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Un episodio di brigantaggio compiuto in
territorio di Ruviano dallE bande di Cosimo Giordano e Liberato de Lellis.
di Michele
RUSSO
La
battaglia del Volturno dei giorni 1 e 2 ottobre 1860 segnò di fatto la
sconfitta dell’esercito borbonico e l’annessione del Regno delle Due Sicilie a
quello d’Italia[1]. Dopo la resa di Gaeta e la
capitolazione della cittadella di Messina e di Civitella del Tronto, Francesco
II si era rifugiato a Roma e da li imbastiva una vasta e organizzata congiura
che coinvolse tutto il Mezzogiorno[2].
L’obiettivo
era quello di riportare i Borboni sul trono di Napoli; furono costituite
segrete formazioni militari, composte da renitenti alla leva, disertori, uomini
appartenenti al disciolto esercito borbonico, evasi dalle carceri, reazionari e
scontenti; essi facevano capo al Comitato centrale di Napoli che teneva segreta
corrispondenza con Roma e con un focolaio borbonico a Marsiglia ed avevano il
compito di far scoppiare ovunque sommosse e rivolte contro il nuovo Stato[3].
Di
fatto le insurrezioni scoppiarono nella primavera del ‘61 in Basilicata cui
seguirono azioni in Puglia, Campania e Abruzzo. Lo stabilizzarsi della
situazione internazionale vanificò il sogno borbonico di rientrare nei domini
meridionali ma non pose fine agli atti di guerriglia contro lo Stato che
durarono nelle nostre contrade per circa un decennio producendo quei fatti che
la storiografia filo borbonica ha tramandato come episodi di patriottismo,
volti a restaurare la legittima monarchia, mentre quella liberale, più copiosa,
li ha definiti “episodi di brigantaggio”[4].
Gli
studi condotti sugli avvenimenti a nord di Terra di Lavoro, e precisamente
intorno al Matese, fulcro dell’attività realista, consentono di discriminare
quelli che realmente possono considerarsi fatti di guerriglia filo borbonica,
compiuti nei primi due o tre anni del ’60, dagli episodi di banditismo, o come
suol dirsi brigantaggio, che poco hanno a che vedere con la guerra
legittimista, non foss’altro che per la matrice di grassazione, rapimento,
furto e omicidio a carico di singole persone, anche se eseguite con il
dichiarato motivo di sovvenzionare la lotta partigiana ; ma appare
palesemente che servivano a dare il sostentamento alle piccole bande di
briganti[5].
Dalle
accuse volte ai vari individui arrestati emerge che già dal 1862 il
brigantaggio si presentò prevalentemente come la manifestazione di una lotta di
classe condotta da contadini in rivolta contro i loro padroni e contro lo Stato
unitario nel quale vedevano l’incarnazione dei galantuomini che li avevano
taglieggiati ed angustiati per tanti anni[6].
Queste fonti vanno però lette dando il giusto peso alle accuse volte a tali
uomini da chi aveva tutto l’interesse per sminuire la matrice politica e far
passare questi episodi per pura criminalità.
E’
comunque noto l’attaccamento ai Borboni delle genti delle nostre contrade,
quelle nella parte nord di Terra di Lavoro, data la vicinanza di Caserta e la
presenza di numerose Reali Cacce; la popolazione vedeva materialmente la
presenza dei Sovrani che amavano trascorrere i momenti di svago proprio in
queste zone. E questa presenza dava sostentamento alla gente; si ricordano i
maestosi lavori per la costruzione della Reggia casertana che occuparono
numerose maestranze per l’estrazione delle materie prime, per il trasporto e
per la manovalanza nella realizzazione dell’opera; quel sostentamento che
consentiva alla gente di sopravvivere in quello scorcio di secolo in cui
l’arretratezza dell’agricoltura e l’assenza di possibilità di sviluppo
alternativo produssero una crisi destinata a perdurare fino al nostro[7].
La battaglia di Caiazzo del 19 e 21 settembre del ‘60, poi, mette completamente
in evidenza di cosa erano capaci i realisti del caiatino per difendere il loro
Stato e forse anche il loro status[8].
Dal
plebiscito del 1860 in Terra di Lavoro tutti i comuni al di qua del Volturno
furono esclusi perché non ancora conquistati dai piemontesi[9]; non sappiamo, quindi, come
si sarebbe espressa la popolazione circa la volontà di annessione al Regno
d’Italia. Anche sulla bontà dei risultati nei comuni votanti restano ombre di
dubbio; chissà cosa sarebbe venuto fuori se la gente fosse stata veramente
libera di votare senza avere sul collo il fiato dei garibaldini.
Certo
di liberali nel Regno ce n’erano[10]. Ci riferiamo però a
persone colte e di norma borghesi, non alla massa che notoriamente era
ignorante e nemmeno alla nobiltà cui conveniva la fedeltà al monarca borbonico.
Una ristretta elites, dunque, quella che favoriva l’unità d’Italia e l’avvento
della Casa Sabauda; i più erano per i Borboni non foss’altro, ed è naturale,
che da quando erano nati quelli erano i loro Sovrani e quello delle Due Sicilie
il loro Regno.
La
nascita del brigantaggio nel territorio matesino
Comunque,
Garibaldi con la sua impresa riuscì a consegnare l’intero Stato al monarca
sabaudo e quindi all’Italia[11]. La fine della campagna dei
Mille fece sì che circa settantamila soldati borbonici e ventimila volontari
garibaldini rimanessero disoccupati e tornassero alle loro case[12].
Qui
essi trovarono la povertà che avevano lasciato arruolandosi, nessuna
possibilità di reinserimento nel ciclo produttivo, che si era ulteriormente
assottigliato, e in più una Guardia Nazionale, voluta dai Savoia, che li
guardava come possibili legittimisti, giacché subito dopo la resa dell’esercito
borbonico la guerra si trasformò in guerriglia sovvenzionata dalla Casa Reale,
e combattuta da nuclei del disciolto esercito con al comando ufficiali che
ancora non avevano perso le speranze di riportare sul trono il loro Re[13].
