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Riassunto Storico

dell’Antico Sannio

 

Specialmente di Alife, Telese e Cerreto

degli attuali paesi che n’ebbero origine

e dei Signori che li dominarono

fino all’abolizione feudale

dettato da

 

Giuseppe Mennone

cultore di Architettura, Agronomia e storia antica

 

 

 

 

[5] Prefazione.

 

Non pochi antichi Storici scrissero e scrissero molto del nostro antico Sannio, ma chi più, chi meno fra loro discordi in taluni fatti. La ragione di ciò si è perché ne scrissero in tempi e circostanze diverse, e tutti dopo secoli che lo spietato Silla aveva ridotto il Sannio (ora son già circa venti secoli e mezzo) in modo così miserando, che al dire di Floro: « Il Sannio nello stesso Sannio non più si ritrovava » ed anche perchè in quei rimoti tempi di effervescenze e di guerre vi fu penuria di Istoriografi, che più d’appresso avessero potuto meglio scrivere e descrivere le cose contemporanee di quelle tristi epoche, in cui gli eccidii, le crudeltà, gl’incendii, e carnificine, le rappresaglie ed i saccheggi si dicevano Eroismo, e l’ignoranza era titolo di nobiltà.

[6] Ora io, senza attribuirmi il titolo di storico, non ho fatto altro che raccogliere ed in parte trascrivere dalle opere degli antichi storici, dei quali ho potuto aver conoscenza, le principali notizie relative ai primi abitatori d’Italia e quindi al Sannio antico ed ai suoi confini, ai Sanniti in generale, alla loro origine, alla loro potenza, alle loro armi, ai loro costumi ed alle loro leggi, alle lodi date loro dagli scrittoi, alle loro antiche città e a’ luoghi in generale e specialmente ad Alife e Telese e rispettive vicende, agli attuali paesi che derivarono da ciascuna, nonché alle rinomatissime acque minerali di quest’ultima, e alla celebre antica Via Latina che attraversava entrambe.

Oltre delle notizie raccolte dagli antichi scrittori riguardanti gli antichi secoli, per i tempi posteriori mi son giovato di quelle che ho potuto avere dal Grande Archivio delle diverse antiche scritture feudali del Regno nonché delle tradizioni.

[7] Siccome poi fin dalla mia gioventù mi piacque osservare e disaminare personalmente tutto quanto esisteva di antico in queste nostre patrie contrade, specialmente per quanto era compreso nei due antichi Tenimenti civili Alifano e Telesino che ora formano il rispettivo Tenimento Ecclesiastico detto Diocesi, così nel trattarne alle relative notizie ricavate dagli antichi scrittori, che nomino, aggiungerò le mie pratiche osservazioni di critica storica topografica sui fatti narrati e sui luoghi controversi, lasciando al lettore giudicarne il merito ed il valore.

Son certo però che non mancherà qualche Aristarco a questo mio lavoro, che per lo meno dirà - « A noi che giovano, e che importano sì vecchie notizie? ».

Costui non meriterebbe l’onore della risposta, perché non potrebbe essere di quei « cui fa notte innanzi sera ». Ma perché l’istruire gl’ignoranti è precetto di civiltà e di religione, risponderei:[8]

  1. Che le notizie da me raccolte giovano a dimostrare che niente è nuovo e niente è stabile in questo mondo, e che la vita delle nazioni non è già quella dell’uomo individuo, che colla morte finisce e tramonta.
  2. Che leggesse, o meglio studiasse se n’è capace, il sublime Platone ne’ suoi dialoghi, ove troverebbe scritto: « Tutto fu, tutto sarà quel che ora è; il mondo non è destinato ad essere perfetto, vi è circolazione, non progresso ». Quindi la vita delle nazioni è una ruota in continuo movimento da che il mondo esiste, e continuerà fino a quando il mondo esisterà, e tutti gli avvenimenti, le vicende, i mutamenti, le catastrofi di qualunque genere e natura esse siano, formano l’addentellato di tale instabile ruota, che seguitando a girare tutto ciò che è tramontato e tutto ciò che tramonterà farà risorgere, più o meno modificato, fra un periodo di tempo più o meno lungo. Il prevenire umanamente le cause di acceleramento [9] o ritardo del tramonto e risorgimento di tali avvenimenti forma lo studio della parte sintetica della Filosofia, nonché della scienza politica speculativa e della Cosmografia sperimentale; ed il tramandare ai posteri, per loro istruzione e regolamento, quanto è avvenuto nei vetusti secoli è l’ufficio esclusivo della Storia, specialmente dell’antica, la quale, come vecchio padre di famiglia, racconta ai figli tutto ciò che gli avvenne nel solcare il periglioso mare della vita, affinché potessero prevedere ed evitare i frequenti scogli. Sicché essendo la storia la vera maestra dell’uomo, ogni uomo civile, dovrebbe conoscerla, se non volesse scendere al grado dei bruti che non ne hanno bisogno, o vivere da zoofito.

 

 

[11] CAPITOLO I

Sito e confini del Sannio Antico

 

Prima della descrizione dei confini fa d’uopo avvertirsi che il Sannio antico era il complesso di tre popoli collegati in uno, cioè Caraceni, Pentri ed Irpini, come appreso si dirà.

