dei quali di mala voglia vedevano, e a spada tratta impugnavano - ? ..? ..?

O Tu, chiunque sei, che dopo Trecento Anni (300) di immemorabile possesso, hai denunciato al Monarca i Canonici di S. Maria Maggiore di Piedimonte, e con Essi ancora per conseguenza, i Canonici di S. Giovanni, (quali non sunt) non meno che quelli di S. Croce del Castello Superiore, e della Annunciata di Vallata, perché non impetrarono (fin da che vennero di Roma) il Real Beneplacito alle Bolle della Fondazione delle Loro Collegiate, dimmi, dove sono queste Bolle?

Se intendi, che siano Tali le Carte di Niccolò V di Calisto II e di Sisto IV e l’informe Bolla di Corrado, Arcivescovo, è segno, che non hai saputo [134] leggerne un jota, e non capirne... che se l’avevi lette, e capite, avresti inteso, che tutto altro non sono, che pretese conferme dei Regolamenti del Vescovo Angiolo, fatte per compiacere l’alterigia del Conte di Fondi, e l’ambizione, e la malignità dei Preti non partecipanti, che calunniavano i Partecipanti, con dire, che essi portavano i pesi, ed i Partecipanti godevano dei loro sudori - Che essi erano i Casti, ed i Partecipanti i dissoluti - Che essi erano i Sobrii, ed i Partecipanti i ghiottoni. Con che (se Dio l’avesse permesso) non mancò per essi, che a Recettizie si riducessero le Chiese Parrocchiali della loro Patria. Ma Dio non volle, perché riserbato le aveva ad essere il Decoro, e la Gloria. Pure se non fu Sisto IV, che fondò le Collegiate di Piedimonte, da chi mai furono fondate?

Il Secolo, che viene appresso dirallo. -

 

(Appendice)

 

Falsi Editti di Monsig.r Angiolo del 1416 e del 1432

 

Perché la Malignità degli Avversarii di S. Maria Maggiore di Piedimonte si è servita più volte, per contrastarle le sue Preminenze, di falsi Documenti, e scritture; fa d’uopo a Noi di rigettarle nel fine di ciascuno di questi Nostri Secoli, acciocché i leggitori non credano, che Noi non ne abbiamo fatto Menzione [135] come di cose a Noi contrarie, ed acciocché esse col loro consorzio non abbiano a contaminare le lealtà di quelle leali antiche Carte, delle quali si fa uso da Noi.

Tra le scritture, presentate nella Curia del Cappellano Maggiore nella causa della Empara, posta dal Capitolo della SS.ma Annunciata di Vallata, perché non si impartisse il Real Beneplacito ai Decreti della Sacra Congregazione de’ Riti, pubblicati nel 1735 a favore della Insigne Collegiata di S. Maria Maggiore di Piedimonte, vi esiste uno Editto della data dei 20 Dicembre del 1416, sotto il nome del vescovo di Alife, Angiolo da Sanfelice; ma tanto è lontano dal vero esser questo un Documento Leale del Secolo XV, quanto è verissima Cosa, essere esso, infelice falsificatura delli principii del corrente Secolo XVIII, come apparisce da tanti Anacronismi, ed oscitanze di Chi lo scrisse, nel che fa pietà l’Avvocato D. Ginesisto nella sua Scrittura, come di cosa Autentica, e fedele. Ma facciamone veder prima la Maschera per ismascherarla poi con Derisione. Eccola,

 

Falso Editto

 

