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Luigi R. Cielo

 

LA NASCITA DEI CENTRI MEDIEVALI NELLA VALLE TELESINA:

IL CASO DI SOLOPACA

(Estratto da Rivista Storica del Sannio 17, 3° serie, Anno IX, 2002, pp. 85-102, senza note e illustrazioni)

 

 

L’impatto della valle telesina con i Longobardi avviene intorno al 570/576 o venti anni prima. Ne abbiamo testimonianza in una lettera di Gregorio Magno che illustra la vita di un eremita, San Menna, che si svolse alle nostre spalle, sui monti di Vitulano.

Ma che cosa succede dal punto di vista degli insediamenti in età longobarda?

Non abbiamo molti dati, ma quei pochi sono sufficienti a darci l’idea di una terra che dopo un inizio, presumibilmente tempestoso, vede una pacificazione dei nativi con i nuovi venuti, che successivamente, si convertono al cristianesimo anche per l’opera di due vescovi, il beneventano Barbato e il capuano Decoroso. Assistiamo intanto anche ai primi insediamenti, le cui testimonianze sono date per la nostra area da rari ritrovamenti archeologici, come una tomba del VII secolo, rinvenuta nella chiesa di S. Anastasia a Ponte o alcune strutture murarie e porzioni di necropoli, probabilmente altomedievali, scavate nella località Episcopio a Telese.

Ma una serie di toponimi indica con certezza per l’area telesina e anche alifana la presenza di Longobardi o di Bulgari arrivati successivamente. Mi riferisco a toponimi da insediamenti, come fara, sala, Volgari, Strafola, Erbano ecc., e a toponimi da nomi personali come Casalduni, Pontelandolfo, Auduni, ecc. Di essi mi sono occupato in uno studio su Guardia Sanframondi in due convegni. Qui mi fermo sul toponimo Sala, perché interessa direttamente Solopaca e le sue origini. La sala, “elemento tipico in ogni distretto o unità poderale dipendente da un nucleo longobardo”, indica una “casa per la residenza padronale nella curtis o per la raccolta di derrate dovute al padrone”, poi semplicemente “casa di campagna”. Nel territorio di Solopaca esiste ancora la fontana Sala, presso i resti del ponte in ferro intitolato alla regina Maria Cristina.

In aree vicine o contermini a Solopaca si ritrovano una contrada Sala presso Dugenta, un villaggio Sala presso Campoli, menzionato a lungo in età medievale, un casale Sala a Castelvenere.

A Solopaca è, inoltre testimoniato, sia pure in età tarda, un toponimo: gayta (“ubi dicitur Rahonis gayta”), con una, secondo Sabatini, matrice linguistica araba, nel senso di “bosco”, più che longobarda, nel senso di “punta, striscia di terra”. Il toponimo è affiancato da nomi personali e cioè Gayta uxor e Petrus de Alegayta menzionati nell’obituarium S. Spiritus per tempi chiaramente posteriori alla stesura originaria e cioè per XIII e XIV secolo. In ogni caso una matrice araba rimanderebbe ad un medioevo alto, quando ad es. nel IX sec. è documentato nell’area telesina un grande proprietario terriero arabo, Imed Tandanco.

Intanto la struttura politico-amministrativa dell’area telesina è organizzata in un gastaldato che dipende dal ducato di Benevento, che, all’indomani del 774 (sconfitta dei Longobardi del nord ad opera di Carlo Magno), diventa la capitale di un principato, che si alternerà con Capua nella direzione politica della Longobardia minore, fino all’arrivo dei Normanni nel sud della penisola.

Ma entriamo nel vivo del tema. Quando nascono i centri della valle telesina?

Telese, il cuore della valle, è città romana che subisce la difficile crisi del periodo tardoantico, cui comunque sopravvive, tanto da dover subire gli attacchi dei Saraceni nel IX secolo, fino a quando cade per sete, cioè per interruzione dell’acquedotto. In che consistessero i danni fisici alla città è difficile dire.

