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L’INDUSTRIA MERIDIONALE:
LO STABILIMENTO TESSILE DI
PIEDIMONTE
(In Annuario ASMV 1991, pp. 251-273)
Lo stabilimento tessile di Piedimonte d’Alife,
voluto e creato da Giovan Giacomo Egg nel 1813, è da annoverare tra le maggiori
industrie dell’Italia meridionale; certamente la prima nel Regno di Napoli[1].
Il suo fondatore era nato a Ellikon, nel cantone di Zurigo,
nel 1765.
Dalla ditta J. E A Biederman, che aveva vaste
relazioni commerciali non soltanto europee ma addirittura mondiali, gli fu
trasmessa una grande passione per il commercio. Egg viaggiava con grande
entusiasmo; nel Novanta lo troviamo in Italia, che percorre in lungo e in
largo, per conto di un’altra casa commerciale svizzera, la Daniel Kelly e C. di
San Gallo.
Era l’epoca in cui molte ditte svizzere cominciavano
a frequentare le fiere di Sinigallia, Aversa e Salerno e a trovare ottimo
smercio per i loro manufatti in tutta la penisola, avendo la Rivoluzione
francese arrestato di colpo tutti gli affari in Francia e poi anche in
Germania.
Allorquando le armate francesi penetrarono in Italia
(1796), G. G. Egg, che si trovava a Milano, si iscrisse alla guardia civica,
per poter restare in Lombardia.
Quando ritornò in Svizzera, la vita gli si rese
difficile per il cosiddetto Blocco continentale -conseguenza fatale delle
guerre contro l’Inghilterra- che provocò gravi danni al commercio elvetico. Ma
Egg reagì, impiantando nel suo paese nativo una filatura di cotone, ritenendo
che una produzione nazionale di filato rendesse meno urgente l’importazione di
filati inglesi. Tale esperienza doveva portarlo ben presto alla fondazione
dell’industria di Piedimonte. Fu attratto soprattutto dalle possibilità che gli
si offrivano nell’Italia meridionale, che da una parte conosceva solo le attività artigianali, essendo l’industria
in quel tempo una cosa completamente estranea ai napoletani, e dall’altra era
un paese ricco di materie prime, specialmente per la lavorazione tessile. Le
condizioni climatiche per la coltura della bambagia, della canapa, del lino,
nonché della robbia per tingere i tessuti, erano ottime. Così il Regno di
Napoli, colpito anch’esso dal Blocco continentale, si prestava come nessun
altro paese europeo all’impianto di una manifattura. Egg si mise alla ricerca
di una zona e di un locale adatto a tale scopo, visitando gli incantevoli
dintorni di Napoli. Alla fine decise per Piedimonte d’Alife, innanzitutto per
la sua somiglianza al paesaggio della sua patria svizzera, quindi per la
ricchezza d’acqua (il Torano) e per la disponibilità di un locale molto adatto:
il Convento di S. Maria del Carmine, già da qualche tempo abbandonato, perché
soppresso con decreto del 7 agosto 1809, come tutti gli altri ordini religiosi
delle regole di S. Benedetto e S. Bernardo e le loro diverse affiliazioni.
Dalla regina Carolina, moglie di Murat, ne ottenne l’uso gratuito per 16 anni,
giusto decreto dell’8 giugno 1812. Il fatto che sia a Zurigo che a Napoli, le
rispettive autorità emanavano decreti a favore della sua impresa, sta a
testimoniare l’alta stima che godette G.G. Egg e la grande influenza che
esercitò per iscritto o tramite le sue vaste conoscenze. Questi, resosi conto
delle difficoltà di iniziare l’esercizio di una fabbrica con manodopera
indigena, perché priva di pratica e non abituata al lavoro industriale, aveva
chiesto ed ottenuto dal governo svizzero l’autorizzazione ad assumere personale
del Cantone di Zurigo (circa 200 persone), al quale aveva provveduto ad
assicurare “...alloggio ed arredamento di casa gratuito, viveri a metà prezzo,
propria scuola elementare, esercizio di culto protestante, cimitero privato,
ecc.”[2].