Ideo perpense, matureque consideratis Juribus Omnium Beneficatorum Nostræ Dioecesis, quibus ad ea deducenda competentem terminum assignavimus, inhærendo etiam replicatis Sanctionibus Nostrorum Prædecessorum, et præsertim Thomæ de Fontibus, sub Die 25 Aprilis 1348 et Joannis [136] de Alpheriis, Nostri etiam Concivis, sub Die 27 mensis Maji 1396 pro destruendis altercationibus, litibus, et Contentionibus inter Clerum, et Incolas dilectissimæ Nostæ Dioecesis, etiam de Consilio Venerabilium Fratrum Nostrorum, hortamur Omnes de Clero, Nostræ Jurisdictioni Subiectos, eisque in Virtute Sanctæ Obedientiæ stricte præcipiendo mandamus sub poena Excomunicationis, et Suspensionis respective, et Tarenorum quinque in Quemlibem Contumacem in subsidium, ut in imminentibus Generalibus Processionibus S. Marci, et aliarum Feriarum Rogationum, et in Festo SS.mi Corporis Christi, in memoriam suorum mirabilium, et in posterum Quotannis inviolabiliter, Clerus Regularis Secundum Ordinem Ædificati Claustri, ad interessendum Matrici Loci, in quo degit, Clerus vero Secularis, qui in Urbe reperitur, Nobiscum in Majori Nostra Ecclesia Conveniat, alter vero, qui injura Temporum ex ea discessit, et in antiquo ejusdem suburbis Vallatæ domum construxit, ne sit Vagus, cum Presbyteris Beneficiatis Ecclesiarum S. Joannis, S. Mariæ, S. Angeli, S. Benedicti, Terræ Pedemontis, sub Primo Presbytero Matricis Ecclesiæ S. Annunciatæ in eadem Vallata Conveniat; et Clerus Castri Terræ prædictæ in Ecclesia Matrici S. Crucis conveniat. Clerus Castri S. Angeli, et Rupis-Caninæ cum eorum Presbyteris et Parochis S. Nicolai, S. Mariæ Vallis, S. Crucis, et S. Bartholomeæi, sub eorum matrici Ecclesia S. Luciæ juxta ordinem antianitatis, conscendant. Reliqui vero unusquisque in propria Matrici Ecclesia processionaliter conveniant, et Sacramentum humiliter deprecentur pro Extirpatione Hæresum, et Exaltatione Sanctæ Matris Ecclesiæ etc. Extracta est præsens Copia a suo proprio Originale, existenti in Archivio Episcopatis Curiæ Alifanæ Testor Ego etc.” -

 

La prima cosa, che fa conoscere, quanto sia Falso questo Documento, si è la Figura, sopra postavi del Cappello Vescovile coi Fiocchi, come ora si costuma dai Vescovi, ma non si costumava di farsi nei Tempi del Vescovo [138] Angiolo, quando solamente vi si metteva la figura di una Mitra con L’Infula ripiegata, come è noto ad ogni Erudito, onde il Falsificatore di esso mostrò la sua ignoranza a prima giunta. (Infula)

Quanto è inconsiderata poi quella Data dei 20 Dicembre del 1416 per regolare Processioni, che non dovevano farsi prima della fine di Aprile del seguente Anno 1417 e quella del Corpo di Cristo non prima di Giugno, e dove si è veduto mai farsi un Editto per una Ecclesiastica Funzione, quattro, o cinque mesi prima, che ne fosse venuto il Tempo? Non così il Vescovo de Fontibus, che fece il suo nello stesso giorno 25 di Aprile ed il Vescovo de Alpheriis, che pubblicò il suo a’ 27 Maggio, benché di questi ancora ne salvo il vero, trovandosi solo citati, ma che non esistono in alcun luogo del Mondo.

Che bisogno vi era poi di dire per la Diocesi, che i Regolari incedessero secundum ordinem ædificati Claustri, quando appena in alcuni Luoghi di Essa vi era un sol Monastero, come in Piedimonte (che ora ne ha tanti) appena nel 1416 vi era quello di S. Tommaso d’Aquino, edificato nel 1380; in S. Angiolo appena vi era quello dei Padri Celestini, in Prata appena vi era quello di S. Pancrazio, che nel 1476 aveva per abbate Cristoforo Gizzio, [139] [---] strumento di Notar Nicola Crappelli [---] forte, giacché, quello dei PP. Osservanti [---] vanta origine più antica del 1480. Anzi nella stessa città appena può dirsi, che fusse altro Monastero, che quello di S. Francesco; poiché i Celestini della chiesa Campestre di S. Maria delle Grazie, non sò, se per distanza erano tenuti ad intervenire a dette Processioni. Da che apparisce, che il Falsario pensò di Cautelarsi col dire “secundum ordinem ædificati claustri” ma scoprì la sua Frode.