Per
molti di essi, i combattenti di tante battaglie, temuti e stimati fino alla
resa di Capua, fu quasi naturale rispondere a provocazioni di liberali o a
maltrattamenti del governo costituito e a darsi alla macchia, sui monti, dove
ritrovarono vecchi compagni d’arme e nuovi commilitoni insieme a cui tentare di
modificare lo stato delle cose che per loro, così, non poteva proprio andare.
Questi, in sintesi, gli avvenimenti che portarono alla nascita del brigantaggio[14].
Tra
il 1861 e il 1862 vengono registrati nel medio Volturno numerosi episodi di
guerriglia portati a compimento di bande ben organizzate, collegate tra di loro,
tanto da rendere palese la presenza di un unico grosso esercito, adattatosi
alla lotta partigiana, che eseguiva ordini venuti direttamente dagli ambienti
vicini a Francesco II da Roma. Oggetto delle rappresaglie furono i corpi della
Guardia Nazionale, i liberali di spicco ed anche l’esercito Italiano che fu
inviato in zona per sedare la rivolta[15].
Questi fatti sono stati abbondantemente narrati e rimandiamo ai già citati
studi specifici per i necessari approfondimenti.
L’attività
brigantesca nel medio Volturno all’inizio del 1863
Il
territorio del Medio Volturno, nei primi mesi del ‘63 era infestato da numerose
bande di briganti che, come si vedrà di seguito, a volte agivano da sole ed a
volte riunite tra di loro. Ognuna di esse operava in un territorio più o meno
esteso ma non c’era la suddivisione dei territori tra bande, anzi in ogni zona
del Medio Volturno e del Matese rileviamo la presenza stabile di più bande.
La
banda di Cosimo Giordano, operava nei territori di Cerreto, Cusano, Pietraroia,
Gioia, Faicchio, Piedimonte, il Molise e la montagna del Matese. Dai capi
d’imputazione rileviamo in data 9 gennaio l’assassinio commesso in persona di
V. D’Andrea e il mancato omicidio di G. D’andrea; il 23 gennaio, in Ruviano la
grassazione ed estorsione a carico di Luigi Mastroianni e Colomba Franco e
rapimento di Giuseppe Mastroianni e Giuseppe Franco che approfondiremo di
seguito; il 13 marzo, in San Potito, il sequestro del sacerdote Ascanio Amato;
il 18 marzo, sul Matese, lo scontro a fuoco con la Guardia Nazionale di
Piedimonte in cui restarono uccisi 5 briganti e 2 militi[16].
La
banda di Salvatore Dell’Ungaro operava nei territori di Gioia, Calvisi,
Faicchio e montagna del Matese e di Piedimonte. Si rileva in data 5 gennaio, in
Carattano di Gioia, l’omicidio nella persona di G. Di Chello; nel febbraio, in
Caselle di Gioia, la tentata estorsione per mezzo di minacce di morte, con
incendio e grassazione, nella casa di A. La Vecchia; l’8 marzo, in San Potito,
la grassazione con percosse, estorsione, minacce di morte e maltrattamenti in
persona del sacerdote Ascanio Amato; il 18 marzo, sul Matese in località
Vallone Cusanaro, lo scontro a fuoco e omicidio di due militi della Guardia
Nazionale di Piedimonte e la ribellione contro la forza pubblica incaricata per
l’arresto della banda[17].
La
banda di Liberato De Lellis operava nei territori di Gioia, Calvisi, Faicchio,
la montagna del Matese e di Piedimonte. Il 5 gennaio, in Carattano di Gioia,
partecipò all’omicidio di Giovanni di Chello; il 22 gennaio, in Ruviano, alla
grassazione ed estorsione a carico di Luigi Mastroianni e Colomba Franco e al
rapimento di Giuseppe Mastroianni e Giuseppe Franco; l’8 marzo, in San Potito,
alla grassazione con percosse, estorsione, minacce di morte e maltrattamenti in
persona del sacerdote Ascanio Amato; il 21 marzo, vi fu la ribellione contro la
forza pubblica incaricata dell’arresto dei malfattori, mediante attacco,
resistenza, violenza e vie di fatto; il 22 marzo, in Casella di Gioia, compì la
tentata estorsione per mezzo di minacce di morte, con incendio e grassazione,
nella casa di A. La Vecchia; il 24 marzo, la tentata estorsione a danno di D.
Mennone[18].
La
banda di Vincenzo Arcieri operava nei territori di San Potito, Piedimonte,
Cusano, Alife e sul Matese. L’8 marzo, in San Potito, partecipò alla
grassazione con percosse, estorsione, minacce di morte e maltrattamenti in
persona del sacerdote Ascanio Amato; il 18 marzo, sul Matese alla località
Vallone Cusanaro, partecipò allo scontro a fuoco e omicidio di due militi della
Guardia Nazionale di Piedimonte e fu imputata di ribellione contro la forza
pubblica incaricata per l’arresto della banda[19].
La
banda di Antonio Sartore operava nel circondario di Piedimonte, tenimento di
Baia e Latina e montagna del Matese. Sartore si costituì il 7.10.63 insieme a
due dei tre componenti la banda. L’ultimo fu arrestato[20].
La
banda di Libero Albanese operava sul Matese e nei Circondari di Piedimonte,
Cerreto e Isernia. Il 12 marzo fu predisposto un piano per la cattura di della banda
di A. attuato dal sindaco di San Potito dal sotto prefetto di Piedimonte
fallito per l’intervento anticipato dei Carabinieri[21].
