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Arciprete Dott. MICHELE FUSCO

Ispettore alle Antichità e all’Arte

 

 

 

 

TREBULA BALINIENSE

MONOGRAFIA STORICO-CRITICA

(2° edizione)

 

 

 

 

CASERTA

Tip. Orfanotrofio Maschile «S. Antonio»

1954

 

 

Alla venerata memoria
della dilettissima sorella
A N G E L I N A

 

 

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Plinio assicura che vi furono tre città denominate Trebula: la Baliniense, la Mutusca e la Suffenate.

Noi trattiamo della Baliniense in questo opuscoletto diviso in due parti, di cui la prima espone le vicende storiche della città, e la seconda enumera i Personaggi illustri che la visitarono e ne percorsero il campo.

 

 

PARTE PRIMA

VICENDE STORICHE

I

Origine e Topografia

Trebula Baliniense, a 330 metri sul livello del mare, a destra del Volturno, fu prima Etrusca, indi Sannita e poi Romana. Fiorì dove oggi è il villaggio di Treglia, parte precipua del Comune di Pontelatone, in Provincia di Caserta. E’ situata sopra umida valle, per cui l’aria è fredda anche nella stagione estiva: onde Marziale (lib. VI, Epig. C, ad Faustum) così la descrive:

Umida quae gelidas submittit Trebula valles

et viridis Cancri mensibus alget ager.

 

II

Controversie

A) – Quelli che piazzavano Trebula Baliniense alla sinistra del Volturno vengono tratti in errore da un alterato periodo di Tito Livio (Ab urbe condita, XXIII, 14), nella seguente narrazione del viaggio di Claudio Marcello da Casilino a Nola:

Ipse [Marcellus] a Casilino Calatiam petit,

atque inde, Vulturno amne traiecto,

per agrum Saticulanum Trebulanumque

super Suessulam per montes Nolam pervenit.

Se Livio avesse scritto così, la conseguenza sarebbe logica, perché, proveniente da Chiazzo, dopo aver traghettato il Volturno, il Pretore Claudio Marcello si sarebbe diretto a Nola, attraversando il territorio di Saticola e di Trebula: città che, quindi, sono state ritenute sulla sinistra del fiume. Infatti Saticola fu identificata con Caserta o con S. Agata dei Goti da una larga schiera di autorevoli scrittori. Trebula poi sarebbe esistita dove oggi è Trentola, presso Aversa, come affermano il Cluverio, il Ciarlanti, il Sanfelice ed altri innumerevoli pedissequi, i quali sostengono la loro tesi con tre poco convincenti ragioni: la somiglianza fonetica (Trebula-Trentola), l’esistenza a Trentola dei ruderi di un teatro e la pretesa affermazione Liviana che Trebula era in Campania.

B) – Riservandoci di dimostrare in altra pubblicazione la vacuità della asserta opinione, relativa alla ubicazione di Saticola, varrà la pena di indugiarci qui sulla ubicazione di Trebula, per assodare una verità, più che evidente, addirittura abbagliante?…

Pochissime città Romane possiedono tante eloquenti epigrafi lapidarie circa la loro identità, quante ce ne ha fornite finora la nostra Trebula: COLONI TREBULANI; SENATUS POPULUSQUE TREBULANUS; ORDO POPULUSQUE TREBULANORUM; ORDO POPULUSQUE BALINIENSIS; CIVITAS TREBULANORUM, ecc. (Cfr. Mommsen, C.I.L.).

Non sarà inutile riferire che l’Archeologo Gaetano Corrado, Ispettore alle antichità della zona di Trentola, afferma (lettera 25.11.’53 a noi diretta) che le opinioni pro Trentola sono “parti di fantasia, essendo Trentola sorta dopo la venuta dei Normanni… Nessuna antica pietra, nessun arco, nessun avanzo di teatro è mai esistito a Trentola”.

Ad abundantiam, rimandiamo il lettore a quanto sarà esposto nei prossimi capitoli.

C) – A scoprire poi il guasto del Testo Liviano, basta che, nei riportati quattro righi, relativi al viaggio di Marcello, si trasferisca il terzo di essi al secondo posto ed il secondo al terzo, e risulterà chiaramente la sbadataggine del copista, il  quale “fece prendere a Livio quei granchi che egli non sognò mai di pigliare” (Trutta: Dissertazioni Istoriche delle Antichità Alifane; pag. 327). Donde scaturirono le ragionevoli conseguenze, che inondarono di errori le pagine di tanti dotti, che collocarono e collocano le due città sulla sinistra del Volturno, in Campania, mentre il codice genuino di Livio le indica nel Sannio.

Per simili esempi di cattive trascrizioni, a proposito dei Codici Liviani e di tradizioni manoscritte, vedansi il Guazzesi, il Nissen ed il Cocchia, nella nota alla introduzione alla Terza Deca di Tito Livio, Cap. XI-150, del Cocchia stesso.

D) – Il Pretore Marcello, dunque, dovendosi recare di Urgenza da Casilino a Nola, non poteva accorciare il cammino inoltrandosi per Capua, dove avrebbe dovuto affrontare il Cartaginese, che occupava quella città (Livio, XXIII, 14), provocando così un dannoso ritardo nel viaggio, e, soprattutto, la propalazione del suo riservato piano strategico: “Celari quae secum acta essent” (Marcello ai legati Volani). Preferì quindi il giro per città sannite, cioè per Saticola (l’attuale Statigliano – ager Saticulanus – , come nella nostra pubblicazione in fieri), dal cui territorio proseguì pel confinante Trebulano e da questo pel Calatino, dove lo stratega attraversò il fiume (v. citato 3° rigo Liviano, mal proposto dal copista).

