Giovan Vincenzo Ciarlanti
1644
Libro primo (pp. 7-33)
cap.
I.
Ebbero in costume gli Scrittori delle Istorie ne’
principj delle loro fatiche di proporre il sito, ed i termini di quei luoghi,
che impresero a trattare, divisandoli quasi come una idea, acciocché ne
avessero i Lettori una prima cognizione, e ne rimanesse l’intelletto in qualche
modo informato. In questo ancora lo stesso conviene, vedendosi raccolte in essa
materie istoriche di Provincia sì nobile, ed antica, qual’è il Sannio, di cui
quel, che celato stava, a discovrir mi accingo. Si descriveranno adunque i suoi
confini nella miglior guisa, che sia possibile, e così al vivo, che ne abbia a
rilucere lo stato primiero, non che il modo, che si vedeva nella di lei caduta,
che avvenne nel tempo di Silla, come vuole Strabone, il quale scrisse poco dopo
quei tempi, e negli anni di Ottaviano Augusto, a parer del Sigonio. E tuttoché
siano questi confini da moderni variamente descritti, nulla di meno si
seguiranno i pareri di color, che, per aver curiosamente ben considerato in ciò
le minutezze delle cose, pare, che le abbiano meglio investigate, e tolto dagli
animi ogni occasione di dubitare. Ed acciocché si conosca con maggior chiarezza
il vero, si adducono non solamente le parole di Strabone “Supra quam in Mediterranea Samnium est ad Ferentanos, et Apulos” ma
anche di Porzio Catone, e di Sempronio, che fiorirono tra i medesimi tempi “Inter omnem Vulturni, et Montes Apennini
Sabelli sunt, proles Sabinorum”. Dalle quali autorità pienamente appare,
ch’era questa Provincia mediterranea, e non marittima, come alcuni la scrivono,
ed in buon modo si conferma tal verità, che con la lor diligenza ritrovato
hanno gl’infrascritti Autori.
I termini dunque degli antichi tempi del Sannio, a
parer del Sigonio, e d’altri sono tali. Dall’Oriente avevano i Sanniti la
Puglia, e la Basilicata. Dall’Occidente gli Ausonj, e Peligni. Dal
Settentrione, i Pugliesi, e Frentani, che di presente sono parte d’Abruzzi, e
di Capitanata. Da mezzo giorno poi i sudetti di Basilicata, e Campani. Più a
lungo è ciò descritto nella di lui tavola da Filippo Cluverio in questa guisa
unitamente con gl’Irpini: “Aufidena, et
discendendo ubi oritur Vulturnus, deinde Aesernia ad levam Vulturni, et sic
discendendo Allifae, et postea Caudium, ubi nunc est Airola usque Abellinum,
postea compsa, Rufrae, ubi Ruvo, et ascendendo ad pontem Aufidi dicti, Lofanto,
et Aquiloniam, quae est Carbonara, et Venusiam ad Herdoneam, nunc Cedogna, inde
Trivicum, et Aecas nunc Accadia, deinde amnem Frentonem ad Larinum exclusive,
deinde Triventum usque ad flumen Sagrum”. In modo, che se vi si aggiunga
tra mezzo altro luogo di più, si scorgeranno i confini più discretamente, se
cominciando da Alfidena, che non molto tratto sta da lungi dal fonte del
Sangro, che scaturisce ne’ monti sul distretto di Gioja d’Abruzzi, e
discendendo verso la Rocchetta, dove si origina il Volturno, che sen va sotto
Isernia, che gli giace alla sinistra, che poi passa sotto Montaquila, e
toccando il territorio di Venafro se ne scorre a Vairano, e cala ad Alife, e
quindi andandosi a Gioja, ed a Puglianello finché ad Airola si giunga, e da qui
a Cervinara, poscia a S. Angelo della Scala insino ad Avellino. Di là
all’Atripalda, a Gesualdo, alla Guardia Lombarda fino a Consa, a Ruvo, ed al
fonte del fiume Lofanto, ed a Carbonara, Venosa, alla Cedogna, e di là a Trivico,
ed Accadia, e arrivano a Bovino, al Fortore, ed a Larino, onde si va a
Trivento, da cui insino al fiume Sangro per la corrente camminando ad alto sin
al proprio fonte donde si è cominciato
Ma i confini più ristretti, e senza gl’Irpini lo
stesso Cluverio in questa maniera descrive:
“Ab initio equidem Samnitium nome, finesque extendabantur ad Apulos usque ad
Lucanos. At postmodum bona parte Samnitium ab Samnitico nomine secedente, novo
invento sibi Hirpinorum vocabulo; pars terrarum haud modica Apuliae, Lucaniaeque
contermina Samnio abscessit. Itaque Samnitium fines fuere ab Occasu, primum qua
Volscos conterminos habuere, linea ab Sagri Fluminis fontibus ad vulturnum
amnem medio situ inter Aesernis jungebantur, ipse Vulturnus amnis, confluentem
usque Iscleri fluvii; inde porro Tifata mons, et ab ejus extremo linea versus
Aellinum Oppidum, in ripa Sabati fluminis, qui Vulturnum influit, situm ducta.
Hinc ab ortu, qua Hirpini contermini fuere, alia ducenda est linea a meridie in
Septentriones, ad Calorem amnem prope Beneventum. Inde alia ducatur linea ex
Occasu in Ortum ad fontem Frentonis amnis. Hinc ipse Frento Samniteis separata
ab Apulis ad Oppidum usque vulgari adpellatione Serra Capriola. Inde ab Ortu
aestivo alia linea ad Sagrum amnem ducta ab Frentanis discernabantur. Hinc
Sagrus eos inclusit ad fontem usque in cujus adversa ripa erant Peligni, et
circa fontem Marsii”. Ho giudicato a bene in amendue i confini recar le
proprie parole dell’Autore, che ciò afferma, forse per ovviare all’opinione di
coloro, che ‘l contrario sentissero. Dice egli dunque nelle sue ultime parole,
che dall’Occaso avevano i Volsci confinanti, il che giudico verisimile,
confinandovi i Caraceni, che veri Sanniti erano, ed uno dei tre Popoli, che ‘l
Sannio integravano, cioè i Pentri, i Caraceni, e gl’Irpini, come eziandio
vivamente viene affermato dal Sigonio de Antiq.
Jure Ital.
