Raimondo di Sangro
e i legami con il Medio
Volturno
prof.
Pasquale Mongillo
1
- Introduzione
Dai
primi anni 80 si è visto fiorire una intensa letteratura intorno alla figura del
nobile napoletano Raimondo di Sangro, Principe di San Severo.
Questo
interesse per il Principe ha indotto, verso la fine del decennio, gli Eredi ad
aprire al pubblico, come museo privato, la cappella gentilizia di famiglia,
che, oltre a contenere tutte le opere artistiche fatte fare dal Principe,
contiene, nella cavea, anche le celebri macchine anatomiche di tanta discussa
provenienza.
Lo
scopo di questo articolo è quello di evidenziare, dopo una breve presentazione,
i legami, più o meno profondi, di Raimondo di Sangro con la terra del Medio
Volturno. Non ci si dilungherà sul pensiero e sulle opere perché di cio è gia
stato scritto molto, e bene, su numerosi testi, alcuni dei quali reperibili in
Bibliografia.
2-Biografia
Raimondo
di Sangro nasce il 30 gennaio 1710 a Torremaggiore, in provincia di Foggia, da
Antonio di Sangro e da Cecilia Gaetani. La madre era figlia di Niccolò Gaetani
dell’Aquila D’Aragona, duca di Laurenzana e principe di Piedimonte e di Aurora
Sanseverino dei principi di Bisignano. Il piccolo Raimondo viene battezzato in
Torremaggiore il 2 febbraio 1710. Nel 1711 rimane orfano di madre. In seguito a
questo tragico evento subisce anche la separazione dal padre che, non potendosi
dar pace per la morte prematura dell’adorata moglie, decide di ritirarsi dal
mondo e di darsi a Dio, cosa che gli è facile dal momento che il pontefice
Benedetto XIII Orsini è suo parente. Raimondo rimane, dunque, con i nonni
paterni nel palazzo di Torremaggiore per circa un decennio dove acquisisce la
prima istruzione.
Nel
1720 entra in un seminario Gesuita a Roma; in questo collegio, dal quale uscirà
nel 1730, si distingue per la sua vivida e pungente curiosità prediligendo la
filosofia aristotelica, il diritto civile e canonico e la pirotecnica. Nel
1726, all’età di sedici anni, in seguito alla morte del nonno Don Paolo di
Sangro, non potendogli succedere il padre, eredita il titolo di Principe di San
Severo sotto la tutela della nonna paterna Geronima Loffredo. Il titolo di
Principe di San Severo fu acquisito dal suo casato nel 1587 da Gianfrancesco di
Sangro, detto “Achille d’Italia” per il suo coraggio, il quale già nel 1572,
aveva acquisito il titolo di duca di Torremaggiore.
Nel
1730 Raimondo esce dal seminario romano e si stabilisce nel palazzo di famiglia
nei pressi di piazza San Domenico Maggiore a Napoli (dove tuttora si trova la
cappella, in via De Sanctis). Nello stesso anno viene insignito del titolo di
“Grande di Spagna di prima classe”. Nel 1732 sposa, per procura, la cugina
Donna Carlotta Gaetani dell’Aquila D’Aragona, non senza una mediazione, per
ragioni feudali, del nonno materno Niccolò.
Ed
è proprio nel castello dei nonni materni, in Piedimonte, che Niccolò Gaetani
illustra al nipote l’opportunità di accettare una transizione sui beni feudali
e sull’eredità a lui spettante da parte di Aurora Sanseverino che aveva portato
in dote 50.000 ducati e, nel 1726, aveva nominato erede universale il marito.
Raimondo consuma il matrimonio nel 1735 a Torremaggiore; nel frattempo è nominato
gentiluomo di corte. Nel 1737 il re Carlo III di Borbone lo nomina Gentiluomo
di Camera con Esercizio e nel 1740 diviene “Cavaliere del Supremo Real Ordine
di San Gennaro”. Da questo momento inizia il periodo d’oro del Principe il
quale, fino alla morte, farà tutta una lunga serie di invenzioni e di scoperte
più o meno importanti. Riesce ad ottenere da papa Benedetto XIV
l’autorizzazione per la lettura dei libri proibiti. Nel 1750 entra nella setta
dei Liberi Muratori di Napoli e ne diviene Gran Maestro Venerabile. Nel 1769
redige parte del suo testamento che chiude il 7 agosto 1770. Muore a Napoli il
22 marzo 1771.