Certe è che i Telesini, secondo la testimonianza dei Chronica Sancti Benedicti Casisensis, costruiscono una Telesis nova dopo l’860. Di questa città nuova non si può dire molto. Doveva ospitare, almeno dal tardo X sec., una cattedrale e si chiudeva quasi sicuramente con una cinta muraria conservata in piccola parte. Gli scavi sporadici, condotti nell’area della città, non sono stati pubblicati, mentre alcuni dati sono stati raccolti, in maniera estremamente succinta, in occasione di una mostra nel 1981.

Rimane comunque il dato concreto di una nascita cronologicamente definibile quasi ad annum. Cosa che si verifica per la nostra valle, ma in misura molto più approssimata, in uno o forse due casi.

Quello di Ponte è un fortunato caso di cronologizzazione in pieno periodo di incastellamento, vale a dire il fenomeno che in Campania ha una fioritura nella seconda metà del X sec. Consiste, come si sa, in un raccogliersi della popolazione in vecchi siti già naturalmente difesi e ulteriormente rafforzati o in nuovi centri fortificati sulla spinta di una ripresa economica, che si generalizza nel X secolo accanto ad uno sviluppo demografico.

E Ponte è appunto un esempio di castrum documentato ad annum, vale a dire che nel 980 i principi capuani Pandolfo e Landolfo IV concedono al monastero beneventano dei SS. Lupolo e Zosimo la facoltà di costruire nelle terre di loro pertinenza delle fortificazioni.

Altro caso in cui è stato possibile circoscrivere attendibilmente agli anni tra la fine del X sec. e gli inizi dell’XI il formarsi di un nucleo accentrato è stato quello di Guardia. Centro per il quale disponiamo di due dati rilevanti. Esiste un Bicu de Tremundi nell’856, cioè lì, dove ora è Guardia, a metà del IX sec. è in vita un vicus, il secondo dato ci riviene dalla descrizione dello scontro tra Ruggero II e gli agguerriti rampolli dei Drengot-Quarel, quando il re normanno ispeziona la roccaforte di Guardia. Dal che si deduce che il vicus si è trasformato in castrum negli ulti decenni del X sec. o agli inizi dell’XI, quale prodotto dell’incastellamento e la diversa funzione politica ed economica nel territorio conduce ad un cambiamento del nome: warda (posto di guardia).

Analogamente Limata, località abitata già nel 800-801, in virtù della posizione eminente, ben dovette prestarsi a rivestire il ruolo di castrum con le istanze relative alla riorganizzazione e alla messa a coltura del territorio, andando inoltre a costituire con il vicino punto fortificato di Ponte un altro anello di controllo della via Latina. L’attribuzione all’età longobarda dell’insediamento castrale è data inoltre dalle persistenze toponomastiche nella documentazione medievale, da un reperto scultorio e, secondo Natella-Peduto, dalla tipologia della torre mastra.

Se Ponte, tra gli episodi di incastellamento del Matese campano si lega, come S. Vito, Corvara, S. Arcangelo nell’area alifana, all’iniziativa monastica, i castra di Limata e di Guardia e probabilmente di Cerreto (e di S. Angelo d’Alife nell’area contermine) sono il prodotto di “necessità economiche e strategiche di valenza signorile”.

“Gli insediamenti castrali anche nella nostra area hanno una seconda fioritura all’arrivo dei Normanni, prolungandosi fin nel XII secolo. Anche per questo definire l’origine di alcuni centri diventa complesso, visto che non si può escludere che un centro incastellato, documentato per la prima volta in età normanna -vedi Casalduni, S. Angelo d’Alife- sia sorto con la medesima connotazione in età longobarda. E che ad es. nell’area telesina Cusano, Faicchio, Gioia, pur in assenza di dati chiarificatori per il periodo longobardo-normanno, possano attendibilmente configurarsi come castelli, comunque entro le ultime fondazione del XII secolo.

Quanto a Solopaca sono da verificare, in vista di un eventuale inserimento del centro nell’ottica dell’incastellamento in forme accentrate o aperte, due documenti dell’885, un elenco di beni e un atto del 1022.

