Home page           Il Sannio-Indice

 

 

Giovan Vincenzo Ciarlanti

 

MEMORIE ISTORICHE DEL SANNIO

1644

 

 

 

Libro primo (pp. 7-33)

 

cap. I.

Sito del Sannio antico

 

Ebbero in costume gli Scrittori delle Istorie ne’ principj delle loro fatiche di proporre il sito, ed i termini di quei luoghi, che impresero a trattare, divisandoli quasi come una idea, acciocché ne avessero i Lettori una prima cognizione, e ne rimanesse l’intelletto in qualche modo informato. In questo ancora lo stesso conviene, vedendosi raccolte in essa materie istoriche di Provincia sì nobile, ed antica, qual’è il Sannio, di cui quel, che celato stava, a discovrir mi accingo. Si descriveranno adunque i suoi confini nella miglior guisa, che sia possibile, e così al vivo, che ne abbia a rilucere lo stato primiero, non che il modo, che si vedeva nella di lei caduta, che avvenne nel tempo di Silla, come vuole Strabone, il quale scrisse poco dopo quei tempi, e negli anni di Ottaviano Augusto, a parer del Sigonio. E tuttoché siano questi confini da moderni variamente descritti, nulla di meno si seguiranno i pareri di color, che, per aver curiosamente ben considerato in ciò le minutezze delle cose, pare, che le abbiano meglio investigate, e tolto dagli animi ogni occasione di dubitare. Ed acciocché si conosca con maggior chiarezza il vero, si adducono non solamente le parole di Strabone “Supra quam in Mediterranea Samnium est ad Ferentanos, et Apulos” ma anche di Porzio Catone, e di Sempronio, che fiorirono tra i medesimi tempi “Inter omnem Vulturni, et Montes Apennini Sabelli sunt, proles Sabinorum”. Dalle quali autorità pienamente appare, ch’era questa Provincia mediterranea, e non marittima, come alcuni la scrivono, ed in buon modo si conferma tal verità, che con la lor diligenza ritrovato hanno gl’infrascritti Autori.

I termini dunque degli antichi tempi del Sannio, a parer del Sigonio, e d’altri sono tali. Dall’Oriente avevano i Sanniti la Puglia, e la Basilicata. Dall’Occidente gli Ausonj, e Peligni. Dal Settentrione, i Pugliesi, e Frentani, che di presente sono parte d’Abruzzi, e di Capitanata. Da mezzo giorno poi i sudetti di Basilicata, e Campani. Più a lungo è ciò descritto nella di lui tavola da Filippo Cluverio in questa guisa unitamente con gl’Irpini: “Aufidena, et discendendo ubi oritur Vulturnus, deinde Aesernia ad levam Vulturni, et sic discendendo Allifae, et postea Caudium, ubi nunc est Airola usque Abellinum, postea compsa, Rufrae, ubi Ruvo, et ascendendo ad pontem Aufidi dicti, Lofanto, et Aquiloniam, quae est Carbonara, et Venusiam ad Herdoneam, nunc Cedogna, inde Trivicum, et Aecas nunc Accadia, deinde amnem Frentonem ad Larinum exclusive, deinde Triventum usque ad flumen Sagrum”. In modo, che se vi si aggiunga tra mezzo altro luogo di più, si scorgeranno i confini più discretamente, se cominciando da Alfidena, che non molto tratto sta da lungi dal fonte del Sangro, che scaturisce ne’ monti sul distretto di Gioja d’Abruzzi, e discendendo verso la Rocchetta, dove si origina il Volturno, che sen va sotto Isernia, che gli giace alla sinistra, che poi passa sotto Montaquila, e toccando il territorio di Venafro se ne scorre a Vairano, e cala ad Alife, e quindi andandosi a Gioja, ed a Puglianello finché ad Airola si giunga, e da qui a Cervinara, poscia a S. Angelo della Scala insino ad Avellino. Di là all’Atripalda, a Gesualdo, alla Guardia Lombarda fino a Consa, a Ruvo, ed al fonte del fiume Lofanto, ed a Carbonara, Venosa, alla Cedogna, e di là a Trivico, ed Accadia, e arrivano a Bovino, al Fortore, ed a Larino, onde si va a Trivento, da cui insino al fiume Sangro per la corrente camminando ad alto sin al proprio fonte donde si è cominciato

Ma i confini più ristretti, e senza gl’Irpini lo stesso Cluverio in questa maniera descrive: “Ab initio equidem Samnitium nome, finesque extendabantur ad Apulos usque ad Lucanos. At postmodum bona parte Samnitium ab Samnitico nomine secedente, novo invento sibi Hirpinorum vocabulo; pars terrarum haud modica Apuliae, Lucaniaeque contermina Samnio abscessit. Itaque Samnitium fines fuere ab Occasu, primum qua Volscos conterminos habuere, linea ab Sagri Fluminis fontibus ad vulturnum amnem medio situ inter Aesernis jungebantur, ipse Vulturnus amnis, confluentem usque Iscleri fluvii; inde porro Tifata mons, et ab ejus extremo linea versus Aellinum Oppidum, in ripa Sabati fluminis, qui Vulturnum influit, situm ducta. Hinc ab ortu, qua Hirpini contermini fuere, alia ducenda est linea a meridie in Septentriones, ad Calorem amnem prope Beneventum. Inde alia ducatur linea ex Occasu in Ortum ad fontem Frentonis amnis. Hinc ipse Frento Samniteis separata ab Apulis ad Oppidum usque vulgari adpellatione Serra Capriola. Inde ab Ortu aestivo alia linea ad Sagrum amnem ducta ab Frentanis discernabantur. Hinc Sagrus eos inclusit ad fontem usque in cujus adversa ripa erant Peligni, et circa fontem Marsii”. Ho giudicato a bene in amendue i confini recar le proprie parole dell’Autore, che ciò afferma, forse per ovviare all’opinione di coloro, che ‘l contrario sentissero. Dice egli dunque nelle sue ultime parole, che dall’Occaso avevano i Volsci confinanti, il che giudico verisimile, confinandovi i Caraceni, che veri Sanniti erano, ed uno dei tre Popoli, che ‘l Sannio integravano, cioè i Pentri, i Caraceni, e gl’Irpini, come eziandio vivamente viene affermato dal Sigonio de Antiq. Jure Ital.