Ne fa cenno anche il Trutta (op. cit., pag. 329), il quale fa iniziare il viaggio di Marcello da Casilino a Nola “non per la via della Campania, che è meridionale ai Tifati, nei quali aveva Annibale il campo, ma per la via che è settentrionale agli stessi”.

I Cluveriani ed affini, fra cui sono anche quelli che ripudiano Trentola per …Maddaloni, pur di situare Trebula in Campania (Georges – Diz. della Lingua Latina, 1938, voce Trebula), non riflettono che, trasferendo Trebula dal suo sito Sannitico e trapiantandola in Campania, si trovano a mal partito, perché è assodato che tale città fu nel Sannio, come dalla seguente dimostrazione.

 

III

Trebula fu nel Sannio

Il Pellegrino (Campania Felix, pag. 485), parlando dei confini della Campania e del Sannio, precisa che il monte Callicola, generalmente ritenuto il baluardo divisorio fra le due regioni, dal lato di Cales appartiene alla Campania e dal lato di Trebula ai Trebulani. Dunque, questi non erano in Campania. Ed il Trutta (op. cit., pag. 325) così scrive: “Sostenuti noi dunque dall’Autorità di Polibio e di Livio, e da quella del Pellegrino, del Pratili, di Don Francesco Caraffa e dalla nostra ispezione oculare, non meno che dalle iscrizioni e da’ ruderi che ad alta voce fanno fede essere stata l’antica Trebula non già nella Campania, ma bensì nel Sannio, e propriamente in una valle…, non possiamo dispensarci di aguzzare il nostro stile contro il Cluverio, il Sanfelice Seniore col Iuniore, ed il Caracciolo, i quali tutti ch in Campania fusse sostengono”.

Ma che Trebula sia stata Sannita ce lo garantiscono, da soli, i cennati monumenti epigrafici, i quali assodano il sito dove essa ebbe vita (l’attuale Treglia), a 4 chilometri dal Callicola, l’indiscusso confine fra la Campania, a sud (verso Capua), ed il Sannio, a nord (verso Trebula), denominato perciò Collis Trebulanus. Ce ne assicura soprattutto Tito Livio (XXIII, 39), quando fa chiaramente intendere che le città consorelle Trebula, Saticola e Compulteria erano raggruppate e confinanti fra loro. Dalla prova quindi che Saticola fu nel Sannio si deduce che vi fu anche Trebula. Ora l’appartenenza di Saticola al Sannio è proclamata da Festo Pompeo (De Coloniis): “Valerius in Campaniam, Cornelius in Samnium: ille ad montem Gaurum, hic ad Saticulam castra ponunt”. Espugnate poi Compulteria e Saticola, Fabio avrebbe raggiunta la lontana Trebula, risparmiando le altre ribelli città intermedie?…

A scanso di facili equivoci, occorre tener presente che se Plinio (Nat. Hist., lib. XIV, cap. 6), menzionando i vini eccellenti della Campania, vi inserisce i Trebulani, egli si riferisce alla Campania Imperiale, secondo i modificati confini di Augusto. Per gli stessi motivi, Tolomeo (Georg., lib. IV, 1), scrivendo al tempo di Adriano, nomina Trebula fra le città della Campania.

Sarà anche bene rilevare che qualche poco attendibile commentatore fa partire Marcello da Canosa e non da Casilino, senza badare al fatto che, quando il Condottiero, ricevuti gli ambasciatori Volani, si dispose a marciare, “Casilini cum exercitu erat” (Livio XXIII, 14). A prescindere poi che da Canosa a Nola non Bisognava passare il Volturno!

 

IV

Oggetti rinvenuti

A) – Nell’Agro Trebulano sono affiorati, sotto l’aratro e la zappa, innumerevoli manufatti, ossia copiosi vasi fittili e bronzei, sia rozzi che dipinti ed artisticamente lavorati. Trattasi di anfore, anelli, orciuoli, musaici, pentole, coppe, patere, olle, dolii, stadere, armille, lychni, bilychni, coltelli, vasi Greci, Etruschi, Sanniti e Romani, portafiori, suppellettili domestiche, ecc.

Da un solo sepolcreto ricavammo 66 vasi unguentarii, insieme a specchi, pendoli da telaio e perfino ossicini di uccelli.

B) – Inoltre dai ruderi della distrutta città sono state, con scavi clandestini, esumate belle statue di marmo e di bronzo, finemente scolpite e quasi mai ricuperate. Tra queste conviene ricordare quella di Arpocrate, nume del silenzio, con un dito sulla bocca, e quella di un guerriero laureato, di grandi ed armoniche forme, coverto dalla lorica e con un’aquila sulla toga pretesta. Chi rappresentava? A nostro modesto avviso, si potrebbe ravvisarvi Cicerone, Proconsole della Cilicia, che conseguì la vittoria contro i Parti. I Trebulani, frequentemente visitati dal grande Oratore, al quale erano affezionati e devoti, potrebbero avere imitata la limitrofa Capua, che aveva innalzata una statua d’oro all’Arpinate.