La Cronaca di Montecassino menziona due precetti, nel primo dei quali Radelchi II, principe di Benevento (881-884, 897-899) o Adelchi (853-878), richiesto da Criscio, preposito di S. Sofia di Benevento, concede al monastero di Montecassino “totam substantiam” del nobile Potone e nel secondo, datato al maggio 885, il medesimo preposito, cioè Criscio, ottiene dal principe Aione (884-890) tutti gli averi che il gastaldo Potone, figlio di Potone o Potizione, possiede nelle pertinenze di Alife e di Telese.

Di questi precetti si sono interessati vari studiosi, tra cui Di Meo e Leccisotti, cui si rimanda per la relativa discussione sull’autenticità del secondo precetto, quello di Aione.

I due studiosi, e prima di loro, Muratori, ritengono autentico un “indiculum”, cioè un elenco di beni di Potone, che Muratori pubblicò in appendice al Chronicon Salernitanum e che, più di recente, Martin ha dichiarato “testo eccezionale”. Si tratta di un patrimonio cospicuo che, sempre secondo il giudizio di Martin, “documenta la fortuna di un membro della famiglia principesca nella prima metà del IX sec.” -ma ve ne sono altri, come quelli di Waccone, Alahis ecc.- e il contributo che tali patrimoni danno all’animazione di una vita economica su grande scala nel principato beneventano”.

Assodato che le sostanze del nobile Potone, richiamate in entrambi i precetti, passano per donazione all’abbazia di Montecassino e che una parte di queste sostanze -almeno quelle del secondo precetto- erano nell’agro alifano-telesino, interessa stabilire in questa sede se nel lungo elenco dei possessi di Potone -ammessa ormai l’autenticità di tale elenco- è possibile identificarne qualcuno come pertinente al territorio alifano-telesino, cosa difficilissima, data la grande estensione del principato longobardo di Benevento, salvo qualche eccezione, come per la “civitatem Arpu” e “Canose” chiaramente in Puglia e la “curtem in Felictu”, che suppongo nel Salernitano. Ci si è provato Iannacchino, il quale ha ritenuto di poter localizzare appunto nell’agro alifano-telesino le terre del lungo elenco, pubblicato dal Muratori in coda al Chronicon Salernitanum -e non nel Chronicon Salernitanum, come ritiene Iannacchino-, lungo elenco che riguarda, come si è detto, l’intera Longobardia minore.

In particolare Iannacchino stabilisce i seguenti rapporti o localizzazioni: Ruite (che nell’elenco però è Ruite-Clari)-Raieta, località tra Castelvenere e Guardia, Campo Famelicu, ubi S. Dominum vocatur, nei pressi di Telese, Massani (nell’elenco Mussanis) nelle omonime Masse. A parte certe trasposizioni come Ruite Clari-Raieta, il tentativo di individuazione può essere redditizio, se si riconducono all’area alifano-telesina i toponimi Teternu (“curtis in Teternu”) che chiama in causa il torrente Titerno, possesso che s’incontrerà in seguito in una cartula donationis del 1003, Cauduni, che ricorda la località Auduni presso Gioia Sannitica con una connotazione semantica longobarda e Casale Iohannis che si potrebbe legare -ma è solo un’ipotesi di lavoro- piuttosto all’omonimo casale presso Solopaca (Tav. 1/25000, IGM, 173 IV S.O., Telese), menzionato molto più tardi nell’Obituarium S. Spiritus della Biblioteca Capitolare di Benevento, databile per questa parte alla prima metà del XIII secolo, negli Statuti di Telese e nel Quaternus reddituum civitatis Telesiae (per questo casale v. oltre), al Castro Iohanne delle Rationes Decimarum, che sembra corrispondere all’attuale Gioia Sannitica (v. infra).

Quanto al documento del 1022 del Chronicon Vulturnense, va sfatata la pertinenza della corte di Telesia al territorio telesino affermata da Iannacchino e Ricciardi. Il primo avvalora l’affermazione, richiamando dei diplomi, ove è nominata anche la chiesa di S. Angelo in Capraria, e, ancora, un diploma di Guglielmo il Buono, ove si parla di Casal Caprara.