Ma nonostante ciò, si ebbero contrasti sempre più
frequenti fra padrone ed operai, tanto da indurre G.G. Egg ad appoggiarsi sempre
più alla manodopera indigena. Va detto, per inciso, che sin dal primo anno di
gestione dell’azienda era stata assunta anche manodopera locale; circa 100
fanciulle di Piedimonte, che impararono molto presto dai tessitori Svizzeri il
lavoro al telaio a mano.
Con la caduta del regime francese e la restaurazione
di quello borbonico, si verificò la sollevazione della popolazione di
Piedimonte contro gli svizzeri protestanti e poco mancò che si desse l’assalto
alla manifattura, per ripristinarvi il vecchio convento. Egg si affrettò a
chiedere a Capua un’udienza presso il maresciallo di campo J. Colajani che,
resosi conto della situazione, fece rapporto al re Ferdinando IV di Borbone,
divenuto Ferdinando I, il quale concesse una serie di privilegi al cotonificio,
che lo aiutarono a superare la crisi provocata all’industria dalla scomparsa
del Blocco continentale[3].
Il Sovrano aveva promesso, tra l’altro, di andare a visitare personalmente la
fabbrica in quanto il signor Egg, tra lo scoramento generale che aveva preso
ogni industria, continuò a lavorare infaticabilmente per superare la crisi. Il
Regolamento di polizia emanato da Egg nel 1815 è un documento molto
interessante per il fatto che fu una traduzione, con poche aggiunte, di un
regolamento che lo stesso Egg aveva affisso nella sua filatura di Ellikon, suo
paese nativo. In 21 articoli, stabiliva le norme per l’andamento della
fabbrica, i doveri e i diritti degli operai, e dava disposizioni varie.
Sanzionato con decreto reale del 25 febbraio 1815,
fu preso a modello da numerose industrie del Regno. Nel 1816 lo stabilimento di
Piedimonte, grazie all’abilità del suo fondatore, ebbe un vero monopolio nella
fabbrica e nella vendita, in tutto il Regno, dei fazzoletti di mussolina
interamente bianchi o di più colori con fascia intorno, conosciuti con il nome
di fazzoletti Balazor o a Vignette. Ma contrastato dagli stranieri, che
mettevano sul mercato di Napoli merce di magazzino in quantità sempre maggiore
e a prezzi più modici, il prudente industriale si avvide che il futuro della
sua fabbrica dipendeva soprattutto dalla qualità dei suoi prodotti. Era
evidente che per raggiungere una prima qualità, tutto dipendeva dalla materia prima,
cosicché Egg si permise di attirare l’attenzione delle autorità napoletane
sull’importanza della cotonicoltura nazionale chiedendo, nel contempo, per la
sua filanda l’importazione libera di cotone grezzo, onde soddisfare il consumo
di filato finissimo.
Nel 1818, a seguito di tale richiesta, si arrivò ad
esentare Egg da ogni dazio sul cotone importato, che gli consentì di accumulare
una bella riserva di capitale. Ma un bel giorno dovette soffrire la nuova
concorrenza inglese, che fu favorita da tanti altri vantaggi “...come per
esempio un minor costo d’impianto, necessità di minor capitale di circolazione,
minori interessi, migliore e più facile scelta della materia prima, una
manodopera più redditizia, la facilità di riparare i guasti delle macchine in
proprie officine, migliori mezzi di trasporto, ecc. Per quanto riguarda solo
l’ultimo argomento, sappiamo che la strada carrozzabile tra Piedimonte e
Caserta non fu costruita che nell’anno 1830, benché decretata già nel 1815, in
occasione dell’annunciata visita del re Ferdinando I”[4].
Allo scopo di fronteggiare la nuova concorrenza inglese, Egg decise di
aumentare i suoi telai per poter assorbire tutta la produzione di filati e,
vuoi nella speranza di ridurre i costi della manodopera, vuoi per esaudire un desiderio
più volte espresso dal Governo borbonico, assunse circa 100 fanciulle del Real
Albergo dei Poveri di Napoli. Per la maggior parte povere ignoranti e apatiche,
spesso figlie di nessuno, rastrellate dalla Polizia nei vicoli di Napoli,
venivano educate all’industria e trasformate in abili tessitrici. È da sottolineare
l’importanza sociale dell’iniziativa in quanto si mirò non solo a sviluppare
l’industria, ma anche a curare l’educazione e l’istruzione di queste fanciulle,
ad accrescere il tenore di vita e il grado di civiltà di tutta la popolazione
meridionale.