E’ poi tradizione antichissima che la via, oggi ridotta a sentiero, attraverso le contrade Colle di Gerusalemme, Nocelle, Cerri, Cupa delle Fine, S. Maria a Pietro, Corterosa, Casalicchio, Forella, Treglia, nel Comune di Pontelatone, veniva percorsa da Cicerone, per visitare il suo amico Lucio Ponzio a Trebula.

Tale notorietà ci viene attestata dal Sindaco di Pontelatone (14.13.1953).

C) – Tra gli oggetti più preziosi sono da annoverare, oltre alle mura poligonali, muti ma eloquenti testimoni della grandezza di Trebula, una freccia preistorica di pietra, che il Maturi denomina “importante documento dell’industria locale”. Abbiamo poi un arrugginito mucrone di lancia da noi raccolto sull’Acropoli Trebulana, dove si svolse l’aspra battaglia fra Cartaginesi e Romani, i quali, guidati da Fabio Massimo, sottomisero con le armi la città, defezionata con moltissime altre, dopo la disfatta Romana di Canne.

E qui crediamo opportuno di sfatare la famosa leggenda, comune ad altre città, che tuttora lusinga i cuori di certi speranzosi Trebulani, circa una chioccia con pulcini d’oro, nascosta nel sottosuolo dalla cittadinanza, fuggita in massa dalla patria, a causa di una pubblica calamità.

Si deplora poi che molti preziosi oggetti furono soventi volte asportati da avidi speculatori, fino all’anno 1924, quando l’eminente Archeologo Amedeo Maturi, creato Soprintendente alle Antichità della Campania, con atti energici pose termine all’ingordo traffico. Ci premurò pertanto di istituire in Formicola, il cui Mandamento abbraccia precisamente l’area del Trebulano, un piccolo Antiquario, costituito da tre vani, il quale, inaugurato col materiale archeologico parzialmente ricuperato, è andato mano mano arricchendosi dei successivi affioramenti, specie dopo l’intelligente collaborazione dell’Ispettore Aggiunto Dott. Gaetano Fusco.

 

V

Numismatica

Non possiamo omettere di trattare, in apposito capitolo, della collezione di monete, emerse casualmente nell’Agro Trebulano e custodite nel detto Antiquario.

Tra le più antiche si distinguono tre esemplari di Siracusa, dei quali due dell’epoca Timoleontea (344-317 a. C.), recanti al dritto un Apollo laureato e al rovescio un Petaso. Il terzo tipo porta l’effigie del tiranno Agatocle (317-289 a. C.) e al rovescio il nome di Lui.

Giova poi elencare distintamente tutte le 183 monete, riferentisi all’età Augustea e susseguente.

Sono rappresentati, fra i Triumviri Monetali: Silio, Lamia e Annio, con tre esemplari – M. Vipsanio Agrippa, un solo esemplare – T. Sempronio Gracco, uno – C. Prozio Rufo, uno – M. Salvio Oto, uno – L. Lurio Agrippa, uno – M. Mecillo Tullo, uno – Voluto Valero Messala, uno – Apronio, Sisenna, Messala, Galo, sei – Nevio Capella, uno – C. Valerio Catullo, uno – Rubellio Blando, uno.

Fra gli Imperatori:

Augusto, tre esemplari – Druso, due – Nerone, uno, Galba, due, Vespasiano, uno – Nerva, uno – Traiano, due – Adriano, uno – Antonino Pio, tre – Faustina (madre), uno – Marco Aurelio, due – Lucio Vero, uno – Comodo, quattro – Massimino I, tre – Gordiano I, tre – Gordiano (figlio), uno – Gallieno, quattro – Valeriano (figlio), uno – Claudio Gotico, undici – Aureliano, cinque – Floriano, uno, Probo, dieci – Marco Aurelio Caro, due – Diocleziano, cinque – Massimiano, cinque – Costanzo Cloro, due – Galerio Massimiano, quattro – Massenzio, otto – Licinio (padre), otto – Licinio (figlio), due – Costantino Magno, cinque – Flavio Giulio Crispo, tre – Constantino II, quindici – Costante, cinque – Costanzo II, quattro – Costanzo Gallo, due – Gioviano, uno – Valente, due – Graziano, due – Valentiniano II, sei – Teodosio, due – Arcadio, uno – Giustino I, due – Giustiniano I, uno.

AVVERTENZE

a)      Sette monete recano la iscrizione “Costantinopolis” e tre “Urbs Roma” con la lupa che allatta i due gemelli;

b)     quelle dei Triumviri Monetali riportano la sigla “A. A. A. F. F. (= auro, argento, aere, flando feriundo)”;

c)      vi è un denaro, la prima moneta d’argento, coniata nella officina di Roma nel 268 a. C. E’ anepigrafe, come le primitive, e reca al dritto la testa di Roma con l’elmo alato ed al rovescio i Di oscuri a cavallo;

d)     molte monete hanno S. C. (= Senatus Consulto); alcune recano figure simboliche; per es. due Guerrieri che si stendono la mano, con la scritta “Concordia Militum”.

 

VI

Monumenti epigrafici

Che diremo delle iscrizioni lapidarie, di cui non vi ha fonte più preziosa e più sicura per assodare la verita?

Delle diciassette Epigrafi Trebulane, trascritte dal Mommsen, dalla 4553 alla 4569, cinque soltanto, superstiti in situ, sono state estratte e custodite nel nostro piccolo Museo.