Vi sono degli altri, che vi  è più spaziosi confini gli assegnano, e vi comprendono i Frentani, i Peligni, i Marrucini, i Precutini, i Vestini, i Marsi, buona parte de’ Volsci, e de’ Campani con i distretti di Sora, Atino, Cassino, Aquino, e Venafro, popoli che abbracciavano paese più ampio, e di gran lunga maggiore del Sannio primieramente descritto. Il che è già molto inverisimile, come chiaramente dal senso degli Autori notati, ed interpretati dal Cluverio appare. E per toglier via ogni dubbio rapporterò alcune poche autorità, che per pruova stimo esser bastevoli: imperciocché Strabone apertamente nel 5° gli distingue per la Regione, che possederono, e per la distinzione de’ nomi; e tutto che una volta Samnites populi gli chiami, e non perciò se ne cava (a parer del Cluverio) che ‘l paese di loro Sannio si nominasse; ma o che alcuni soggetti a’ Sanniti fussero, o che sotto delle loro insegne militassero confederati: il che si conferma per le parole di Livio in più luoghi, come nel 9°: “In Samnio quoque quia decesserat inde Fabius novi motus exorti: Calatia, et Sora, praesidia; quae in iis Romana erant expugnata”. Ben si sà, che Cajazza era in Campania, e Sora ne’ Volsci. E nel 10° dice: “Consules, Sp. Carvilius cum legionibus in Samnium profectus Amiternum oppidum de Samnitibus vi cepit, etc.”, ed Amiterno, è ben noto, che nei Vestini situato fusse, e molto dal Sannio lontano. Verifica ciò Polibio ancora, ed in miglior modo, il qual descrivendo la guerra di Galli Cisalpini occorsa poco prima di quella d’Annibale, gli annovera distinti da’ Sanniti: “Bello Gallico Cisalpino, quod non ita multo, ante, quam cum Annibale pugnaretur, est gestum, maximae sociorum copiae prater Latinorum auxilia adfuerunt, Sabinorum Etruscorum, Umbrorum, Sassinatum, Samnitum, Marrucinorum, Frentanorum, Vestinorum, Japygum, Messapygum, Lucanorum, et Companorum”, in modo che se gli Marsi, Marrucini, Frentani, e Vestini fussero stati con i Sanniti compresi avrebbe col solo nome de’ Sanniti all’istoria soddisfatto. Ne vengono separatamente da Catone, ancora alcuni scritti nei frammenti di lui dicendo: “Praecutii, in quibus Hadria, sive Atria. Vestini in quibus Cursellum, Orton, et Sulmo. Frentani primum a Lyburnis, et Dalmatibus, inde his pulsis a Thuscis orti, quorum lingua Larinum Metropolim vocaverunt idest, nobilem principem”. Potrei anche in questo per pruova addurre molte altre autorità, e congetture dal Cluverio cumulate; ma perché l’addotte giudico bastevoli, ed in miglior modo ciò appresso si verifica, tralascio rapportarle, tuttavia a sodisfazion de’ curiosi, mi è paruto bene aggiungervi il senso di Gio. Battista Carrafa, che nell’istoria del Regno apertamente, e distintamente ne ragiona, dicendo: “Dal Fortore infino al fiume Sanguine è il paese de’ Frentani fuora il seno Adriatico, del quale le più famose Terre anticamente furono il Vasto, ed infra terra Larino, e Lanciano. Tra il Sanguine, e Pescara sono i Peligni ove alla marina, e Ortona, infra terra Sulmona, e Corfinio, qual fu dove ora è Pentima. Da Pescara al Tronto sono i Marrucini, quali alla marina aveano Francavilla, ed infra terra Civita di Chieti: a questa vicino infra erano i Vestini, ove è Civita di Penna, e vi furono Amiterno, e Furcone, dalle rovine de’ quali non molto lontano è stata fabbricata la Città dell’Aquila. Sono appresso i Precutini, da’ quali si tiene, che sia disceso il nome di Abruzzo, ove è Teramo. Sono poi li Marsi, ove è Celano, ed Albi co ‘l lago di Fucino, Tutti questi sei popoli da un nome solo sono chiamati d’Abruzzo, paese di uomini forti, ed anco di sito, ed il più delle volte erano confederati con Sanniti, ed uniti, e sotto un medesimo nome de’ Sanniti dagli Autori spesse volte si comprendono. Si contiene un’altra Regione infra terra, e quasi in mezzo di essa tra i predetti popoli, e Terra di Lavoro, che partecipa del piano, e del monte, e di qua, e di là dell’Appennino, chiamata anticamente Sannio, oggi detta Contado di Molise, e Valle Beneventana, qual si stende miglia ottanta in lunghezza fino alle fonti del Silaro, piena di molte terre di gran nome, tra le quali erano Capi Esernia, Sepino, Alife, Telesia, Benevento, Bojano, e Sannio, con quali un’altra nazione si contenea pur de’ Sanniti, anticamente chiamata Irpini, li quali con Picentini, Lucani, ed Apuli confinano, e così al presente di Principato, e Basilicata partecipano, de’ quali erano Terre più note Avellino, ed Aquilonia”. Sin qui il Carafa. Vi si può anche aggiungere quel che lo stesso Alberti ne dice, ancorché confusamente; “Tanto i Sanniti  -dice egli-  ingrandirono il loro imperio, che dierono nome a tutte queste altre parti, contenute sotto il nome de’ Sanniti,  -ora d’Abruzzo come è detto-  Laonde furono tutti nominati Sanniti”. Dal che chiaramente si vede, che per questo modo Sanniti venissero chiamati, e non perchè si comprendessero nel distretto del Sannio.

 

 

Cap. II

Antichi abitatori del Sannio

 

Sono tante, e sì varie le opinioni degli Autori intorno ai primi, e più antichi abitatori dell’Italia da tempo in tempo, che a considerarle, piuttosto confusione, che soddisfazione apportano. Ben chiaro è, che cento, ed otto anni dopo l’universal diluvio, vennero ad abitarvi genti portate dal gran Padre Noè, le quali col tempo moltiplicando, dilataronsi a poco a poco in diversi luoghi, e ritornandovi lo stesso Noè, altre genti vi condusse, e con queste alle abitazioni di tutte le Regioni di quella principio si diede, come è comune opinione degli antichi Scrittori, ne’ quali si scorge, che non possa quasi indubitatamente affermarsi, che una sia stata prima dell’altre abitata. E maraviglia non è, perché si tratta delli primi abitatori, ne’ quai tempi  -per quanto si sa-  non fu chi ciò notasse, e se vi fu, per cagion di tanta antichità, se n’è perduta la memoria; e quei, che l’hanno scritto, furono delle migliaja d’anni dopo. Ma per cavarne qualche luce per queste parti, si addurranno le opinioni di alcuni pochi, che più pajono al proposito, e poi distingueransi gli abitatori, che successivamente seguirono.