Andando per ordine, è vero che in un “iudicatum de Pinne, Aprucio, Termole, et Tete” dell’imperatore Enrico II dell’anno 1022 a favore di S. Vincenzo al Volturno, quest’ultimo si vede aggiudicare tra altri possessi “et in Caprariza, et ipsa inclita curte de Telesia”, ma sono nel territorio di Penne e non in quello di Telese, nonostante la perfetta omonimia.

Sulla chiesa di S. Angelo in Caprara, poi, come sul Casal Caprara o Castel Caprara, esiste una documentazione relativa ad Ugone Infante e, successivamente, all’area della battaglia tra Carlo d’Angiò e Manfredi nel 1266, che fanno escludere ogni rapporto con Solopaca.

Infatti nel 1112 Ugone Infante conferma a Montecassino sei chiese, tra cui S. Angelo in Capraria, chiese tra l’altro già donate al monastero dal padre e successivamente confermate a Montecassino nel 1122, 1137, 1138-43, 1191. Siamo cioè nel o ai limiti del piccolo dominio di Ugone Infante e la chiesa di S. Angelo è appunto localizzabile presso le alture di Torre S. Giovanni, Caprara e Francavilla (Tav. 1:25000 I.G.M., 173, I S.O., Pesco Sannita), dove sorgeva il castellum Capraria o Caprarica, che nel secolo successivo, secondo Maio, vedrà prepararsi a battaglia decisiva le truppe di Carlo I d’Angiò.

Allo stato attuale della ricerca, lasciando impregiudicata l’identificazione del Casalis Iohannis dell’elenco dei bei di Potone (885) con il Casalis S. Iohannis presso Solopaca, il primo dato sicuro sulla esistenza di Solopaca è fornito dal Catalogus Baronum, risalente al 1150.

Nel Catalogo i feudi della valle telesina sono divisi tra signori diversi: il Conte Roberto di Caserta ha il possesso di Caserta, Morrone, Melizzano e altro, tra cui un feudo di tre militi costituito da Bublano, cioè Pugliano, e ciò che teneva in Telese Nicola Franello, e Surupato, cioè Solopaca. Confinante è il piccolo dominio di Guillelmus de Sancto Fraymundo (Guglielmo di Sanframondo) che comprende Limata, Guardia, Cerreto, Finitella (Civitella). Puglianello, Ponte e Casalduni appartengono ad altri domini.

Ma se la prima citazione di Solopaca nella versione “Surupato” è piuttosto tarda rispetto alle menzioni di altre località o altri centri -abbiamo visto che, a prescindere da Telese, già agli inizi del IX secolo è locus abitato Limata, alla metà del IX Guardia è un vicus, trasformato in castrum tra la fine del X e inizi XI secolo, nel 980 il monastero beneventano di S. Lupo ha possessi a Ponte, mentre viene registrata l’esistenza di un nucleo abitativo a Puglianello ai primi del IX e di una chiesa a Cerreto nel 972 e, dunque, di un piccolo gruppo di case -ciò non annulla la possibilità di una presenza abitativa a Solopaca o nel suo attuale territorio, in tempi anteriori, probabilmente in forma di casale o casali, cioè di un abitato o più abitati aperti, come ipotizzato in questo convegno anche da don V. Canelli.

Lo fa pensare, intanto il toponimo sala in riferimento alla fontana Sala, che indizia una, anche minuscola, presenza abitativa longobarda, avvalorata dai resti nella zona di ville rustiche romane, che giustificherebbero la scelta del sito, in quanto i Longobardi che già dimostrano fiuto nella ubicazione delle sedi, in questo caso troverebbero un avallo nella precedente scelta dei Romani. Il piccolo insediamento si accamperebbe inoltre nei pressi di un tracciato viario romano inconfondibilmente segnato da una tomba, in sinistra del fiume Calore, diretto a Benevento, ma anche con deviazione alla valle di Tocco e quindi alla valle Caudina, sicuramente meno importante del ramo della via Latina nel segmento Telese-Ponte-Benevento, in destra del Calore, ma altrettanto vitale.

E lo fa pensare la logica insediativa di Solopaca -diversa ad es. da quella rigorosamente concentrata di Guardia-, che permane fino al XVI-XVII secolo, quando ancora si parla di parrocchiani di S. Mauro “in diversis locis habitantes ad instar villae”, o si hanno negli Atti di S. Visita e nelle Relazioni ad limina espressioni come: “in diversos dispertitos pagos”, “in quattuor dividitur pagos”, “dicti oppidani passim in pagis incolunt”.