Vi sono degli altri, che vi è più spaziosi confini gli assegnano, e vi
comprendono i Frentani, i Peligni, i Marrucini, i Precutini, i Vestini, i
Marsi, buona parte de’ Volsci, e de’ Campani con i distretti di Sora, Atino,
Cassino, Aquino, e Venafro, popoli che abbracciavano paese più ampio, e di gran
lunga maggiore del Sannio primieramente descritto. Il che è già molto
inverisimile, come chiaramente dal senso degli Autori notati, ed interpretati
dal Cluverio appare. E per toglier via ogni dubbio rapporterò alcune poche
autorità, che per pruova stimo esser bastevoli: imperciocché Strabone
apertamente nel 5° gli distingue per la Regione, che possederono, e per la
distinzione de’ nomi; e tutto che una volta Samnites
populi gli chiami, e non perciò se ne cava (a parer del Cluverio) che ‘l
paese di loro Sannio si nominasse; ma o che alcuni soggetti a’ Sanniti fussero,
o che sotto delle loro insegne militassero confederati: il che si conferma per
le parole di Livio in più luoghi, come nel 9°: “In Samnio quoque quia decesserat inde Fabius novi motus exorti:
Calatia, et Sora, praesidia; quae in iis Romana erant expugnata”. Ben si
sà, che Cajazza era in Campania, e Sora ne’ Volsci. E nel 10° dice: “Consules, Sp. Carvilius cum legionibus in
Samnium profectus Amiternum oppidum de Samnitibus vi cepit, etc.”, ed
Amiterno, è ben noto, che nei Vestini situato fusse, e molto dal Sannio
lontano. Verifica ciò Polibio ancora, ed in miglior modo, il qual descrivendo
la guerra di Galli Cisalpini occorsa poco prima di quella d’Annibale, gli
annovera distinti da’ Sanniti: “Bello
Gallico Cisalpino, quod non ita multo, ante, quam cum Annibale pugnaretur, est
gestum, maximae sociorum copiae prater Latinorum auxilia adfuerunt, Sabinorum
Etruscorum, Umbrorum, Sassinatum, Samnitum, Marrucinorum, Frentanorum,
Vestinorum, Japygum, Messapygum, Lucanorum, et Companorum”, in modo che se
gli Marsi, Marrucini, Frentani, e Vestini fussero stati con i Sanniti compresi
avrebbe col solo nome de’ Sanniti all’istoria soddisfatto. Ne vengono
separatamente da Catone, ancora alcuni scritti nei frammenti di lui dicendo: “Praecutii, in quibus Hadria, sive Atria.
Vestini in quibus Cursellum, Orton, et Sulmo. Frentani primum a Lyburnis, et
Dalmatibus, inde his pulsis a Thuscis orti, quorum lingua Larinum Metropolim
vocaverunt idest, nobilem principem”. Potrei anche in questo per pruova
addurre molte altre autorità, e congetture dal Cluverio cumulate; ma perché l’addotte
giudico bastevoli, ed in miglior modo ciò appresso si verifica, tralascio
rapportarle, tuttavia a sodisfazion de’ curiosi, mi è paruto bene aggiungervi
il senso di Gio. Battista Carrafa, che nell’istoria del Regno apertamente, e
distintamente ne ragiona, dicendo: “Dal Fortore infino al fiume Sanguine è il
paese de’ Frentani fuora il seno Adriatico, del quale le più famose Terre
anticamente furono il Vasto, ed infra terra Larino, e Lanciano. Tra il
Sanguine, e Pescara sono i Peligni ove alla marina, e Ortona, infra terra
Sulmona, e Corfinio, qual fu dove ora è Pentima. Da Pescara al Tronto sono i
Marrucini, quali alla marina aveano Francavilla, ed infra terra Civita di
Chieti: a questa vicino infra erano i Vestini, ove è Civita di Penna, e vi
furono Amiterno, e Furcone, dalle rovine de’ quali non molto lontano è stata
fabbricata la Città dell’Aquila. Sono appresso i Precutini, da’ quali si tiene,
che sia disceso il nome di Abruzzo, ove è Teramo. Sono poi li Marsi, ove è
Celano, ed Albi co ‘l lago di Fucino, Tutti questi sei popoli da un nome solo
sono chiamati d’Abruzzo, paese di uomini forti, ed anco di sito, ed il più
delle volte erano confederati con Sanniti, ed uniti, e sotto un medesimo nome
de’ Sanniti dagli Autori spesse volte si comprendono. Si contiene un’altra
Regione infra terra, e quasi in mezzo di essa tra i predetti popoli, e Terra di
Lavoro, che partecipa del piano, e del monte, e di qua, e di là dell’Appennino,
chiamata anticamente Sannio, oggi detta Contado di Molise, e Valle Beneventana,
qual si stende miglia ottanta in lunghezza fino alle fonti del Silaro, piena di
molte terre di gran nome, tra le quali erano Capi Esernia, Sepino, Alife,
Telesia, Benevento, Bojano, e Sannio, con quali un’altra nazione si contenea
pur de’ Sanniti, anticamente chiamata Irpini, li quali con Picentini, Lucani,
ed Apuli confinano, e così al presente di Principato, e Basilicata partecipano,
de’ quali erano Terre più note Avellino, ed Aquilonia”. Sin qui il Carafa. Vi
si può anche aggiungere quel che lo stesso Alberti ne dice, ancorché
confusamente; “Tanto i Sanniti -dice
egli- ingrandirono il loro imperio, che
dierono nome a tutte queste altre parti, contenute sotto il nome de’ Sanniti, -ora d’Abruzzo come è detto- Laonde furono tutti nominati Sanniti”. Dal che
chiaramente si vede, che per questo modo Sanniti venissero chiamati, e non
perchè si comprendessero nel distretto del Sannio.
Cap. II
Antichi
abitatori del Sannio
Sono tante, e sì varie le opinioni degli Autori
intorno ai primi, e più antichi abitatori dell’Italia da tempo in tempo, che a
considerarle, piuttosto confusione, che soddisfazione apportano. Ben chiaro è,
che cento, ed otto anni dopo l’universal diluvio, vennero ad abitarvi genti
portate dal gran Padre Noè, le quali col tempo moltiplicando, dilataronsi a
poco a poco in diversi luoghi, e ritornandovi lo stesso Noè, altre genti vi
condusse, e con queste alle abitazioni di tutte le Regioni di quella principio
si diede, come è comune opinione degli antichi Scrittori, ne’ quali si scorge,
che non possa quasi indubitatamente affermarsi, che una sia stata prima
dell’altre abitata. E maraviglia non è, perché si tratta delli primi abitatori,
ne’ quai tempi -per quanto si sa- non fu chi ciò notasse, e se vi fu, per
cagion di tanta antichità, se n’è perduta la memoria; e quei, che l’hanno
scritto, furono delle migliaja d’anni dopo. Ma per cavarne qualche luce per
queste parti, si addurranno le opinioni di alcuni pochi, che più pajono al
proposito, e poi distingueransi gli abitatori, che successivamente seguirono.