Ma la nostra industria soffrì ancora alcune crisi,
ebbe ancora degli alti e bassi, nonostante i privilegi concessi dal Re, anche
se va fatto osservare che il Governo borbonico non favorì soltanto la
manifattura G.G. Egg, ma agevolò lo sviluppo di tutta l’industria nazionale, al
cui scopo venne fondato il Real Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze
naturali.
La storia e la documentazione di tale istituto è una
fonte interessantissima per lo studio dell’industria meridionale. L’Istituto
d’Incoraggiamento, appellatosi originariamente Società d’Incoraggiamento, era
succeduto nel 1806 alla cosiddetta Giunta d’Arte e Manifatture, creata nel 1800
da re Ferdinando. Con la Giunta, il sovrano aveva inteso proteggere la
lavorazione tessile (del cotono, del lino e della canapa), cosicché non ci
sorprende il fatto che tra l’Istituto d’Incoraggiamento e l’industria di
Piedimonte vi fosse una stretta collaborazione.
Nel 1825 Egg fu nominato socio onorario dell’Istituto,
a palese testimonianza della profonda simpatia che il re nutriva per l’impianto
egghiano. Di grande importanza per tutte le manifatture napoletane fu la nuova
tariffa doganale, elaborata dal ministro delle Finanze De Medici, del quale Egg
era molto ben visto.
La legislazione che stabilì definitivamente la
politica economica del Governo borbonico, circa la protezione dell’industria
nazionale, entrò in vigore nell’anno 1825, pochi giorni dopo la morte del re
Ferdinando I e rappresenta il compimento del grandioso sistema di protezione
accordato dal sovrano. Tale sistema protezionistico rimase in vigore, salvo
lievi modifiche, sino alla scomparsa del Regno delle Due Sicilie e fu una delle
più importanti premesse per la fondazione e la prosperità non solo della
manifattura piedimontese, ma di tutte le industrie tessili dell’Italia
meridionale: la Manifattura Giovan Giacomo Meyer ossia Meyer e Zollinger a
Scafati (1825), la Filanda Vonwiller a Salerno (1831), le Manifatture
Schlaepfer Wenner e C. a Salerno e Angri (1835), la Filanda Escher ossia
Fumagalli Escher e C. a Salerno (1837).
La prosperità della manifattura Egg era notevole:
nella descrizione di Lauria nel giornale “Lucifero” del 1838, si legge che la
nuova filanda meccanica di Piedimonte si presentava come un imponente edificio
di 4 piani e di 250 piedi di lunghezza. Al piano terra stavano i macchinari, al
primo piano i cardi ei laminatori, al terzo e quarto piano i filatoi. Nel
cortile annesso si trovavano le ruote ad acqua, l’apparecchio per il lavaggio,
l’imbiancatura e la tintoria.
A Piedimonte furono impiantati 170 telai meccanici
Jacquard, i primi adoperati nelle province napoletane. Oltre i telai meccanici
esistevano ancora molti telai a mano, cosicché si arrivava complessivamente a
circa 500 telai.
Negli Annali civile del Regno (1833 e 1834) è
scritto: “Noi abbiamo al presente parecchie grandi fabbriche di cotone...
Antica è quella del signor Gian Giacomo Egg in Piedimonte d’Alife, per filati
di alto numero e per ogni sorta di tessuti assai commendata. Ricca delle più
belle macchine, numerosa di espertissimi lavoratori, ammaestrati da lungo
esercizio, ordinata con le più lodevoli discipline, come le migliori
d’Inghilterra, di Francia e della Svizzera, fu essa oggetto di ammirazione
quasi diremmo dal suo nascere... Ond’è che in Piedimonte tanta operosità regna
e dovizia che ben potremo in breve appellarlo il nostro Liverpool”[5].
Affermazioni esaltanti, che hanno quasi
dell’incredibile.