I confini dunque del Sannio negli antichi tempi, a parere di Carlo Sigonio, erano ad Oriente la Puglia e la Basilicata; ad Occidente gli Ausoni e i Peligni; a Settentrione i Peligni e i Frentani, che ora formano parte degli Abruzzi e di Capitanata; a Mezzodì anche la Basilicata e la Campania. Filippo Cluerio, così ne descrive i confini. Cominciando da Alfidena, che è poco lungi dal fiume Sangro, e scendendo verso Rocchetta, ove ha origine il Volturno, passa per sotto Isernia e Montaquila e toccano il territorio di Venafro corre a Vairano, s’appressa [12] Alife, e quindi va a Gioia e Puglianello, finché si giunge ad Ariola e da qui a Cervinara, poscia a S. Angelo della Scala infino ad Avellino. Di là passa alla Tripalda, alla Guardia Lombarda fino a Conza, a Ruo e al fonte del fiume Lofanto e a Carbonara, a Venosa, alla Cedonia e di là a Trivico e Accadia ed arriva a Bovino, al Fortore e a Larino. Di qui va a Trivento, da cui infine passa al fiume Sangro, e camminando per la corrente in su fino al proprio fonte ritorna dove si è cominciato.

Vi sono degli altri, come il Biondo e Aalbert, che gli assegnano confini più spaziosi e vi comprendono i Frentani, i Marrucini, i Precutini, i Vestini, i Marsi, buona parte de’ Volsci e de’ Campani con i distretti di Sora, Arpino, Cassino, Aquino e Venafro, popoli che abbracciavano più ampio paese e di gran lunga maggiore del Sannio già descritto, ma ciò è molto inverisimile, secondo Strabone. Che se tali popoli si portano come Sanniti, mentre non lo furono, questo è avvenuto perché i medesimi o furono ai Sanniti soggetti, o sotto le insegne di quelli militavano confederati in [13] tempo di guerra. In quanto al sito de’ su nominati antichi popoli, che confinavano col Sannio e che in occasione di guerre erano nemici o confederati, riporto ciò che ne scrisse Giambattista Carrafa nella storia del Regno di Napoli. Dal Fortore fino al fiume Sanguine, dice questi, era il paese dei Frentani sopra il seno Adriatico, del quale le più famose terre anticamente erano il Vasto, in fra terra Larino e lanciano. Tra il Sanguine e Pescara erano i Peligni, ove alla marina è Ortona, in fra la terra Sulmona e Corfinio, quale fu dove ora è Pentima. Da Pescara al Tronto erano i Marrucini, i quali alla marina avevano Francavilla e in fra terra Civita e Chieti. A questa vicino erano i Vestini, ove è Civita di Penna, e vi furono Amiterno e Furcono, dalle ruine delle quali, non molto lontano, è stata fabbricata la città di Aquila. Erano appresso i Precutini, da dove si ritiene che sia disceso il nome di Abruzzo, ove è Teramo. Erano poi i Marsi, ove è Celano e Albi col lago Fucino. Tutti cotesti sei popoli il più delle volte erano confederati con i Sanniti e sotto un medesimo nome di Sanniti sono spesso dagli antichi scrittori riportati, [14] come si è cennato.

Con più sana critica e con ragionamento più logico il nostro Gian Francesco Trutta ritiene che, per includere le antiche città sannitiche di Compulteria, Trebia e Saticola non meno che Calazia nei confini dell’antico Sannio, bisogna ammettere per confini il Volturno dalla sorgente di esso fino alla celebre antica Badia di S. Maria della Ferrara. Secondo egli dice, il confine del Sannio comincia da tal Badia alla destra del Volturno, va pel Monte della Verdesca soprastante Pietra Vairano, percorre tutto quel tratto di montagne che sono alla destra del Volturno e propriamente le montagne di Baia, di Statigliano, di Dragoni, di Maiorano di Monte, di Villa de’ Liberi lungo il confine di Rocca Romana ove dicesi Monte Maggiore o Mone Maiuro, e di Formicola, e toccando il confine di Camigliano seguita per i gioghi di Monte Callicola detto di Gerusalemme e scende nella contrada detta Trifrisco ove esisteva la distrutta Sicopoli. Di qui passando alla sinistra del Volturno là dove comincia il monte Tifata, così detto dal Tempio della Dea Diana Tifatina che ivi esisteva, e [15] salendo sulla prima vetta di esso monte detta di S. Nicola, da tal punto tira una linea per tutta la giogaia e va a finire alla punta di Monte Decoro, detto volgarmente Monte di Coro. In tal modo resteranno incluse nel Sannio le città su menzionate.

 

 

CAPITOLO II

Primi abitatori d’Italia in generale e del Sannio i particolare

 

Son tante e si varie le opinioni degli antichi storici intorno ai primi abitatori dell’Italia, che a considerarle da tempo in tempo producono piuttosto confusione che soddisfazione. Ben chiaro è, dice Gian Vincenzo Ciarlanti, che 108 anni dopo il diluvio universale vennero ad abitarvi genti condotte dal gran padre Noè, le quali col tempo moltiplicaronsi e si dilatarono a poco a poco in diversi luoghi, e ritornandovi poi lo stesso Noè, vi condusse altre genti e con queste si diede principio alle abitazioni di tutte le regioni, ma senza sapersi quali di esse sia stata la prima.