Per antichissimi abitatori, e prima degli altri
Mirsilio Lesbio vi costituisce gli Ausoni, affermando, che quando Enotrio
Arcade vi venne, questa gente vi trovasse, e ‘l suo arrivo nell’Italia stato
fusse poco meno di quindeci età avanti la distruzione di Troja, cioè anni 375
mentre che a parer di Senofonte l’età d’anni 25 appò li Greci costava. A questo
ancora si conforma Dionisio Alicarnasseo, con dire, che conducendovi Enotrio
Colonie della Grecia, molto prima di detta distruzione, Barbari abitatori vi
trovasse chiamati Ausoni, e soggiunge di più, che a tempi, ne’ quali poi vi
giunse Enea, trovò che dagli Opici erano il Lazio, Campania, e Sannio abitati:
il che parimenti si conferma per quel che riferisce Galerano per testimonio
d’Aristotile, che buona parte d’Achei, mentre dalla guerra Trojana verso la
patria ne tornava, fusse la lor nave in più luoghi dalle tempeste del mare
portata, e finalmente nel paese gli Opici giungesse, e ad abitar vi si
fermasse. Di modo che i Greci questi Ausoni vi trovarono, i quali secondo
Strabone seguito da moderni, erano uno solo, ed un’istesso popolo cogli Opici,
e non due, ed erano in ambidue i modi nominati, contro l’opinione di Polibio,
che distinti gli pone. E che ‘l Sannio avesse avuto d’Ausonia prima il nome, da
Pompeo Festo, e da Leandro Alberti si comprende, i quali affermano esser state
da Usone figliuol di Ulisse così chiamate quelle parti primieramente, in cui
sono Benevento, e Calvi situati. Ma ad opinione dell’antichissimo Beroso Caldeo
furono questi popoli molto tempo avanti Ausoni dinominati da un altro Ausone,
che dall’Oriente per mare vi si ridusse, e co’ suoi in questi, ed in altri
convicini luoghi si fermò nell’anno 18 di Aralio settimo Re di Babilonia, cioè
anni 429 dopo l’universal diluvio, secondo il computo di Giovanni Lucido de emadationibus temporum ove tratta
della Monarchia de’ Caldei. Sicché in tanta antichità seguendo il parer del
Baronio, che lasciando le molte diversità d’opinioni degli Autori, intorno ai
tempi, ha seguito i più approvati; dicesi, che furono questi così dinominati
anni 2528 avanti la venuta del Signore.
Sono altri, come Giustino, e Solino, che vi
costituiscono più antichi abitatori, cioè i popoli chiamati Aborigini, li quali
non in questi luoghi solo; ma in molti altri ancora abitarono. e per dar di
costoro qualche luce, affermasi per autorità del Lucido, esser Noè due volte
dopo il diluvio all’Italia venuto, la prima fu anni 108 dopo quello, e molte
persone vi condusse, secondo Pietro Leone Casella De primis Italiae colonis I. de Aboriginibus, e Ianigenis; ed anni
33 vi dimorò, finché a sua persuasione vi giunse Comero Gallo primogenito di
Jafet con le sue colonie: e l’altra fu anni 268 dopo detto diluvio, dove anni
82 si trattenne fin’a tanto che vi venne a morte. Hanno tutto ciò gli Autori
preso dal Beroso, il quale De antiquitate
Iani per la prima venuta così dice: “Cum
ivisset ad regendum Kitim, quam nunc Italiam nominat, desiderium sui reliquit
Armensis, ac propterea post mortem illum arbitrati sunt in animam Coelestium
Corporum translatum, et illi divinos honores impenderunt. Et ob id solum haec
duo Regna Armenum quidem, qua ibi caepit: Italicum vero, quia ibi finivit, et
docuit, et regnavit naturaliumque atque divinorum, quae eo erudivit libros
plenissime illi conscriptos reliquit, illum venerantur, simulque cognominant
Coelum, Solem, Chaos, Semen mundi, Patremque Deorum majorum, et minorum, Amam
mundi moventem Coelos, et mixta, vegetabilaque, et animalia, et hominem, Deum
paci justitiae, sanctimoniae expellentem noxia, et custodientem bona, etc.”.
E che fusse Noè cognominato Iano, oltre che Beroso ne assegna la ragione, per
esser egli stato l’inventor del vino, che Vitifer,
et Vinifer in lingua Aramea questa voce ne suona, è anche da Girolamo Bardi
nella sua universale Cronologia con queste parole affermato: “L’Italia, come
dice Catone nelle sue origini, avere avuto il suo glorioso principio sì di
tempi, come di Prencipi, mentre i mortali felicemente godevano l’età dell’oro,
sotto il felice doinio de’ famosi Prencipi Giano -detto altrimenti Noè- e Saturno Fenici, annoverati dagli Italiani
tra gli Iddii, quali dopo il diluvio universale, cioè gli anni del mondo 1757
conducendo in varie parti della Terra nuovi popoli, abitarono l’Italia”.
Intende qui il Bardi della prima venuta di Noè. Vennevi poscia la seconda volta
nel 19° anno di Nino Re di Babilonia, cioè nell’accennato anno 268 e
ritrovatovi il suo scelerato figliuolo Cam, detto per altro nome Cameseno, che
con la sua mala vita corrotto avea gli animi buoni de’ primi abitatori, -il che difficil non gli fu, per non avervi
trovato chi gli ostasse, cioè Comero Gallo suo nipote, che rettamente prima
instrutti, e governati gli avea- il sopportò
per tre anni Noè; ma vedendolo affatto incorrigibile, dandoli alcune Colonie,
d’Italia discacciollo, ed egli a reggerla fin’alla morte vi rimase.
Or le genti, che costoro in più volte vi condussero,
furono Aborigini chiamate, come da Fabio Pittore in qualche modo anche si
scorge: “Toto prius pererrato Orbe
Saturnus ad Ianum se contulit. Eum comi hospitio Ianus receptum, Latio, et
Aboriginibus praefecit”. E questi veramente furono i primi, e più antichi,
che l’Italia abitassero, e come tali, oltre buon numero di Scrittori, son posti
nella Tavola Itineraria Peutingeriana, aggiunta al Teatro Geografico, mandato
in luce da Pietro Bersio, e perciò con ragione chiamati furono -aborigeni-
i quali da Giovanni Fungero in Ethimologico Trilingue sono interpretati Aborigines, quasi sine Origine; o vero
come da altri Absq. certa origine, e
ne’ primi tempi in luoghi montuosi abitarono in Contrade, e Ville, ma poi
crescendo, edificarono tante Città, che trecento ne numera Plinio, come nota il
Casella.
