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RUGGERO II E RAINULFO DI ALIFE

 

 

 

Introduzione.

 

Una guerra civile di vasta portata si svolse nello Stato normanno tra il 1129 e il 1140. Guerra civile scaturita dal solito tentativo feudale di tener debole il potere centrale, mantenuta viva dalle qualità militari di un grande vassallo, alimentata dall’ingerenza straniera.

Ove a queste forze civili e militari si aggiunga l’elemento e l’intervento ecclesiastico – caratteristica del Medio Evo – si avrà un quadro della situazione aggrovigliata che affaticò il Regno di Sicilia proprio sul nascere.

Molti storici hanno scambiato questa guerra civile per uno dei tanti episodi feudali di ribellione e non ne hanno diffusamente parlato.

Io ho tentato – sebbene in un rapidissimo sguardo e mettendo in risalto l’elemento locale – di riportare il fatto al valore che ha.

 

 

 

I

 

Reputo utile accennare brevemente alla situazione politica europea nel terzo decennio del dodicesimo secolo. Un quadro generale ci farà meglio comprendere i fatti particolari, poiché questi non si svolgono mai isolati completamente ma vengono sostenuti, modificati e a volte decisi da ideologie e interessi più vasti.

In Francia Luigi VI il Grosso regnava come tutti i cultori di storia sanno potesse regnare un Capetingio: cioè continuamente alla prese coi grandi vassalli e con un grande nemico in casa, il Re d’Inghilterra. Il Sovrano era valoroso e politico ma, vedremo, non poteva molto.

L’Inghilterra era sotto Enrico I. Il “Leone” era veramente energico. Non la faceva spuntare al Primate Anselmo di Aosta con tutta la sua cultura, né a Luigi di Francia con tutto il suo valore. Lo stato era organizzato, ed egli poteva prontamente agire in campo opposto alla Francia.

Brutta era la situazione del S. Romano Impero. Qui, la morte di Enrico V (1125) aveva segnato una recrudescenza della cronica guerra civile.

Il Duca di Sassonia, Lotario di Supplimburgo, il 30 agosto veniva eletto a Magonza da una dieta di sessantamila uomini[1] ma per dieci anni dovrà lottare contro Federico di Svevia e Corrado suo fratello duca di Franconia. Lotario era incoronato in Aquisgrana e, tre anni dopo, Corrado si faceva incoronare a Monza.

La lotta si allarga, e un duello tra Sassonia e Baviera da una parte e Svevia e Franconia dall’altra sorpassa il valore di guerricciola feudale e diventa una questione di equilibrio tra la Monarchia imperiale e l’altra feudalità, tra Guelfi e Ghibellini.

Lotario re di Germania e Corrado Re dei Romani sapevano bene che al di sopra delle corone argentea e ferrea c’era quella aurea imperiale che avrebbe dato a chi la detenesse una grande superiorità morale su ogni avversario. Ma qui occorreva il papa … . L’occasione si presentò a Lotario nel 1132 allorché papa Innocenzo II, fuggiasco da Roma, s’aggirava per la Francia e le Fiandre. A Liegi Lotario ed Innocenzo s’incontrarono.

L’uno aveva bisogno dell’altro e s’intesero. Lotario avrebbe avuta la corona imperiale dalle mani del papa. La situazione romana era però ben nota all’Europa, e solo la forza poteva risolverla. Ebbene, Lotario affrontava una guerra in Italia.

Ma quante cose avrebbe potuto realizzare? Avrebbe avuto la corona, a Roma ci sarebbe stato ormai un suo protetto e con costui avrebbe tentato rivalersi riguardo alle Investiture; soprattutto avrebbe affrontato seriamente la nuova minacciosa potenza normanna. Questa aveva trovato proprio nel “falso” papa residente a Roma un forte sostegno morale. Niente meno era nato un regno senza che l’Imperatore sapesse niente!

 

Perché Innocenzo era fuggiasco in Germania?

Colla morte di papa Onorio II nel febbraio 1130 per varie cause non si poté evitare lo scisma che pure sei anni prima, per la condiscendenza del Card. Teobaldo Boccadipietra, era stato estinto sul nascere. Questa volta invece due papi – Innocenzo II e Anacleto II – venivano eletti nello steso giorno, il 17 febbraio[2], e l’uno non era disposto a sacrificarsi per l’altro.