3-La
formazione culturale
Il
‘700 è il secolo dell’Illuminismo per antonomasia, ossia è il secolo dei “lumi
della ragione”. Esso rappresenta il massimo sviluppo di quell’opera di critica
del passato che aveva avuto il suo impulso più vivo nel Rinascimento. Si
afferma imponendo a tutte le sfaccettature della vita umana quei procedimenti
razionali che si erano dimostrati fecondi nelle scienze. Questo movimento
influenza anche il Regno di Napoli e si hanno nuovi esponenti degni di nota,
sopratutto in campo economico e legislativo (Genovesi, Filangieri, Spedalieri,
Pagano, Galiani, ecc.) ma, purtroppo, la situazione generale del Regno a
livello culturale non è delle migliori.
De
Sangro, pur essendo vissuto in piena era illuminista, è senza dubbio influenzato dalla tradizione
ermetico-cabbalistica, tradizione, questa, ancora esistente sullo sfondo della
scienza rinascimentale. Ciò è dimostrato se si considera l’illuminismo
rosacrociano che contempla la necessità di riformare la società, l’istruzione,
ecc. abbracciando tutti gli aspetti dell’attività umana. Non è questa la sede
adatta per illustrare il movimento rosacrociano ma è necessario farne cenno per
capire la figura del principe. Visto in un ottica “ermetica”, Egli riesce a
leggere il Libro della Natura comprendendone il linguaggio. Del resto le sue
stesse invenzioni e scoperte sono il mezzo, simbolico, per dominare l’universo.
È importante sottolineare che le teorie rosacrociane sviluppano gli studi delle
arti matematiche: geometria, musica, arti militari, aritmetica, meccanica,
idraulica, ecc. e osserviamo che proprio in queste arti si cimenta il Nostro. È
anche iscritto alla massoneria ed ha una brillante carriera tanto da far
preoccupare Benedetto XIV che lancia la “bolla” contro di lui e Carlo III che
pubblica l’editto contro la massoneria.
Osserviamo
che nella formazione di Raimondo di Sangro hanno avuto un ruolo decisivo i
frequenti contatti con i nonni materni. I contatti di Raimondo con la terra di
Piedimonte hanno un testimone d’eccezione: Gianfrancesco Trutta.
Il
Trutta narra nelle sue “Dissertazioni Istoriche delle Antichità Alifane” (Cap.
XX Pag. 292) edite a Napoli nel 1776 che nel 1724 insieme con il Principe
quattordicenne va sul Matese e si divertono a lanciare sassi lungo le vallate
scoscese sotto gli occhi, pure divertiti, del loro seguito. I nonni materni
sensibili alla cultura ed alle arti, hanno chiamato numerosi artisti ad
impreziosire l’antica dimora di Piedimonte. Gli arredi architettonici sono
stati approntati dal Solimena, inoltre, sempre a Piedimonte, la duchessa Aurora
ha fondato il “Conservatorio delle Orfane”, il “Convento delle Grazie”
invitando i religiosi a tenere pubbliche scuole per i fanciulli della zona e il
teatro sorto presso il palazzo ducale nel quale la stessa Aurora recitava.
Ricodiamo che Aurora Sanseverino è la lodatissima Lucinda Coritesia, pastorella
d’Arcadia. Anche il duca di Laurenzana è pastore d’Arcadia ed ha avuto discreto
successo nel comporre versi. I nonni materni si aspettano che Raimondo inizi a
comporre versi. Il nonno gli fa pervenire due sue opere filosofico-morali,
apprezzate anche dal Vico: “Avvertimenti intorno alle passioni dell’animo” e
“Disciplina del Cavaliere giovane”. Raimondo ha apprezzato i sonetti di nonna
Aurora ma evidentemente la sua mente gli addita altra strada.