Trogo, e Giustino riferiscono, che i Greci abbiano gran
parte dell’Italia tenuto, e molte Città siano state da essi edificate, e che i
Sanniti siano in buona parte discesi da quei, che vennero da Lacedemonia detta
per altro nome Sparta. tutto questo è vero, ma la lor venuta fu molte centinaja
d’anni dopo quella degli Aborigeni, ed Ausoni. E lasciandosi altri diversi
pareri, che piuttosto confusione apportano, distinguendo si conchiude, che i
primi, e più antichi abitatori siano stati gli Aborigeni, li quali a giudizio
del Casella, erano eziandio nomati Ianigeni, cioè discendenti da Giano, ed
Indigeni. I secondi furono gli Ausoni, chiamati anche Opici, come si è detto. I
terzi furono gli Arcadi, ed appresso vi capitarono li Greci nel ritorno che
fecero dalla Trojana Guerra, e questi furono i quarti. Vi vennero ultimamente i
Sabelli dalla Sabina, e trovarono che questa Regione era allora nominata
Ausonia, secondo Festo, il qual nome fu poi a tutta l’Italia dato, e lo ritenne
finché mutato le fu da altri, che poi la dominarono.
Ma perchè non mancan di quei che riprovano
l’opinione di Beroso, Porzio Catone, Fabio Pittore, ed altri, che unitamente
vanno intorno, asserendo esser quelli suppositizj, ed inventati; siane lecito
far questa breve, e necessaria digressione, dicendo, che per esser questi
amessi, approvati, e seguiti da buon numero di gravi Autori, che gli han
veduti, e ben isperimentati nel tutto veridici, e fedeli; a seguirli mi son
mosso anche io, e specialmente vedendo, che nella distinzion de’ tempi, ed in
altre cose notabili, si conformano con non pochi antichi Autori, e di più
approvati. Non si niega però quel che dice Antonio Possevino nella sua
Biblioteca Seletta, contro il Commentator di quelli, mentre ch’egli, ed altri
lo riprovano. Beroso è da molti commendato, e forsi mossi a ciò si saranno, per
quel che asserisce Plinio, dicendo ch’egli in Atene Astronomia insegnasse, e
vedendo gli Ateniesi, tutti i suoi detti riuscir veri, ed a quel modo appunto,
ch’ei prediceva, eressero in suo onore nel loro Ginnasio una bella statua di
metallo, la cui lingua era tutta di puro oro, dando con questa ad intendere la
pura verità, che da quella si proferiva, e perciò come cosa d’ogni gran lode, e
di memoria degna è da Battista Fulgoso, e da Andrea Eborense ne’ loro esempj
memorabili non addotta solo, ma con ogni debito onore commendata ed esaltata.
Cap. III
Venuta de’
Sabelli, e perché furono chiamati Sanniti
Vennero appresso in questi stessi luoghi i Sabelli
dalla Sabina, e ad abitar vi si fermarono; la cui origine e cagion della venuta
sono in questo modo narrate da Strabone a tradizion comune dagli antichi.
Avevano lungo tempo i Sabini cogli Ombri lor vicini guerreggiato, e perché non
potevano a quelli prevalere, fecero voto
-ad usanza de’ Greci- di
sagrificare quanto quell’anno nascesse, se riportavano vittoria. Ottenuta poi
questa a lor disio, tornati alla patria, volendo al voto soddisfare,
sagrificarono parte delle cose nate, e parte a’ loro Dei consagrarono. Ma
essendo poscia da grave carestia oppressi per liberarsi da tale calamità,
consultandosi con Sacerdoti di quello, che far dovessero, gli fu risposto, che
consagrassero i loro figli nuovamente nati agli Dei, che così avrebbono avuto
l’abbondanza. Ciò subito eseguirono, ed a Marte gli consagrarono. Giunti poi
questi all’età perfetta, furono dagli padri mandati a cercar per loro altra
abitazione, e per guida un toro gli consegnarono, il qual seguendo, in questi
luoghi si ridussero, dove erano gli Opici, che in Contrade, e Ville abitavano.
E venuti con quegli alle mani, d’indi per forza discacciandoli, eglino ad
abitare vi rimasero, e per consiglio de’ loro indovini a Marte vi sagrificarono
il Toro, che condottovi gli avea. E per questa cagione si stima, che da’ loro
padri siano stati Sabelli dinomati, cioè piccoli Sabini. Asseriscono altri, che
qui graziosamente accolti fussero da Laconi, che da Lacedemonia venuti, questi
paesi allor tenevano, e che perciò fussero poi sempre da Greci amati, e con
esso loro l’amicizia mantenuta. Alcuni nomati gli hanno Pitaniti, o Parteniani,
giudicando, che da Tarentini fussero discesi. Tutto questo è di Strabone, ed è
addotto da buon numero di Autori, che dopo lui hanno scritto. Catono,
Sempronio, e Plinio anche affermano, che da Sabni abbian avuto origine, e
chiamati fussero Sabelli, come sono eziandio dinomati da Varrone, Virgilio, ed
Orazio. Sesto Pompeo parimente asserisce esser prole de’ Sabini: ma che
capitati vi siano sotto la guida di Comio Castromio, al che anche per altrui
opinione acconsente il Casella, dicendo esser questa la vera, e la migliore; ma
non aver potuto congetturar in che tempo fatto si fusse un tal passaggio. Poté
ben esser, che costui gli conducesse, e similmente portassero il Toro, per
qualche lor vana osservanza, de’ quali si sà, che gli antichi Gentili grande
professione facevano, e poi qui a Marte lo sagrificassero: e pare, che creder
non si possa, che quegli antichi Sabini tanto savj, e prudenti da tutti
riputati, volessero un si grande stuolo di giovanetti mandare a ricercare altre
sedi, dove avessero per sempre a dimorare, senza un capo, ed una persona
veneranda, che gli accomodasse, e poscia gli reggesse.
Per qual cagione fussero poi chiamati Sanniti, il
Volaterrano, il Biondo, e l’alberti vogliono, che in questo modo si
dinominassero dalla Città di Sannio, dove a lor parere costoro si fermarono,
dopo che vi furon giunti. Paolo Diacono, e Sesto Pompeo tengono, che tal nome
pigliassero da un colle, che prima occuparono. Se ben il medesimo Sesto con
altri, che lo seguono, soggiunge ancora, che lo trassero dall’armi, che in
guerra usavano, ora chiamate aste, o vero arme inaste le quali in Greco si
dicono Saunia, e dall’uso di queste armi furono da’ Greci nominati Sauniti,
come per autorità di Verrio si vede, e di Catone, che con queste parole lo
conferma: “Sabelli sunt proles Sabinorum,
ut nome est argumento, a Latinis Samnites, a Graecis Saunites appellati”.