Il signor Egg non godeva soltanto della fama di
essere il più grande industriale del Regno delle Due Sicile, ma anche un grande
benefattore, come già riferito a proposito delle fanciulle del Real Albergo dei
Poveri. Aggiungiamo che egli non dimenticò queste ragazze neanche quando si
dovettero licenziare; a quelle che passarono a matrimonio fu data una dote di
25 ducati. Egg va anche ricordato per aver introdotto la coltivazione della
patata a Piedimonte, che incontrò grande favore presso la popolazione locale.
Alla irrequietezza, all’insoddisfazione e alla
stessa solitudine che lo prese particolarmente negli ultimi anni della sua
vita, trovò sfogo nella natura e nelle arti.
Faceva lunghe passeggiate nei dintorni di
Piedimonte, tra i boschi e le montagne che ritraeva poi nei suoi disegni e nei suoi
dipinti. Ed un giorno del giugno 1834, mentre si era attardato nella campagna
per disegnare, ebbe il primo segno di malessere. Gian Giacomo Egg morì il 18
agosto 1843, all’età di 78 anni.
Fu imbalsamato e, come suo desiderio, seppellito
sotto la piramide del piccolo cimitero protestante di Piedimonte d’Alife.
Si era spento un pioniere dell’industrializzazione
del Mezzogiorno. A lui successe il nipote Gian Gaspare Egg, la cui gestione del
cotonificio continuò ad essere soddisfacente, tanto che nel 1845 fu premiato
con la medaglia d’oro per i prodotti di Piedimonte esposti a Napoli nel 1844,
alla mostra delle Manifatture del Regno delle Due Sicilie[6].
Ma negli anni successivi dovette far fronte alla concorrenza delle fabbriche
salernitane (sorte un decennio prima a Salerno ed Angri), alle quali si oppose
con l’istituzione di una fabbrica a Pagani di Nocera, per la lavorazione di
tessuti di lino e filanda di cotone, con impianto di macchine a vapore.
I prodotti di questa nuova fabbrica vennero esposti
alla mostra del 1853 a Napoli, insieme a quelli della casa madre di Piedimonte.
Egg occupava allora nelle sue fabbriche 1200 operai, comprese 200 fanciulle del
Real Albergo dei Poveri di Napoli, in conformità alle norme pattuite a suo
tempo fra lo zio e il Governo di re Ferdinando I. Insomma, gli affari andavano
ancora molto bene, quando una terribile inondazione del settembre 1857 arrestò
di colpo il florido sviluppo dell’azienda; e cosa ancora più grave fu la crisi
determinata dai mutamenti politico-economici del ’60, iniziata con la caduta
del regime borbonico di Napoli.
Benché la fine del Regno di Napoli fosse accolta
anche a Piedimonte come foriera di un domani migliore, più libero e più giusto
dal punto di vista sociale, il cambiamento politico provocò il caos
nell’industria meridionale.
La soppressione del sistema doganale borbonico,
voluta da Garibaldi, introdusse il principio del libero scambio, che portò alla
invasione sul mercato tessile di Napoli di prodotti dell’Italia settentrionale
e di altri paesi stranieri, di qualità migliore e a prezzo inferiore.
Così l’industria napoletana si vide all’improvviso
costretta a lottare contro manifatture consolidate da un aggiornamento di
attrezzature tecniche, nonché da una più rispondente organizzazione.
Solamente quelle industrie che avevano cospicue
riserve finanziarie poterono fronteggiare il colpo di questa concorrenza,
rimodernandosi con rapidità[7].
Anche la manifattura di Piedimonte cercò, per quanto
le era possibile, di modernizzarsi. Ma in maniera insufficiente, anche se la
crisi profonda fu determinata dalla guerra di secessione americana, che provocò
forti ribassi, fluttuazione nei prezzi dei cotoni e delle mercanzie, crisi
monetaria, per cui si vide costretta ad immettere sul mercato non più tessuti
di pregio ma articoli correnti, anche se ottenne ancora un primato con le tele
“domestics”.
Tra gli avvenimenti del ’60, è da considerare anche
la questione sociale, così ben risolta ai suoi tempi da Giovan Giacomo Egg.