La
banda di Domenico Fuoco operava sui monti di Presenzano, nelle adiacenze di
Roccapipirozzi, lungo la linea delle Mainarde, nel demanio di Pozzilli, in
Terra di Lavoro e nell’estate, sulla montagna del Matese. Il 23 luglio fu
affisso l’avviso di Taglia per la cattura di D. Fuoco; il 29 luglio l’autorità
fu avvertita circa l’intenzione di assalire Roccamonfina dalle bande riunite di
D. Fuoco e di Maccarone[22].
La
banda di Francesco Guerra operava sulla linea delle Mainarde, nelle adiacenze
di Roccapipirozzi, del demanio di Pozzilli e sul Matese, con preferenza il
tenimento di Letino. Il 25 luglio fu affisso un avviso di taglia per la cattura
di F. Guerra[23].
La
banda di Alessandro Pace operava sui monti di Presenzano, nelle adiacenze di
Roccapipirozzi, lungo la linea delle Mainarde, nel demanio di Pozzilli e
nell’estate, talvolta, sul Matese. Il 25 luglio fu affisso un avviso di taglia
per la cattura di A. Pace[24].
L’episodio
di bribantaggio avvenuto a Ruviano
In
un episodio di brigantaggio avvenuto a Ruviano nel 1863 furono coinvolti i
briganti Cosimo Giordano[25], Liberato de Lellis[26] e Raffaele Pascale[27].
La
sera del 22 gennaio 1863 quaranta individui, tutti armati, appartenenti alla
banda del Giordano, penetrarono nella casina di Luigi Mastroianni e di Colomba
Franco, posta nella campagna di Ruviano, e depredarono costoro di fucili,
biancheria, un orologio a catena, salami e 400 ducati. Poi sequestrarono
Giuseppe Mastroianni e Giuseppe Franco e li portarono con loro sulle montagne[28].
Furono
inviati alle famiglie biglietti in nome di Cosimo Giordano e Liberato de Lellis
per la richiesta di riscatto: per il Mastroianni furono ottenuti 120 ducati
mentre per il Franco ne furono ottenuti 1000. I prigionieri non furono poi
rilasciati e si salvarono qualche giorno dopo con la fuga. Una storiola
tramandatasi a Ruviano dice che il padre di uno dei due dopo aver saputo della
fuga del figlio si precipitò per fermare l’emissario che stava portando il
riscatto al Giordano e nel tentativo di raggiungerlo verso Piedimonte fece
morire il cavallo di stanchezza[29].
In
questa vicenda fu coinvolto anche un ruvianese arrestato nel 1863 proprio per
tal reato. Si trattava di Raffaele Riccio fu Cristoforo, nato intorno al 1830,
denunciato dal citato Luigi Mastroianni e accusato di complicità nei reati
sopra descritti[30].
Il
Mastroianni, durante il processo, raccontò che il Riccio qualche giorno prima
dell’accaduto gli aveva esternato che era giunto il momento di togliersi delle
soddisfazioni. All’affermazione del primo di non aver paura perché non aveva
fatto male a nessuno questi avrebbe ribattuto che se l’interlocutore fosse
stato assalito da un certo numero di briganti si sarebbe visto se avesse avuto
paura.
In
più l’accusatore aggiunse che Riccio avrebbe inviato un messo a Cosimo
Giordano, in persona di tal Domenico Torelli, per richiedergli i cento ducati a
lui promessi dal brigante e per avvertirlo di trattenere Giuseppe Mastroianni
in quanto la famiglia di questi si accingeva a spedire il riscatto richiesto.
In
base alla denuncia del Mastroianni, il Riccio fu arrestato e subì il processo
la cui sentenza fu emessa il 12 novembre 1863. Il giudice istruttore non
ritenne dover procedere a carico del Riccio e ordinò che questi fosse rimesso
in libertà. Dall’istruttoria erano emersi malumori preesistenti al reato tra il
Riccio e il Mastroianni che a questo punto non fu considerato un teste
attendibile e siccome il detenuto non risultava iscritto nelle liste dei
manutengoli, i sostenitori materiali dei briganti, fu prosciolto dall’accusa in
quanto dall’istruttoria non erano emersi sufficienti indizi di reato[31]. Non fu così per gli altri
tre imputati, assenti, per i quali furono inviati gli atti alla Corte di Assise
competente per questo genere di reato.
Considerazioni
sulla matrice del reato
Volendo
analizzare ora la matrice dell’accaduto bisogna verificare chi fossero Luigi Mastroianni,
Colomba Franco e Raffaele Riccio.
Il
primo risulta consigliere comunale nel 1862, così come lo risulta un Nicola
Franco parente di Colomba; nessuno dei due è tra i componenti del decurionato
negli anni precedenti[32]. Ritroviamo però membri
delle due famiglie tra i componenti dei decurionati di vari anni addietro e
sappiamo bene come l’inserimento nelle liste degli eligibili era consentita
solo ai benestanti[33]. Nel 1863, Nicola Franco
era capitano della Guardia Nazionale di Ruviano mentre Luigi Mastroianni ne era
Luogotenente, carica che deteneva anche nel 1864.
Il
Riccio, figlio del medico Cristoforo, apparteneva ad una delle famiglia più in
vista del paese, spesso presente nei decurionati o tra gli ufficiali
amministrativi del comune sotto la dinastia borbonica[34].
Gli
indizi lasciano supporre che i defraudati fossero di idee liberali mentre
l’accusato fosse filo borbonico; ciò spiegherebbe l’intervento dei briganti e
avvalorerebbe l’accusa del Mastroianni. Quanto ai dissapori tra i due non è
dato sapere se fossero di natura privata o politica. Certo è che questo fu
l’unico episodio di brigantaggio che vide coinvolti personaggi di Ruviano[35].
Altra
nota da mettere in evidenza è l’associazione di Cosimo Giordano con Liberato de
Lellis. Dal processo si evince che i biglietti di riscatto furono firmati dai
due capi e che tra gli accusati risulta Pascale il quale apparteneva alla banda
di Giordano. Ciò confermerebbe la partecipazione al fatto di entrambe le bande,
anche perché come detto la banda de Lellis comprendeva una decina di persone
mentre al fatto ne parteciparono quaranta. Questo consente di stabilire che
quella di Liberato de Lellis era collegata alla banda di Cosimo Giordano, fatto
non ancora emerso dagli studi compiuti sul brigantaggio nel distretto di
Piedimonte. Evidentemente in quel periodo de Lellis collaborava con Giordano,
ma manteneva il comando sulla sua banda e proprio per tal motivo entrambi
firmarono le richieste di riscatto.