Innocenzo II, un Papareschi di Roma, pare fosse stato eletto poco prima dell’altro, ma secondo alcuni l’altro avrebbe avuto più voti[3]; era morale e sagace sebbene un po’ avventato. Anacleto II, un Pierleone, pure di Roma, figlio di ebrei battezzati, era forse meno serio ma più colto, più diplomatico, soprattutto ricchissimo. Era stato a Cluny, poi da cardinale era andato legato in Francia e in Inghilterra. Nel trattato contro gli Scismatici di Arnold de Seès[4] è dipinto con i più odiosi colori.

Appena eletto, Anacleto s’impadronì di Castel S. Angelo e del tesoro di S. Pietro. La forza militare e quella finanziaria lo resero padrone di Roma. Innocenzo intanto, sorpreso dall’agire audace e fulmineo del rivale ed essendo molto più debole di lui finanziariamente, si trovava dinanzi al fatto compiuto e abbandonava Roma.

Sostò a Pisa e a Genova, di qui passò in Francia. Vi presiedette concili di vescovi a Clermont, a Reims, a Puy, ebbe occasione di abboccarsi con Luigi VI, ebbe finalmente un’ottima occasione quando s’incontrò a Liegi con Lotario.

Tornava ora in Italia dopo due anni, scortato da Lotario in persona. Superfluo rilevare che a lui premeva anzitutto l’espulsione dell’antipapa, mentre al Sovrano tedesco interessava la corona. Due cose concomitanti relativamente.

Su un punto erano perfettamente d’accordo: la lotta a fondo contro il Sovrano siciliano. Di ogni mezzo si sarebbero serviti per distruggerne la potenza.

 

 

 

II

 

Il Sovrano della Sicilia e dell’Italia meridionale suscitava dunque apprensione in Europa.

Nel luglio 1101, a quattro anni, Ruggero di Altavilla, per la morte di suo padre Ruggero I e di due fratelli, era diventato Gran Conte di Sicilia. La madre, Adelaide di Monferrato, fu reggente (prima da sola poi insieme al genero Roberto di Borgogna) finché un romanzesco matrimonio col Re di Gerusalemme, dopo una breve regalità, non la ridusse alla vergogna e alla tomba.

Ruggero, giovane audace e intelligente, trovava lo Stato in una situazione “illustre e vantaggiosa”[5]. La fortuna poi favorì le sue personali capacità. Nel luglio 1127 moriva suo nipote Guglielmo duca di Puglia, e l’eredità di Roberto il Guiscardo passava a lui.

Forte militarmente, “accorto e prudente” nell’agire, il giovane Altavilla si trovava a capo di territori e popolazioni da fare invidia ai maggiori sovrani d’Europa, e soprattutto da fare paura al Papato. Quel Papato che con Ildebrando aveva pensato a Melfi di fare dei Normanni, vassalli della Chiesa, soltanto l’ultima poderosa carta da giocare contro chiunque, quel Papato ora era seccato e intimorito della grande potenza vicina.

Tranquillo riguardo all’Impero, papa Onorio II aveva abbandonato dunque la vecchia alleanza pontificio-normanna. Egli sentiva di dover impedire anche con la forza la “definitiva unificazione”[6] dello Stato vicinissimo, pericoloso per Roma. Uno Stato di guerrieri che affrontava i Tedeschi a Roma, i Bizantini in Balcania, gli Arabi in Africa, avrebbe avuto poi timore di signoreggiare su Roma e sull’Italia?

Le scomuniche[7] non avevano fatto niente. Onorio aveva pensato a qualche cosa di più concreto. Benevento, nel cuore della terraferma normanna era un ottimo posto per fomentare la rivolta nel Ducato di Puglia. Vi si recò, aizzò i soliti scontenti contro il Principe, e riuscì a mettere su un esercito raccogliticcio che Ruggero non si preoccupò neanche di combattere. Finì allora coll’essere abbandonato dalla truppa e non gli rimase che accordarsi con Ruggero, riconoscendolo Duca di Puglia e di Calabria. Siamo nell’agosto 1128.