Per antichissimi abitatori, e prima degli altri Mirsilio Lesbio vi costituisce gli Ausoni, affermando, che quando Enotrio Arcade vi venne, questa gente vi trovasse, e ‘l suo arrivo nell’Italia stato fusse poco meno di quindeci età avanti la distruzione di Troja, cioè anni 375 mentre che a parer di Senofonte l’età d’anni 25 appò li Greci costava. A questo ancora si conforma Dionisio Alicarnasseo, con dire, che conducendovi Enotrio Colonie della Grecia, molto prima di detta distruzione, Barbari abitatori vi trovasse chiamati Ausoni, e soggiunge di più, che a tempi, ne’ quali poi vi giunse Enea, trovò che dagli Opici erano il Lazio, Campania, e Sannio abitati: il che parimenti si conferma per quel che riferisce Galerano per testimonio d’Aristotile, che buona parte d’Achei, mentre dalla guerra Trojana verso la patria ne tornava, fusse la lor nave in più luoghi dalle tempeste del mare portata, e finalmente nel paese gli Opici giungesse, e ad abitar vi si fermasse. Di modo che i Greci questi Ausoni vi trovarono, i quali secondo Strabone seguito da moderni, erano uno solo, ed un’istesso popolo cogli Opici, e non due, ed erano in ambidue i modi nominati, contro l’opinione di Polibio, che distinti gli pone. E che ‘l Sannio avesse avuto d’Ausonia prima il nome, da Pompeo Festo, e da Leandro Alberti si comprende, i quali affermano esser state da Usone figliuol di Ulisse così chiamate quelle parti primieramente, in cui sono Benevento, e Calvi situati. Ma ad opinione dell’antichissimo Beroso Caldeo furono questi popoli molto tempo avanti Ausoni dinominati da un altro Ausone, che dall’Oriente per mare vi si ridusse, e co’ suoi in questi, ed in altri convicini luoghi si fermò nell’anno 18 di Aralio settimo Re di Babilonia, cioè anni 429 dopo l’universal diluvio, secondo il computo di Giovanni Lucido de emadationibus temporum ove tratta della Monarchia de’ Caldei. Sicché in tanta antichità seguendo il parer del Baronio, che lasciando le molte diversità d’opinioni degli Autori, intorno ai tempi, ha seguito i più approvati; dicesi, che furono questi così dinominati anni 2528 avanti la venuta del Signore.

Sono altri, come Giustino, e Solino, che vi costituiscono più antichi abitatori, cioè i popoli chiamati Aborigini, li quali non in questi luoghi solo; ma in molti altri ancora abitarono. e per dar di costoro qualche luce, affermasi per autorità del Lucido, esser Noè due volte dopo il diluvio all’Italia venuto, la prima fu anni 108 dopo quello, e molte persone vi condusse, secondo Pietro Leone Casella De primis Italiae colonis I. de Aboriginibus, e Ianigenis; ed anni 33 vi dimorò, finché a sua persuasione vi giunse Comero Gallo primogenito di Jafet con le sue colonie: e l’altra fu anni 268 dopo detto diluvio, dove anni 82 si trattenne fin’a tanto che vi venne a morte. Hanno tutto ciò gli Autori preso dal Beroso, il quale De antiquitate Iani per la prima venuta così dice: “Cum ivisset ad regendum Kitim, quam nunc Italiam nominat, desiderium sui reliquit Armensis, ac propterea post mortem illum arbitrati sunt in animam Coelestium Corporum translatum, et illi divinos honores impenderunt. Et ob id solum haec duo Regna Armenum quidem, qua ibi caepit: Italicum vero, quia ibi finivit, et docuit, et regnavit naturaliumque atque divinorum, quae eo erudivit libros plenissime illi conscriptos reliquit, illum venerantur, simulque cognominant Coelum, Solem, Chaos, Semen mundi, Patremque Deorum majorum, et minorum, Amam mundi moventem Coelos, et mixta, vegetabilaque, et animalia, et hominem, Deum paci justitiae, sanctimoniae expellentem noxia, et custodientem bona, etc.”. E che fusse Noè cognominato Iano, oltre che Beroso ne assegna la ragione, per esser egli stato l’inventor del vino, che Vitifer, et Vinifer in lingua Aramea questa voce ne suona, è anche da Girolamo Bardi nella sua universale Cronologia con queste parole affermato: “L’Italia, come dice Catone nelle sue origini, avere avuto il suo glorioso principio sì di tempi, come di Prencipi, mentre i mortali felicemente godevano l’età dell’oro, sotto il felice doinio de’ famosi Prencipi Giano -detto altrimenti Noè-  e Saturno Fenici, annoverati dagli Italiani tra gli Iddii, quali dopo il diluvio universale, cioè gli anni del mondo 1757 conducendo in varie parti della Terra nuovi popoli, abitarono l’Italia”. Intende qui il Bardi della prima venuta di Noè. Vennevi poscia la seconda volta nel 19° anno di Nino Re di Babilonia, cioè nell’accennato anno 268 e ritrovatovi il suo scelerato figliuolo Cam, detto per altro nome Cameseno, che con la sua mala vita corrotto avea gli animi buoni de’ primi abitatori,  -il che difficil non gli fu, per non avervi trovato chi gli ostasse, cioè Comero Gallo suo nipote, che rettamente prima instrutti, e governati gli avea-  il sopportò per tre anni Noè; ma vedendolo affatto incorrigibile, dandoli alcune Colonie, d’Italia discacciollo, ed egli a reggerla fin’alla morte vi rimase.

Or le genti, che costoro in più volte vi condussero, furono Aborigini chiamate, come da Fabio Pittore in qualche modo anche si scorge: “Toto prius pererrato Orbe Saturnus ad Ianum se contulit. Eum comi hospitio Ianus receptum, Latio, et Aboriginibus praefecit”. E questi veramente furono i primi, e più antichi, che l’Italia abitassero, e come tali, oltre buon numero di Scrittori, son posti nella Tavola Itineraria Peutingeriana, aggiunta al Teatro Geografico, mandato in luce da Pietro Bersio, e perciò con ragione chiamati furono  -aborigeni-  i quali da Giovanni Fungero in Ethimologico Trilingue sono interpretati Aborigines, quasi sine Origine; o vero come da altri Absq. certa origine, e ne’ primi tempi in luoghi montuosi abitarono in Contrade, e Ville, ma poi crescendo, edificarono tante Città, che trecento ne numera Plinio, come nota il Casella.