[16] Per antichissimi abitatori, prima degli altri Marsilio Lesbio vi costituisce gli Ausoni, affermando che quando vi venne Enotrio Arcade tali genti vi trovò, ed il suo arrivo in Italia fu poco meno di quindici età avanti la distruzione di Troia, cioè 375 anni, poiché a parere di Senofonte l’età presso i Greci era di anni 25. A ciò si conforma anche Dionisio Alicarnasso, il quale dice che conducendovi Enotrio colonie dalla Grecia molto prima di detta distruzione, vi trovò barbari abitatori chiamati Ausoni, e soggiunse di più che ai tempi, nei quali poi vi giunse Enea, trovò che dagli Opici erano abitati il Lazio, la Campania e il Sannio. Il che parimenti si conferma da quello che per testimonianza di Aristotile ne riferisce Errico Glareano, che cioè buona parte di Achei, mentre ritornavano alla loro patria dalla guerra Troiana, essendo la loro nave dalla tempesta del mare portata in molti luoghi, finalmente giunsero nel paese degli Opici, ed ivi si fermarono. Dimodoché i Greci già vi trovarono gli Ausoni, i quali secondo Strabone, seguito anche da moderni, fecero uno stesso popolo con gli Opici, e non già due, e furono chia- [17] mati con entambi i nomi, contro l’opinione di Polibio, che li pone distinti.

Che il Sannio prima aveva il nome di Ausonia è asserito da Pompeo Testa e da Leandro Alberti, i quali dicono che il nome di Ausonia gli fu dato dal figlio di Ulisse chiamato Ausone e così furono chiamate primieramente quelle contrade ove è Benevento e Calvi. Ma ad opinione dell’antichissimo Beroso Caldeo, tali popoli molto prima furono chiamati Ausoni da un altro Ausone che in cotali contrade vi venne da Oriente e vi si fermò nell’anno 18 d’Aralio VII Re di Babilonia, cioè 429 anni dopo il diluvio universale, secondo il computo di Giovanni Lucido. Sicché in tanta antichità seguo l’opinione del Baronio, il quale, lasciando le molteplici diversità di opinioni degli antichi scrittori intorno ai tempi e seguendo i più approvati, dice che questi furono così denominati 2528 anni prima della venuta di Cristo, che fin ora 1894 sarebbero anni 4422.

Vi sono altri, come Giustino Solino, che vi costituiscono più antichi abitatori, cioè i popoli chiamati Aborigeni, i quali non solo in questi luoghi, ma anche in molti altri luoghi [18] ebbero ad abitare. Per dare qualche luce di costoro, affermasi, per autorità del Lucido, che Noè sia venuto due volte in Italia dopo il diluvio; la prima fu 108 anni dopo il medesimo e vi condusse molte genti, secondo Pietro Leone Casella, dimorandovi 33 anni, finché a sua persuasione vi giunse Camero Gallo primo genito di Afel con le sue colonie. La seconda volta fu 268 anni dopo detto diluvio, e vi si trattenne 82 anni e quivi venne a morte. Tutto questo gli storici l’hanno preso dal Beroso: De Antiquitate Jani.

Che sia stato Noè cognominato Iano, lo attesta Beroso, il quale n’assegna anche la ragione, cioè per essere stato egli l’autore del vino, poiché vitifer in lingua Armena ciò significa. Anche Girolamo Bardi nella sua Cronologia universale ha ciò affermato.

L’Italia, come dice Catone, ha avuto il suo glorioso principio da tempi antichissimi come di Principi, mentre i mortali si godevano felicemente l’età dell’oro sotto il felice dominio del famoso Principe Giano detto altrimenti Noè e Saturno Fenico, dagli Italiani annoverato tra gli dèi, allorché questi dopo il diluvio uni- [19] versale cioè negli anni del mondo 1757 conducendo in varie parti della terra nuovi popoli venne in Italia e vi si fermò ad abitare. Intende il Bardi della prima venuta di Noè. Vennevi poscia la seconda volta nel 19mo anno di Nino Re di Babilonia, cioè nel predetto anno 268 dopo il diluvio e trovatovi il suo scellerato figlio Cam, detto con altro nome Cameseno, che con la sua mala vita aveva corrotti i buoni costumi dei primi abitatori, già prima rettamente istruiti e governati da Camero Gallo suo nipote, lo sopportò per tre anni, ma vedendolo incorreggibile, dandogli alcune colonie lo discacciò dall’Italia, ed egli fino a morte vi restò.

Or le genti che costoro in più volte vi condussero, furono chiamate Aborigeni, come si scorge anche da Fabio Pittore, e questi furono veramente i primi e più antichi che abitarono l’Italia, e come tali da buon numero di scrittori sono portati nella Tavola itineraria Peutingeriana aggiunta al Teatro geografico di Pietro Bersio, e perciò con ragione furono chiamati Aborigeni. Nei primi tempi abitarono in luoghi, in contrade e piccoli paesi, ma poi [20] crescendo, edificarono tante città, che Plinio ne numera 300 come nota il Casella.