Siamo lietissimi in proposito di riferire il rinvenimento di una ignota Iscrizione, apposta ad una vasca di pietra viva, che faceva parte dell’acquedotto Trebulano, da noi scoperta ed estratta dalla casa colonica “Castiello”, presso Formicola.

Il prezioso Cimelio, che sfuggì al Mommsen, e quindi inedito, con lettere chiaramente incise, ci informa che Marco Mario Sofo e Marco Mario Cimbro, quadrunviri quinquennali, provvidero, per Decreto del Decurionato, a costruire il serbatoio e la conduttura dell’acqua in Città.

Tale vasca, del peso di oltre dodici quintali, dopo la distruzione di Trebula fu adibita al rito battesimale, nell’epoca in cui questo si amministrava per immersionem, come rilevammo dai Registri della Parrocchia della frazione Lautoni, in questo Comune.

 

VII

Importanza di Trebula

A)    – Trebula fu Municipio ed ebbe l’altro onore della Cittadinanza Romana nel 450 ab. u. c.: “Arpinatibus Trebulanisque civitas data” (Livio, X, 1), cui il Sigonio aggiunge: “et triennio post L. Genutio Ses. Cornelio coss. Arpinatibus Trebulanisque civitas impertita, sed sine suffragio” (De Ant. Iur. Ital., lib. II – cap. 9). Nei riguardi della Municipalità, anche Panvinio assicura che Trebula fu antico Municipio: il che è confermato da Frontino (De Coloniis) e dal Mommsen (C. I. L.), il quale dice: “…Denique huc referemus quod legitur in indice Coloniarum, pag. 238: Trebula Municipium; iter populo non debetur; ager eius limitibus Augusteis est adsignatus, nam regionis primae oppida ibi enumerantur”.

Alcuni asseriscono che Livio abbia attribuito ad altra Trebula il privilegio della Cittadinanza Romana, ed anche il Mommsen ne dubita con un “fortasse”. Noi ignoriamo se e quale argomento sorregga la loro tesi. Ma, finchè manca la prova positiva, vige la presunta, che, nel caso, sta per quelle due città che abbia maggior importanza e quindi maggior titolo di preferenza.

Orbene sappiamo che la nostra Baliniese ebbe singolare importanza sotto diversi aspetti.

B) – Cicerone esaltò l’Agro Trebulano, associandolo al venafrano e all’Alifano, col quale confinava, cioè ai campi più rinomati dell’epoca. Il Trebulano si estendeva per Km. 12 dalle falde del Monte Maggiore fin quasi al Volturno, e comprendeva un territorio, che oggi costituisce le aree dei Comuni di Formicola, Pontelatone, Liberi e Casteldisasso. Era cosparso di ville amene e di case coloniche, i cui ruderi (distinti per località di provenienza) sono conservati nello Antiquario Formicolano. L’ager Trebulanus, oltre che di copiose messi e di frutti squisiti, era ferace di ubertosi vigneti, donde i vini generosi celebrati da Plinio. Marziale poi (XIII, 30) ricorda i saporosi formaggi Trebulani, cui attribuisce un doppio pregio, e inducit eos loquentes:

Trebula nos genuit, commendat gratia duplex,

sive levi flamma, sive domamur aqua”.

(Due specialità: la ricotta e il cosiddetto conciato). Lo stesso poeta limita le lodi al solo formaggio Trebulano, mentre per quello di altri paesi esalta solamente l’abbondanza. Un esempio riferentesi alla città di Luna, in Toscana;

Caseus Etruscae signatus imagine Lunae

praestabit pueris prandia mille tuis”.

Anche i due distici di Marziale, ossia quello trascritto nel I capitolo e questo dei formaggi si fanno riferire da alcuni, senza provarlo, alla Trebula Mutusca. Ma valga pure qui la norma giuridica delle prove e delle presunzioni; mentre, nella specie, abbiamo che il concetto espresso nel cennato primo distico corrisponde perfettamente alla posizione topo- grafica e climatica della Baliniense. Quanto poi alla confezione dei formaggi, vi è a nostro favore qualche indizio sia nella tradizione antichissima di tale industria locale, appoggiata dall’Archeologo Giuseppe Faraone, frequentatore e scrittore del Trebulano, sia nell’attività pastorizia deglia antichi Trebulani, affermata dal Maiuri. Comunque, siamo disposti a ricrederci, previa esibizione della prova contraria.

C) – Come può dedursi dai monumenti epigrafici (C.I.L.), Trebula anche dal lato politico fu tra le più cospicue città Sannitiche, retta da un Decurionato con i Quadrumviri iuri dicundo nel periodo aureo, e, nella decadenza, con i Duumviri.

Dalle stesse iscrizioni risulta che essa fu decorata del nobile Collegio degli Augustali, istituito da Tiberio in onore di Augusto, e del Ceto dei Luperci, Sacerdoti consacrati al culto del dio Pane. Ebbe il Teatro, l’Acquedotto, il Foro, dei quali i curatori del frumento, ecc. Tutto ciò fece scrivere al De Luca e al Mastriani (Diz. Coreog. dl Reame di Napoli, 1858, pag. 847): “Caudio, Saticola e Trebula erano i Comuni più ragguardevoli dei Sanniti”; e al Sanfelice Iuniore (Campania notis illustrata, 1726, pag. 146): “Illustris Campaniae urbs Trebula fuit”.