In
conclusione appare lecito affermare che l’episodio di Ruviano non fu un fatto
di brigantaggio ma rientra tra quelli di guerriglia compiuti dai realisti
contro i liberali e la Guardia Nazionale, nel nostro caso in persona di due
ufficiali del corpo di Ruviano. Sia i realisti che i liberali lottavano per le
loro idee e per la loro patria, entrambe le fazioni meritano riconoscimento e
rispetto per il loro operato che andava ben oltre gli scopi personali ma
interessava il futuro della loro terra e della loro gente.
Appendice[1]
Santamaria
li dodici novembre 1863
Il Giudice Istruttore
presso il
Tribunale circondariale di
Santamaria
Letti i presenti atti in
quattro volumi
a carico di
assente Cosmo
Giordano del comune di
Cerreto
idem Liberato
de Lellis, del comune dei
Curti di Gioia
idem Raffaele
Pascale, del comune
di Cusano
ed
altri 40 individui non conosciuti ancora;
imputati
1°
di
associazione in banda armata ad oggetto di distruggere la forma del Governo;
2°
di
grassazione accompagnata da violenze commesse da più di due persone armate in
danno di Luigi Mastroianni e Colomba Franco del comune di Raiano; e
3°
di
sequestro di due persone (Giuseppe Mastroianni e Giuseppe Franco) commesso con
violenza e tormenti corporali.
4°
Reati
avvenuti nel tenimento del comune di Raiano ai 22 gennaio 1863.
ed a carico di
carcerato Raffaele
Riccio, del fu Cristofaro di anni 33, di Ruviano possidente.
imputato
di
complicità nei suddetti tre reati.
Letta la requisitoria del “M” al folio 96, con che
chiede non farsi luogo ad ulteriore procedimento contra del suddetto Raffaele
Riccio e mettersi in libertà; rinviarsi poi gli atti al Procuratore Generale
della Corte di Appello per l’ulteriore procedimento degli altri prevenuti.
Poichè la istruttoria rileva ciò che segue:
Una
banda brigantesca di circa quaranta individui scorrazzando verso il cader del
giorno 22 gennaio 1863 per le campagne circostanti allo abitato del comune di
Ruviano o Raiano, invadea successivamente a mano armata la casina di Luigi
Mastroianni e Colomba Franco, depredando fucili, biancherie, un orologio con
cateniglia, salami, e per ultimo la somma di ducati 400 pari a lire italiane
1700 in contante. Nè paghi di ciò que’ masnadieri sequestravano le persone di
Giuseppe Mastroianni e Giuseppe Franco, che seco loro condussero sulla montagna
di Gioia, usando verso i medesimi violenze e maltrattamenti, e mettendo a
prezzo il loro riscatto mercè biglietti ed imbasciate orali spedite a nome dei
capi banda Cosmo Giordano e Liberato de Lellis alle rispettive famiglie di essi
catturati, dalle quali vuolsi abbiano ottenuto circa ducati 1120; da quella di
Mastroianni cioè ducati 120, e dalla altra intorno a ducati 1000. Dopo ciò,
escorsi alquanti giorni, riuscì ai ridetti sequestrati evadere dalle mani di
quei tristi, e far ritorno alle loro case. Comunque non fossero stati tutti
riconosciuti i componenti dell’orda misfattrice, non cade dubbio per le pruove
raccolte che fosse la stessa capitanata dai mentovati Cosmo Giordano e Liberato
de Lellis indicati dagli ostaggi ed altri, ed il prosieguo delle inquisizioni a
pur liquidato fra gli altri un Raffaele Pascale di Cusano.
Intanto
il danneggiato Luigi Mastroianni denunziava alla giustizia l’altro rubricato
Raffaele Riccio come colui che sarebbe stato complice degli enunciati crimini,
dal perchè qualche giorno prima che avvenissero aveagli fatto delle
esternazioni assai sospette, parlandogli in questi termini “ora è tempo di
levarsi qualche soddisfazione” facendo con ciò allusione al brigantaggio. e
poichè esso Mastroianni gli rispose di non aver timore non avendo fatto male a
chicchessia, l’altro replicò “se poi ti vedessi assalito da un certo numero di
briganti allora diresti se ai paura”. Aggiungeva dippiù il Mastroianni che il
prevenuto Riccio avrebbe mandato per certo Domenico Torelli a chiedere al capo
brigante Cosmo Giordano la somma di ducati 100 da costui promessagli, e ad
avvertirlo di trattenere il catturato Giuseppe Mastroianni, dacchè la famiglia
di lui si accingea di spedire il danaro pel riscatto. Le pruove istruite però
non sorreggevan punto il dedotto del Luigi Mastroianni, rilevando invece che
tra esso e l’imputato Riccio preesistevano dei Malumori.
Poichè
il fatto suespresso riunisce i caratteri dei crimini come sopra definiti a peso
di Cosmo Giordano, Liberato de Lelli, e Raffaele Pascale, giusta gli articoli
162 e seguenti, 596 e seguenti codice penale, la cui cognizione spetta alla
Corte di Assisie (art. 2,13 cod. pen. 9 cod. proc. pen.) E sufficienti indizii
di reità raggiungono i rubricati Giordano, de Lellis, e Pascale, come dagli
esposti elementi processuali.
Poichè
diversamente è a dirsi dell’altro prevenuto Raffaele Riccio, pel quale la
istruttoria, secondo che si è dinanzi notato, non a sufficientemente basata la
reità.
Letti
gli articoli “239” e “244” cod. proc. pen.