Trogo, e Giustino riferiscono, che i Greci abbiano gran parte dell’Italia tenuto, e molte Città siano state da essi edificate, e che i Sanniti siano in buona parte discesi da quei, che vennero da Lacedemonia detta per altro nome Sparta. tutto questo è vero, ma la lor venuta fu molte centinaja d’anni dopo quella degli Aborigeni, ed Ausoni. E lasciandosi altri diversi pareri, che piuttosto confusione apportano, distinguendo si conchiude, che i primi, e più antichi abitatori siano stati gli Aborigeni, li quali a giudizio del Casella, erano eziandio nomati Ianigeni, cioè discendenti da Giano, ed Indigeni. I secondi furono gli Ausoni, chiamati anche Opici, come si è detto. I terzi furono gli Arcadi, ed appresso vi capitarono li Greci nel ritorno che fecero dalla Trojana Guerra, e questi furono i quarti. Vi vennero ultimamente i Sabelli dalla Sabina, e trovarono che questa Regione era allora nominata Ausonia, secondo Festo, il qual nome fu poi a tutta l’Italia dato, e lo ritenne finché mutato le fu da altri, che poi la dominarono.

Ma perchè non mancan di quei che riprovano l’opinione di Beroso, Porzio Catone, Fabio Pittore, ed altri, che unitamente vanno intorno, asserendo esser quelli suppositizj, ed inventati; siane lecito far questa breve, e necessaria digressione, dicendo, che per esser questi amessi, approvati, e seguiti da buon numero di gravi Autori, che gli han veduti, e ben isperimentati nel tutto veridici, e fedeli; a seguirli mi son mosso anche io, e specialmente vedendo, che nella distinzion de’ tempi, ed in altre cose notabili, si conformano con non pochi antichi Autori, e di più approvati. Non si niega però quel che dice Antonio Possevino nella sua Biblioteca Seletta, contro il Commentator di quelli, mentre ch’egli, ed altri lo riprovano. Beroso è da molti commendato, e forsi mossi a ciò si saranno, per quel che asserisce Plinio, dicendo ch’egli in Atene Astronomia insegnasse, e vedendo gli Ateniesi, tutti i suoi detti riuscir veri, ed a quel modo appunto, ch’ei prediceva, eressero in suo onore nel loro Ginnasio una bella statua di metallo, la cui lingua era tutta di puro oro, dando con questa ad intendere la pura verità, che da quella si proferiva, e perciò come cosa d’ogni gran lode, e di memoria degna è da Battista Fulgoso, e da Andrea Eborense ne’ loro esempj memorabili non addotta solo, ma con ogni debito onore commendata ed esaltata.

 

 

Cap. III

Venuta de’ Sabelli, e perché furono chiamati Sanniti

 

Vennero appresso in questi stessi luoghi i Sabelli dalla Sabina, e ad abitar vi si fermarono; la cui origine e cagion della venuta sono in questo modo narrate da Strabone a tradizion comune dagli antichi. Avevano lungo tempo i Sabini cogli Ombri lor vicini guerreggiato, e perché non potevano a quelli prevalere, fecero voto  -ad usanza de’ Greci-  di sagrificare quanto quell’anno nascesse, se riportavano vittoria. Ottenuta poi questa a lor disio, tornati alla patria, volendo al voto soddisfare, sagrificarono parte delle cose nate, e parte a’ loro Dei consagrarono. Ma essendo poscia da grave carestia oppressi per liberarsi da tale calamità, consultandosi con Sacerdoti di quello, che far dovessero, gli fu risposto, che consagrassero i loro figli nuovamente nati agli Dei, che così avrebbono avuto l’abbondanza. Ciò subito eseguirono, ed a Marte gli consagrarono. Giunti poi questi all’età perfetta, furono dagli padri mandati a cercar per loro altra abitazione, e per guida un toro gli consegnarono, il qual seguendo, in questi luoghi si ridussero, dove erano gli Opici, che in Contrade, e Ville abitavano. E venuti con quegli alle mani, d’indi per forza discacciandoli, eglino ad abitare vi rimasero, e per consiglio de’ loro indovini a Marte vi sagrificarono il Toro, che condottovi gli avea. E per questa cagione si stima, che da’ loro padri siano stati Sabelli dinomati, cioè piccoli Sabini. Asseriscono altri, che qui graziosamente accolti fussero da Laconi, che da Lacedemonia venuti, questi paesi allor tenevano, e che perciò fussero poi sempre da Greci amati, e con esso loro l’amicizia mantenuta. Alcuni nomati gli hanno Pitaniti, o Parteniani, giudicando, che da Tarentini fussero discesi. Tutto questo è di Strabone, ed è addotto da buon numero di Autori, che dopo lui hanno scritto. Catono, Sempronio, e Plinio anche affermano, che da Sabni abbian avuto origine, e chiamati fussero Sabelli, come sono eziandio dinomati da Varrone, Virgilio, ed Orazio. Sesto Pompeo parimente asserisce esser prole de’ Sabini: ma che capitati vi siano sotto la guida di Comio Castromio, al che anche per altrui opinione acconsente il Casella, dicendo esser questa la vera, e la migliore; ma non aver potuto congetturar in che tempo fatto si fusse un tal passaggio. Poté ben esser, che costui gli conducesse, e similmente portassero il Toro, per qualche lor vana osservanza, de’ quali si sà, che gli antichi Gentili grande professione facevano, e poi qui a Marte lo sagrificassero: e pare, che creder non si possa, che quegli antichi Sabini tanto savj, e prudenti da tutti riputati, volessero un si grande stuolo di giovanetti mandare a ricercare altre sedi, dove avessero per sempre a dimorare, senza un capo, ed una persona veneranda, che gli accomodasse, e poscia gli reggesse.