E non è quella una affettatura insopportabile il dirsi che oltre il Clero Secolare, qui in urbe reperitur, ve ne fusse un altro, qui injura temporum ex ea discessit, et in antiquo ejusdem suburbiis Vallatæ domum construxit? Se egli domum construxit altrove, dunque non è più Clero di Alife, ma del sognato suburbio di Vallata, o per dir meglio Casale, come vien nominato in quattro Pubblici Istromenti, da Noi già posti in Nota. Ma dimando, qual si fu questa ingiuria de’ tempi, per la quale tal Clero dipartissi da Alife? Non fu certamente quella del Secolo IX quando espugnata dai Saraceni, i di lei cittadini, sopravvanzati agl’incendii, alle rovine, ed alle stragi, si ritirarono nel Cila, e nel sito del Superiore Castello di Piedimonte, e vi edificarono il Castello medesimo, [140] [---] ultra aquas, e non già la [---] mente avvenire dopo l’espugnazione [---] dal I Rugieri nel 1138 quando ancor io, seguendo l’autorità del Ciarlante, e del Giorgi, ho accordato, che Piedimonte ricevesse nuovo incremento, edificandovi i fugitivi Alifani la Vallata, oltre il ponte di Toranello; ma questo Clero, venuto nella Vallata quasi Trecento anni prima di questo Editto del Vescovo Angiolo, come si qualifica ancora per Alifano? O quegli Preti vivevano allora come gli antidiluviani, e si ricordavano ancora la guerra di Troja? Era dunque un Semplice Clero di un Casale di Piedimonte; ciò basta per asserire francamente che mai non abbia avuto che fare con S. Maria, con S. Giovanni, con S. Angiolo, con S. Benedetto, o neppure con S. Pietro, e con S. Potito, che per oscitanza si passa sotto silenzio; ma non così nella scrittura leale del Laudo di detto Vescovo Angiolo, ch’incorpora a S. Maria come di lei Filiali.

Si fa assai più palese la Falsità di detto Documento dal vedervisi nominato Piedimonte come Terra, quando che egli allora altro non era, che un Semplice Castello, come si trova chiamato in tutte le scritture, che antecederono l’unione di lui con Vallata, e con il Castello Superiore. Ma forse porfetizò questo Falsario, nominandolo Terra, perché doveva essere Terra in appresso.

Ma non ha questa scusa, nominando L’Annunciata, e S. Croce col titolo di Matrici, e dando alla Prima [141]  non solo qual Primo Prete, ed ordinando che ivi dovessero tutti convenire, cosa, che si vede fino dai ciechi, inventata per affrontare la Sac: Congregazione dei Riti, che aveva proibito a tali Chiese servirsi di siffatto Titolo, e che devevasi convenire in S. Maria, in cui sola era la Dignità Arcipretale.

Ma lasciamo tanti altri Anacronismi. Quello della Parocchiale di S. Croce in Rave-Canina basti per Tutti. Chi non sà, che S. Croce di colà è di Moderna Fundazione? E che l’antica Parrocchia di Ravecanina era l’Arcipretale Chiesa di S. Lucia, esistente nell’Antica Rocca di S. Angiolo, quale da poi che andò in rovina, gli abitanti di Ravecanina, o prendevano i Sacramenti nella Chiesa della Annunciata, di Patronato laicale, o bisognava che gli andassero a prendere in S. Nicola, antica Parochiale della desolata Raviscanina, e poi restata Parocchia campestre di S. Angiolo, dove era S. Croce, a tempo del Vescovo Angiolo?

Ma dove era (dirò meglio) in quel Tempo la Processione Generale del Corpo di Cristo? È vero, che la Festa ne fu introdotta da Urbano IV nel 1264, ma non si parlò di Processione, la quale introdotta in alcuni luoghi particolari, non diventò generale, se non molto dopo il 1416 che è l’Anno di questo Editto Profetico, cioè Fanatico. [142] Finiamola con avvertire, che quel Precetto di doversi da ciascuno umilmente pregare il SS.mo Sagramento per l’estirpazione delle Eresie, e per la Esaltazione della Santa Madre Chiesa, non si accorda con la Intenzione del Pontefice, Institutore di tale Festa, che secondo l’attestazione di S. Tommaso, altra non fu se non che “ut ineffabilem Modum Divinæ Præsentiæ in Sacramento visibili veneremur, et laudetur Dei Potentia, quæ in Sacramento eodem tot mirabilia operatur; necnon de tam salubri, tamque suavi beneficio exolvantur Deo, gratiarum dæbitæ actiones”.

Ed ecco un altro non men Falso Editto del medesimo Vescovo Angiolo del 1432, che trovasi ancor presentato nella Curia del Cappellano Maggiore, nella Causa di detto Empara di detto anno, e dice che volendo Egli celebrare nella sua cattedrale di Alife nella Prima Domenica di Pentecoste un Sinodo, ne faceva così precorrere l’invito.

Accedere itaque hortamur in Domino, et monentur videlicet Dignitates, et Canonici nostri Capitoli Alifani, A Clerus Urbanus ejusdem, dilectissimi filii, Parochus, et Presbiteri Matris Ecclesiæ SS. Nunciatæ, nostri Suburbii Vallatæ Parochus, et Presbyteri Ecclesiæ S. Joannis, Parochus, et Presbyteri Ecclesiæ S. Mariæ etc. Extracta est præsens copia etc.”.