Lo Stato era salvo, bisognava ora organizzarlo. La divisione geografica e giuridica in due parti, la molteplicità etnica ed amministrativa, le tre linee di possibile avanzata o attacco (Italia, Epiro, Magreb), la presenza di Staterelli non soggetti ancora agli Altavilla, spinsero necessariamente Ruggero ad una politica energica e accentratrice.

Questa incontrò, ed era naturale, una resistenza da parte di chi aspirava o temeva per sé. Ora Ruggero avrebbe avuto un’altra posizione rispetto ai grandi Signori del Regno e all’estero se sul suo capo ci fosse stata una corona regale … . Dato che con Onorio era inutile parlarne, fece preparare la cosa da Baroni e Prelati[8], sebbene forse, in fondo, riconoscesse la necessità o almeno l’utilità di un gesto papale.

Anacleto II, da diplomatico navigato, s’era dato subito da fare per trovare amici potenti. Aveva trovato favorevoli il Re di Scozia e il Duca di Sicilia e Puglia. L’amicizia, o meglio la protezione di quest’ultimo verso di lui, sancita nell’incontro di Avellino nell’ottobre 1130, produceva un ottimo effetto. E come si poteva dimenticare l’arrivo di Roberto il Guiscardo e la fuga di Enrico IV nel 1085?

Quale compenso per la protezione, quel che Ruggero voleva gli fu subito dato: “Concedimus coronam regni Siciliane, et Calabriae et Apuliae … et Siciliam caput regni constituimus …[9].

Non solo, ma gli si donavano terre e Stati che non gli appartenevano … .

Donamus etiam auctorizamus tibi, et tuis haeredibus principatum capuanum cum omnibus tenimentis suis, quemadmodum Principes capuanorum tam in presenti quam in praeterito tenuerunt. Honorem quoque Neapolis eiusque pertinetiarum…”. Veniva imposto al clero la fedeltà al Re, senza però che si dimenticasse l’alta sovranità pontificia né il censo: “Tu autem censum, et haeredes tui, videlicet sexcentos schifatos, quos annis singulis Romanae Ecclesiae persolvere debes … si requisitus fueris …”.

La notte di Natale del 1130, tra feste indimenticabili, il Card. Conti Legato di Anacleto incoronava Ruggero a Palermo: era nato il Regno di Sicilia.

Concludo: l’atto di Anacleto si creava un amico potente, ma rompeva irrimediabilmente i ponti coll’Impero (con cui pure si era tentato qualche accordo), e spingeva per sempre Lotario verso Innocenzo.

 

 

 

 

III

 

Cominciò così la guerra aperta tra il vecchio Impero e la giovane Sicilia. Coll’uno e coll’altra sono due figure pontificali, vive forse solo per gli anatemi che si lanciano, ma effettivamente legate alla fortuna del Tedesco o del Normanno.

Uno stato creato da poco non può avere una coscienza nazionale; non meraviglierà quindi “la coalizione, strettasi tra feudatari normanni, città pugliesi, calabresi e campane, insieme con qualcuno dei superstiti principati logobardici”[10].

Il Re Ruggiero sa tutto e, prima che il nemico interno si risollevi, la ragion di stato gli impone di stroncare. Ma intanto il freno che impone gli crea odii.

Fra i tanti sicuri nemici uno è il più terribile Rainulfo di Alife[11]. Sarà lui – che già tempo innanzi s’era opposto al duca Ruggero – a capeggiare la rivolta, sarà lui che Impero e Papato opporranno al re Ruggero, perché sul suo valore, sulla sua volontà di potenza si può contare.

Rainulfo Drengot conte di Alife, Aversa e Avellino, signore di decine e decine di feudi, rappresentante della più antica famiglia normanna venuta nella Campania, era un prode guerriero ma – tipico esponente dell’epoca e della razza – in lui, accanto all’autentico cavaliere, era anche l’uomo violento e l’aristocratico dall’ambizione sconfinata.

Aveva sposato Matilde di Altavilla sorella di Ruggero II, ma quanta stima facesse della parentela coi Principi si vedeva dal modo come trattava la moglie. Il Re la dovette riportare a Palermo col figlio[12].

Un incidente decise l’inizio della rivoluzione. Un fratello di Rainulfo, Riccardo, insulta e sfregia gli Inviati del Re[13].