D) – Trebula, come pochissime Città coeve, si costruì pure le Terme, “gli edifizi antichi che meglio attestano della grandezza e sontuosità Romana e del costume non nella sola Capitale dell’Orbe, ma dovunque le aquile latine ebbero a stendere i volo delle proprie conquiste” (Curti, Pompei e le sue Rovine, vol. II, pag. 183); e se ne ebbe tanta cura che il Senato ed il Popolo Trebulano dedicarono una statua al Duumviro Alfio L. Fannio, il quale aveva reintegrate le Terme stesse, deteriorate dal tempo. Esse venivano alimentate dalle acque del monte Frigento, donde sgorgavano (come tuttora) due fresche polle, Chersicon e Corsicon, incanalate, mediante tubi di argilla, in un ampio serbatoio, di cui resta qualche rudero. Di là, biforcandosi, una porzione della corrente raggiungeva la piazza, abbellita da una fontana, che, a giudicarla dalla vasca di cui al cap. VI, doveva essere di grandiose proporzioni; e l’altra scaturigine, attraverso condotti di piombo, si immetteva nel tepidario delle Terme (hypocauston), mentre ardevano i forni sottostanti. Di qui la denominazone di Baliniensis, derivata da balineae, per epentesi.

E) – Inoltre l’importanza di Trebula si arguisce dal fatto che delle sue vicende storiche si occuparono, sebbene con opinioni talora divergenti, Polibio, Cicerone, Livio, Marziale, Strabone, Tolomeo, Plinio, Sigonio, Panvinio, Cluverio, Frontino, Caracciolo, Pellegrino, i due Sanfelice, Pratilli, Daniele, Giustiniani, Corcia, Francesco Carafa, Trutta, Marrocco, Iadone, Faraone, Iannelli, Mommsen e, più diffusamente, Maiuri.

I suoi fasti sono immortalati dalla svariata raccolta di manufatti, anche preistorici, dalla preziosa collezione di monete, che la tennero in continui rapporti con Roma, e dalla cinta di mura Ciclopiche (circuito 2500 metri, VI sec. a. C.), “vasta e complessa opera di recinzione murale di opera poligonale, che costituisce il più grandioso ed il più perspicuo esempio di Città Italica che si abbia in tutte le Regioni montane limitrofe della Campania” (Maiuri, Ricognizione dell’Agro Trebulano, 1930).

Rileviamo poi che il tanto fulgido astro Trebulano si ecclissò, ma non tramontò affatto, dopo la defezione da Roma. La città, espugnata, da Fabio con Saticola e Compulteria (Livio, XXIII, 39), sembra essere stata punita con l’assottigliamento del suo campo: “Nel tempo che Annibale scese dal Sannio in Campania, Calazia era un Castello di poco conto e piccolissimo…, onde non poteva avere campo [doveva averne ristretta zona], che tutto era di Trebula, la quale, essendo stata presa a forza d’armi da Fabio, fu privata verisimilmente del Campo e questo poi da Calazia occupato”. (Trutta, op. cit., 312).

Tuttavia Trebula continuò, oltre che l’attività agricola e pastorizia, anche le sue relazioni politiche con Roma, come risulta dalla presenza di monete di ogni zecca romana e dalle inaugurazioni di monumenti epigrafici, dedicati non solo a benemeriti cittadini e ad opere pubbliche, ma anche ad Imperatori e loro Famiglie (cfr. Mommsen, C. I. L.). Che anzi più tardi si iniziò per essa il periodo aureo, quale città alleata fino alla guerra sociale, con gli onori della Municipalità e della Romana Cittadinanza.

 

PARTE SECONDA

VISITATORI DEL TREBULANO

VIII

Fra i più insigni Personaggi che percorsero il campo Trebulano risaltano indubbiamente Annibale Cartaginese, Fabio Massimo, Claudio Marcello e M. Tullio Cicerone.

Parliamo di ciascuno distintamente.

 

A n n i b a l e

1°) – Polibio (lib. III, 92) racconta che il Cartaginese, “avendo in mente questo disegno [spaventare i nemici e indurli a ribellarsi ai Romani] attraversati, nel ventre del Sannio, i passi sul colle chiamato Eribano, si accampò presso il Fiume Volturno, che divide quasi metà la predetta pianura [di Capua e del Falerno]”.

Anzitutto, come osservano il Cluverio ed altri, per Colle Eribiano deve intendersi il Trebulano, corrispondente a quello che viene spesso appellato Collis Trebulans e Callicula. Lo confermano, tra gli altri, l’Olstenio, il Pellegrino e lo stesso Casaubono, traduttore di Polibio, i quali asseriscono pure che l’originale doveva recare Tribiano. Ed il Trutta (op. cit., pag. 307), nell’associarsi a loro, rileva che “il cambiamento di pochi elementi è potuto agevolmente avvenire o dall’ignoranza dei copiatori, o dall’idioma in cui l’autore scriveva…”, il quale ”non poté fare a meno di storpiare, per dir così, molti nomi latini”, come avverte anche Gronovio, che cita altri qui pro quo Polibiani.

2°) – Tito Livio (XXII, 13), descrivendo lo stesso viaggio di Annibale dal Sannio in Campania, così si esprime: “Per Allifanum Calatinumque et Calenum agrum in campum Stellatem descendit”.