4-Le Invenzioni
Non
è possibile condensare tutta l’attività scientifica e pseudoscientifica (o come
tale giunta a noi) di Raimondo di Sangro in poche pagine, perché essa è molto
vasta e spazia tra gli argomenti più disparati. In questa sede ci limitiamo a
fare un breve elenco delle invenzioni e delle scoperte più importanti, ma
necessariamente incompleto, accompagnandolo con qualche breve commento.
Riesce
secondo G. R. Origlia (Historia dello studio di Napoli, Napoli 1753 vol. II),
“a resuscitare i granchi di fiume, dopo averli ridotti in cenere”.
Evidentemente, il Principe ha essiccato organismi unicellulari di acqua dolce i
quali, in questo stato, se toccati si sbriciolano, se, invece, si aggiunge
acqua si rivivificano con lo scopo di studiare la morte apparente.
Tenta
di sperimentare la digestione artificiale mescolando cibo masticato a acido
citrico mantenuto a temperatura corporea.
Scopre
il lume eterno(!?). Realizza lapislazzuli artificiali. Distilla sotto vuoto
l’acqua di mare. Estrae cera dai vegetali e tesse stoffe impermeabili.
Costruisce
una macchina idraulica a circuito chiuso per creare forza motrice utilizzando
acqua piovana. Costruisce fischietti pirotecnici.
Costruisce
un fucile a retrocarica (per certi versi anticipa le scoperte di Lefoucheux e
di Samuel Colt). Inventa la stampa policroma ad una sola tiratura di torchio e
la pittura oloidrica.
Costruisce
le Macchine Anatomiche che sono attualmente conservate nella cavea della
cappella di famiglia, in via De Sanctis a Napoli. Secondo le dicerie del
popolino furono ottenute dal Principe iniettando in due suoi servi di colore
del liquido metallizzante nelle vene. Questa diceria è stata sfatata
definitivamente agli inizi degli anni ‘80 mediante analisi chimiche sul
materiale che è risultato essere filo di ferro ricoperto da cera d’api
colorata.
Fa
costruire il Cristo Velato. Essa è una delle numerose sculture che adorna la
cappella, è stata scolpita dal Sammartino. Il velo in marmo che ricopre la
statua è stato ottenuto poggiando un vero telo di lino sulla statua immersa in
una soluzione di idrossido di calce e anidride carbonica e non, ovviamente,
come affermava il popolino, fatto scolpire sotto la superficie del marmo con
l’aiuto del demonio. Sono da segnalare, oltre alla Lettera Apologetica, anche
alcune sue pubblicazioni riguardanti l’arte militare. È anche autore di un
metodo di scrittura Incas, i Quipu, da lui stesso modificato essendo studioso
di questa civiltà. Concludiamo questo numero ricordando un fatto eccezionale
per la medicina del tempo. Il Principe cura in anteprima, con cura appropriata,
un carcinoma allo stomaco dello zio, Don Luigi Sanseverino Principe di
Bisignano, come testimonia una sua lettera datata maggio 1770. Raimondo
somministra l’alcaloide “pervinca” che attualmente viene usato per estrarre i
due alcaloidi “vinblastina” e “vincristina” usati in campo oncologico. È da
ammirare la chiarezza con la quale nella lettera vengono esposti gli effetti
collaterali dovuti al farmaco. Come detto in principio, questo elenco di
scoperte è incompleto ma riteniamo di aver riportato, per sommi capi, le più
significative. Tuttavia, è necessario precisare che numerose invenzioni del
Nostro sono state, nei modi e nelle finalità, stravolte dai racconti popolari
di allora e così ci sono state tramandate. Infatti, sul substrato di scarsa
cultura popolare del tempo sono nate le leggende che hanno avvolto di mistero
l’esistenza di Raimondo di Sangro, e forse lo hanno reso famoso.
5-Giudizi e Conclusioni
Per
meglio Illuminare la personalità del Nostro è opportuno riportare i giudizi che
hanno dato su di lui, in tempi diversi, persone di accreditata fede culturale e
scientifica. Dice di lui Antonio Genovesi: “Filosofo di spirito, molto dedito
alle meccaniche, di amabilissimo e dolcissimo costume: studioso e ritirato,
amante le conversazioni di uomini di lettere. Se egli non avesse il difetto di
avere troppa fantasia, per cui è portato qualche volta a vedere cose poco
verisimili, potrebbe passare per uno dei perfetti filosofi”.
