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Notizie storiche su Roccaromana

 

(tratte da Raffaele Alfonso Ricciardi, Roccaromana – Monografia storica, 1887)

 

 

   I Longobardi (pp. 32-36)

 

Unico superstite della rovina della città sannita, nascosto a mezzo dai monti, restava sempre il Vicus Statilianus, misera frazione, e col succedersi degli anni la popolazione accrescendosi, non potendo più rimanersene quasi racchiusa nello stretto campo, a cui i colli facevan corona, parte dei suoi abitati, sempre lavoratori di terra, discesero nella vicina pianura e cominciarono ad abitarla. Però le prime case apparvero sparse, disgiunte, senza un nome speciale, ma a poco a poco la famiglia cresciuta, stretti parentadi con i paesi circonvicini, non volendo distaccarsi dalla casa-madre, dettero origine ai casali, che riuniti sotto il nome unico di Roccaromana, andarono soggetti ai Duchi di Benevento, ai Principi di Capua…

Dunque Teano faceva parte del Ducato di Benevento, e Roccaromana, che in quei tempi cominciava appena a formar parte integrante di quel contado, non autonoma, né libera, era governata di certo direttamente dal gastaldo teanese, e quindi sottoposta al signore di Benevento: Gastaldatus fuit Theanus, sub quo plures statuit tellures et urbes[1].

Ma la posizione strategica del monte, posto a cavaliere di due pianure, quella del Volturno e l’altra dinnanzi Roccaromana non poteva restarsene priva di buon fortilizio, a garentigia della gola, oggi di sprecamogliera, passaggio fra l’una e l’altra pianura, e quindi necessaria la costruzione di una fortezza di difesa…

E come l’idea del fondatore, il cui nome è perduto nella notte dei tempi, sia stato appunto tale, cioè la sicurezza massima verso l’entrata della gola, si può ciò ritener facilmente, osservando ora sulla sommità del colle gli avanzi della secolare fortezza.

Puossi credere che la costruzione del castello risalga ai tempi quando i Duchi di Benevento al loro dominio ridussero la Campania ed il Sannio verso il 700. Inoltre in quelle vicinanze luoghi eminenti, degni di essere fortificati, non ve ne erano, perciò il bisogno di un luogo di difesa, che in sé avesse potuto comprendere qualche cosa d’importante, di solido e di maestoso.

Il genere architettonico pienamente corrisponde all’epoca, serbando un vestigio dell’antichità classica, frammezzato di una tinta lievissima della dominazione esistente: quindi origine longobarda del castello, dominazione somigliante nella contrada. Oltre a ciò, messa a parte l’osservazione che puossi fare sull’architettura della fortezza per convincersi di tal verità, ne resta un’altra, che quantunque possa passare inosservata, è una prova novella per la realtà di tale assertiva.

Devozione speciale dei Longobardi era verso S. Michele Arcangelo, che oltre ad onorare con la fondazione di chiese, vollero per particolare patrono… ut ab Longobardorum evo latius in Cristianum orbem propagata Michaelis veneratio videatur[2]. Fin verso il 1400, e forse anche oltre, era protettore di Roccaromana S. Michele, che gli abitanti veneravano per antica tradizione trasmessa dagli antenati. Inoltre, a somiglianza della Grotta del Gargano e delle altre, che i Longobardi vollero dedicare siccome quella, presso Roccaromana havvi anche una Grotta dell’Arcangelo S. Michele in monte Melanico[3].

Dunque la costruzione del castello, il culto che gli abitanti avevano per il Santo Patrono dell’intero popolo longobardo, l’esistenza della grotta, originata come le altre consimili sparse in tutto il dominio di esso, indica come Roccaromana avesse fatta parte della conquista longobarda, racchiusa poscia sotto il nome di Ducato di Benevento.

Teano, passando a questo o a quello della famiglia dei Landolfi, ora restando sotto il governo di un solo, ora dipendendo direttamente dal signore di Benevento, faceva seguire le sorti medesime al suo contado, fino a quando i Saraceni non si presentarono per la prima volta, nel 863, dinnanzi alle sue mura, aggiungendo una nuova sciagura a questa parte d’Italia, smembrata dal barbaro vincitore, avvilita dal feudalesimo.

Il fumo degli incendi delle città circostanti, le grida dei morenti, gli urli feroci e le bestemmie degli oppressori, ecco in breve compendiata tutta quella incursione, e Teano nel 884, dopo essere stata assalita, fu saccheggiata, e tutto all’intorno stragi, fuoco, morenti, tresche nefande di violenti lascivie, chiese profanate per disprezzo, monasteri messi a sacco. Né tanto bastava, i campi del contado Teanese furono distrutti, le città ed i luoghi rovinati in mille guise e Roccaromana cadde anch’essa sotto l’unghie degli atroci Saraceni, che non indietreggiando dinnanzi alla solidità del castello, cercarono di abbatterlo e rovinarlo. E passarono oltre, ed i popoli lagrimanti sulle rovine della patria loro, con nuova e maggior lena si dettero daccapo a costruir case e fortezza e noi osserviamo nella prima torre restata sul pendio del monte e negli avanzi del palazzo feudale, il restauro e l’aggiunta alla fabbrica già esistente, costruzione anteriore al 1000[4].