Il Pratilli (v. App., lib. 4°) osserva che Livio tra i cennati campi ha trascurato il Trebulano, e lo riprende “per esserci a capriccio appartato dal Tribiano di Polibio”, facendo così intendere che le narrazioni dei due storici fossero contraddittorie. Ma i più attendibili Scrittori spiegano che la variazione, di forma e non di sostanza, è dovuta o alla ipotesi che Livio abbia ritenuto poco dignitoso copiare ad litteram quanto affermato da Polibio, o, meglio, al fatto che era superfluo nominare anche il Trebulano al 3° posto, essendo più che sufficiente la descrizione del suddetto viaggio con l’indicazione di ben quattro campi. Se Livio avesse voluto elencare tutti i campi intermedi, da quello a quo a quello ad quem, avrebbe dovuto includere anche il campo di Compulteria, tra l’Alifano e il Calatino. D’altronde nella menzione del Caleno è inclusa l’idea del Trebulano, essendo i due campi nessi e connessi, perché il Callicola, che li divide, è detto Caleno a sud, e Trebulano a nord. Dunque nessuna divergenza fra le due narrazioni.

3°) – Ma quale fu il dettagliato itinerario del Cartaginese?

 Filippo Cluverio, denominato dal Gronovio (in not. Ad Polyb.) geographorum callentissimus, sostiene che Annibale passò e ripassò il Callicola attraverso lo stretto valico, oggi denominato Colla, tra Formicola e Bellona. Invece il Pellegrino e il Trutta opinano che l’ibis et redibis dei due eserciti sarebbe avvenuto a Triflisco, fra il termine del digradante Callicola ed il Volturno, motivando la loro affermazione con la preposizione propter, essendo la frase Polibiana tradotta così: “Annibale si accampò presso (propter) il fiume Volturno”.

Osserviamo che:

a) il propter è generico e relativo. Cicerone scrive: “Insulae propter Siciliam”, mentre la più vicina alla Trinacria dista 8 chilometri.

b) Il propter, nel caso, non si riferisce al punto di transito, di cui è controversia, ma al sito dell’accampamento Cartaginese. E noi conveniamo che questo trovavasi nello Stellate propter Vulturnum, cioè a qualche chilometro dal fiume.

c) Il transito per Triflisco con è ammissibile, ed è escluso dal Kromayer-Veith (Antike Schlachtfelder, I, pag. 214), sebbene non concordiamo con l’insigne Storico, quando addita il discusso passaggio per l’apertura di Pietravairano ed il valico di S. Antonio Abate.

d) La posizione topografica ci induce a scartare Triflisco e aderire al Cluverio, dimostrando che Annibale transitò pel detto passo o strettoia del Callicola. Ne è prova la descrizione che ce ne fa Polibio, il quale dice (III, 92-93-94):

– che un colle domina il passo. E tutti possono constatare che l’Acropoli di “Castellone” domina il passo medesimo, come constatò anche il Maiuri (op. cit., pag. 16);

– che Annibale mostrò agli operai militari, addetti a preparare lo stratagemma dei buoi, una cima situata tra l’uscita del passo e l’accampamento Cartaginese. E la cima anche oggi corrisponde meravigliosamente all’accenno dello Storico Greco. Trattasi di un poggio o collinetta, lunga m. 500, alta 50, distante dalle strettoie circa un chilometro e dal fiume Km. 3. Dunque l’accampamento Punico, che era a sud della collinetta (discorso di Annibale agli operai militari, Polibio, III, 93) doveva, su per giù, distare qualche chilometro dal fiume: distanza classicamente espressa dal propter;

– che Fabio con la maggior parte dell’esercito si accampò sopra il colle che domina il passo. Ed i segni dello accampamento su tale colle sono tuttora visibili, avendovi noi scoperto una fortificazione con mura poligonali, che, segnalate al Soprintendente Maiuri, furono da Lui ispezionate e così descritte: “cinta fortificata nella località Castellone…, là dove la tradizione dotta locale colloca l’accampamento di Fabio, durante la campagna di Annibale dell’autunno 217 a. C., identificando la Masseria La Colla con il Mons Callicula, famoso per il noto stratagemma che fruttò al duce Cartaginese la libera evasione dall’accerchiamento…” (op. cit. pag. 16);

– che Fabio, durante il trambusto dei buoi, “se ne stava fermo dentro lo steccato”. E Livio lo conferma dicendo: “suos munimentis tenuit” (XXII, 18). Anche Cornelio Nepote scrive in proposito: “ut egredi extra vallum nemo sit ausus” (De Viris illustribus – Hannibal, 5).

Sicché la tesi del passaggio di Annibale fra Triflisco e il Volturno non è accettabile, perché la località (se pur fosse stata capace ad allogare un esercito) non ha la isolata cima o collinetta nelle vicinanze, non ha il monte che sovrasti alle strettoie, non lo steccato difensivo accennato da Polibio, appellato munimentum da Livio e vallum da Cornelio Nepote; a prescindere poi che l’accampamento Cartaginese doveva essere a due miglia da quello Romano (Livio, XXII, 15), mentre Triflisco distava da questo Km. 9, ed era per giunta situato in posto, donde, a causa delle interposte montagne, non era attuabile la  norma strategica di spiare e controllare il nemico.