Per qual cagione fussero poi chiamati Sanniti, il Volaterrano, il Biondo, e l’alberti vogliono, che in questo modo si dinominassero dalla Città di Sannio, dove a lor parere costoro si fermarono, dopo che vi furon giunti. Paolo Diacono, e Sesto Pompeo tengono, che tal nome pigliassero da un colle, che prima occuparono. Se ben il medesimo Sesto con altri, che lo seguono, soggiunge ancora, che lo trassero dall’armi, che in guerra usavano, ora chiamate aste, o vero arme inaste le quali in Greco si dicono Saunia, e dall’uso di queste armi furono da’ Greci nominati Sauniti, come per autorità di Verrio si vede, e di Catone, che con queste parole lo conferma: “Sabelli sunt proles Sabinorum, ut nome est argumento, a Latinis Samnites, a Graecis Saunites appellati”. Questa ultima opinione tengono, che sia la più vera, ed in effetto par, che abbia più del verisimile, siccome ben la pondera il diligentissimo Cluverio, ove tratta del Sannio, dicendo esser quegli stati nomati Sabelli, e Sabiniti, da’ Greci Sauniti, e poscia da’ Latini con vocabolo più molle, e con lingua più volubile chiamati furono Sanniti, qual nome hanno per molti secoli ritenuto; ma ora, e da gran tempo a dietro è siffattamente dismesso, che non se ne fa menzione, se non appresso antichi Autori, conforme nota Raimondo Marliano nel fine dell’Indice, che fa ne’ commentarj di Cesare. Non mancano di quelli, che dicono, Benevento fusse prima chiamato Sannio, ed altri, che Isernia ancora fusse nello stesso modo nominata; ma s’ingannano, posciaché appresso antichi scrittori non si trovano mai così dinomate, ma si bene fu prima Benevento detto Meletia a parer di Martino Frezza, e poi Malevento per la violenza de’ venti da’ quali vien molestato, ed ultimamente Benevento, così detto quasi nome di felice arrivo, secondo in Livio, ed in Procopio si vede. Ed Esernia è stata sempre così dagli antichi nomata, cioè da Alicarnasso, da Tullio, da Livio, e da Appiano; se bene l’hanno alcuni scritta col dittongo nella prima lettera, altri senza con la lettera E assolutamente, ed appresso alcuni è il vocabolo corrotto, come in Diodoro Sicolo è Serennia, nelle Tavole Itinerarie è Esernium, in Antonino è Sernicium, ma il tutto in buon modo è stato corretto da Geronimo Zurita, siccome ben nota, e conferma Paolo Merola nella sua Cosmografia, ove tratta d’Isernia, il che è stato anche poi avvertito, ed emendato dal Sigonio, e dal Cluverio.

La più antica tra le memorie, che si trovino del tempo, nel quale qui erano i Sabelli, quelli esser pare, che Procopio adduce, da cui si afferma, che quivi fussero tre secoli avanti che Roma si edificasse: e la prima rimembranza, che si ritrovi del nome de’ Sanniti appresso Autori, che de’ fatti de’ Romani hanno trattato, è forse quella di Livio nel 4° delle sue Istorie, ove gli adduce nel Consolato di Cajo Sempronio Attratino, e di Q. Fabio Vibolano, che fu l’anno di Roma 331 secondo il computo del Sigonio nella Cronologia, che fa sopra le suddette istorie, sicché dalla prima menzione de’ Sabelli fin alla venuta del Signore son corsi anni 1052 che fin al presente anno 1643 sono anni 2695 e da quella de’ Sanniti sono anni 2064.

 

 

Cap. IV

Origine degli Irpini, ed Insegna de’ Sanniti

 

Ritennero i Sanniti per molto tempo il nome, che nel principio avevano preso; ma per un caso, che gli avvenne, parte di essi ne fé mutazione, dinominadosi Irpini; e con qual occasione fusse ciò succeduto, è parimente nel seguente modo da Strabone raccontato. Mentre i Sanniti conducevano una Colonia nel luogo, in cui disignato avevano di collocarla, per camino se gli fé incontro un lupo, qual essendo da lor seguito, gli servì ad un certo modo per iscorta. E perché era in quei tempi il Lupo da’ Sanniti in lor lingua chiamato Irpo, con questa occasione furon essi poi con tutto quel paese Irpini appellati. E tal nome ritennero per molti secoli, e sin agli estremi tempi della guerra sociale, che nell’anno 662 di Roma a succeder venne, anni 90 avanti la venuta del Signore, come per autorità di Livio è riferito dal Sigonio. Ed ancorché dopo detta guerra nominati si trovano appresso Plinio, e Tolomeo, non perciò stimar si deve, che fussero in vigore, e da se soli in que’ tempi si mantenessero; ma si nominano per cagion del lor paese, dove sono alcune Città, de’ quali fanno essi Autori menzione. E quantunque mutassero il nome, non cessarono però di esser gente Sannitica, conforme riferisce Strabone da molti altri seguito “Ordine dehinc sunt Hirpini, et ipsi samniticae gentis”. Il che si comprende ancora per Livio in più luoghi, ne’ quali dimostra, che tali fussero, e con esso loro militassero fin’alla seconda guerra Punica, e più volte poi distinti dagli altri Sanniti li pone, ed in questa da se soli, e senza quegli militarono, e ad Annibale in compagnia d’altri popoli si diedero, a mente ancor di Polibio, il che a cader venne all’anno 534 di Roma, anni 218 avanti la venuta del Signore, come tutto ciò è anche affermato dal Sigonio, e dal Cluverio.

Si vedono in molti luoghi de’ Sanniti alcune teste di Tori scolpite con molto artificio in marmi, ed in gran numero, come in benevento, Bojano, Isernia, ed altrove, e grandi, e piccole. In alcune sono le teste scolpite de’ Bovi solamente, ed in altre sono di più intramezzate altre figure di diverse maniere, poste in métapi in mezzo a’ triglifi, come persone con aste lunghe in mano in atto di combattere, e con arnesi da soldati, cioè scudi, corazze, elmi, e simili; e tali teste coronate si veggono a quel modo, che gli antichi le vittime coronar solevano quando a sagrificar le portavano. Questa impresa esser dimostra di que’ primi Sanniti, i quali ciò presero in memoria di quel Toro, che fu loro condottiero, datoli, da genitori, e questa usarono per arme,ed insegna; ed oltre a quello che apertamente se ne vede, viene altresì ad un certo modo affermato dal Casella de Aboriginibus con queste poche parole: “Primi enim Sabelli Tauro duce dispositi sunt. Unde, et Taurum in signis praeferunt”. Il Toro forse dipinto portavano nelle bandiere a quella guisa, che altri il Lupo, altri l’Aquila, altri il Cavallo, ed altri altre imagini di animali, con questi dinotando ciascun il pregio delle sue virtù secondo il lor intento a giudizio di Giusto Lipsio de Militia Romana; dando essi ancora coll’effigie di dì forte animale ad intendere il lor valore, e possanza, con cui queste si possono anzi vengono ben significate, per esserne quel dotato a par d’ogni altro.