Uniformemente
alla citata reg.a del M”P”
Dichiara
1°
Non
esservi luogo a procedimento contro Raffaele Riccio, ed ordina che lo stesso
sia rilasciato in libertà.
2°
Ordina
poi trasmettersi gli atti al Procuratore Generale della Corte di Appello per
procedersi sul conto degli altri rubricati Cosmo Giordano, Liberato de Lellis,
e Raffaele Pascale pe’ carichi succennati a norma della Legge.
[firma]
1 Novembre 63
Si è data esecuzione alla libertà di Raffaele Riccio
non resultando allibbato fin oggi nel Registro de’
so-
spetti manutengoli de’ briganti
[firma]
Perquisizione per
1°
Raffaele
Pascale di Cusano
2°
Liberato
de Lellis fu Giovanni di Gioia Sannitica
3°
Cosmo
Giordano fu Generoso di Cerreto
I medesimi, oltre del presente carico si sono
trovati ancora imputati cioè
Per Pascale
1° Senza indicazione di padre. Furto qualificato in
danno di Nicola, ed Orazio Venditto, la G.C. ai 29 luglio 1844 decise di
conservarsi gli atti in archivio.
2° Figlio di Giovannantonio. Cusano. Furto
qualificato in danno di Vittoria Camelio in maggio 1845.
3° Furto qualificato in danno di Gregorio, Loffredo
ed altri con pubblica violenza, nonchè mancato furto in danno di
Francescantonio Caso in giugno 1845.
5° Furto qualificato in danno di D. Giovan Battista
Malatesta in giugno 1845.
6° Arrestato per ricettazione di oggetti furtivi
appartenenti ai furti in danno di Giovannangelo Caso, ed altri.
La Gran Corte ai 29 maggio 1846 decise di
conservarsi gli atti in archivio sino a nuovi lumi.
Per de Lellis
1°
Tentato
furto qualificato, danno volontario, ed ingiurie in pregiudizio di D.
Bartolomeo de Marsiliis, e la Gran Corte ai 31 maggio 1842 decise conservarsi
gli atti in archivio per il tentato furto e per tutt’altro dichiarò la
competenza correzionale.
2°
Insulti,
violenze, e minacce contro la gendarmeria Reale composta degli individui
Pasquale Ferone, ed altri in maggio 1855 la Gran Corte ai 21 luglio d. anno
decise di conservarsi gli atti in archivio sino a nuovi lumi.
3°
Omicidio
volontario in persona di Pasquale di Pasquale in settembre 1860, e la G. Corte
a 20 luglio 1861 decise di conservarsi gli atti in archivio.
4°
Banda
armata avente per oggetto di suscitare la guerra civile; e di distruggere
l’attuale Governo, che a disarmato il posto della Guardia Nazionale del Casale
di Calvisi, e del Comune di Gioia, rompendo lo scudo con lo stemma Reale di
Savoja, con aver tirato anche un colpo di fucile al Caporal furiere di detta
forza Giacinto Riccio in agosto 1861, e la Gran Corte ai 5 aprile 1862 spedì
mandato di arresto contro detto de Lellis. Gli atti a 20 maggio 1862 furono
spediti alla Corte di appello.
5°
Banda
armata, avendo per oggetto di abbattere l’attuale Governo, e con ordinanza del
12 agosto 1862 fu disposto di trasmettersi gli atti alla Corte di appello.
6°
Tetata
grassazione con percosse in danno, ed in persona dei coniugi Gabriele Raccio, e
Maria Pascale in gennaio 1862.
7°
Banda
armata, e tentata estorsione in danno di Filippo, e Vincenzo Pietrosimone in
luglio 1862.
8°
Banda
armata con estorsione in danno di D. Achille del Giudice.
9°
Associazione
di malfattori con grassazione in danno di D. Marcellino Campochiaro, ed altri
con minacce di morte in luglio 1862.
10°Tentata estorsione in danno di D. Nicola
Ventriglia per mezzo di minacce in luglio 1862.
11°Organamento in banda armata.
12°Grassazione di lire 255 con percosse, ed
estorsione di lire 1325,97 con minacce di morte ed altro in danno del Sacerdote
D. Ascanio Amato.
13°Grassazione di lire 78,83 accompagnate da
minacce, e sequestro a danno delle persone di Raffaele Messina, ed altri.
14°Sequestro con minacce di vita nelle persone
di Saverio, ed altri della Valle.
15°Ribellione contro la forza pubblica con
attacco, e resistenza in marzo 1863.
16°Banda armata con grassazione in danno, ed in
persona di Nicola Vitelli, ed altri.
17°Grassazione in danno della Marchesa di Gioia
D. Livia d’Oria.
18°Associazione di malfattori con tentata
estorsione in danno di Abele Riccitelli, ed estorsione con sequestro in danno
di Antonio Ricigliano.
19°Associazione di malfattori con estorsione e
sequestro delle persone in danno di D. Giovanni d’Onofrio ed altri.
20°Tentata estorsione con minacce di morte, e
grassazione in danno di Angelo la Vecchia in febbraio 1862.
21°Banda armata con attacco, e resistenza, ed
omicidi nelle persone di Francesco Aquino e Cirillo Guglielli.
22°Grassazione da banda armata in giugno 1862.
Con ordinanza de’ 11settembre 18863 fu disposto trasmettersi tutt’i suddetti
atti alla Corte di appello in Napoli.
23°Associazione in banda armata, con grassazione,
e sequestro di persone in danno di Giuseppe Mastroianni, ed altri. Il carico è
pendente.
24°Tentata estorsione di d. 360 in danno di
Nicola Pietrosimone, e con ordinanza del primo giugno 1863 fu disposto non
esservi luogo a procedimento.
25°Tentata estorsione in danno di Daniele
Mennone con incendio di d. 951,29 in danno del detto Mennone in maggio 1863. Il
carico è pendente, e ai 9 marzo 1864 fu dichiarato non esservi luogo a
procedimento per essersene morto.
26°Ferite in persona di Giovannantonio Cassella
in agosto 1863. Il carico è pendente.