I moti del ’48, che avevano insanguinato le strade
di Napoli, non risparmiando nemmeno Salerno, come riferito da Leopoldo Cassese
su “Contadini e operai del salernitano nei moti del ‘48”, non avevano toccato
Piedimonte, in quanto i signori Egg non erano rimasti indifferenti dinanzi alle
condizioni precarie dei loro operai. Era stata istituita, ad esempio, una cassa
di risparmio nella quale gli operai potevano versare il supero dei bisogni
urgenti delle loro famiglie. Inoltre, lo stabilimento si incaricò di acquistare
grandi quantità di farina, al fine di poterla cedere ai propri operai a prezzo
conveniente; fu istituita, altresì, una specie di assicurazione per color che
si sarebbero infortunati sul lavoro. Insomma, Gaspare Egg seppe fare onore
all’opera meritoria iniziata da suo zio e svolta in tempi men difficile dei
presenti.
Purtroppo, non si poté fare a meno di licenziare 600
operai, dimezzando praticamente l’organico, a causa delle vicissitudini che nel
’60 pregiudicarono seriamente lo stato di salute della nostra azienda. A don
Gaspare, morto il 17 dicembre 1875, successe il figlio Giovan Giacom Egg. Nato
a Piedimonte nel 1840, dopo aver studiato in Svizzera, entrò giovanissimo nella
ditta paterna, dimostrando di aver pienamente ereditato la spiccata capacità
tecnica della famiglia, da diventare direttore della fabbrica ad appena 28
anni. Aveva ereditato dal padre anche la campagna di Concadoro, presso Alife,
che doveva legare il proprio nome agli scavi sannitici, che diedero alla luce
30 sarcofaghi in tufo nero e giallo e 46 tombe in lastre di terracotta,
contenenti una grande quantità di vasi, gioielli, armi antiche, ecc.
Giacomo Egg, come il prozio, era appassionato della
bellezza della natura e fervente cultore dell’arte: nutriva una grande passione
per la fotografia, per cui dobbiamo a lui la conservazione di molti ricordi su
stabilimenti e dintorni di Piedimonte. Inoltre, per le sue qualità tecniche
industriali, gli fu conferita l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della
Corona d’Italia. “Rileviamo dalla sua corrispondenza che seguiva gli sviluppi
nell’industria tessile in tutto il mondo e che studiava tutte le possibilità
per l’introduzione di nuovi meccanismi e sistemi di produzione nella sua
fabbrica: nel 1881 si recò due volte in Svizzera per discutere con i signori
Rieter e Winterthur, oggi grande fabbrica di macchine tessili, come rimodernare
la sua filatura”[8]. Nel ’60 si
era proceduto al parziale riammodernamento della tessitoria di Piedimonte, ma
la filatura e tutti i reparti annessi per la preparazione del cotone erano
rimasti allo stato originario, per cui i signori Egg si videro largamente
superati non solo dagli inglesi, Svizzeri e dagli industriali del nord Italia,
ma anche e soprattutto dalle manifatture salernitane. “Apprendiamo, inoltre, da
una statistica della Camera di Commercio di Caserta (Bollettino del 15 ottobre
1879, fasc. II) che allora funzionavano 800.000 fusi in Italia, ma che d’altra
parte si consumava la produzione di oltre 5.000.000 di fusi; quindi risultò la
necessità di importare filati e tessuti dall’estero in forte quantità”[9].
Per incoraggiare e agevolare l’industria tessile
italiana, il 1° febbraio 1879 fu stabilita una nuova tariffa doganale, che
introdusse soprattutto una progressione equa per i numeri bassi. Oltre alla
necessità dell’ammodernamento dei macchinari c’erano, dunque, anche altre cause
che determinarono la crisi non solo della fabbrica piedimontese, ma della
stessa industria tessile nazionale.
Mettendo, ad esempio, a confronto la produzione
italiana con quella inglese, in una filatura di circa 20.000 fusi, in Italia si
producevano in 70 ore di lavoro settimanale circa 6.000 q.li all’anno, in
Inghilterra in 56 ore circa 6.700 q.li.
Notiamo una maggiore produzione inglese in un tempo
di lavoro inferiore, che si spiegava soltanto con una certa superiorità
dell’operaio inglese (perché già addestrato da molte generazioni), che
permetteva di dare una maggiore velocità alle macchine. Per quanto concerne il
numero di ore lavorative dell’industria tessile, verso l’’80 anche in Italia
furono avanzate richieste circa la riduzione dell’orario di lavoro giornaliero,
a seguito della emanazione di leggi francesi in tal senso. In particolare, fu
richiesto per donne e fanciulli un massimo i 11 ore al giorno[10].
