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La cappella di S. Antonio Abate

 

(testo tratto da Giuseppe Scavizzi, Nuovi appunti sul Quattrocento Campano,

in “Ministero della Pubblica Istruzione, Bollettino d’Arte, Serie V, Anno LII, 1967, I, pp. 20-28)

 

…Una nuova e più ampia riconsiderazione del tardogotico campano porterà in futuro, sicuramente, a creare attorno a queste opere – che nonostante tutto permangono ancora isolate – quei rapporti che sono necessari per ricostituire un giorno nella sua interezza la fisionomia di una scuola. Intanto esiste ancora, presso Ravescanina, un altro ciclo pittorico, di importanza quasi pari a quello di Piedimonte per quanto oggi difficilmente leggibile a causa di gravi ridipinture, che, sebbene noto da tempo, è stato costantemente ignorato dagli studi, e a torto perché esso è un legame importante tra le correnti del primo Quattrocento e le nuove correnti rinascimentali della metà del secolo a Napoli, e costituisce perciò una nuova prova della esistenza e della continuità della scuola (figg. 43-47).

Gli affreschi di Ravescanina furono dal Filangieri considerati nientemeno che uno strascico molto avanzato di cavallinismo e datati circa il 1417, anno in cui Luigi Sanseverino (che il Filangieri credette di veder raffigurato in un particolare dell’’Adorazione dei Magi’) ebbe il feudo della zona dove la chiesetta si trova. La definizione stilistica e la stessa datazione non erano certo convincenti e furono contrastati dal Morisani; ma a questa precisione non seguì più nulla.[i] Ora da un lato le ‘Storie di S. Antonio’ dipinte sulla parete d’ingresso della chiesa sono legate alle scene eremitiche di Perinetto da Benevento a S. Giovanni a Carbonara per il gusto fabulistico, l’impaginazione chiara e quasi elementare alla Leonardo da Besozzo (nell’’Annunciazione’ e nell’’Incoronazione’ il modo ridondante e fiorito dei panneggi si accosta moltissimo a Leonardo, il che si vede del resto anche in altri particolari di sapore cortese – l’ancella con l’arcolaio, l’uccellino, il panno addossato al legno, gli angeli musici coperti di vesti ricamate).

D’altro lato questo stesso maestro, che riassume così bene una certa situazione napoletana, ci si presenta nelle vele con i caratteri di un pittore che, ormai nel quinto decennio del secolo, ha anche assorbito parecchi dati di cultura rinascimentale. Oltre al fatto che alcune delle teste degli Angeli che circondano l’’Incoronazione’ riecheggiano Pisanello, attivo a Napoli in quegli anni, gli scranni dove siedono gli evangelisti e i Dottori della Chiesa presentano, se confrontati con quelli pittoreschi dell’’Annunciata’ di Minturno, una incredibile esattezza di luci, di prospettiva, di definizione spaziale; gli oggetti si incastrano l’uno nell’altro non per una intenzione puramente descrittiva ma per il gusto di una forma quasi metafisica nella sua geometricità. Infine, i santi siedono eretti e statici, alla pari degli angeli che li ispirano; le loro teste, sia pure nel tentennamento della conquista da poco fatta, hanno spesso una volumetria straordinariamente bloccata e riescono ad un grande effetto di concisione formale, e di acuto impegno luministico.

Siamo qui in una fase ormai più moderna, quando le nuove correnti fiammingheggianti di Spagna e di Francia vengono a incontrarsi e a fondersi. E tuttavia a S. Angelo non viene riflesso nulla dell’arte di Jacomart né, mi sembra, si avverte sentore di forme borgognone, ma domina una volumetria così calibrata e astratta da richiamare soprattutto gli iniziatori, della grande scuola provenzale, il Maestro dell’Annunciazione di Aix e il Maestro della Pietà di Villeneuve-les-Avignon. Ecco dunque un altro dei primi passi compiuti dalla scuola napoletana verso nuovi concetti formali che avrebbero poi impegnato, ricevendo da essi una più matura realizzazione sotto l’influsso dello Charonton e della corrente pierfrancescana, pittori come Colantonio, il giovane Antonello e, più tardi, il Maestro dei SS. Severino e Sossio…

 

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[i] A. Filangieri, Tardi riflessi dell’arte di P. Cavallini nel Quattrocento, in Atti dell’Accademia Pontaniana, XXXVIII, 1908, O. Morisani, Pittura del Trecento a Napoli, Napoli 1957, p. 132, n. 2