Fabio e Marcello

Assodato che il Trebulano fu percorso da Annibale, in occasione del suo passaggio dal Sannio in Campania, non vi è bisogno di provare altrettanto nei riguardi di Fabio Massimo, il quale seguiva il nemico come l’ombra il corpo.

Ma il Temporeggiatore si riaffaccio a Trebula, allorché con la forza la riconquistò insieme a Compulteria e Saticola, essendosi tutte tre le città date al Cartaginese, vincitore a Canne (Livio, XXIII, 39).

Dagli atti più antichi del Comune di Pontelatone risulta che nella frazione Treglia (già Trebula) fu intitolata a Fabio Massimo una strada, citata anche nei successivi censimenti demografici. (Certif. del Sindaco, 14.12.1953).

Quanto a Claudio Marcello, il suo passaggio per il Trebulano è riportato al cap. II, lett. D, della presente.

 

Cicerone

Le vicende politiche di Roma, spesso burrascose, che scuotevano e turbavano in Marco Tullio la serenità degli studi umanistici, filosofici e oratorii, trovavano in Lui un po’ di confortevole tregua nelle sporadiche dimore non solo presso le ville proprie, ma anche in quella dell’amico Lucio Ponzio, in Trebula nostra, donde spedì a T. Pomponio Attico parecchie lettere, che alcuni erroneamente ritengono scritte da Trebula Mutusca, dove sarebbe avvenuto il soggiorno di Cicerone.

Sorge quindi la opportunità di dimostrare che tanto la dimora quanto la corrispondenza epistolare si riferisco alla Trebula Baliniense. Il che è provato:

1°) – DA DOCUMENTI LAPIDARI.

Il Mommsen (C.I.L.) fa menzione di un laterizio da lui osservato a Treglia nel 1878, con bollo così epigrafato, a lettere prominenti: L. PONTI ANTIOC. – Questo cimelio ci era stato genitlmente regalato dal proprietario che lo teneva in fabbrica, quando ne scoprimmo un altro simile in una casa colonica dell’Agro Trebulano. Entrambi sono di forma triangolare, con la base di cm. 35 e l’altezza di cm. 20 circa, e si conservano nel nostro piccolo Museo.

Occorre poi aggiungere che, dopo accurate e minuziose indagini, è risultato che negli avanzi della Mutusca non è emerso, neppure un grafia dubbia o approssimativa, il nome di Lucio Ponzio.

2°) – DALLE LETTERE DELL’ARPINATE.

Questi, dopo che, per la vittoria riportata da Proconsole in Cilicia, era stato salutato Imperator, mentre scoppiavano le prime scintille della guerra civile fra Cesare e Pompeo, che lo mettevano in grave imbarazzo, scrisse dalla villa dell’ospite Lucio Ponzio quattro lettere a T. Pomponio Attico: a) – Epist. II, lib. V: “Ex Pompeiano, a. d. VI id. Mai…, in Trebulano apud Pontium”;

b) – Epist. III, lib. V: “Ex Trebulano, a. d. V id. Mai.; veni in Trebulanum ad Pontium… A Pontio ex Trebulano”;

c) – Epist. IV, lib. V: “Ex Beneventano eodem die accepi eas litteras…, ad quas ego eo ipso die dederam es Trebulano L. Ponti”;

d) – Epist. III, lib. VII: “Dat. V id. Decembr. a Pontio ex Trebulano”.

Ma qui sorge un’interessante controversia, per il fatto che, sviluppando la cennata II Epistola del lib. V ex Pompeiano, troviamo che Cicerone scrisse: “Cum has dabam litteras, ex Pompeiano proficiscebar, ut eo die manerem in Trebulano apud Pontium”.

Ora al chiarissimo Mommsen sembrò impossibile che si fosse potuto effettuare nello stesso giorno il lungo viaggio da Pompei a Trebula. Quindi creò fra Pompei e Benevento un altro Rus Trebulanum, dove Cicerone avrebbe compiuta la sua prima tappa. Ma, col massimo riguardo verso l’eccellentissimo Maestro, osiamo confutare la sua affermazione con le ragioni seguenti:

A) – Lo stesso Cicerone, nell’orazione pro Sexto Roscio Amerino (cap. VII), assicura che Manlio Glaucia, di notte tempo, percorse col cisio 56 miglia in sole 10 ore: ”Hic Ameriam venit; decem horis nocturnis sex et quinquaginta millia passuum cisiis pervolavit”. Perché dunque non avrebbe potuto Cicerone percorrere col suo cisio, e di giorno, 46 miglia dal Pompeiano al Trebulano?…

A proposito poi dei viaggi a cavallo in epoca romana, vedasi anche C. Giorni, Introduz. al vol. “Cicerone e i suoi corrispondenti (lettere scelte e commentate)”, pag. XXVII, ove si indica un percorso medio diurno di 50 miglia, e quindi più lungo di quello compiuto dall’Arpinate.

E dire che Cicerone, avverso all’indugioso viaggio notturno, soleva, come dai suoi scritti, iniziarlo di buon mattino, per giungere in giornata a destinazione. Iam deest quod scribam et lucet. Beneventum cogitabam hodie ” (A Pontio ex Trebulano, lib. V, epist. III, ad Atticum). Ed a Benevento arrivò eodem die, come dalla susseguente epistola. Tale secondo viaggio da Trebula a Benevento (Km. 65), quasi della stessa distanza che da Pompei a Trebula (Km. 68), ribadisce il nostro assunto.