27°Estorsione con minacce di vita, e di danaro
in danno di Angelo e Pasquale de Gaetano, e Gio. Battista Gaudio in luglio
1863. Il carico è pendente.
[in margine] i suddetti due reati si sono riuniti
alla presente processura
Per Giordano
1°
Omicidio
volontario in persona di Alessandro Tortorella in aprile 1862.
2°
Grassazione
in danno di Luigi Valente.
3°
Banda
armata, e tentata estorsione in danno di D. Filippo, e D. Vincenzo Pietrosimone
in luglio 1862.
4°
Banda
armata ed estorsione in danno di D. Achille del Giudice.
5°
Banda
armata, e grassazione in danno di D. Michele Gaudio.
6°
Estorsione
di ducati 236 con sequestro e minacce di morte in persona di D. Michele Gaudio,
ed altri.
7°
Estorsione
di duc. mille in danno di D. Luigi Marone, ed altri in giugno 1862.
8°
Tentata
estorsione in danno di D. Nicola Ventriglia con minacce in luglio 1862.
9°
Organamento
di banda armata.
10°Grassazione di lire 255 con percosse, ed
estorsione di lire 1325,97 con minacce di morte, e sequestro in persona del
Sacerdote D. Ascanio Amato.
11°Grassazione di lire 78,83 con minacce, e
sequestro nelle persone di Raffaele Messina, ed altri.
12°Sequestro con minacce di vita nelle persone
di Saverio Federico, ed altri.
13°Ribellione contro la forza pubblica con
attacco, e resistenza contro gli Agenti della forza in marzo 1863.
14°Banda armata, attacco, e resistenza contro la
forza pubblica, ed a omicidio nelle persone Francesco di Aquino, e Cirillo
Guglielli in marzo 1863.
15°Grassazione qualificata in danno di Domenico
Fiontella in Agosto 1862.
16°Banda armata, e tentata estorsione con
minacce di morte, e sequestro di persona in danno di Alessandro de Lellis in
febbraio 1862. Con ordinanza de 11 settembre 1863 fu disposto trasmettersi
tutti i suddetti atti alla Corte di appello in Napoli.
17°Associazione a banda armata, e grassazioni
con sequestro di persone in danno di Giuseppe Mastroianni e Giuseppe Franco in
gennaio 1863. Il carico è pendente.
18°Organizzamento di banda armata con estorsione
di d. 250 in danno di Filippo Fragola, e sequestro di costui, e suo figlio
Giacinto con minacce di vita e recisione di una porzione di orecchia in persona
del Filippo in luglio 1863. Il carico è pendente.
[in margine] è stato riunito questo carico alla presente
processura
S. Maria Capua Vetere li quindici gennaio 1863.
Il Cancelliere
[firma]
Guida
rapida – lettera R
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[1]) Sulla battaglia del Volturno cfr. G.
BUTTA’, Un viaggio da Boccadifalco a
Gaeta - Memorie della rivoluzione dal 1860 al 1861, Milano, Bompiani, 1985;
A. IODICE, La battaglia del Volturno 1-2
ottobre 1860, in “Archivio Storico di Terra di Lavoro n. IV”, Caserta,
1975, pp. 121-156; La Battaglia del
Volturno 1-2 ottobre 1860, Napoli, 1990; A. MANGONE, L’armata napoletana dal Volturno a Gaeta, Napoli, 1972; P. PIERI, Garibaldi,
la battaglia del Volturno e l’unità d’Italia, in “Archivio Storico di Terra
di Lavoro n. III”, Caserta, 1964, pp. 637-648.
[2]) AA.VV., Catena Matesina e Brigantaggio negli anni 1860-1865, s.d., pp.
12-13. Sull’assedio di Gaeta cfr. AA.VV., L’assedio
di Gaeta (1860-1861), Napoli,
1990; F. LEONI, La deputazione di salute
di Gaeta durante l’assedio del 1860, in “Civiltà Aurunca”, n° 8/9, Marina
di Minturno, 1989, pp. 709-718 ; G, ALFINITO, E. LIGUORI, La Piazza di Gaeta ed il Parco d’Assedio
1860-61, Napoli, 1988.
[3]) AA.VV., Catena Matesina, op. cit., p. 13.
[4]) Sul Brigantaggio nel Circondario di
Piedimonte cfr. M. MONNIER, Notizie
documentate sul Brigantaggio nelle Provincie Napoletane dai tempi di Fra
Diavolo ai giorni nostri (1862), Napoli, 1965 ; R. DI LELLO, G.
PALUMBO, Brigantaggio sul Matese
1860-1880, Piedimonte Matese, 1983 ; G. PALUMBO, Cronologia del Brigantaggio sul Matese, in Annuario ASMV 1977, p.
190 ss.; Il brigantaggio postunitario
nella terra di Valle Agricola e l’attività della banda di Pietro Trifilio,
in Annuario ASMV 1979, p. 154 ss; Episodi
di brigantaggio nel mandamento di Caiazzo e l’attività della banda di
Ferdinando Ferradino, Piedimonte Matese, 1995; Episodi di brigantaggio nel tenimento di Letino, Piedimonte Matese, 1987 ; Brigantaggio meridionale. L’attività della
banda di Pietro Trifilio, Ailano, 1995 ; Il brigantaggio nel mandamento di Roccamonfina 1860-1870 ;
Roccamonfina, 1996 ; R. BUONDONNO, Cosimo
Giordano e il brigantaggio nella valle telesina, in Annuario ASMV 1979, p.
25 ss.; F. FIORILLO, Cosimo Giordano,
capo dei partigiani del Matese, in Annuario ASMV 1981, p. 53 ss; B. DE
NIGRIS, Il brigante Cosimo Giordano,
in Annuario ASMV 1983, p. 72 ss; A. DE SISTO, Tommaso di Mundo, il brigante letterato, in Annuario ASMV 1983, p.