Trogo e Giustiniano riferiscono che i Greci tennero gran parte dell’Italia e molte città vi furono da essi edificate e che i Sanniti, in buona parte, discesero da quelli che vennero da Lacedemonia cioè da Sparta. Tutto ciò è vero, ma la loro venuta fu molte centinaia di anni dopo quella degli Aborigeni e Ausoni.

Lasciando altri diversi pareri, per non confondere il lettore, si conchiude che i primi e più antichi abitatori siano stati gli Aborigeni, i quali, secondo il Casella, erano eziandio nominati Janigeni, cioè discendenti da Giano e Indigeni. I secondi furono gli Asusoni, chiamati anche Opici, come si è detto. I terzi furono gli Arcadi e appresso vi capitarono i Greci nel ritorno che fecero dalla guerra di Troia, e questi furono i quarti. Vi vennero ulteriormente i Sabelli dalla Sabinia e trovarono che questa Regione era allora chiamata Ausonia secondo Festo, il qual nome poi fu dato a tutta l’Italia e lo ritenne finché non fu mutato da altri che poi la dominarono.

 

 

[21] CAPITOLO III

Venuta dei Sabelli e perché si chiamarono Sanniti

 

Vennero appresso nei medesimi luoghi e vi si fermarono ad abitare, seconda la tradizione degli antichi, i Sabelli della Sabinia, la cui origine e venuta sono riferite dallo Strabone. I Sabini avevano lungamente guerreggiato con gli Umbri loro vicini, e perché essi non potevano a questi prevalere, fecero voto, ad usanza dei Greci, di sacrificare quanto nascesse in quell’anno, se avessero riportato vittoria, e la riportarono. Tornati in patria, volendo soddisfare al voto, sacrificarono parte delle cose nate, e parte ai loro dèe consacrarono. Ma essendo stati poi oppressi da grave carestia, per liberarsi da tale calamità, consultarono i Sacerdoti che dovevano fare, e fu loro risposto che consacrassero nuovamente agli dèi i loro figli nati, perché così avrebbero avuta l’abbondanza. Questo consiglio fu tosto eseguito e li consacrarono al Dio Marte. Giunti che furono costoro all’età virile i loro genitori li [22] mandarono a cercare per essi altra dimora, e loro consegnarono un toro per guida, che li condusse in questi luoghi, che erano già abitati dagli Opici, con i quali vennero alle mani e, scacciati per forza, vi restarono essi ad abitare. Per consiglio dei loro indovini sacrificarono a Marte il toro che ivi li aveva condotti, e perciò si crede che siano stati chiamati Sabelli dai loro padri, cioè piccoli Sabini.

Altri dicono che furono cortesemente accolti dai Laconi, venuti da Lacedemonia e che dominavano in queste parti.

Tutto questo si è rilevato da Strabone.

Catone, Sempronio e Plinio anche affermano che dai Sabini abbiano avuta origine i Sanniti e furono chiamati Sabelli. Così anche Virgilio ed Orazio. Sesto Pompeo, nell’asserire di essere i Sanniti prole dei Sabini, dice pure che non già dal Toro furono capitanati, ma vi vennero sotto la guida di Comio Castronio. Di questa opinione è anche il Casella, il quale dice non essere credibile che i Sabini tanto savi e prudenti avessero voluto mandare in tal modo un sì grande stuolo di giovanetti inesperti a ri- [23] trovare altra patria, ma poté ben essere che Comio li conducesse e con loro il toro, che poi qui sacrificarono a Marte secondo il costume dei Greci. Anche io inchino a credere che il conduttore dei Sabelli non sia stato realmente un toro, cioè una bestia indomita, sembrandomi più verisimile che sia stato un uomo detto Toro, e che conducessero secoloro un bue domato che sacrificarono nel luogo, ove si fermarono, e dal bue che ivi sacrificarono si chiamò Boviano la prima città che edificarono. Poiché se fosse stato un toro indomito, e non già un bue avrebbero dato il nome di Torano o di Torino alla prima città che edificarono nel luogo del sacrifizio e non già di Boviano.

Per quale ragione poi si chiamarono Sanniti? Il Volatezzano, il Biondo e l’Alberti vogliono che furono così chiamati dalla città di Sannio, ove costoro si fermarono dopo giunti in questi luoghi, che io credo sia preesistita nel luogo ove fondarono Boviano, ora Boiano Vecchio.

Paolo Diacono e Stefano Pompeo tengono che tal nome avessero preso da un colle che prima occuparono. Altri dicono che presero tal nome dalle armi che usavano in guerra, ora [24] dette aste ovvero armi in asta, che in greco si dicevano Sannia, e dall’uso di tali armi furono dai greci detti Sanniti e dopo furono anche così chiamati dai Latini. Quest’ultima opinione è ritenuta per la più vera.

Vi sono anche Scrittori che dicono essere stato Benevento chiamata Sannio, ed altri che sia stata così chiamata Isernia, ma in ciò s’ingannano, poiché presso gli antichi scrittori non si trovano mai così nominate. Benevento negli antichissimi tempi ebbe il nome di Melezia, secondo dice Marino Frezza, e poi Malevento a cagione dei venti che continuamente la molestavano, e dopo si disse Benevento, così detto, quasi nome di felice arrivo, secondo Livio. Isernia poi è stata sempre così chiamata da tutti gli scrittori antichi.

