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San Potito Sannitico, sabato 30 giugno 2007, ore 18.

¢    Festa del grano

 

Il 28 giugno u.s. ho ricevuto il seguente graditissimo invito

da San Potito Sannitico: ¤

 

 

Con molto entusiasmo ho partecipato, insieme a mia moglie Anna Juanita De Lellis, alla suggestiva cerimonia che si è protratta fino a tarda sera.

In una incantevole fattoria di San Potito Sannitico abbiamo trovato autentici mietitori e, addirittura, …. un’antica trebbiatrice, perfettamente funzionante. Sotto i nostri occhi stupefatti i mietitori tagliavano le piante di grano raggruppandole e, successivamente, la trebbiatrice ne ha ricavato paglia (che è stata accumulata in un “metale”) e grano che è stato riversato in sacchi di tela.

Durante il lavoro inconsueto di quelle persone, che ci hanno fatto vivere alcune ore di altri tempi, la Sig.ra Emilia Conte ha tenuto un discorso sul significato della festa del grano, in cui ha descritto con molti particolari le antiche attività lavorative dei nostri paesi, in particolare soffermandosi sulla mietitura e la trebbiatura del grano.

A termine delle operazioni un banchetto, basato su prodotti genuini d’altri tempi, ci è stato servito in grande allegria, mentre un bravo fisarmonicista allietava la cerimonia e molti ballavano danze antiche.

Preso da entusiasmo ho chiesto alla Sig.ra Emilia e agli altri organizzatori d’inviarmi una relazione sul discorso e delle foto, da pubblicare sul Portale dell’ASMV (Associazione Storica del Medio Volturno).

 

   

La promessa è stata mantenuta, perché la Sig.ra Anna Lisa Golvelli, della Pro loco di San Potito, mi ha inviato un messaggio, che qui sotto ho riportato, ed il testo del discorso della Sig.ra Emilia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Maria Rosaria Antonucci

Presidente della Pro loco

di San Potito Sannitico

 

Alla c.a. del Prof. Giugliano

 

Gentile professore, mi hanno riferito che desiderava avere del materiale sulla festa del grano. 

Quello che segue è il testo letto dalla Sig. Emilia durante la festa.  

Le foto, invece, Le può trovare sul sito internet www.prolocosanpotito.it .

Spero di essere stata esauriente.

 

Anna Lisa Golvelli

della pro loco di San Potito Sannitico

 

TESTO

La maggior parte dei prodotti che consumiamo quotidianamente derivano dal grano: li troviamo pronti e ben confezionati nei negozi e spesso i piccoli ci chiedono: «da dove provengono? come sono stati prodotti?».

 

Oggi noi proviamo a dare una risposta alla loro curiosità. Anche per non dimenticare le nostre radici ed i sacrifici dei nostri genitori.. vogliamo far rivivere alcuni di quei tempi belli re na vote.

 

I contadini, nel mese di ottobre e novembre, preparavano i campi per la semina, lavorandoli con l’aratro, il voltorecchi e la pertecara trainati dai buoi o dai cavalli.

 

Quando il terreno era pronto si seminava: il contadino prendeva il grano nel pugno e lo spargeva sul terreno, i chicchi venivano interrati con un attrezzo chiamato erpice. In seguito sono state inventate  macchine seminatrici e ciò è solo un ricordo. Le piantine venivano poi ripulite dalle erbacce, si effettuava il cosiddetto ammunnà lu rano. Più persone insieme si recavano nei campi e con ’u zappetegliu, una piccola zappa, eseguivano tale lavoro.

 

Quando il grano era maturo, per non farlo mangiare dagli uccelli, si disponevano nei campi in bella posta degli spaventapasseri.

A fine giugno, quando le messi erano ben dorate, ed i semi maturi, si effettuava la mietitura. I contadini, forniti di falcetto e di cannelle, protezioni fatte con pezzi di canna nei quali venivano infilate le dita per proteggerle da eventuali tagli, davano il via alla mietitura. Il grano mietuto veniva legato con le stesse spighe, la casa, in fasci, le regne.

 

     Le regne venivano ammucchiate in pignuni, i covoni, i quali  erano poi esposti al sole  con le spighe rivolte verso l’alto per farle seccare bene. Dopo questa fase le regne venivano portate nelle aie dei contadini con carri trainati dai buoi. In tempi più remoti le regne venivano sparse nell’aia, e quando il sole era alto nel cielo e le spighe ben secche, i contadini con ri uvigli, bastoni fatti con due pezzi di legno, scugnavano lu ranu, ovvero separavano i semi dalla paglia. Con le furcine, ossia forconi di legno, sollevavano la paglia e la ammucchiavano di lato, e con la scopa fatta di frasche, piccoli rami, ammucchiavano i chicchi. Nel pomeriggio, quando soffiava il venticello, il grano veniva menato, per liberarlo dalla pula e per ripulirlo ancora meglio, venivano usati i vanegli che servivano per setacciare il grano.

 

     Il grano pulito veniva spaso nelle aie per farlo sulià, ovvero asciugare al sole.

Durante la giornata, spesso, anche i bambini a piedi scalzi, sulecavuno lu rano, rivoltavano il grano per farlo seccare bene. Il grano pulito ed asciutto veniva messo nei cesti e con questi versato in sacchi di juta e conservato nel granaio.

 

     I contadini, a seconda della necessità, prendevano i sacchi e li trasportavano al mulino, ed il grano veniva trasformato in crusca per gli animali e farina da usare per dolci, pane e pasta. Anche per l’orzo e la biada si procedeva allo stesso modo, e questi, macinati o non, costituivano il cibo per gli animali.  In seguito, dopo la guerra, misero in commercio le prime trebbie ed i primi trattori, si cominciò quindi a trebbiare il grano con le macchine, rispettando un turno di prenotazione. Il lavoro era sempre tanto, ma i inusitati erano migliori. Le regne venivano ugualmente ammucchiate nell’aia, e quando arrivava il turno di prenotazione, veniva la trebbia che, posizionata adeguatamente, ed azionata da un trattore, iniziava la trebbiatura. In questa occasione i contadini usavano scambiarsi le giornate, perché il lavoro, richiedeva sempre molta manodopera. In una nuvola di polvere cera chi saliva sulla meta di regne, e lanciava una regna per volta sulla trebbia, chi prendeva queste regne e le infilava dall’alto nell’imboccatura di un foro nel cui fondo venivano battute, chi, soprattutto le donne, nella parte anteriore prendevano con delle lenzuola di juta la paglia per portarla alla meta, ove altri erano impegnati a realizzarla.

 

     Più tardi questo duro lavoro è stato sostituito dalle ballatrici, dalle quali la paglia fuoriesce già formata in balle. A tutto ciò si aggiungeva chi scansava la cama, per non far ingolfare la macchina, chi controllava che le cinghie funzionassero a dovere, chi controllava che i setacci non si otturassero, chi prelevava il grano con i cesti, chi segnava la quantità dei cesti.

Tutto ciò era molto faticoso e si svolgeva costantemente sotto il sole. Era una grande festa, nonostante l’immane lavoro: si stava tutti insieme, ci si scambiavano favori, si cantava in allegria, si mangiava, si beveva in compagnia, si ballava e si ringraziava il Signore per il raccolto.

    

    

     FOTO

 

     Dal sito della Pro loco di San Potito ho, infine, prelevato alcune fotografie di quell’evento indimenticabile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Michele Giugliano

 

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