 

 

Cap. V

Linguaggio, che usavano i Sanniti antichi, e poi gli altri successivamente

 

A vanti che da’ Romani in tutto soggiogati fossero i Sanniti, non è dubbio veruno, che con linguaggio Osco parlassero, co’l quale anche favellavano i Sabini suoi padri, ed i Campani loro vicini, come afferma il Cluverio in Italia antiqua per autorità di Livio, di Varrone, e di Velleio. e già Livio più chiaramente degli altri ne parla nel X con occasione, che L. Volumnio Console nell’anno di Roma 456 andato contro i Sanniti, all’esercito di quelli si accostò avanti giorno, che carico di preda lungi le rive del Volturno fermato si era: e per ispiare di loro gli andamenti, vi mandò la notte persone, che ben intendevano la lingua Osca, con la quale i Sanniti parlavano, e questi in tal tempo fra la turba meschiati, osservando il tutto, riferirono quanto inteso, e veduto avevano. E per essere stata la misera Italia in più tempi da diverse nazioni occupata, ciascuna di quelle, secondo il proprio uso v’introdusse, e mantenne la favella, alcuni parlando in lingua Ausona, Opica, o vero Osca, che sono le medesime, altri in Etrusca, altri in Greca, e vari variamente, conforme chiarito viene da Strabone, Esichio, Suetonio, Varrone, Macrobio, e Pompeo Festo. E per dar di ciò miglior cognizione a’ curiosi, si adduce quel che ne scrive Giusto Lipsio in Dialogis de Recta pronunciatione Latinae linguae, dal che si comprende ancora altro, che fa al proposito: “Lingua igitur, quam latinam appellamus, exiguis olim finibus, ut ipsa gens contenta, circa Roma fere, et finitima infero Tiberi haesit. Italiam coeteram adeo non pervasit, ut quaeq. gens suo usa sit, et diversissimo ab hac sermone. Volsci, inquam, Osci. Hetrusci, Samnites, Brutii, Apuli peculiares, et suae indolis linguas usurparunt, quas diu, aucto etiam imperio tenuerunt. Nam Romanis, et si arma inferre finitimis acris cura fuit, non etiam mores, sacra, linguam. Quin contra, aliquandiu arcuisse ista videntur, et communicari ea cum aliis recusasse. Post Punica bella finibus valde auctis, haud valde auxisse lingua. At mox immensum: et diu cercita, velut rupto Obice se effudit. Occasione quidem, et causa duplici Missu primum Coloniarum: deinde communione Civitatis. Nam de Coloniis ; cum Romani eas spargerent, firmando imperio, per omnes gentes, necessario una etiam linguam, quia numerosi isti coloni ; et aequabant plerumq. aut seperabant Civium veterum partem, etc. Jam caussa altera communio Civitatis. Romani videlicet paullatim munes magis, et benigni, Jus illud grande suae Urbis, non solum cum adsitis gentibus communicarunt, Etruscis, Umbris, Samnitibus, aliisque Italorum; sed, et cum dissitis, etc.” . Sicché diversi erano i linguaggi tra i Popoli dell’Italia, prima che fussero da Romani soggiogati ; ed il latino in poco distretto si esercitava, e ne’ primi tempi con popoli conquistati di communicarlo già ricusavano, lascando ciascuno vivere, e parlare secondo il suo costume. Ma dopo cominciò ad allargarsi non per l’Italia solo; ma per le straniere nazioni ancora con l’occasione delle Colonie, che in diversi luoghi soggiogati ad abitar mandavano, le quali alle volte avanzando i nativi del paese, e talora essendo di numero eguali, vi introdussero la latina favella, o vero per esser altri ammessi alla cittadinanza Romana, quella appresero; e così poi gli uni, e gli altri per molti secoli il latino parlare usarono; e fintanto che fu l’Italia da barbare nazioni oppressa, cioè da Goti, Unni, Eruli, Vandali, Longobardi, ed altre, le quali non corroppero solo i costumi, e quando di buono vi era, ma anche la favella, introducendovi i loro barbari idiomi, dalla feccia de’ quali nacque poi la nostra volgare, la franzese, e la spagnuol, conforme lo stesso Lipsio con autorità di molti asserisce nel citato luogo. Ed in sì fatta maniera venne la latina in queste nazioni a mancare, che Festo dice: “Latine loqui a Latio dictum est; quae loquutio adeo est versa, ut vix ulla ejus pars maneat in notitia”. È certo adunque che i Sanniti prima parlassero in lingua Osca. Dopo che furono soggiogati, in latina, appresso in lingua barbara, e successivamente in più modi secondo l’uso delle predette nazioni, come anco nel rimanente dell’Italia. Ed essendovi poi venuti i Bulgari nel 667 del Signore  -secondo si vedrà a suo luogo-  vi si parlò anche all’uso di costoro; se ben era parimente usato in tutti questi tempi il parlar latino, il qual si esercitava fin ne’ tempi di Paolo Diacono, che viveva l’anno 780 a tempo di Carlo Magno, conforme egli dice con queste parole: “Qi usque hodie in illis  - quae diximus-  locis habitantes, quamvis latine loquantur, propriae tamen linguae usum minime amiserunt”. Ma tal idioma latino era sì corrotto, che reliquia alcuni di quella purità, e vaghezza antica non vi appariva, conforme chiaro indizio, oltre l’autorità di Festo, ne danno le tante scritture che di carattere Longobardo in diversi luoghi si conservano.