La più antica tra le memorie, che si conoscono riguardo al tempo, nel quale erano in questi luoghi i Sabelli, pare essere quella additata da Procopio, cioè tre secoli avanti la fondazione diRoma, e la prima rimembranza che si trova del nome dei Sanniti presso gli scrittori, che hanno trattato dei fatti dei Romani, è forse quella di Livio nel IV libro della [25] sua storia, ove li pone nel Consolato di Caio Sempronio e di L. Fabio Vibulano, che fu l’anno di Roma 331 secondo il computo del Sigonio. Sicché dalle prime menzioni dei Sabelli fino alla venuta di Cristo decorsero 1052 anni e fino al presente anno 1894 ne sono passati anni 2946, e da quella dei Sanniti fino a noi sono anni 2315.

 

 

CAPITOLO IV

Origine degli Irpini e insegne dei Sanniti

 

I Sanniti tennero per molto tempo il nome che qui ebbero da principio, ma per un caso che loro avvenne, parte di essi mutarono tal nome denominadosi Irpini. Ed ecco come avvenne, secondo racconta il medesimo Strabone. Mentre i Sanniti conducevano una colonia nel luogo dove avevano stabilito di collocarla, fecesi loro incontro un lupo che essi seguirono, servendosene in certo modo di scorta, e siccome in quei tempi i Sanniti chiamavano Irpo il lupo, così per tale occasione furono poi essi chiamati Irpini con tutto quel paese, ove si [26] stabilirono. Tennero tal nome per molti secoli fino al termine della guerra sociale, che fu nell’anno 662 di Roma, cioè anni 90 prima dell’era Cristiana, come per autorità di Livio è riferito dal Sigonio, e quantunque dagli antichi si trovino menzionati dopo detta guerra, pure non erano più in vigore, e si nominavano poi per ragione del loro paese, ove erano alcune città da essi scrittori menzionate.

Però se mutarono il nome non cessarono di essere gente sannitica, come riferisce Strabone ed altri scrittori. Ciò si rileva anche in più luoghi di Livio, il quale dice essere stati tali e con tal nome aver militato fino alle seconda guerra punica, e più volte poi li mette distinti dagli altri Sanniti. In questa guerra dice il Polibio, militarono da sé soli, e con altri popoli si dettero ad Annibale. Il che accadde l’anno 534 di Roma, cioè 218 anni avanti la venuta del Signore.

In quanto al lupo, che si dice essere stato di scorta, come innanzi, parmi inverisimile, ed io credo che non già un lupo veramente sia stata la guida dei Sanniti in tale occasione, ma un uomo, che aveva il nome di Lupo; [27] poiché il lupo belva, per istinto fugge l’uomo, né avrebbero potuto seguirlo per la velocità del suo passo.

I Sanniti poi a perpetuare la memoria del toro conduttore dei loro padri, in tutte le insegne ed armi che usavano, portavano effigiata la testa del toro, che è la stessa del bue. Di fatti in molti luoghi e città del Sannio antico, come a Boiano ed Isernia, in marmi con molto artificio ed in diverse guise vedesi scolpito, come anche in Benevento, ove al toro poi fu sostituito il porco, il che avvenne nel tempo che Benevento era dominato da principi Normanni e pel seguente fatto. Esisteva allora nelle circostanti campagne di Benevento un feroce, mostruoso cignale che lo dicevano Calidone, il quale si avventava e sbranava qualunque uomo o donna gli si avvicinasse o cercasse di molestarlo, mentre danneggiava i seminati, sicché quel cignale era divenuto il terrore di quelle contrade e nessuno ardiva cimentarvisi (in quei tempi che non ancora si conosceva la polvere ed il fucile) fino a che un coraggioso giovine, nipote del Principe, chiamato Diomede vi si cimentò e l’uccise. [28] Fu tal fatto riguardato come un rilevante avvenimento, di cui volendo eternare la memoria effigiarono nello stemma, distintivo della Città, il famoso porco, che onora Benevento, la quale divenuta poi Città papale, fu sovrapposta al classico porco anche la stola sacerdotale, come attualmente si vede. Tutto ciò ho rilevato da una antica leggenda esistente in una vecchia tipografia di Benevento su tal duplice significato dello stemma.

 

 

CAPITOLO V

Linguaggio che usarono gli antichi Sanniti e poi gli altri successivamente

 