Interessante seguire il problema come si presentava
al tempo del Signor Egg: nelle filande non era possibile separare il lavoro femminile
da quello maschile, per cui alla riduzione dell’orario di lavoro per le donne
doveva corrispondere un’eguale riduzione per gli uomini. Con i vecchi
macchinari, però, non si poteva far fronte alla concorrenza se non si era in
grado di sfruttarli al massimo, cioè senza interruzioni. Tutto ciò creò una
serie di perplessità nei dirigenti della fabbrica di Piedimonte, che pervennero
così alla determinazione di impiantare “in loco” una nuova filanda, che sorse
in parte sul Torano, che si coprì per una lunghezza di 40 metri. (Il fabbricato
era composto di pianterreno e due piani superiori della lunghezza di m 31 e
della larghezza di m 17).
Ma, ahimè, la nuova filanda, anziché risolvere i
problemi, li aveva aggravati, in quanto l’investimento aveva aumentato i debiti
di Egg nei confronti del connazionale Amedeo Berner. Questi, dopo avergli dati
quasi tutti i suoi capitali, ipotecò l’azienda, valutata dai periti L.
1.360.684.
Con sentenza del Tribunale di S. Maria C.V.,
confermata dalla Corte di Cassazione, lo sventurato Egg fu cacciato dal
Cotonificio e dal suo stesso appartamento per cui, spogliato di ogni avere, si
trasferì con la famiglia a Zurigo, dove morì nel 1923.
Lasciò scritto “Non c’è rosa senza spina, ma
Piedimonte non cessa di essere un sito incantevole e prediletto per chi vi è
nato, e così anche per me il mio luogo nativo, dove si riconcentrano i miei
ricordi d’infanzia, le mie affezioni di famiglia, è caro, e quantunque lontano
sarà sempre indimenticabile”[11].
Con Giacomo Egg finiva la signoria Egg
nell’industria napoletana, durata 75 anni[12].
Intanto il Cotonificio, che era stato
provvisoriamente chiuso nel febbraio del 1887, riapriva tre anni dopo, con
macchinario nuovo, ad opera di Amedeo Berner, che aveva prelevato l’azienda
egghiana non per strozzinaggio, ma per le cospicue somme dovutegli e non
corrispostegli dal suo connazionale.
Nato nel 1828 a Kulm, nel cantone di Argovia, per
ragioni di commercio venne in Italia, che amava particolarmente per la sua
natura geografica, per i suoi capolavori d’arte e di letteratura[13].
Nelle sue memorie ricorda l’ingresso trionfale nella
capitale del Regno di Napoli di Garibaldi, che ebbe il piacere di conoscere personalmente,
insieme ad altri svizzeri. Dalla cima dei monti di S. Angelo seguì i
combattimenti tra garibaldini e borbonici, che si risolsero con la vittoria dei
primi e la fuga del re a Gaeta. Ma furono gli affari che lo indussero a
conoscere il cotonificio di Piedimonte.
Il libero scambio decretato da Garibaldi, di cui già
si è fatto cenno innanzi, mentre da una parte aveva provocato una profonda
crisi nell’industria napoletana, dall’altra aveva costituito il punto di
partenza per un fantastico sviluppo del commercio. Così la ditta Amedeo Berner,
nel ’60 diventò una delle più importanti case d’importazione di cotone e di
manufatti inglesi sulla piazza di Napoli. E l’esportazione di prodotti
nell’Italia meridionale raggiunse una tale misura da indurre il signor Berner a
stabilire una succursale della sua ditta a Bari, con agenzie a Lecce e poi a
Maglie.
L’ottimo risultato ottenuto a Bari indusse
l’intraprendente commerciante a costituire nel 1885 un altro stabilimento a
Casalnuovo, presso Napoli, per la lavorazione, il deposito e la spedizione di
vino napoletano.
Fu il notevole impiego di risorse finanziarie a
favore della fabbrica di Piedimonte ad indurre il Berner a diventare
industriale: così nella primavera del 1889, dopo due anni di assoluta inerzia,
il cotonificio riapriva i battenti.