Secondo
Benedetto Croce, invece: “Il ceto nobile è dato al lusso, il clero alla
ricchezza ed alla ignoranza ma, in compenso,... pure non bisogna trascurare il
largo contributo che a quella classe apportò la nobiltà; la quale, nella sua
parte migliore,... contò nelle sue file un Raimondo di Sangro Principe di San
Severo”.
Dulcis in fundo il giudizio del celebre vulcanologo della nostra terra, il Prof. Luigi Palmieri di
Faicchio (Cfr. Annuarii A.S.M.V. 1981-1983-1993 articoli del Prof. M.
Giugliano) il quale afferma: “Il Principe di San Severo fu senza dubbio, per
rispetto ai suoi tempi, un uomo colto ed ingegnoso. Egli non ha lasciato un
nome nella storia del sapere, ma ha dato luogo a leggende più o meno
meravigliose, perchè faceva un segreto dei suoi ritrovati, amando destare la
sorpresa dei suoi coetanei. Cosi egli trovò il modo di colorire i marmi, ma non
pubblicò il metodo di cui si avvaleva. Il lume eterno è senza dubbio una frode
o una favola. Pare che fosse autore di un velocipede che poteva camminare anche
sull’acqua, siccome se ne sono dopo veduti. Mancando adunque di opere
pubblicate, resta la tradizione, dalla quale, scevrando il meraviglioso e
l’esagerato, si deve dire che il Principe di S. Severo fece molte cose per
farsi ammirare dai coetanei, ma curò poco il giudizio dei posteri”.
Ovviamente,
ci sono anche giudizi molto meno documentati e, forse, più superficiali come
quelli di Salvatore Di Giacomo, di Fabio Colonna di Stigliano, di Matilde
Serao, ecc. che hanno cristallizzato la figura del Principe in uno
stregone-ciarlatano settecentesco.
Noi
non prendiamo le parti né a favore dei primi né dei secondi ma cerchiamo di
concludere in tutta onestà. Secondo quanto è emerso possiamo affermare, senza
dubbio, che Raimondo di Sangro è stato una “personalità” un po’ eccentrica e,
forse, ambigua del suo tempo; ma, nel contempo, dotato di una solida cultura
umanistica e scientifica e ha coltivato interessi non comuni favoriti,
sicuramente, anche dai viaggi nella nostra terra. Purtroppo, la sua immagine
avrebbe potuto essere conosciuta con più precisione e il suo pensiero con più
chiarezza se si avessero avuto più notizie a disposizione. Se il Principe
avesse pubblicato le sue opere e le sue invenzioni anziché attenersi alle
dicerie del popolo si avrebbe avuto materiale di prima mano sul quale esprimere
un giudizio. Noi concordiamo con il giudizio espresso dal Prof. Luigi Palmieri
e sottolineamo che una buona dose di misticismo è dovuta alla personalità
“ermetica” del Nostro. Per darne prova concreta riportiamo, in conclusione, una
scrittura in latino di netto sapore alchemico, che si trovava nell’atrio di San
Domenico Maggiore in Napoli e che alcuni attribuivano al Principe. I monaci del
convento dicevano che chi riusciva ad interpretarla correttamente si guadagnava
il Paradiso. La frase latina suona così:
VOCE PRECOR SUPERAS AURAS
ET LUMINA CELO CRIMINE
DEPOSITO
POSSE PARARE VIAM
SOL VELUTI IACULIS ITRUM
RADIANTIBUS
UNDAS SI PENETRAT
GELIDAS
IGNIBUS ARET AQUAS
Secondo
una possibile decifrazione potrebbe leggersi:
“Supplico
con la parola
le
aure supreme e le luci nel cielo
che,
smesso il vizio, (io)
possa
preparare la via
come
il sole, se penetra di nuovo le onde
con
dardi radianti,
solca
le acque gelide con i fuochi”.
Resta,
quindi, solo da interpretarla correttamente per
guadagnarsi
il paradiso (!?).
BIBLIOGRAFIA
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