Questa ultima opinione tengono, che sia la più vera, ed in effetto par, che
abbia più del verisimile, siccome ben la pondera il diligentissimo Cluverio,
ove tratta del Sannio, dicendo esser quegli stati nomati Sabelli, e Sabiniti,
da’ Greci Sauniti, e poscia da’ Latini con vocabolo più molle, e con lingua più
volubile chiamati furono Sanniti, qual nome hanno per molti secoli ritenuto; ma
ora, e da gran tempo a dietro è siffattamente dismesso, che non se ne fa
menzione, se non appresso antichi Autori, conforme nota Raimondo Marliano nel
fine dell’Indice, che fa ne’ commentarj di Cesare. Non mancano di quelli, che
dicono, Benevento fusse prima chiamato Sannio, ed altri, che Isernia ancora
fusse nello stesso modo nominata; ma s’ingannano, posciaché appresso antichi
scrittori non si trovano mai così dinomate, ma si bene fu prima Benevento detto
Meletia a parer di Martino Frezza, e poi Malevento per la violenza de’ venti
da’ quali vien molestato, ed ultimamente Benevento, così detto quasi nome di
felice arrivo, secondo in Livio, ed in Procopio si vede. Ed Esernia è stata
sempre così dagli antichi nomata, cioè da Alicarnasso, da Tullio, da Livio, e
da Appiano; se bene l’hanno alcuni scritta col dittongo nella prima lettera,
altri senza con la lettera E assolutamente, ed appresso alcuni è il vocabolo
corrotto, come in Diodoro Sicolo è Serennia, nelle Tavole Itinerarie è
Esernium, in Antonino è Sernicium, ma il tutto in buon modo è stato corretto da
Geronimo Zurita, siccome ben nota, e conferma Paolo Merola nella sua
Cosmografia, ove tratta d’Isernia, il che è stato anche poi avvertito, ed
emendato dal Sigonio, e dal Cluverio.
La più antica tra le memorie, che si trovino del
tempo, nel quale qui erano i Sabelli, quelli esser pare, che Procopio adduce,
da cui si afferma, che quivi fussero tre secoli avanti che Roma si edificasse:
e la prima rimembranza, che si ritrovi del nome de’ Sanniti appresso Autori,
che de’ fatti de’ Romani hanno trattato, è forse quella di Livio nel 4° delle
sue Istorie, ove gli adduce nel Consolato di Cajo Sempronio Attratino, e di Q.
Fabio Vibolano, che fu l’anno di Roma 331 secondo il computo del Sigonio nella
Cronologia, che fa sopra le suddette istorie, sicché dalla prima menzione de’
Sabelli fin alla venuta del Signore son corsi anni 1052 che fin al presente
anno 1643 sono anni 2695 e da quella de’ Sanniti sono anni 2064.
Cap. IV
Origine degli
Irpini, ed Insegna de’ Sanniti
Ritennero i Sanniti per molto tempo il nome, che nel
principio avevano preso; ma per un caso, che gli avvenne, parte di essi ne fé
mutazione, dinominadosi Irpini; e con qual occasione fusse ciò succeduto, è
parimente nel seguente modo da Strabone raccontato. Mentre i Sanniti
conducevano una Colonia nel luogo, in cui disignato avevano di collocarla, per
camino se gli fé incontro un lupo, qual essendo da lor seguito, gli servì ad un
certo modo per iscorta. E perché era in quei tempi il Lupo da’ Sanniti in lor
lingua chiamato Irpo, con questa occasione furon essi poi con tutto quel paese
Irpini appellati. E tal nome ritennero per molti secoli, e sin agli estremi
tempi della guerra sociale, che nell’anno 662 di Roma a succeder venne, anni 90
avanti la venuta del Signore, come per autorità di Livio è riferito dal Sigonio.
Ed ancorché dopo detta guerra nominati si trovano appresso Plinio, e Tolomeo,
non perciò stimar si deve, che fussero in vigore, e da se soli in que’ tempi si
mantenessero; ma si nominano per cagion del lor paese, dove sono alcune Città,
de’ quali fanno essi Autori menzione. E quantunque mutassero il nome, non
cessarono però di esser gente Sannitica, conforme riferisce Strabone da molti
altri seguito “Ordine dehinc sunt
Hirpini, et ipsi samniticae gentis”. Il che si comprende ancora per Livio
in più luoghi, ne’ quali dimostra, che tali fussero, e con esso loro
militassero fin’alla seconda guerra Punica, e più volte poi distinti dagli
altri Sanniti li pone, ed in questa da se soli, e senza quegli militarono, e ad
Annibale in compagnia d’altri popoli si diedero, a mente ancor di Polibio, il
che a cader venne all’anno 534 di Roma, anni 218 avanti la venuta del Signore,
come tutto ciò è anche affermato dal Sigonio, e dal Cluverio.
Si vedono in molti luoghi de’ Sanniti alcune teste
di Tori scolpite con molto artificio in marmi, ed in gran numero, come in
benevento, Bojano, Isernia, ed altrove, e grandi, e piccole. In alcune sono le
teste scolpite de’ Bovi solamente, ed in altre sono di più intramezzate altre
figure di diverse maniere, poste in métapi in mezzo a’ triglifi, come persone
con aste lunghe in mano in atto di combattere, e con arnesi da soldati, cioè
scudi, corazze, elmi, e simili; e tali teste coronate si veggono a quel modo,
che gli antichi le vittime coronar solevano quando a sagrificar le portavano.
Questa impresa esser dimostra di que’ primi Sanniti, i quali ciò presero in
memoria di quel Toro, che fu loro condottiero, datoli, da genitori, e questa
usarono per arme,ed insegna; ed oltre a quello che apertamente se ne vede,
viene altresì ad un certo modo affermato dal Casella de Aboriginibus con queste
poche parole: “Primi enim Sabelli Tauro
duce dispositi sunt. Unde, et Taurum in signis praeferunt”. Il Toro forse
dipinto portavano nelle bandiere a quella guisa, che altri il Lupo, altri
l’Aquila, altri il Cavallo, ed altri altre imagini di animali, con questi
dinotando ciascun il pregio delle sue virtù secondo il lor intento a giudizio
di Giusto Lipsio de Militia Romana;
dando essi ancora coll’effigie di dì forte animale ad intendere il lor valore,
e possanza, con cui queste si possono anzi vengono ben significate, per esserne
quel dotato a par d’ogni altro.