 

 

Cap. VI

Armi, che usavano in guerre

 

Usavano i Sanniti nel guerreggiare armi eccellenti sì difensive come offensive, de’ quali Livio così favella: “Bellum in Samnitibus erat, qui praeter coeteros belli apparatus, ut acies sua fulgeret novis armorum insignibus fecerunt. Duo exercitus erant: scuta alterius auro, alterius argento caelaverunt. Forma era scuti: summum latius, qua pectus, atque humeri teguntur, fastigio aequali: ad imum cuneatior mobilittis caussa. Spongia pectori tegumentum, et sinistrum crus Ocrea tectum Galeae Cristatae, quae speciem magnitudini corporum adderent. Tunicae armatis militibus versicolores, argenteis linteae candidae”. Qui tratta di armi difensive, e di belli, e ricchi apparati, de’ quali molto i Sanniti si dilettavano. Giusto Lipsio sottilissimo espositore delle antiche difficoltà ne’ Saturnali dice alcune cose sopra tali parole, a’ quali accoppia ancora quel che dicono Artemidoro, e Giovenale in questi versi: “Quale decus verum, si conjugis auctio fiat, Baltheum, et manicae, et cristae, crurisq. sinistri dimidiium tegmen, et.”. E fra l’altre vi soggiunge: “Nam ii versus plane apti de industria ad armaturam Samnitum, quam ut nobiliorem, foeminae  -quoniam ita Veneri cum Marte visum-  foeminae inquam, nobiles adfectabant”. La parola  -Spongia-  espone esser quella medesima, e che vien detta da Giovenale  -Baltheum-  la quale è la cinta della spada, e dove si appendono le armi, secondo S. Isidoro, e non solo quella che si cinge, ma che pende anche per lo petto, e che tanto larga fusse, che lo ricoprisse, se pur non fusse quella che oggi chiamiamo corazza. Alesandro d’Alesandro ne’ giorni geniali in diversi luoghi anche lo stesso conferma, e ne adduce altre cavate da molti antichi Autori, come nota Tiraquello suo espositore. E per non replicarle, si apportano solo certi pochi luoghi, che fanno più al proposito, e con le loro formali parole. Nel libro primo cap. 20 oltre altre che vi discorre, soggiunge con autorità di Varrone: “Samnites cum pinnis muralibus digladiantur, in proelio vero cristatis galeis: sicut Lusitani, et Sacae Scytica gens, quibus nervatis, cristatisq. galeis in usu est”. E dei scudi nel 6° cap. 22: “Samnitibus lata, ad summum aequali fastigio, in imo vero cuneata. Marsis amplissima, quae Decumana dicta sunt. Lucanis quoque scuta ex vimine confecta, coreis tegebant”. Quello dei Marsi, e di Festo, che dice: “Albentia scuta dicebantur, quibus Albenses, qui sunt Marsi generis, usi sunt. Haec eadem Decumana vocabantur, quod essent amplissima, ut Decumani fluctus”. E questo de’ Lucani è di Alicarnasseo, e di Livio. Alesandro Severo Imperadore anche usò i scudi ornati d’oro, e d’argento ad imitazione de’ Sanniti, a parer dello stesso, dicendo con Elio Lampridio, da cui l’ha tratto: “Alexander severus Imperator Chrisoaspidas ab aureis nuncupasse: id quod a Samnitibus fuit usurpatum, ut argenteis, aureisq. scutis ornarentur”. Di modo che usarono i scudi in quella guisa, che Livio li descrive, per poterli destramente maneggiare, ed ornati d’oro, e d’argento, come anche altri fornimenti, ne’ quali manifesta pompa facevano delle loro ricchezze. Nella gamba sinistra portavano lo stivaletto, e negli elmi, alti, e coloriti pennacchi, per aggiungere vaghezza alla dsposizion de’ corpi; tutto ciò adoprarono non in questa occasione solo; ma in altre poi, come ne’ scrittorj si vede. Lpsio da questo argomenta essere i Sanniti stati i primi inventori di impiumarsi il capo, ed a loro imitazione essere stati poscia negli addobbamenti de’ soldati i pennacchi indotti, e posti in uso.

Tutte queste erano armi difensive, ma le offensive furono di gran lunga migliori, e sì eccellenti, e da tanta perfezione, che gli accorti Romani, i quali a guisa d’api coglievano il meglio dalle nazioni, che pratticavano, non si sdegnarono d’imitarle anch’essi, e servirsene poi sempre nelle guerre. E per confermazione del tutto, lasciate l’autorità di molti, si adduce solo quella di Cesare, che di tutte le altre è la maggiore, la qual in una sua orazione, che Salustio pone nelle sue istorie, in questa maniera dice: “Majores nostri (P.C.) neque consiliis, neq. audaciae numquam eguere, neque illi superbia obstabat, quominus aliena instituta, si modo proba erant, imitarentur. Arma atq. tela militaria ab Samnitibus, insignia Magistratuum ab Tuscis pleraque sumpsere”. E non solo questo presero; ma anche l’uso del scudo, come afferma Ateneo scrittore Greco, le cui parole tradotte sono tali: “A Samnitibus Romani didicere scuti usum, ab Hispanis gesorum”.

L’armi in tanto offensive erano per lo più armi in aste, come chiarir si può dallo stesso vocabolo - Saunia-  il quale  -confome come si è detto-  arme in aste significa; che anco a diveder ne ‘l dà Virgilio in questo verso: “Et tenui pugnant mucrone, veruq. Sabello”. Ed è tutto questo ben ponderato da Lipsio in Poliorceticon, dove oltre all’altro questo si legge: “Qui velut propium Samnitium facit, imo Grammatici nomen eorum hinc petunt. Festus: Samnites ab hastis appellati sunt, quas Graeci Saunia appellant, hanc enim ferre assueti erant. Propriius Graecanicam dialectum tangit Etymon, qui Saunias dicunt, et scribunt. Et Saunia recte Veruta reddi, discamus e Dionisio, qui ubi livius in Classibus armandis Verutum scribit, ipse Saunias. Alibi etiam Saunio transfossus, quod hujus est teli”. Siché usando armi in aste, può rettamente dirsi, che usassero alabarde, lance, picche, dardi, strali, spuntoni, schiedi, e simili, conforme in gran numero scolpite si veggono ne’ marmi in diversi luoghi del Sannio, ne’ quali anche si scorgono varie foggie de’ scudi, di targhe, di elmi, di cimieri, e di altre sorti sì offensive, come difensive.