I Sanniti prima di essere interamente soggiogati dai Romani, non vi è dubbio che parlassero il linguaggio Osco, col quale favellavano anche i Sabini loro padri ed i Campani loro vicini, come afferma il Cluterio per autorità di Livio, di Varrone e di Velleio. Ma per essere stata la misera Italia in più tempi occupata da diverse nazioni, ciascuna di quelle vi introdusse il proprio uso e la favella: alcuni parlavano in lingua Ausonia, Opica ovvero [29] Oscia, che sono le medesime, altri in Etrusca, altri in Greca e vari variamente, conforme è chiaramente detto da Strabone, Eschilo, Svetonio, Varrone ed altri. Sicché il linguaggio dei popoli d’Italia era diverso prima che fossero stati soggiogati dai Romani, i quali parlavano il Latino e ricusavano di comunicarlo ai popoli conquistati, lasciando ciascuno vivere e parlare secondo il proprio costume. Dopo qualche tempo il Latino cominciò ad estendersi non solo per l’Italia, ma anche per le straniere Nazioni; imperciocché le colonie che i Romani mandavano ad abitare nei diversi luoghi soggiogati prevalendo spesso di numero o eguagliando quello dei nativi del paese v’introdussero la loro lingua latina. Ma altri ancora l’appresero e l’usarono per essere ammessi alla cittadinanza Romana, e così poi gli uni e gli altri parlarono la lingua latina per molti secoli, e fino a quando l’Italia fu occupata da barbare Nazioni, cioè da’ Goti, Unni, Eruli, Vandali, Longobardi ecc. Questi non corruppero solo i costumi e quanto vi era di buono, ma anche la lingua introducendovi i loro barbari idiomi, dal cui miscuglio, secondo Lipisio ed altri precedenti [30] scrittori, nacque poi la nostra favella italiana, la Francese, e la Spagnuola.

È certo dunque che i Sanniti prima parlassero l’indigeno Osco; dopo che furono soggiogati, la lingua latina; appresso la lingua barbara e successivamente in più modi, secondo l’uso delle nazioni predette, e così per tutta Italia. Essendovi poi venuti i Bulgari nel 677 dell’era Cristiana, vi si parlò anche all’uso di costoro, e sebbene in tutti quei tempi si fosse usato l’idioma latino, il quale esercitava fino ai tempi di Paolo Diacono che viveva nel 780 a tempo di Carlo Magno, come egli dice, tale idioma latino era così corrotto, che niuna reliquia vi appariva di quella antica purità e vaghezza, come chiaramente si rileva dalle tante scritture di carattere Longobardo, che tuttora esistono.

 

 

CAPITOLO VI

Armi che usarono i Sanniti e loro Potenza

 

I Sanniti nel guerreggiare usavano armi eccellenti sì per difesa, come per offesa, e si dilettavano di ricchi e belli apparati: portava- [31] no armi e scudi indorati ed inargentati facendo così pompa della loro ricchezza, secondo Giusto Lipisio; e l’Imperatore Alessandro Severo in ciò volle imitarli, secondo si rileva da Elio Lampridio. Nella gamba sinistra portavano lo stivaletto e negli elmi alti e colorati vi mettevano dei pennacchi per aggiungere vaghezza alla disposizione dei corpi.

Da questo Lipisioi deduce che i Sanniti siano stati i primi inventori d’impiumarsi il capo e tal uso poi fu introdotto anche in altre Nazioni. In quanto alle diverse armature che usavano, esse erano in aste, alabarde, lance, picche, dardi, strali, puntoni ecc. ecc., come si vedono scolpite nei marmi esistenti in diversi luoghi del Sannio.

I Sanniti furono bellicosissimi e fortissimi per animo e per disposizione del sito e dei luoghi. La loro potenza era tale, che sottoposero al proprio dominio non pochi popoli, ed a tempo della Romana Repubblica non vi fu in Italia alta gente, che più di essi la travagliasse con le continue guerre, come non pochi storici narrano, e perciò domandato il truce Silla perché usasse tanta crudeltà contro i Sanniti [31] rispose « Perché un sol Sannita sarebbe stato capace di mantenere inquieta Roma » e distrusseli.

Riferisce Strabone che essendo i Sanniti a battaglia con i Possideriati e con altri popoli che abitavano allora quella Regione, che ora è detta Basilicata, valorosamente li superarono , e con felice successo di vittorie essendosi fatti Signori del paese e delle loro città scacciandone i Comi e gli Enotri che le possedevano, vi condussero ad abitare delle colonie che poi si dissero Lucani, ed ebbero origine dai Sanniti. Plinio lo conferma e aggiunge che tali colonie vi furono condotte da Lucio capitano dei Sanniti. Ciò è confermato anche da Catone, e da altri, i quali dicono che da esso Lucio vennero denominato Lucani. Né solo questi, ma anche i Capuani, come afferma in più luoghi il Cluverio, ebbero origine dagli stessi Sanniti. Aggiunge di più Strabone che molte Città e luoghi di Basilicata furono dei Sanniti, e che essendo questi divenuti molto potenti, acquistarono con le armi spazioso impero, ed invasero con grande ardire il Lazio fino ad Ardea, che dicono essere allora città molto potente sita a 20 miglia distante da Roma.