Cap. V
Linguaggio,
che usavano i Sanniti antichi, e poi gli altri successivamente
A vanti che da’ Romani in tutto soggiogati fossero i
Sanniti, non è dubbio veruno, che con linguaggio Osco parlassero, co’l quale
anche favellavano i Sabini suoi padri, ed i Campani loro vicini, come afferma
il Cluverio in Italia antiqua per
autorità di Livio, di Varrone, e di Velleio. e già Livio più chiaramente degli
altri ne parla nel X con occasione, che L. Volumnio Console nell’anno di Roma
456 andato contro i Sanniti, all’esercito di quelli si accostò avanti giorno,
che carico di preda lungi le rive del Volturno fermato si era: e per ispiare di
loro gli andamenti, vi mandò la notte persone, che ben intendevano la lingua
Osca, con la quale i Sanniti parlavano, e questi in tal tempo fra la turba
meschiati, osservando il tutto, riferirono quanto inteso, e veduto avevano. E
per essere stata la misera Italia in più tempi da diverse nazioni occupata,
ciascuna di quelle, secondo il proprio uso v’introdusse, e mantenne la favella,
alcuni parlando in lingua Ausona, Opica, o vero Osca, che sono le medesime,
altri in Etrusca, altri in Greca, e vari variamente, conforme chiarito viene da
Strabone, Esichio, Suetonio, Varrone, Macrobio, e Pompeo Festo. E per dar di
ciò miglior cognizione a’ curiosi, si adduce quel che ne scrive Giusto Lipsio
in Dialogis de Recta pronunciatione
Latinae linguae, dal che si comprende ancora altro, che fa al proposito: “Lingua igitur, quam latinam appellamus,
exiguis olim finibus, ut ipsa gens contenta, circa Roma fere, et finitima
infero Tiberi haesit. Italiam coeteram adeo non pervasit, ut quaeq. gens suo
usa sit, et diversissimo ab hac sermone. Volsci, inquam, Osci. Hetrusci,
Samnites, Brutii, Apuli peculiares, et suae indolis linguas usurparunt, quas
diu, aucto etiam imperio tenuerunt. Nam Romanis, et si arma inferre finitimis
acris cura fuit, non etiam mores, sacra, linguam. Quin contra, aliquandiu
arcuisse ista videntur, et communicari ea cum aliis recusasse. Post Punica bella finibus valde
auctis, haud valde auxisse lingua. At mox immensum: et diu cercita, velut rupto
Obice se effudit. Occasione quidem, et causa duplici Missu primum Coloniarum: deinde
communione Civitatis. Nam de Coloniis ; cum Romani eas spargerent,
firmando imperio, per omnes gentes, necessario una etiam linguam, quia numerosi
isti coloni ; et aequabant plerumq. aut seperabant Civium veterum partem,
etc. Jam caussa altera communio Civitatis. Romani videlicet paullatim munes
magis, et benigni, Jus illud grande suae Urbis, non solum cum adsitis gentibus
communicarunt, Etruscis, Umbris, Samnitibus, aliisque Italorum; sed, et cum
dissitis, etc.” . Sicché diversi erano i linguaggi tra i Popoli
dell’Italia, prima che fussero da Romani soggiogati ; ed il latino in poco
distretto si esercitava, e ne’ primi tempi con popoli conquistati di
communicarlo già ricusavano, lascando ciascuno vivere, e parlare secondo il suo
costume. Ma dopo cominciò ad allargarsi non per l’Italia solo; ma per le
straniere nazioni ancora con l’occasione delle Colonie, che in diversi luoghi
soggiogati ad abitar mandavano, le quali alle volte avanzando i nativi del
paese, e talora essendo di numero eguali, vi introdussero la latina favella, o
vero per esser altri ammessi alla cittadinanza Romana, quella appresero; e così
poi gli uni, e gli altri per molti secoli il latino parlare usarono; e fintanto
che fu l’Italia da barbare nazioni oppressa, cioè da Goti, Unni, Eruli,
Vandali, Longobardi, ed altre, le quali non corroppero solo i costumi, e quando
di buono vi era, ma anche la favella, introducendovi i loro barbari idiomi,
dalla feccia de’ quali nacque poi la nostra volgare, la franzese, e la
spagnuol, conforme lo stesso Lipsio con autorità di molti asserisce nel citato
luogo. Ed in sì fatta maniera venne la latina in queste nazioni a mancare, che
Festo dice: “Latine loqui a Latio dictum
est; quae loquutio adeo est versa, ut vix ulla ejus pars maneat in notitia”.
È certo adunque che i Sanniti prima parlassero in lingua Osca. Dopo che furono
soggiogati, in latina, appresso in lingua barbara, e successivamente in più
modi secondo l’uso delle predette nazioni, come anco nel rimanente dell’Italia.
Ed essendovi poi venuti i Bulgari nel 667 del Signore -secondo si vedrà a suo luogo-
vi si parlò anche all’uso di costoro; se ben era parimente usato in
tutti questi tempi il parlar latino, il qual si esercitava fin ne’ tempi di
Paolo Diacono, che viveva l’anno 780 a tempo di Carlo Magno, conforme egli dice
con queste parole: “Qi usque hodie in
illis - quae diximus- locis habitantes, quamvis latine loquantur,
propriae tamen linguae usum minime amiserunt”. Ma tal idioma latino era sì
corrotto, che reliquia alcuni di quella purità, e vaghezza antica non vi
appariva, conforme chiaro indizio, oltre l’autorità di Festo, ne danno le tante
scritture che di carattere Longobardo in diversi luoghi si conservano.