[143] Si sà troppo Chiara la Falsità di questo supposto Documento di Monsignor Angiolo Sanfelice, dal vero Documento del di lui Laudo, pubblicato nel 1417. E perché ivi trattò la Vallata come un Quarto di Piedimonte, e qui la tratta da Suburbio di Alife? Se tale fosse stata, non vi era bisogno, che dichiarasse separatamente la Giurisdizione dell’Annunciata col ponte di Toranello, dalla giurisdizione di S. Maria Maggiore di Piedimonte. E come poteva esser Madre la Chiesa di un Casale? E di chi era Madre? Quali erano le Chiesa sue Filiali?

Ma lo stesso Vescovo Angiolo nel suo Laudo del 1417 obbligò tutti i Preti della Chiesa di Piedimonte a convenire in S. Maria ai Vespri, messe cantate, ed altri divini officii, tra quali si comprendevano ancora i Preti di S. Giovanni, e come poteva invitare al suo Sinodo prima il Parroco, e Preti di S. Giovanni, e poi il Parroco, e Preti di S. Maria? E come non invitarvi prima di tutti l’Arciprete di Piedimonte, che pur gli era notissimo, e ben due volte in detto Laudo ne parla? Ed esisteva tra noi da ben due secoli prima, come si è mostrato con pubblici Istrumenti alla mano. Or se tali Editti non son monete di falso Conio, quali saranno quelle, che siano battute alla macchia? [144] Dopo la Falsità degli Editti, dà agli Occhi quella del Cancelliere della Vescovile Curia Alifana, che asserisce, averne estratte le Copie dall’Archivio. Ma quale è questo archivio? (a)

 

(a) Nota Aggiunta al margine)

Forse vi sono le scritture, che sono più antiche del IX secolo? Oibò: perche andarono in fiamme nell’espugnazione Saracena. - Forse quelle, che son più vecchie del Sec: XII? Oibò: perchè si brugiarono nell’espugnazione di Rugieri. - Forse quella che antecedeva il Secolo XIII? No: perchè andarono in fiamme nell’incendio de Conte di Cala... - Forse, quelle, che furono scritte prima del Sec.: XVI? no: perchè le mandarono a fuoco i Confiscatori di Alife a nome di Filip: II.

Forse quelle, che furono prima del 1675? Neppure: perché avendole trasportate in S. Angiolo, monsignor Caracciolo, brugiarono anch’esse per opera di quei malviventi, che l’uccisero - come dunque potettero restare in esso archivio queste scritture del principio del Sec. XV? Ma torniamo al Archivio... L’autore fa cadere dette catecorie sotto la (a) in qta pagina.

(Piedimonte Mag: 26: 1841)

 

Vi fu forse giammai inventario delle Scritture? - vi fu archivio assegnato? Vi furono gli armadii chiusi a chiave, e custoditi con graticce di ferro, e di legno? Se ne fé mai la consegna al successore? Nulla, Nulla. In una stanza, in cui pioveva da ogni banda, dove i sorci ballavano, e delle rosecchiate carte facevano i nidi ai loro figli, e fra mille immondezze, parte su di alcune tavolacce, parte dentro Arche di Faggio tarlate - parte sul pavimento nudo - eranvi quantità di polverose cartacce, quali in ogn sede vacante si trasportavano da una stanza nell’altra, e si ammonticchiavano in mezzo di essa -  E questo era l’Archivio Alifano. Tanto che nel 1735 avendo i Canonici di S. Maria ottenuto ordine per la compulsazione di queste Scritture, altro non ebbero a fare, che far stipulare da un pubblico Notajo l’atto del pessimo stato di questo Archivio ridicolo, e trasmetterlo in Roma, dove la causa agitavasi, e bastò a fare, che di esse non fusse fatto alcun conto.

Credendo però vanamente di risarcire loro la stima, trasportandole di colà in Napoli, ve la finirono di perdere, giacché capitate sotto gli occhi del Consigliere Porcinari, Consultore del Cappellano Maggiore, avendole osservate sentenziò [145] che non avevano odore, né sapore di essere di quel tempo, che scritto in fronte portavano: poiché eccettuata la sola Carta vecchia (presa da qualche antico processo) il dippiù, in quanto al carattere, in quanto alla frase, ed in quanto all’uso, no si affaceva a’ quei tempi, delle scritture, de’ quali era egli al sommo perito.

 

Fine del Secolo XV

 

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