[33] S’impadronirono anche di molte altre città e delle più potenti fra le quali fu Capua, Sedicino, Palepoli, Cuma, Cassino, Sora, Fregello ed altre. Dice di più Strabone, seguito dal Biondo, dal Sabellio  e da’ moderni, che i Sanniti avevano un’armata di ottantamila pedoni e ottomila cavalli. Però è da credersi che giungessero a tal numero uniti ad altri popoli, che con essi militavano, come i Vestini, i Precutini, i Marrucini, i Peligni ed i Frentani, a cui con la loro potenza avevano dato il loro nome. Né solo in queste parti i Sanniti mostrarono il loro valore. Narra Festo, parlando dei Mamertini, che trovandosi tutto il Sannio oppresso da grave peste, ad esortazione di Stennio Mezio, uomo di gran riputazione, fu proposto di sagrificare ad Apollo quanto sarebbe nato nella seguente primavera, perché così sarebbe stato liberato da tale calamità. Fu fatto il voto come proposto e la peste cessò. Ma venti anni dopo sopravvenne la stessa calamità, e perciò ricorsero nuovamente ad Apollo e loro fu risposto essere ciò avvenuto per non aver soddisfatto al voto di sacrificare gli uomini nati in quella primavera, e, se da loro li cacciassero, [34] sarebbero pienamente contentati. Per lo che riunitili tutti insieme, tosto li mandarono via dirigendoli verso la Sicilia, ove giunti si fermarono nel Tenimento dei Tauroncini. Quivi vedendo che i Messinesi erano travagliati da fiera guerra, a loro volontà e senza invito, andarono a dar loro soccorso e col loro valore fu riportata completa vittoria. I Messinesi non sapendo come meglio rimunerarli di sì gran favore li ammisero alla loro cittadinanza accumunando gli averi ed i campi e vollero chiamarsi tutti Mamertini, perché nel sorteggio era uscito dall’urna il nome di Marte, che era tra i dieci Dèi che vi erano posti, e così si chiamarono dipoi lasciando il proprio nome di Sanniti.

 

 

CAPITOLO VII

Lodi date dagli scrittori ai Sanniti

 

Livio in più luoghi li dice ora fortissimi, ora pertinaci nel combattere, alle volte feroci. Nel Libro XXIII dice che da sé soli senza aiuto estraneo, guerreggiarono contro i Romani per lo spazio di circa cento anni con varii [35] successi che spiega, ed anche contro i più potenti nell’Italia. Eliano loro dà il titolo dei più nobili d’Italia che è ben notato dal Cluverio, erano veramente nobili, perché essi tanto in guerra, quanto in pace, usarono quei mezzi che sono la nobiltà, cioè le virtuose azioni che ardue e lodevoli imprese producono.

Dice Strabone che in guerra erano tanto destri, che davano l’esempio dell’arte militare e dettero tanto da fare ai più potenti nemici. Si narra anche da Strabone che in pace osservavano ottime leggi e fra le altre parla della tanto lodata legge del matrimonio, cioè che non potevano i padri maritare le proprie figlie a loro gusto, ma inviolabilmente in ogni anno si faceva la scelta di dieci donzelle delle più belle, ricche e virtuose, e parimenti di altrettanti giovani virtuosi, e davano per moglie la più degna al più virtuoso, la seconda al secondo, e così di mano in mano le altre appresso agli altri giovani, con patto espresso però che, se alcuno dei detti giovani non seguitasse la vita virtuosa, gli sarebbe tolta la giovane a lui consegnata. Quello che era di e- [36] strema vergogna, doveva esser da tutti disprezzato, beffato e ripudiato da pertutto come infame e disonorato.

I Sanniti, prima che  fossero stati soggiogati dai Romani, non ebbero mai Re, né riconobbero mai superiore forestiere; da loro stessi si reggevano, erano a loro stessi Re, Duchi, Autorità e Maestà, e davano leggi e statuti ai popoli conquistati.

Sarebbe troppo lungo, se si volessero solamente accennare i fatti che ebbero luogo fra i Romani ed i Sanniti, di cui son piene le antiche storie.

 

 

CAPITOLO VIII

Antichi luoghi e città del Sannio

 

Gli antichi Scrittori fanno menzione di molti antichi luoghi e città del Sannio ed affinché se ne abbia conoscenza io li trascrivo.

Strabone nomina solo questi pochi cioè Boiano, Isergna o Isernia, Panna, Telese, Benevento e Venosa.

[37] Plinio mette nella quarta Regione d’Italia i popoli Alfidenati, Isernini, Fasi, Fusati, Ficolensi, Sepinati, e Triventini, Boiano Vecchio e Faltro col cognome di Vandecumani, e nella seconda Regione costituisce i popoli degli Irpini, cioè Aquitani, Abellinati, Conzani, Eulani e Beneventani. Tolomeo pone Benevento, Isernia, Sepino, Alife, Tutino, Telese, Boiano e Caudio nel Sannio; con gli Irpini Aquilonia, Avellino, Erculaneo e Fratuolo; Conza nei Lucani; Venosa nei Pugliesi e Pencentini e Alfidene nei Caraceni, come si vede nella traduzione di Geronimo Ruscelli.

Tito Livio, che io credo più competente ed esatto, ne menziona assai di più nella sua storia, cioè trentatre, che sono, Alife, Aquilonia, Alfidene, Benevento, Boiano, Caudio, Callife, Celenna, Compulteria, Cimetra, Conza, Cluvia, Comino, Duronia, Erdonea, Ercolano, Fusula, Isernia, Maronea, Mucre, Murgantia, Milonia, Orbitanio, Palombino, Plistia, Romulea, Rufrio, Sepino, Telese, Tiferno, Velia, Venafro, Volana.