Cap. VI
Armi, che
usavano in guerre
Usavano i Sanniti nel guerreggiare armi eccellenti
sì difensive come offensive, de’ quali Livio così favella: “Bellum in Samnitibus erat, qui praeter
coeteros belli apparatus, ut acies sua fulgeret novis armorum insignibus
fecerunt. Duo exercitus erant: scuta alterius auro, alterius argento
caelaverunt. Forma era scuti: summum latius, qua pectus, atque humeri teguntur,
fastigio aequali: ad imum cuneatior mobilittis caussa. Spongia pectori
tegumentum, et sinistrum crus Ocrea tectum Galeae Cristatae, quae speciem
magnitudini corporum adderent. Tunicae armatis militibus versicolores,
argenteis linteae candidae”. Qui tratta di armi difensive, e di belli, e
ricchi apparati, de’ quali molto i Sanniti si dilettavano. Giusto Lipsio
sottilissimo espositore delle antiche difficoltà ne’ Saturnali dice alcune cose
sopra tali parole, a’ quali accoppia ancora quel che dicono Artemidoro, e
Giovenale in questi versi: “Quale decus
verum, si conjugis auctio fiat, Baltheum, et manicae, et cristae, crurisq.
sinistri dimidiium tegmen, et.”. E fra l’altre vi soggiunge: “Nam ii versus plane apti de industria ad
armaturam Samnitum, quam ut nobiliorem, foeminae -quoniam ita Veneri cum Marte visum- foeminae inquam, nobiles adfectabant”. La parola -Spongia-
espone esser quella medesima, e che vien detta da Giovenale -Baltheum-
la quale è la cinta della spada, e dove si appendono le armi, secondo S.
Isidoro, e non solo quella che si cinge, ma che pende anche per lo petto, e che
tanto larga fusse, che lo ricoprisse, se pur non fusse quella che oggi
chiamiamo corazza. Alesandro d’Alesandro ne’ giorni geniali in diversi luoghi
anche lo stesso conferma, e ne adduce altre cavate da molti antichi Autori,
come nota Tiraquello suo espositore. E per non replicarle, si apportano solo
certi pochi luoghi, che fanno più al proposito, e con le loro formali parole.
Nel libro primo cap. 20 oltre altre che vi discorre, soggiunge con autorità di
Varrone: “Samnites cum pinnis muralibus
digladiantur, in proelio vero cristatis galeis: sicut Lusitani, et Sacae
Scytica gens, quibus nervatis, cristatisq. galeis in usu est”. E dei scudi
nel 6° cap. 22: “Samnitibus lata, ad
summum aequali fastigio, in imo vero cuneata. Marsis amplissima, quae Decumana
dicta sunt. Lucanis quoque scuta ex vimine confecta, coreis tegebant”.
Quello dei Marsi, e di Festo, che dice: “Albentia
scuta dicebantur, quibus Albenses, qui sunt Marsi generis, usi sunt. Haec eadem
Decumana vocabantur, quod essent amplissima, ut Decumani fluctus”. E questo
de’ Lucani è di Alicarnasseo, e di Livio. Alesandro Severo Imperadore anche usò
i scudi ornati d’oro, e d’argento ad imitazione de’ Sanniti, a parer dello
stesso, dicendo con Elio Lampridio, da cui l’ha tratto: “Alexander severus Imperator Chrisoaspidas ab aureis nuncupasse: id quod
a Samnitibus fuit usurpatum, ut argenteis, aureisq. scutis ornarentur”. Di
modo che usarono i scudi in quella guisa, che Livio li descrive, per poterli
destramente maneggiare, ed ornati d’oro, e d’argento, come anche altri
fornimenti, ne’ quali manifesta pompa facevano delle loro ricchezze. Nella
gamba sinistra portavano lo stivaletto, e negli elmi, alti, e coloriti
pennacchi, per aggiungere vaghezza alla dsposizion de’ corpi; tutto ciò
adoprarono non in questa occasione solo; ma in altre poi, come ne’ scrittorj si
vede. Lpsio da questo argomenta essere i Sanniti stati i primi inventori di
impiumarsi il capo, ed a loro imitazione essere stati poscia negli addobbamenti
de’ soldati i pennacchi indotti, e posti in uso.
Tutte queste erano armi difensive, ma le offensive
furono di gran lunga migliori, e sì eccellenti, e da tanta perfezione, che gli
accorti Romani, i quali a guisa d’api coglievano il meglio dalle nazioni, che
pratticavano, non si sdegnarono d’imitarle anch’essi, e servirsene poi sempre
nelle guerre. E per confermazione del tutto, lasciate l’autorità di molti, si
adduce solo quella di Cesare, che di tutte le altre è la maggiore, la qual in
una sua orazione, che Salustio pone nelle sue istorie, in questa maniera dice:
“Majores nostri (P.C.) neque consiliis,
neq. audaciae numquam eguere, neque illi superbia obstabat, quominus aliena
instituta, si modo proba erant, imitarentur. Arma atq. tela militaria ab
Samnitibus, insignia Magistratuum ab Tuscis pleraque sumpsere”. E non solo
questo presero; ma anche l’uso del scudo, come afferma Ateneo scrittore Greco,
le cui parole tradotte sono tali: “A
Samnitibus Romani didicere scuti usum, ab Hispanis gesorum”.
L’armi in tanto offensive erano per lo più armi in
aste, come chiarir si può dallo stesso vocabolo - Saunia- il quale -confome come si è detto- arme in aste significa; che anco a diveder
ne ‘l dà Virgilio in questo verso: “Et
tenui pugnant mucrone, veruq. Sabello”. Ed è tutto questo ben ponderato da
Lipsio in Poliorceticon, dove oltre
all’altro questo si legge: “Qui velut
propium Samnitium facit, imo Grammatici nomen eorum hinc petunt. Festus:
Samnites ab hastis appellati sunt, quas Graeci Saunia appellant, hanc enim
ferre assueti erant. Propriius Graecanicam dialectum tangit Etymon, qui Saunias
dicunt, et scribunt. Et Saunia recte Veruta reddi, discamus e Dionisio, qui ubi
livius in Classibus armandis Verutum scribit, ipse Saunias. Alibi etiam Saunio
transfossus, quod hujus est teli”. Siché usando armi in aste, può
rettamente dirsi, che usassero alabarde, lance, picche, dardi, strali,
spuntoni, schiedi, e simili, conforme in gran numero scolpite si veggono ne’
marmi in diversi luoghi del Sannio, ne’ quali anche si scorgono varie foggie
de’ scudi, di targhe, di elmi, di cimieri, e di altre sorti sì offensive, come
difensive.