Questi risponde occupando Avellino e Mercogliano feudi dei Drengot. Rainulfo, torna appositamente da Roma e minaccia.

A lui – quale esponente più coraggioso e più forte – si uniscono gli staterelli minacciati (la Bolla pontificia li aveva “donati” al Re): sono il Principato di Capua, da poco normanno, e il ducato di Napoli, greco (da buon greco Sergio VII entra nella coalizione appena dopo una visita d’omaggio al Re)[14].

Si uniscono parecchi Comuni insofferenti di quella Monarchia che pure li aveva conservati inquadrandoli nello Stato, si uniscono i soliti Baroni che di vassalli non hanno che il nome.

La minaccia è grave.

Il conte Rainulfo e il principe Roberto di Capua ostacolano il re nella Valle Caudina e a Nocera. Qui anzi la battaglia si risolve, grazie al valore personale del conte di Alife, in una sconfitta di Ruggiero che deve rifugiarsi a Salerno[15].

Aveva egli sottovalutato le forze dei ribelli? La sconfitta di Nocera (25 luglio 1132), con tutte le conseguenze interne che ne derivarono, si risolse, per sua fortuna, soltanto in una dura lezione.

Ma l’alleanza tra i ribelli si sfascia, e il Re, evitando nuovi urti, l’8 dicembre s’imbarca per la Sicilia. Nuovi arruolamenti, una più seria preparazione gli daranno la possibilità di ricominciare la lotta.

Intanto Lotario e Innocenzo giungono a Roma. Subito vi accorrono i capi ribelli. Il 4 giugno 1133 assistono all’incoronazione fatta al Laterano (Anacleto si è chiuso nella Città leonina e resiste) e alla importante Dieta, apprendono con gioia che l’Imperatore piglia sul serio la rivoluzione, e che verrà egli stesso in Puglia per scacciarne Ruggero. Per il momento però, siccome le forze sono scarse[16] non c’è niente da fare … . La delusione fu forte per i ribelli, ma più forte fu per papa Innocenzo che si vide giocato: Lotario, ottenuta la corona imperiale, se ne tornava in Germania, di conseguenza Anacleto tornava padrone di Roma ed egli … ripigliava la via dell’esilio!

Ruggero nell’estate tornava improvvisamente “con animo di non perdonare ad alcuno”[17] Rainulfo ritornò precipitosamente per resistergli, mentre il Principe di Capua correva a Pisa a invocare soccorsi. Fra assedi, repressioni e vendette il Re s’impadronì di nuovo di quel che aveva perduto.

Come spesso accade, una questione interna finisce con l’interessare l’estero. Fu così che Pisa, per distruggere la rivale Amalfi, si mise coi ribelli, ma Genova, gelosa di Pisa, simpatizzò col Re, mentre Venezia gli si schierò contro poiché aveva paura di una forte potenza nel basso Adriatico.

Il conte Rainulfo intanto non ha perduto tempo: ha arruolato un esercito e corre qua e là incoraggiando alla resistenza. A Benevento viene repressa con forza una rivoluzione filonormanna: “Vogliamo la pace”[18] si è gridato inutilmente nelle vie. La paura del popolo è grande per le rappresaglie dell’uno e dell’altro. Ma con le piogge di ottobre le operazioni di guerra si fermano e il Re se ne torna in Sicilia.

Il 26 febbraio 1134 arrivò finalmente a Capua il soccorso di Pisa: due consoli che promettevano mille soldati in cambio di tremila libbre d’argento! I “pii” difensori del vero papa Innocenzo non esitarono a spogliare subito le chiese di Napoli e Capua, e spedirono la somma. Tornò pure il Re con sessanta navi piene di uomini e di armi, e questa volta pare che Rainulfo abbia perduto l’ardire; corre infatti a fronteggiare ma non osa poi venire a battaglia[19]. Di fronte alla forza statale, la rivolta, priva di aiuto dall’estero, tende a logorarsi e a finire.

Ruggero II si è rivelato veramente un audace, intelligente e rapido condottiero. I suoi avversari ne sono atterriti, e mentre Riccardo di Capua corre di nuovo a Pisa a implorare. Rainulfo di Alife, rimasto solo, abbassa finalmente la fronte orgogliosa e chiede la pace. Il Re, che ad uno ad uno stava occupando e distruggendo i suoi castelli, gli accordò una pace da vincitore a vinto. Napoli e Benevento intanto si sottomettevano e il Principato di Capua veniva totalmente occupato.