E lo lascerebbe pensare, infine, un capitello in forma di pulvino, di piena età longobarda, la cui conoscenza devo alla cortesia dell’amico Cosimo Formichella, qualora si accertasse la localizzazione originaria a Solopaca del manufatto.

Solopaca in ogni caso esiste a metà del XII secolo in forma probabilmente di abitato aperto.

Nel 1214 in una lite tra il vescovo di Telese e il monastero di S. Maria della Grotta è nominato un “tenimento” appartenuto a Giovanni de Alferio “ex loco Solopace”. Nel 1216 Tommaso conte di Caserta, offre a S. Maria della Grotta due uomini, Guglielmo de Atulino e Giovanni suo fratello, con tutti i loro beni dentro e fuori la città di Telese “in loco solispace”. Nel 1219 si impone finalmente la qualifica di casale: Tommaso, conte di Caserta, in lite con la chiesa di S. Maria de cripta, rivendica il possesso di una “petia terre, quae est in casali Solispace, in loco ubi a le peze dicitur”.

Ma, come si è detto, ci sono, in quello che è l’attuale territorio, altri piccoli insediamenti.

Sempre in età federiciana, e cioè nel 1222 e nel 1227, in due pergamene di S. Maria della Grotta di Vitulano fa la sua comparsa, a livello documentario, il locus Caprile, cioè Capriglia, la parte più alta di Solopaca: nella seconda si parla della donazione di un oliveto fatta da Arnaldo, figlio di Giovanni di Pietro, oliveto che gli era pervenuto “per pastinationem” condotta dai suoi antecessori. Il contenuto del documento autorizza ad una retrodatazione del locus, sicuramente abitato (vedi la “sediliam” di Arnaldo), almeno ad età normanna. Intanto la documentazione conservataci nell’Obituarium S. Spiritus della Biblioeca Capitolare di Benevento registra accanto agli obiti di abitanti di Solopaca e di una parrocchia sancti Iohannis de Surropaca,  quelli di persone di un altro nucleo abitato al Casalis S. Iohannis de Surrepaca (quest’ultima denominazione va nel senso di una inequivocabile dipendenza). Gli obiti riguardanti Solopaca, la parrocchia di S. Giovanni e il casale di S. Giovanni dovrebbero essere tutti posteriori alla prima stesura dell’Obituarium e quindi da collocare nella prima metà del XIII sec. o più tardi.

Per tutta l’età federiciana sembra perpetuarsi una condizione di abitato/abitati aperti, stando alle scansioni documentarie di “loco” e “casale” per Solopaca, di “loco” per Crapile, di “casale” per S. Giovanni. Si registra anche, con un’attribuzione territoriale dubbia tra Solopaca e Melizzano, la nascita -avvolta  per le origini nel mistero- della cella monastica benedettina del Roseto in suggestiva posizione su una falda del famoso Taburno. La cella è menzionata per la prima volta nel luglio 1214, con il priore Simone, in qualità di giudice in una lite tra il vescovo di Telese, Luciano, ed il monastero di S. Maria della Grotta, lite, la cui ricostruzione ha permesso a Kamp di anticipare, con tutta attendibilità, al febbraio 1212 l’episcopato di Luciano, rispetto al luglio 1214.

E siamo all’arrivo degli Angioini. Nel 1268 Carlo I d’Angiò dà a Guglielmo di Belmonte la contea di Caserta che comprende, tra l’altro, Ducenta, Limatola e Telese. Di Telese non sono indicati i casali (cioè Solopaca, ecc.), come hanno ritenuto Meomartini e Riccardi. D’altra pare, in una registrazione dei fuochi relativa agli anni 1268-69 Solopaca non compare, mentre Telese ne conta 185 (per una tassa di 46 once e 7 tarì e mezzo), Guardia Sancti Fraymundi 23, Ortula 48, Limata 17, Civitella 11, Massa Inferiore 13.