 

 

Cap. VII

Potenza de’ Sanniti

 

Furono i Sanniti bellicosissimi, e fortissimi per anime, e per disposizione di sito, e di luoghi, e di potenza tale, che sottoposero al lor dominio non pochi popoli, ed a tempo della Romana Repubblica non fu gente nell’italia, che più di essi la travagliasse, e guerre con lei mantenesse. E perché molti diverse cose ne raccontano, che sono di non loro poca riputazione, però convenevole sarà scriverne qualche parte, essendo a’ posteri di gran diletto, anzi pungente stimolo a virtuose azioni la lettura delle grandezze, e famosi gesti degli antenati. Riferisce Strabone, che essendo costoro venuti a battaglia con i Possidoniati, e con altri che se gli erano congiunti, popoli che abitavano quella Regione che ora Basilicata si nomina, valorosamente gli superassero,e con felice corso di vittoria essendosi delle Città, e del lor paese fatti Signori vi conducessero Colonie, che ad abitar vi rimasero, scacciandone i Choni, e gli Enotri, che le tenevano; e questi poi, che Lucani si dissero, abbiano da’ Sanniti avuto origine. Plinio conferma lo stesso, ed aggiunge di più, che condotte vi fussero da Lucio Capitano de’ Sanniti, il che è parimente da Catone confermato, e da altri, i quali riferiscono esser da esso Lucio Lucani dinominati. Giovanni Natalio in Speculo Orbis Terrae trattando della Basilicata, si conforma con i medesimi, dicendo: “Alii Lucium quendam Samnitium ducem ejus Auctorem tradunt, qui primum lucum hoc situ incoluerit, quod Cato, Plinius, et Strabo confirmare videntur. Sane Strabo Lucanos ab Samnitibus ortos omnino credi vult, qui Possidoniates, inquit, eorumque socios memorabili pugna, ductore Lucio debellarant”. E non solo questi, ma i Campani ancora ebbero da’ Sanniti origine, come in più luoghi è dal Cluverio affermato. Aggiunge di più Strabone, che molte Città, e luoghi della Basilicata fussero de’ Sanniti, e che molto potenti divenuti, spazioso imperio con l’armi acquistato si avessero, trascorrendo con grande ardire nel Lazio, ed infino ad Ardea, la qual dicono, esser allora potente Città, e venti miglia da Roma lontana; e s’impadronirono di molte Città, e delle più potenti, fra’ quali fu Capova, Sedicino, Palepoli, Cuma, Cassino, Sora, Fregelle, Interamna, ed altre, come appresso si vedrà. Segue di più Strabone seguito dal Biondo, dal Sabellico, e da moderni, che ponessero costoro in campagna ottanta mila pedoni, ed otto mila cavalli. Ed acciocché non paja strano, si adducono le formali parole di Strabone, che sono queste: “Quippe qui pedestri exercitus octaginta millia, et Equites octo millia aliquando domo emiserunt”. Il che vedesi ancora verificare per le istorie di Livio. Se ben sembra quasi incredibile, che de’ Sanniti soli fussero sì gran forze, ma stimar si deve, che d’altri ancora fussero, che con essi stavan uniti, cioè quei, che dominavano, ed altri popoli, a’ quali per la lor possanza,  -come si è detto-  avevano dato il nome, e che con loro militavano, come i Vestini, Precutini, Marrucini, Peligni, e Frentani.

Non inqueste parti solo, ma fuori ancora fecero mostra del loro valore, come si vede in quel, che scrive Festo, ove tratta de’ Mamertini, che cavato l’ha da Alsio. Trovandosi, dice egli, il Sannio tutto da grave pestilenza oppresso, fu esortato da Stennio Metio uomo tra quello il principale, che ad Apollo sagrificar volessero ciò che nella seguente primavera nascesse; imperoché in sonno così quel Nume detto gli avea, se liberar si volevano.

Fu tal consiglio immantinente eseguito, e fatto il voto cessò la pestilenza; ma venti anni dopo la stessa calamità vi sopravvenne. Laonde di nuovo ad Apollo ricorsi, risposto gli fu, non aver essi al voto soddisfatto, perciòché non avevno sagrificato gli uomini in quella primavera nati: ma se da loro li cacciassero, sarebbono pienamente consolati. Perloché ridottili tutti insieme, tosto gli mandaron via, dirizzandogli verso la Sicilia, dove giunti si fermarono su quel Taurominio. Quindi vedendo poi esser i Messinesi da fiera guerra travagliati, di loro volontà, e senza invito andarono a dargli soccorso, il qual fu tale, che co ‘, loro valore fecero, che ne riportassero fiorita vittoria. Onde in guiderdone di sì raro, ed inaspettato beneficio, i Messinesi, e gli altri lor congiunti non sapendo in altro modo ricompensarli, ammisero quelli alla lor Cittadinanza, accomunando gli averi, ed i campi e vollero tutti con un sol nome nomarsi Mamertini, per esser uscito a sorte il nome di Marte delli dodici Dei, che per tal effetto scritti avevano posto nell’urna; ed in questo modo poi sempre si nomarono, lasciando, il proprio nome de’ Sanniti.

Questo, che  -ver sacrum-  era detto, anco da’ Romani si pratticava, ed era che dedicavano a’ loro Dei quanto ne’ mesi di Marzo, ed Aprile nasceva, a parere di Livio. Di cui più distintamente nella Roma trionfante il Biondo nel seguente modo favella: “Costumarono gl’Italiani, trovandosi in qualche grande estremità di votare la sacra primavera seguente; ma perché pareva empia, e cruda cosa far morire i fanciulli, e le fanciulle innocenti, che vi si trovavano nate; usarono di far questo: gli lasciavano crescere, ed essendo già poi in età gli coprivano, e cacciavano a questa guisa fuora de’ confini loro.

E volendo Livio dar principio alla narrazione delle lor guerre con Romani, così ne ragiona: “Majora jum hinc bella, et viribus hostium, et longinquitate, vel regionum, vel temporum spatio, quibus bellatum est, dicentur. Namque eo anno adversus Samnites, gentem opibus, armisque validam, mota arma. Samnitium bellum ancipiti Marte gestum”. Erano in effetto molto ricchi, e ciò procedeva dalla gran fertilità del paese, in cui abbondantemente raccoglievano le cose all’umano vitto necessarie, facendone anche parte alle altre convicine Provincie, godendo questa regione grande amenità, e salubrità di cielo, per la quale, e per altre comodità era ella molto da popoli frequentata, ed abitata, a volere di Gio. Antonio Magini sopra Tolomeo, ove tratta del Sannio. E benché Marziale dica questa lor ricchezza procedesse dall’arte gladiatoria, che i Sanniti esercitavano, come dimostra in questi versetti: “Saturnalia divitem Sabellum fecerunt, merito tumet Sabellus”. Non s’intende però per la ricchezza in comune, e pe i tempi più antichi; ma per le persone particolari, e ne’ tempi di questo Autore, nei quali a parer di Lipsio era quest’arte in istima, e molto si esercitava.

 

 

Cap. VIII

Lodi da’ Scrittori dati a’ Sanniti

(...)

 

Home page           Il Sannio-Indice