Nell’autunno il Re vittorioso può tornare in Sicilia: la rivolta è finita.

 

 

 

 

IV

 

Così credette Ruggero. Invece era finita la prima parte di essa. Ricomincerà più estesa, più violenta e drammatica fino alla conclusione, per altri cinque anni!

Un lutto in famiglia, la morte della Regina[20], seguito da una infermità, rese irreperibile il Re. Malato lo era, e si sapeva, poi non si vedeva più. Si cominciò a sussurrare di morte tenuta nascosta per ragioni politiche e, diffusasi la notizia e assicurata con particolari fantastici, si riaccese fulminea la rivolta. Torna a Napoli Roberto di Capua, il duca Sergio lo accoglie e si ribella apertamente, entrambi poi convincono il conte Rainulfo. In breve Terra di Lavoro è in fiamme. I presidi regi devono chiudersi in Capua, e le conquiste di due anni sono annullate in due mesi.

Senonché, il 5 giugno, il creduto morto sbarca a Salerno. Fuga generale dei ribelli a Napoli. Mai più, dichiara il Sovrano, perdonerà a Rainulfo e al farabutto di Napoli. E, tanto per cominciare, Aversa ricca e lussuriosa è rasa al suolo e i sobborghi di Napoli fanno la stessa fine …

Il piano del Re è questo: terra bruciata intorno a Napoli; occupazione completa dei feudi di Casa Drengot; dopo assedio strettissimo alla città che è l’ormai unica trincera degli inguaribili ribelli. Si arrendono impaurite Alife, Caiazzo, S. Agata, la rocca di Rupecanina (oggi Raviscanina), e il Re va a premere il suolo di Alife[21], la preferita di Rainulfo, ove prima della separazione aveva vissuto la dolce Matilde, si compiace della sua fertilità e va ad ammirare la fresca e bella sorgente del Torano[22]. In tutto questo c’è la soddisfazione del vincitore.

L’assedio di Napoli fu un capolavoro di costanza e d’intelligenza militare da parte del Re, e un poema di sacrificio da parte dei cittadini. Pure, macchine di ogni genere, assalti furiosi da terra e per mare, vigilanza strettissima, unite all’insidia, alla fame e alla disperazione del popolo, non riuscirono a trionfare della città grande e forte, destinata essa, la più ribelle all’unificazione monarchica, a diventare la capitale fedelissima del Regno. Due anni durò l’assedio e furono due anni di tormenti inauditi.

Intanto mentre gli ufficiali normanni lanciano torme di saraceni all’assalto delle mura partenopee, i Pisani saccheggiano Amalfi[23] e rubano le pandette famose, Ruggero dichiara decaduti per sempre i vecchi principi di Capua, e li sostituisce con Alfonso[24] suo figlio: compiva così un’altra tappa verso l’unificazione.

L’imminente 1136 e il 1137 dovevano segnare l’ultimo poderoso sforzo dei nemici del Re.

Le insistenze pietose di papa Innocenzo, da tre anno confinato a Pisa, le preghiere ricche di miraggi di fuoriusciti[25], la precaria situazione di Napoli – caduta la quale non ci sarebbe stato più nessun punto di appoggio – convinsero l’Imperatore a tornare in Italia. Lo annunziò ad Innocenzo, e il 25 luglio (1136) si avviò. Le notizie arrivavano. Un “esercito immenso”[26] riunito da tutta la Germania veniva in Italia contro il Re di Sicilia, e gli estenuati napoletani apprendevano con gioia ansiosa che il 22 settembre l’esercito imperiale aveva passato Verona, che il 17 dicembre cominciava a valicare l’Appennino … . Ma intanto la fame nell’eroica città giunse al punto che vecchi e fanciulli scheletriti morivano per le strade.

Pure fu deciso di resistere ancora.

Innocenzo si mosse da Pisa e si recò a Viterbo in attesa, non sapendo l’Imperatore che via avesse scelto, mentre la presenza dei tedeschi che si avvicinavano generava una incertezza e una paura generale.