Cap. VII
Potenza de’
Sanniti
Furono i Sanniti bellicosissimi, e fortissimi per
anime, e per disposizione di sito, e di luoghi, e di potenza tale, che
sottoposero al lor dominio non pochi popoli, ed a tempo della Romana Repubblica
non fu gente nell’italia, che più di essi la travagliasse, e guerre con lei
mantenesse. E perché molti diverse cose ne raccontano, che sono di non loro
poca riputazione, però convenevole sarà scriverne qualche parte, essendo a’
posteri di gran diletto, anzi pungente stimolo a virtuose azioni la lettura
delle grandezze, e famosi gesti degli antenati. Riferisce Strabone, che essendo
costoro venuti a battaglia con i Possidoniati, e con altri che se gli erano
congiunti, popoli che abitavano quella Regione che ora Basilicata si nomina,
valorosamente gli superassero,e con felice corso di vittoria essendosi delle
Città, e del lor paese fatti Signori vi conducessero Colonie, che ad abitar vi
rimasero, scacciandone i Choni, e gli Enotri, che le tenevano; e questi poi,
che Lucani si dissero, abbiano da’ Sanniti avuto origine. Plinio conferma lo
stesso, ed aggiunge di più, che condotte vi fussero da Lucio Capitano de’
Sanniti, il che è parimente da Catone confermato, e da altri, i quali
riferiscono esser da esso Lucio Lucani dinominati. Giovanni Natalio in Speculo Orbis Terrae trattando della
Basilicata, si conforma con i medesimi, dicendo: “Alii Lucium quendam Samnitium ducem ejus Auctorem tradunt, qui primum
lucum hoc situ incoluerit, quod Cato, Plinius, et Strabo confirmare videntur.
Sane Strabo Lucanos ab Samnitibus ortos omnino credi vult, qui Possidoniates,
inquit, eorumque socios memorabili pugna, ductore Lucio debellarant”. E non
solo questi, ma i Campani ancora ebbero da’ Sanniti origine, come in più luoghi
è dal Cluverio affermato. Aggiunge di più Strabone, che molte Città, e luoghi
della Basilicata fussero de’ Sanniti, e che molto potenti divenuti, spazioso
imperio con l’armi acquistato si avessero, trascorrendo con grande ardire nel
Lazio, ed infino ad Ardea, la qual dicono, esser allora potente Città, e venti
miglia da Roma lontana; e s’impadronirono di molte Città, e delle più potenti,
fra’ quali fu Capova, Sedicino, Palepoli, Cuma, Cassino, Sora, Fregelle,
Interamna, ed altre, come appresso si vedrà. Segue di più Strabone seguito dal
Biondo, dal Sabellico, e da moderni, che ponessero costoro in campagna ottanta
mila pedoni, ed otto mila cavalli. Ed acciocché non paja strano, si adducono le
formali parole di Strabone, che sono queste: “Quippe qui pedestri exercitus octaginta millia, et Equites octo millia
aliquando domo emiserunt”. Il che vedesi ancora verificare per le istorie
di Livio. Se ben sembra quasi incredibile, che de’ Sanniti soli fussero sì gran
forze, ma stimar si deve, che d’altri ancora fussero, che con essi stavan
uniti, cioè quei, che dominavano, ed altri popoli, a’ quali per la lor
possanza, -come si è detto- avevano dato il nome, e che con loro
militavano, come i Vestini, Precutini, Marrucini, Peligni, e Frentani.
Non inqueste parti solo, ma fuori ancora fecero
mostra del loro valore, come si vede in quel, che scrive Festo, ove tratta de’
Mamertini, che cavato l’ha da Alsio. Trovandosi, dice egli, il Sannio tutto da
grave pestilenza oppresso, fu esortato da Stennio Metio uomo tra quello il
principale, che ad Apollo sagrificar volessero ciò che nella seguente primavera
nascesse; imperoché in sonno così quel Nume detto gli avea, se liberar si
volevano.
Fu tal consiglio immantinente eseguito, e fatto il
voto cessò la pestilenza; ma venti anni dopo la stessa calamità vi sopravvenne.
Laonde di nuovo ad Apollo ricorsi, risposto gli fu, non aver essi al voto
soddisfatto, perciòché non avevno sagrificato gli uomini in quella primavera
nati: ma se da loro li cacciassero, sarebbono pienamente consolati. Perloché
ridottili tutti insieme, tosto gli mandaron via, dirizzandogli verso la
Sicilia, dove giunti si fermarono su quel Taurominio. Quindi vedendo poi esser
i Messinesi da fiera guerra travagliati, di loro volontà, e senza invito
andarono a dargli soccorso, il qual fu tale, che co ‘, loro valore fecero, che
ne riportassero fiorita vittoria. Onde in guiderdone di sì raro, ed inaspettato
beneficio, i Messinesi, e gli altri lor congiunti non sapendo in altro modo
ricompensarli, ammisero quelli alla lor Cittadinanza, accomunando gli averi, ed
i campi e vollero tutti con un sol nome nomarsi Mamertini, per esser uscito a
sorte il nome di Marte delli dodici Dei, che per tal effetto scritti avevano
posto nell’urna; ed in questo modo poi sempre si nomarono, lasciando, il
proprio nome de’ Sanniti.
Questo, che
-ver sacrum- era detto, anco da’ Romani si pratticava, ed
era che dedicavano a’ loro Dei quanto ne’ mesi di Marzo, ed Aprile nasceva, a
parere di Livio. Di cui più distintamente nella Roma trionfante il Biondo nel
seguente modo favella: “Costumarono gl’Italiani, trovandosi in qualche grande
estremità di votare la sacra primavera seguente; ma perché pareva empia, e
cruda cosa far morire i fanciulli, e le fanciulle innocenti, che vi si
trovavano nate; usarono di far questo: gli lasciavano crescere, ed essendo già
poi in età gli coprivano, e cacciavano a questa guisa fuora de’ confini loro.
E volendo Livio dar principio alla narrazione delle
lor guerre con Romani, così ne ragiona: “Majora
jum hinc bella, et viribus hostium, et longinquitate, vel regionum, vel
temporum spatio, quibus bellatum est, dicentur. Namque eo anno adversus Samnites, gentem opibus, armisque
validam, mota arma. Samnitium bellum ancipiti
Marte gestum”.
Erano in effetto molto ricchi, e ciò procedeva dalla gran fertilità del paese,
in cui abbondantemente raccoglievano le cose all’umano vitto necessarie,
facendone anche parte alle altre convicine Provincie, godendo questa regione
grande amenità, e salubrità di cielo, per la quale, e per altre comodità era
ella molto da popoli frequentata, ed abitata, a volere di Gio. Antonio Magini
sopra Tolomeo, ove tratta del Sannio. E benché Marziale dica questa lor
ricchezza procedesse dall’arte gladiatoria, che i Sanniti esercitavano, come
dimostra in questi versetti: “Saturnalia
divitem Sabellum fecerunt, merito tumet Sabellus”. Non s’intende però per
la ricchezza in comune, e pe i tempi più antichi; ma per le persone
particolari, e ne’ tempi di questo Autore, nei quali a parer di Lipsio era
quest’arte in istima, e molto si esercitava.
Cap. VIII
Lodi da’
Scrittori dati a’ Sanniti
(...)