E si tornò di nuovo sotto il governo di Teano e dei suoi conti, fino a quando Arrigo Imperadore nel 1023 creò Principe di Capua Pandolfo, e tal fatto formalmente smentisce che nel 962 Ottone Augusto abbia donato Sora, Arce, Arpino, Aquino, Teano ecc. alla Santa Sede[5], perché se così fosse stato, Arrigo non avrebbe potuto dividere le terre del Pontefice, senza venire con esso a quistione.

Assieme a Teano, Roccaromana passò sotto il dominio di Capua, di cui era stato creato Principe Pandolfo dall’Imperatore Arrigo.

A prima giunta pare che cotesto Pandolfo, atteso la pochissima fortuna ed il breve tempo, in cui resse quel principato, non sia in questo descritto, se non per seguire la cronologia dei signori dominanti nella regione, non avendo avuto Roccaromana alcun signore diretto prima del 1100. Ma quei feudatarii, che nello svolgersi di circa tre secoli, primi dominarono nella baronia, e che inoltre conservarono il nome continuo de Roccaromana, direttamente da esso Pandolfo derivavano, ed il loro dominio conservava fino al 1229 l’appellazione di Terra filiorum Pandulfi[6], senza dichiarare chi fossero questi figliuoli, nomine plane exorto ab excessu Pandulfi, olim Theanensis Comitis et Capuae postmodum Principis, qui stirps fuit et origo gentium tum aliarum, tum de Cajanello, de Marczano, de Presenzano, de Roccaromana, in quas, ut puto, et in alias quoque progressu temporis Terra sui comitatus dispartita fuit: illos quidem omnes inter caeteras Campanae Urbis Patritias olim adnumerats, de quibus frequenter in antiquiis Tabulariis extant memoriae[7].

Così adunque, cominciando con Adamo de Roccaromana[8], vivente nel 1101, puossi dichiarare che in quel verso la baronia fosse sotto il governo di una famiglia, che assunse il cognome dal suo feudo stesso, di un signore proprio, discendente da Pandolfo principe di Capua, dimostrando eziandio l’entità del possesso e la sua somma importanza.

I tre grandi principati di Benevento, di Capua e di Salerno, che avanti il 1000 furono autonomi e liberi, cedettero alla potenza di nuovi signori: ai longobardi successero i normanni e la forma più splendida del Medio Evo si manifestò dopo i tempi oscuri dei primi dieci secoli…

 

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[1] Pellegrino C., Storia dei Longobardi, lib. II.

[2] Tesoro delle Antichità Beneventane.

[3] Nella bolla della consacrazione di S. Stefano del 978, oltre degli obblighi imposti al Vescovo da Gerberto Arcivescovo di Capua si fa la numerazione delle chiese affidategli nella diocesi, e se ne esclude la chiesa di S. Angelo in Melanico: at non dedimus vobis, vestrisque successoribus Ecclesiam S. Angeli in Melanico, quam in nostra, nostrorumque successorum potestate reservamus.

Nel 1163 si trova Arcivescovo di Capua un tal Alfano, ed a costui Papa Alessandro III accordò un Privilegio per i diversi Vescovi suffraganei e sulle chiese delle diocesi, ed in detto privilegio gli confermò il possesso della chiesa di S. Michele in Melanico.

Michele Monaco, nel Santuario Campano dice appunto che tale Grotta fosse stata edificata da’ Longobardi. Erchemperto dichiara che quantunque tali popoli fossero Ariani, pure avevano divozione speciale a questo Santo, eleggendolo a Protettore degli Eserciti. Monaco asserisce che nelle monete longobarde, che si conservano a Capua, da un lato si osserva la croce in mezzo ed il nome del Santo scritto all’intorno, e dall’altro lato il nome del Principe. Granata nella Storia di Capua ne fa menzione al lib. II, cap. 10. Pellegrino nel lib. II, cap. 32.

In detta Grotta esistono tre altari appartenenti a tre Comuni di diverse Diocesi, cioè quello di Roccaromana in dicesi di Teano, quello di Dragoni in Diocesi di Cajazzo, e quello di Schiavi, un tempo nell’Abazia di Telese, che poscia ricadde nell’Arcivescovado di Capua.

[4] Riguardo l’incursione dei Saraceni ed il saccheggio del contado di Teano vedi Cronaca Sicula saracena; Anonimo Cassinese; Protospata; Anonimo Salernitano ecc..

[5] Vedi Historia Ecclesiastica del Cardinale Baronio.

[6] Riccardo da Sangermano, Cronaca.

[7] De Praecepto Pandulfi parte V; Pellegrini, Historia Longobardarum; Muratori, Antiqu. Rer. Ital. Tomo V.

[8] 1101 – Diploma di Riccardo II Principe di Capua, che stando in Avers, per l’anima di suo padre e suo avo, dona a Guarino, Abate di S. Lorenzo, 14 uomini d’arme – Fra gli altri è sottoscritto da Adamo de Roccaromana.