Il piano di guerra fu bene studiato. L’esercito tedesco diviso in due colonne, doveva svolgere un’azione a tenaglia convergente nella Campania.

Lotario col grosso della truppa sarebbe sceso attraverso le Marche e gli Abruzzi, mentre Enrico di Baviera, genero dell’Imperatore – ed a lui si accodò papa Innocenzo, – con tremila cavalieri sarebbe sceso per il Lazio. Roma per il momento non veniva attaccata per non perdere tempo. Caduto Ruggero, unico sostegno di Anacleto, costui sarebbe precipitato da solo.

Enrico di Baviera, audace e intrepido, a capo di una veloce cavalleria, giunse presto sotto Capua. Tanto bastò perché la città acclamasse l’antico Principe[27] non valoroso ma almeno costante nelle sventure. La cavalleria tedesca avanzò subito fino a Benevento[28] che dopo qualche tentativo di resistenza, si arrese. Si sa intanto che Troia e Siponto (Manfredonia) hanno capitolato: l’Imperatore era giunto in Capitanata.

Sotto il Gargano egli sostò e salì devotamente a visitarvi il santuario famoso dell’Arcangelo Michele, poi riprese l’avanzata. Le città gli si aprivano l’una dopo l’altra[29].

La situazione del Re di Sicilia divenne disperata: un esercito formidabile era in casa e non si riusciva a fermarlo; Abruzzo, Campania e Puglia erano perdute; l’idra della rivolta, abbattuta ma non uccisa, rialzava le teste unita al tradimento …

La presa di Melfi (4 luglio 1137) apriva la Basilicata all’invasione, e faceva ormai apparir chiaro il piano di attacco tedesco. Salerno cioè sarebbe stata attaccata da due direzioni, Napoli si sarebbe liberata automaticamente, e all’usurpatore[30] non sarebbe rimasto, per ora, che la Calabria.

Le forze pisane riescono ad occupare tutta la zona di Salerno e, il 18 luglio, la capitale dei domini normanni di terraferma è stretta di assedio.

Ma gli alleati, come si sa, sono amici fino a un certo punto. Quei Pisani che si logoravano tanto in vista del lauto bottino da fare a Salerno, sanno che Lotario si è segretamente accordato coi capi civili, e per loro non c’è più niente da fare. Indispettiti lasciano allora l’assedio, e così il presidio asserragliato nel castello può rimanersene indisturbato, ottima testa di ponte per un eventuale sbarco del Re.

È cominciata intanto la guerra diplomatica per cui Lotario ferma ogni attività dell’esercito. Il Papa con molta ingenuità, diciamolo pure, dichiara che per gli accordi passati[31] i Domini dei Normanni sono feudo della Chiesa, l’imperatore, cui cominciano a cadere le illusioni, insiste sorpreso che la guerra l’ha fatta lui …

Chi dev’essere dunque colui (e chi lo dovrà nominare?) che dovrà governare tutte queste terre strappate a Ruggero?

Quanto alla scelta essa non fu difficile: il posto lo merita chi ha dato prova di saper resistere e combattere Ruggero, e cioè Rainulfo di Alife.

Imperatore e papa salomonicamente gli consegnano insieme il gonfalone[32] tra “l’allegrezza e la gioia incredibile dei popoli”, secondo Falcone di Benevento.

Rainulfo di Alife Duca di Puglia!

Le conquiste degli Altavilla passate al Drengot, uno Stato sul continente opposto per principio stesso d’esistenza all’altro nell’isola, l’unità del dominio normanno spezzata!

Ruggero II aveva preferito evitare ogni urto. Dalla Sicilia aveva tentato la corruzione e l’accordo, aveva spinto alla resistenza, ma, trincerato nell’ultimo suo baluardo, non aveva voluto impegnarsi con tutte le forze. Già altre volte aveva visto quale effimera consistenza avessero avuto le rivolte e come poi le avesse domate. Attese che la tempesta scemasse, preparando febbrilmente le sue forze, sicuro che presto o tardi avrebbe potuto intervenire e riconquistare il perduto.

Penso che fu il dissidio tra gli alleati a salvarlo.

I continui incontri (o scontri) tra Papa e Imperatore persuasero quest’ultimo che non era il caso di proseguire fino in fondo l’impresa, e che la sua spedizione, colla separazione del continente normanno dall’isola, aveva assolto il suo compito.