B) – Inoltre, nella citata Epistola II del lib. V Cicerone comunicava non solo di giungere in giornata da Pompei a Trebula (il che impressionò Mommsen), ma di essere diretto presso Ponzio. Può lo storico tedesco rintracciare l’esistenza di un Ponzio nel suo Rus Trebulanum?

C) – L’indicazione di una 4° Trebula fra Pompei e Benevento non è poi accettabile, sia perché non risulta dall’elenco delle ville di Cicerone, sia perché smentirebbe la categorica affermazione di Plinio, sia perché, interrogato in proposito il più profondo conoscitore della zona Pompeiana, dove svolge da circa un trentennio la sua paziente, efficacissima opera archeologica, ci rispose: “Non conosco alcuna altra Trebula nelle vicinanze di Pompei; e penso che la Trebula delle lettere ad Atticum non possa essere altra all’infuori della vostra Treglia” (Maiuri, lettera a noi diretta il 26 dicembre 1938).

3°) – DALLE DISTANZE CHILOMETRICHE.

Nella medesima epistola III del lib. V, Cicerone dice pure: ”Mihi tuae litterae binae redditae sunt tertio abs te die”. Donde apparisce che un corriere di allora, al servizio dei privati, impiegava circa tre giorni da Roma a Trebula Baliniense.

Dunque, se le lettere di Attico fossero state dirette a Cicerone nella Trebula Mutusca, il destinatario le avrebbe ricevute non il terzo giorno, ma dopo poche ore, trattandosi di una distanza di km. 59, mentre fra Roma e la nostra Trebula intercedono km. 220.

Ci si consenta qui una breve digressione col rievocare il triste episodio delle Forche Caudine. E, siccome si dubita tuttora del luogo preciso della ignominia subita dal Romano esercito, noi, fra le contrastanti disquisizioni storico-geofisiche, preferiamo l’ipotesi più attendibile, sostenuta dal Daniele, Dal Cocchia e dal De Lucia, sulla scorta degli studi del Biondo, del Siconio e del Panvinio; i quali tutti indicano Arpaia, quale località prossima alle strette gole della disfatta Romana.

Ebbene, il Console Spurio Postumio, condottiero delle sfortunate legioni, quando si giustificò innanzi al Senato, disse: “Dii immortales et vestris et hostium imperatoribus mentem ademerunt”; e poi: “Si sana mens fuisset”, si sarebbero potuti mandare ambasciatori a Roma, per trattare in proposito, giacché “Tridui iter expeditis erat…”; intanto vi sarebbe stata una tregua.

Apprendiamo dunque che un corriere, libero da bagagli, impiegava tre giorni da Arpaia a Roma: il che collima ottimamente col tertio abs te die di Cicerone. Che se il tridui di Livio significa tre giorni interi ed il tertio die di Cicerone esprime un tempo minore, si deve al fatto che da Roma ad Arpaia intercorre la distanza di km. 235, ossia di km. 15 in più di quella fra Trebula e la Capitale, che è, come si diceva, di km. 220. Sicché nei riguardi dell’insigne Archeologo tedesco il caso di ricordare l’Oraziano: “Quandoque bonus dormitat Homerus”.

 

Altri visitatori del Trebulano

In tempi relativamente vicini si recarono ad ispezionare le rovine di Trebula: l’Ambasciatore Inglese Guglielmo Hamilton con la moglie Emma Liona, nel 1758 e nel 1766; Van Duhn nel 1877; Teodoro Mommsen con la fiugliuola nel 1878, oltre gli storici campani Melchiori, Mazzocchi, Marrocco, Trutta, Pratilli, Iadone, Pellegrino, Sanfelice, Iannelli, Faraone, e, frequentemente, Maiuri.

 

 

 

IX

Distruzione di Trebula

Se ne ignora l’epoca precisa, ma è da scartare l’opinione di ch’ei sostiene che la distruzione della città sia avvenuta agli inizi del quarto secolo dell’era volgare: giacché vi circolarono monete, da noi custodite, non solo di Costantino il Grande, ma anche di altri Imperatori Romani d’Occidente fino ad Arcadio, e persino degli Imperatori d’Oriente Giustino I e Giustiniano I.

E’ probabile invece che Trebula sia stata distrutta (è discusso se da un terremoto o dai Saraceni) nel nono secolo, come affermano il Trutta, l’abate Sacco, il Giustiniani, il Corcia e il Faraone.

Tale epoca è avvalorata dall’iscrizione apposta alla statua innalzata al duumviro Alfio Fannio, restauratore delle Terme Costantiniane, “longa vetustate corruptas”.

Ed ora facciamo appello alle Autorità competenti, perché siano eseguiti regolari scavi nell’ampia zona trebulana, satura di oggetti archeologici; e ciò non solo per una maggiore conoscenza storica dell’antica città, ma anche nell’interesse della storia nazionale, memori della saggia osservazione del Maiuri (op. cit., pp. 12 e 13): “Se, come è certo, l’esplo- razione di una città sannitica nel momento decisivo della storia d’Italia, fra l’VIII e il V secolo a. C., è supremo ed essenziale dovere dell’archeologia nazionale, la città di Trebula con l’area dell’abitato ancora intatta, con le necropoli più antiche non ancora non frugate, offre il modo di compiere agevolmente questo dovere”.

 

Dalla residenza parrocchiale in Formicola (Caserta)

Dicembre 1953

 

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