Le disponibilità finanziarie del Berner permisero il
riammodernamento di tutto l’impianto, portando a termine l’opera iniziata
qualche anno prima da Giacomo Egg. Intanto Guglielmo Berner, figlio di Amedeo,
che aveva assunto l’incarico della direzione tecnica del cotonificio, decise di
eliminare tutto il macchinario antico e di ordinare macchine nuove inglesi, che
permisero di aumentare la produzione e di migliorarla nella qualità.
All’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891, i
prodotti di Piedimonte vennero premiati con una medaglia d’oro.
I Signori Berner non si contentarono dei risultati
ottenuti, per cui adottarono altri provvedimenti di carattere tecnico
organizzativo, che migliorarono ulteriormente la produzione[14].
Il successivo riammodernamento dell’impianto idraulico consentì la
installazione di centrali elettriche per l’illuminazione della fabbrica e della
nostra città.
Ma in conseguenza della razionalizzazione
verificatasi nell’industria la mano d’opera, che all’epoca dei signori Egg
aveva superato le mille unità, sotto la direzione di Guglielmo Berner fu
ridotta a meno di 600 operai. “Leggiamo nel bollettino dell’Associazione Cotoniera
Italiana – volume VI, n. 3, del 1911 – che erano occupati a Piedimonte 150 uomini,
280 donne, 15 ragazzi e 62 fanciulle. Le paghe e il trattamento della mano
d’opera corrispondevano alle esigenze di allora[15].
I signori Berner avevano fondato anche una Cassa di
Mutuo Soccorso, denominata poi Cassa operaia, per sussidiare gli operai in caso
di malattia e pensionare con i mezzi in eccesso i vecchi ed invalidi al lavoro.
(Vedi All/ti A-B-C-D).
Nel contempo, fu introdotta un’assicurazione contro
l’infortunio sul lavoro, cioè ancora prima che divenisse legge.
Alla luce di questi progressi di carattere sociale,
si comprende l’amarezza dell’ing. Guglielmo Berner, provocata dallo sciopero di
29 operai della filanda, nell’aprile 1911 e nel luglio dello stesso anno.
Ma se la direzione fu costretta ad accettare la
richiesta operaia, accordando alla categoria un compenso minimo in caso di
inattività prodotta da un guasto alle macchine, dall’altra parte si assunse il
diritto di ridurre le giornate lavorative, a suo piacimento e senza preavviso.
Tredici operai furono licenziati, gli altri ripresero il lavoro.
Intanto la situazione andava vieppiù peggiorando,
per la crisi industriale e commerciale provocata dal peggioramento del clima
politico internazionale (guerre di Tripoli e dei Balcani), che fece sentire i
suoi effetti negativi sui cotonifici dell’Italia meridionale. La minaccia di
una guerra mondiale paralizzò la vita degli affari e la sua crisi lasciò le sue
tracce anche a Piedimonte. A ciò si aggiunse una strana crisi che colpì la
famiglia Berner, che lentamente ma inesorabilmente si avviava al declino.
Con la morte di Amedeo Berner, avvenuta il 2 maggio
1914, venne a mancare la guida essenziale di ogni attività.
Scoppiata la guerra mondiale e privi dell’autorità
paterna, gli eredi non riuscirono ad intendersi sulla continuazione degli
affari, per cui il cotonificio di Piedimonte fu venduto ai Cotonifici Riuniti
di Salerno, per il prezzo di L. 800.000[16].
L’attività commerciale passava così dalla ditta Amedeo Berner alla ditta IMES
(Società Importazioni ed Esportazioni), fondata dall’industriale svizzero Roberto
Wenner. D’altra parte, i già esistenti rapporti fra le famiglie Berner e Wenner
giustificavano di per sé il trasferimento dell’attività Berner ai Wenner, che
nel 1918 cedevano le loro azioni ad un gruppo finanziario italiano,
rappresentato dalla Banca Italiana di Sconto. Tale avvenimento segnava la fine
dell’ingerenza svizzera in tutta l’industria tessile meridionale, che era
iniziata con la fondazione del cotonificio di Piedimonte (1813)[17].