79 ss; R. DI LELLO, Alcuni episodi del
brigantaggio postunitario nei territori di Cusano Civitella e Pietraroia,
in Annuario ASMV 1975, p. 65 ss; Un
episodio di brigantaggio post-unitario in Sant’Angelo D’Alife, il sequestro del
signor Antonio Carpentiero, in Annuario ASMV 1989, p. 27 ss.; P. RAPA, L’assalto dei briganti del 22 luglio 1865 in
San Potito Sannitico, in “Annuario ASMV 1993”, p. ; M. RUSSO, Ruviano olim Raiano tra storia e tradizioni,
Napoli, 1996, p.
[5]) Cfr. G. PALUMBO, Cronologia, op. cit. che riporta schede riepilogative delle
attività delle varie bande brigantesche che operarono nel medio Volturno. Da
esse emergono per i primi anni ‘60 le dichiarazioni dei briganti di combattere
per Francesco II, cosa che compare sempre più di rado nel periodo successivo.
Circa l’attività coordinata delle bande negli anni ‘60-’63 cfr. R. DI LELLO, G.
PALUMBO, op. cit., pp. 19-30.
[6]) AA. VV., Catena Matesina, op. cit., pp. 13-14.
[7]) Cfr. M. RUSSO, Ruviano, op. cit., p. 48; Aspetti
della civiltà contadina nel caiatino. Note preliminari, Ruviano, 1997, p.
9.
[8]) Sulla battaglia di Caiazzo cfr. A. DE
SIMONE, La battaglia di Caiazzo. 19 e 21
settembre 1860, in “AA.VV., Antonio De Simone nel ricordo dei suoi amici”,
Napoli, 1985, p. 19-40; Anonimo, La
battaglia di Caiazzo 19 e 21 settembre 1860; opera dattiloscritta, s.l.,
s.d. ; A. CATTABENI, Le giornate 19
e 21 settembre 1860 a Caiazzo, Caserta, 1908 ;L. SEVERINO, Gli sfortunati prodromi della battaglia del
Volturno. Caiazzo : 19 e 21 settembre 1860, Piedimonte d’Alife, 1950
[9]) S. FRANCO, Il plebiscito del 1860 in Terra di Lavoro, in “Civiltà Aurunca n°
5”, Marina di Minturno, 1985, pp. 423-438.
[10]) Lo dimostrano i fatti del ‘48 e ancor
prima quelli del ‘99 quando a Caiazzo fu piantato l’albero della libertà e fu
obbligato il vescovo d’Ambrosio a benedirlo Cfr. B. DI DARIO, Notizie storiche e biografiche della città e
diocesi di Caiazzo, Lanciano, 1941, p.184. Non bisogna dimenticare poi
l’attività politica di Decio Coletti nativo di Castel di Sasso. Cfr. G. PENDOLINO, Decio Coletti e Castel di Sasso, Napoli, 1989, pp. 12-62, Come non
bisogna dimenticare altri episodi come quello che vide protagonista durante i
moti del 1848 il parroco Pascarella di Latina. Cfr. G. FUSCO, Il processo per reato politico a Carlo Pascarella. Un episodio di propaganda
rivoluzionaria nel 1848 in Terra di Lavoro, Caserta, 1992. E neppure vanno
dimenticati tutti gli sforzi compiuti dal liberali del Medio Volturno nel ’60
per agevolare la conquista garibaldina. Cfr. G. PETELLA, La legione
del Matese durante e dopo l’epopea garibaldina (agosto 1860-marzo 1861),
Città di Castello, 1910 ; cfr. pure R. DI LELLO, G. PALUMBO, op. cit., pp.
11-19.
[11]) Sull’incontro di Garibaldi con Vittorio
Emanuele II cfr. L. BRIGUGLIO, La
cavalcata di Vittorio Emanuele II da Presenzano a Monte Croce, in “Archivio
Storico di Terra di Lavoro IX”, Caserta, 1988, pp. 73-83; O. BOVIO, Incontro a Taverna della Catena fra Vittorio
Emanuele II e Garibaldi, in “AA. VV., Garibaldi e il Movimento
liberal-democratico”, op. cit., p. XX; G. DI MUCCIO, L’incontro di Taverna Catena, “AA. VV., Garibaldi e il Movimento
liberal-democratico”, op. cit., pp. XXV-XXXII.
[12]) AA.VV., Catena Matesina, op. cit., p. 14.
[13]) R. DI LELLO, G. PALUMBO, op. cit., p. 19.
[14]) L’esposta sintesi è stata redatta al
solo scopo di introdurre il fatto di Ruviano senza intenzione di sminuire un
periodo complesso come quello del brigantaggio né semplificare argomenti che
meritano una trattazione ben più ampia e dettagliata.
[15]) Cfr. R. DI LELLO, G. PALUMBO, op. cit., pp. 19-27.
[16]) G. PALUMBO, Cronologia, op. cit. ,p.
205.
[17] Ivi, pp. 215-216
[18]) Ivi, pp. 218-219. Il Palumbo lo
denomina DI LELLO, mentre nel documento riportato in appendice viene denominato
DE LELLIS. Ci atteniamo a quest’ultima forma del cognome avendolo desunto da
atti ufficiali. Nulla vieta che lo stesso possa essere stato denominato con
entrambi i cognomi anche se lo stesso autore cita in nota 46 l’atto di morte,
desunto dal registro della parrocchia di A.G.P. di Piedimonte, in cui in latino
viene riportato il cognome “De Lellis” per il brigante ucciso.
[19]) Ivi, p. 225.
[20]) Ivi, p. 247.
[21]) Ivi, p. 220.
[22]) Ivi, p. 241.
[23]) Ivi, p. 244.
[24]) Ivi, p. 246.