Ma agli inizi del ‘300 Solopaca si presenta con uno status ecclesiastico consolidato su ben cinque chiese incluse nella tassazione del 1325 e cioè S. Martino, S. Simeone, S. Maria, S. Mauro, S. Giovanni, che pagano una decima consistente. Nelle Rationes Decimarum compare anche Castro Iohanne, dotato di quattro chiese, e cioè S. Andrea, S. Maria, S. Felice, S. Pietro. Una eventuale corrispondenza del Castro Iohanne con il Casalis S. Iohannis, incontrato un secolo prima dell’Obituarium S. Spiritus, trova ostacolo nel fatto che intanto la denominazione del casale solopachese è sempre S. Iohannis (nell’Obituarium S. Spiritus, negli Statuti di Telese, nel Quaternus reddituum: vedi sopra) e che poi un controllo delle quattro chiese del Castro Iohanne nella documentazione posteriore individuerebbe una continuità nella sola chiesa di S. Pietro, mentre ad es., per Solopaca, delle cinque chiese in elenco nelle Rationes Decimarum soltanto l’ultima, S. Giovanni, non viene più citata nel XVI-XVII secolo.

Bisogna allora prendere in considerazione l’idea che il Castro Iohanne corrisponda al Castrum Iohe, cioè all’attuale Gioia Sannitica, dove le su citate quattro chiese delle Rationes Decimarum trovano continuità innanzitutto nelle due importanti chiese (nel XVI e XVII secolo) di S. Felice e di S. Pietro, mentre tra le chiese rurali troviamo, in continuità, S. Andrea e ben tre chiese intitolate a S. Maria, una delle quali potrebbe corrispondere alla S. Maria delle Rationes Decimarum. Notato che il Castro Iohe è, sempre nelle Rationes Decimarum, trascritto come Castri Iohe  e Castri Ive, ci chiediamo infine come mai il solopachese Casalis S. Iohannis non compaia nelle Rationes Decimarum, essendo già dalla prima metà del sec. XIII luogo abitato, come ci documenta l’Obituarium S. Spiritus, e chiaramente distinto dalla “parrocchia S. Iohannis de Surropaca”.

È giusto sottolineare qui la vicinanza territoriale e la vincolante dipendenza, già rilevata, del casale S. Giovanni da Solopaca, la quale, al tempo dell’Obituarium, cioè sulla prima metà del XIII sec., è in chiara espansione, così come conta richiamare la nota degli Statuti di Telese relativa alla gabella per il trasporto del vino -affidato a bucturarii cioè a vetturali, guidatori di bestie da soma- a Telese dalle due accomunate zone di produzione: “a casale Sorropache et sancti Iohannis, solvatur tarenum j et gr. Xvj”, vale a dire il prezzo di 1 tarì e 16 grani, lo stesso che si pagava dal casale di Pugliano e di Sala, siti tra Castelvenere e S. Salvatore Telesino.

Agli Angioini, o meglio al vario avvicendarsi di baronie sotto il loro controllo, è da collegare il cosiddetto Castel S. Martino, vale a dire il nucleo fortificato di Solopaca, punteggiato da almeno quattro torri (ne sono rimaste tre). La tradizione vuole che il castello sia stato innalzato dai Telesini in fuga dopo il terremoto del 1349. Nulla esclude che Solopaca, come Castelvenere e altri centri della valle, possano essersi ingranditi per l’arrivo di abitanti di Telese, ma il quadro che ci viene dalle Rationes Decimarum sembra, come abbiamo detto, già ampiamente consolidato, data l’entità della tassazione, agli inizi del ‘300.

Per la fortificazione di Solopaca, con circuito di mura e relative torri di tipologia angioina, vale a dire a profilo troncoconico (parte basamentale a tronco di cono e parte superiore cilindrica), torri oggi prive della merlatura in aggetto e delle relative caditoie -una novità tecnica che compare, a quanto sembra, dopo le crociate e che è connessa alla presenza della base scarpata, funzionale ad un potenziamento della difesa verticale- è forse più giusto pensare all’iniziativa di un nuovo signore, naturalmente legato alla dominante dinastia francese, nell’entusiasmo di una fresca investitura.

 

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