Il Sigonio dice che delle sopra notate città quattro erano le principali a tempo de’ Sanniti, cioè Saticola, Caudio, Isernia ed Alife. Pel [38] sito ove esistevano le due prime, gli storici sono stati e sono di diversissimo parere non esistendovi traccia o vestigio del loro vero sito. Di queste città talune stavano situate di qua ed altre di là dall’Appennino e alcune poche dentro o alle falde di esso.

Uno dei più interessanti monti Appennini è il nostro Matese, la cui generica denominazione gli è venuta dai primi abitatori di esso che Livio dice essere stati uomini forti e robusti, e dà loro il titolo di montani agresti e Montesi, che poi coll’andare del tempo si corruppe e si chiamò Matese. La vetta più elevata di questo monte ha metri 2050 di altezza sul livello del mare ed è detta Esule. L’etimologia è scritta da Gaetano del Giudice in una nota esistente nel Tomo IX n. 24 del Bollettino del Club alpino del 1876 pag. 142, di cui è socio anche mio figlio Dottor Pasquale, che mi ha dato a leggere tal nota, la quale è scritta così: « C’era una Principessa chiamata Jole, ed un giovane chiamato Fosco: Jole e Fosco si amavano. Le terre di Jole furono invase, ella ne affidò la difesa a Fosco; le schiere del fosco vinsero, ma egli rimase morto sul campo. Allora [39] Jole divise lo stato fra parenti, poi fece caricare tutto il suo oro sopra una mula, l’argento su di un’altra e gli abiti su di una terza e si avviò per boschi, seguita solo da un servo che conduceva gli animali.

La sera del primo giorno chiese un poco d’acqua ad un uomo di un villaggio che traversava, egli regalò la mula carica d’argento; all’imbrunire dell’altro scontrò alcuni fanciulli che le offrirono della frutta ed essa le ricambiò colla mula carica d’oro. Il giorno appresso chiese ad una fanciulla, che vangava, la di lei tunica cilestrina, e la indossò invece del suo ricco abito, che donò a quella misera insieme alla terza mula. Ivi si separò pure dal servo e sola continuò il cammino. Finalmente si fermò in una vallata in cui non erano all’intorno, che pochi pastori. Tutto il dì vagava intorno e non si cibava che di fragole e beveva l’acqua di un ruscello. Ma il tempo delle fragole finì, il ruscello gelò, la neve coprì ogni cosa ed un giorno non si vide più errare per i monti la fanciulla della veste cilestrina: poi quando incominciò il disgelo, di mezzo la neve apparve il suo bel [40] corpo inanimato. Si seppe di poi che quella meschina era una Principessa che esulò dal mondo, e da lei quel monte si chiamò sempre Esule ». Di dove Jole era Principessa il Sig. del Giudice non lo ha scritto.

Furono edificate dai Sanniti quattro principali città intorno al Matese, presso a poco in eguale distanza l’una dall’altra, le quali forse vi furono così disposte, perché colla comune loro possanza difendessero detto monte come posizione strategica nel reciproco interesse in caso di guerre straniere, cioè dalla parte di Oriente Telese, alla parte Occidentale Isernia, a Settentrione Boiano ed a Mezzodì Alife, sebbene Alife preesisteva come si dirà.

È da notarsi pure che sul Matese fin dai remoti tempi vi sono esistiti cinque paesi, cioè S. Gregorio situato alle falde meridionali, Valle Agricola in una gran valle a Libeccio, Letino, Gallo e Roccamandolfi che sono proprio nel cuore.

I naturali di tali paesi offrono una diversissima condizione caratteristica, cioè sono diversi di dialetto, di pronunzia, d’indole, di costumi, di abitudini, d’incivilimento e molto [41] più nel vestire delle donne. Ciò ha prodotto fra loro tale antagonismo, che specialmente fra i Letinesi ed i Gallesi, i quali non sono fra loro distanti che circa tre miglia, non mai a memoria degli antichi del paese siasi contratto matrimonio fra una Letinese ed un Gallese e viceversa. Io credo che i paesi predetti abbiano avuta origine da pastori erranti venuti da diverse parti, secondo l’antico costume patriarcale, che andavano vagando in cerca di opportuni pascoli per i loro armenti. Questa mia opinione pare essere contradetta dall’esistenza dei castelli e torri, che ancora vi esistono, ma io credo tali opere siano di epoca molto più recente e siano state fatte durante l’invasione dei barbari e segnatamente dei Normanni.

Convien dire ancora che sul Matese vi esiste un bel lago, il cui circuito non è sempre eguale; si allarga e si restringe secondo la quantità di pioggia o di neve che cade nell’inverno sui monti circostanti. Nel Luglio 1842, quando io rilevai la topografia del Matese, misurai pure il circuito del lago, che trovai di miglia sette.

In esso si fa abbondante pesca di tinche, e nell’inverno vi si fa la caccia delle anitre sevatiche.

[42] Gli antichi celebravano anche un altro monte appartenente pure al Sannio cioè Monte vergine in cui vi esisteva il tempio della madre degli Dèi ai tempi del paganesimo, e che poi S. Guglielmo ridusse a tempio della vera Madre di Dio fondando su quel monte il celebre Monastero attuale detto di Montevergine, come S. Benedetto ridusse il tempio di Apollo al celebre tempio e classico Monastero di Montecassino.

 

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