[25]) Su Cosimo Giordano è stato scritto
molto. Egli fu un patriota, merito che non gli fu riconosciuto dalla Corte che lo
giudicò dopo l’arresto e lo trattò come un comune malfattore, condannandolo ai
lavori forzati a vita. Era nato a Cerreto il 15 ottobre 1839 e dopo un
ventennio trascorso come stalliere e poi garzone, con un omicidio sulle spalle
per il quale fu assolto dalla Corte criminale di Napoli, fu inquadrato tra i
Carabinieri a cavallo dell’esercito borbonico con il grado di caporale e
combatté a Capua nella battaglia del Volturno. Secondo la sua deposizione il
Re, in quel fatto di guerra, per le sue prodezze, gli conferì i gradi di
capitano di gendarmeria. Tornato al paese, dopo aver subito vessazioni e
minacce fu spiccato contro di lui mandato di cattura, per sfuggirvi nel maggio
del ‘61 Giordano si diede alla macchia sui monti del Matese. Qui costituì una
banda numerosa, tanto che fu necessario dividerla in quattro contingenti, e nei
primi anni successivi compì numerosi atti di guerriglia contro l’autorità
costituita facendosi quel nome destinato a portarlo nella storia. La sua
cultura non era delle migliori e nemmeno si può pensare ad una grossa
esperienza di comando dato il limitato periodo di permanenza nell’esercito
borbonico. E’ accertato però il suo attaccamento alla causa per cui combatteva;
non possiamo pensare di lui come di un qualunque malfattore, lo dimostrano le
azioni di quegli anni contro la Guardia Nazionale e contro l’esercito
piemontese mandato in zona per sedare la rivolta. Fu usato ed aiutato per la
causa dagli ambienti filo borbonici; usò ed aiutò a sua volta personaggi che
nulla avevano a che fare con la stessa. Briganti nel vero senso della parola,
personaggi che già avevano pendenze giudiziarie e che da tempo imperversavano
sui monti matesini, i quali sposarono la causa borbonica forse per usufruire di
qualche amnistia e sicuramente per trarne profitti. Ciò si accentuò, comunque,
nel secondo quinquennio del ‘60, quando le possibilità di riportare i Borbone
sul trono si affievolivano e il carisma di capi come Giordano veniva meno.
Questi, come altri suoi commilitoni, passava sempre più tempo fuori dal
territorio, nello Stato Pontificio, che non con i suoi uomini, i quali dovevano
pur sostenersi e quindi si attrezzavano in ricatti, ruberie, omicidi su
segnalazione e quant’altro potesse dargli profitto facendo sì che il ricordo
della guerriglia partigiana lasciasse il posto ai crimini comuni, tanto da
deviare non poco l’immagine iniziale del brigantaggio. E così dopo aver
viaggiato Londra e Roma, Giordano nel 1867 si stabilì a Marsiglia dove rimase
due anni. Nel 1869 era di nuovo a Cerreto dove compì ricatti e vessazioni per
poi tornare a Roma e quindi in Francia. Rientrò in patria nel giugno dell’80 e
nel luglio era di nuovo in Francia dove rimase fino all’82 quando a seguito di
uno stratagemma fu attirato in Italia e arrestato in data 25 agosto. La
sentenza fu pronunziata due anni dopo, il 25 agosto 1884, e come detto
prevedeva la condanna ai lavori forzati a vita. Fu condotto nel bagno penale di
Favignana dove morì nel 1888 a quattro anni dal suo arrivo. Cfr. G. PALUMBO, Cronologia, op. cit., p. 202 ss.;
BUONDONNO, Cosimo Giordano, op. cit.,
p. 25 ss.; F. FIORILLO, Cosimo Giordano,
op. cit., p. 53 ss; B. DE NIGRIS, Il
brigante Cosimo Giordano, op. cit., p. 72 ss
[26]) Alla banda di Cosimo Giordano
apparteneva Raffaele Pascale, nativo di Cusano; egli aveva precedenti penali
fin dal 1844 per aver commesso un furto, attività che continuò nel ‘45 con tre
ulteriori furti fino all’arresto per ricettazione di oggetti furtivi. Cfr. G.
PALUMBO, Cronologia, op. cit., p.
203, il quale, però, lo dà nativo di San Potito a differanza del documento in
appendice che lo dice nativo di Cusano.
[27]) Di Liberato de Lellis, invece, non si
sa molto. Era nato intorno al 1831 a Curti, casale di Gioia, e di professione
era bracciale. Si pose a capo di una piccola banda che comprendeva una diecina
di persone e nel triennio 1861-63 compì numerosi atti di violenza a persone e
cose alcuni dei quali riconducibili a guerriglia e parecchi a brigantaggio. Fu
arrestato il 6 dicembre 1863 e condannato due giorni dopo alla pena di morte. Cfr.
G. PALUMBO, Cronologia, op. cit., p
216.
[28]) M. RUSSO, Ruviano, op. cit., pp.
125-126; G. PALUMBO, Cronologia,
op. cit., p. 204 che riporta erroneamente il fatto all’anno 1862. Lo stesso
Palumbo mi ha comunicato l’errore di stampa consentendomi una più agevole
ricerca degli atti.
[29]) La leggenda è stata riferita da Sergio
Morelli di Ruviano a cui la raccontava sua madre.
[30]) M. RUSSO, Ruviano, op. cit., p. 125.
[31]) Archivio di Stato di Caserta, Corte
d’Assise Brigantaggio, Busta 34, corda 255.
[32]) M. RUSSO, Ruviano, op. cit., pp.
226-232.
[33]) Ivi, pp. 119-120.
[34]) Ivi, pp. 226-231.
[35]) Vi era stato in passato qualche altro episodio collegabile al brigantaggio e in particolare alla banda di Ferdinando Ferradino, ma non coinvolse i locali. Cfr. M. RUSSO, Ruviano, op. cit., p. 125; G. PALUMBO, Episodi di brigantaggio nel mandamento di Caiazzo e l’attività della banda di Ferdinando Ferradino, Piedimonte Matese, 1995.
[1]) Il documento è conservato presso l’Archivio di Stato di Caserta, Corte d’Assise brigantaggio, busta 34, corda 255, fogli 97-104.