La nuova direzione raggruppò le varie aziende tessili napoletane e salernitane
nella S.p.A. Manifatture Cotoniere Meridionali, che portò il capitale a
100.000.000 (1925).
In seguito, il cotonificio di Piedimonte fu
coinvolto nella crisi che aveva colpito la Società in diverse fasi: crisi
organica con forti cambiamenti di personale, crisi finanziaria con grandi
perdite di sostanza.
Il 19 ottobre 1943 lo stabilimento veniva raso al
suolo dai tedeschi. Terminava così un’opera che aveva avuto una considerevole risonanza
nel campo assistenziale e sindacale e che durante il blocco continentale di
Napoleone aveva svolto una funzione storica nel Regno di Napoli[18].
Nel 1948 le Manifatture Cotoniere Meridionali
costituirono la S.p.A. Manifatture Tessili Meridionali per la filatura e la
tessitura della lana, con stabilimento a Piedimonte d’Alife.
Ma la grave crisi tessile degli anni Cinquanta portò
allo scioglimento della Società: la sua attività veniva incorporata nelle
Manifatture Cotoniere Meridionali.
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[1] Il lavoro tratteggia l’evoluzione storico-economica dello stabilimento, rivolgendo una particolare attenzione alla figura del suo fondatore, Giova Giacomo Egg..
[2] G. Wenner, La manifattura Giovan Giacomo Egg a Piedimonte d’Alife in “L’industria meridionale” – rassegna mensile – Anno III, Fasc. XII – dicembre 1954, pag. 1025.
[3] La sparizione del Blocco continentale rovesciò tutte le premesse essenziali che erano servite alla fondazione dell’industria, perché aprì le porte alla concorrenza estera. Il prezzo dei tessuti, ad esempio, cadde da un giorno all’altro ad un quarto del valore precedente, a causa della libera importazione di manufatti inglesi, svizzeri ed altri.
[4] G. Wenner, op. cit., pagg. 1029-1030.
[5] G. Wenner, op. cit., pag. 1036.
[6] G. Wenner, Il cotonificio di Piedimonte d’Alife dal 1843 al 1943 – Estratto dalla rassegna “L’Industria Meridionale” – Anno IV – Fascicolo X – Ottobre 1955.
[7] Riuscirono a superare la crisi le manifatture salernitane dei Meyer, Vonwiller, Schlaepfer e Wenner.
[8] G. Wenner, op. cit., pag. 15.
[9] G. Wenner, op. cit., pag. 15.
[10] Le origini del diritto al lavoro sono da ricercarsi nella legge inglese del 22 giugno 1802 (su progetto di Robert Peel), la quale disciplinava il lavoro minorile per impedire gli abusi. È noto che l’impiego dei fanciulli era particolarmente ambito nel settore tessile e nelle miniere, per la loro adattabilità e docilità ai più bassi salari. Il lavoro delle donne e dei fanciulli sarà disciplinato dalla legge n. 242, del 19 giugno 1902.
[11] G. Wenner, op. cit., pag. 22.
[12] Il destino della famiglia Egg conferma quella strana legge che si ripete assai spesso, sostenendo che la terza generazione perde tutto quello che aveva fondato la prima e conservato la seconda.
[13] La passione per l’Italia di Amedeo Berner ricorda quella analoga di Gian Giacomo Egg 50 anni prima.
[14] Il cotonificio G. Berner redasse un apposito Regolamento, che viene riportato in appendice. È del dicembre 1903, che integra e migliora quello del 1° Luglio dello stesso anno. Trattasi di norme socialmente avanzate per quei tempi, che salvaguardano alcuni diritti fondamentali dei lavoratori (tutela lavoratrici madri, assicurazione infortuni sul lavoro, assistenza medica).
[15] G. Wenner, op. cit., pag. 28.
[16] Con atto per Notar Dragoni del 30 Luglio 1917.
[17] Il termine “ingerenza” non dev’essere inteso in senso negativo (cioè fatto arbitrario o abusivo), perché l’intervento svizzero arrecò progresso e benessere alle popolazioni meridionali.
[18] Cfr. D. Marrocco, Piedimonte Matese, Ed. A.S.M.V. 1980, pag. 365.