Per lui non c’era da fare altro che tornarsene in Germania.

Dopo aver sopportato il peso enorme dell’impresa si vide frustrato in ogni aspettativa: niente da fare riguardo alle Investiture[33] e niente estensione dell’Impero in Italia col vassallaggio della Puglia. Quanta delusione!

Nel settembre 1137 se ne tornò, sostò un memento a Roma, poi s’incamminò lestamente verso Settentrione. Il 14 dicembre, a Breitenwang presso Trento, moriva.

 

 

 

V

 

Come l’Imperatore si allontanò, Ruggero comparve a Salerno.

Il presidio del castello fece quanto gli occorreva e il Re iniziò rapidamente la riconquista. Presa Nocera, dette una tale lezione a Capua[34] che Sergio di Napoli, atterrito, si sottomise. Si gettò su Avellino, e subito Benevento passò dalla sua parte. Il Re cercava il suo nemico mortale e lo trovò tra Rignano e S. Severo ma, com’era da prevedersi, armato e deciso.

Qui compare in scena San Bernardo di Chiaravalle. La questione per lui si riduceva tutta al punto di vista ecclesiastico: Rainulfo, che sosteneva il vero papa, era il cavaliere dell’ideale, Ruggero poco meno che un demonio. Fece in questo senso delle fervide prediche al Re, e questi lo sentì con devozione per alcuni giorni – finché non gli arrivarono rinforzi – poi lo accomiatò. Il 30 Ottobre si venne a battaglia e, benché da principio il figlio del Re sbaragliasse l’ala sinistra (?) di Rainulfo, questo valoroso riuscì per la seconda volta a battere l’esercito regio[35]. Decisamente era un osso duro per l’augusto cognato.

Al Re rifugiato a Salerno, fu fatto il resoconto della giornata: tremila morti e alcune migliaia di prigionieri. Fra i morti … Sergio di Napoli! Con una morte da prode aveva lavato una vita di doppiezze.

Rainulfo, instancabile, rioccupava le terre gia passate al Re, e tra le altre rientrò nella sua Alife.

Ruggero intanto pensava. Lo scisma, di cui egli era il sostegno principale, gli procurava noie fortissime. Se avesse potuto staccare l’aborrito Rainulfo dal papa Innocenzo, egli lo avrebbe isolato, né tanta gente avrebbe combattuto per lui fanaticamente. Colle forti risorsi militari della Sicilia lo avrebbe attaccato di nuovo una, due, dieci volte, finché non l’avesse schiacciato. E allora, senza proprio buttare a mare Anacleto, non era il caso di avvicinare Innocenzo?

Fosse un intimo dubbio o un calcolo politico o semplicemente per guadagnar tempo egli provocò un convegno a Salerno.

Ciascuno dei due papi inviò tre rappresentanti. Per Anacleto parlò un prelato giurista, Pietro di Pisa, per Innocenzo un mistico travolgente, Bernardo di Chiaravalle. Il fervore semplice e convinto dell’asceta e la mentalità dei tempi fecero sì che il santo Bernardo avesse subito piena vittoria sul colto oppositore[36].

Ruggero non si aspettava una soluzione così rapida e rimase arrabbiatissimo. Pure, simulando abilmente riuscì a spostare la discussione e ad ottenere ancora tempo. La questione, disse è così complessa e difficile, che io mai mi permetterò di risolverla da solo. Riunirò a Palermo un Concilio e sarà il clero del Regno a decidere. Con questo tratto di liberalità poteva pensare a riarmarsi.

Siamo ormai verso l’epilogo di questa crisi.

Il 25 gennaio 1138 Anacleto muore. L’Europa era tutta col suo rivale, solo la Sicilia lo sosteneva. I Cardinali (di Anacleto) informano subito il Re: che fare? Se ti sottometti ci sottometteremo, se continui a sostenerci eleggeremo il nuovo papa.

Ora, benché il tentativo di accordarsi fosse avviato, Ruggero II diffidava d’Innocenzo. Chi aveva sempre sostenuto Rainulfo? Il Re di Sicilia, doveva distruggere Rainulfo, Innocenzo invece aveva tutto l’interesse a mantenerlo su così fidato com’era per la sua politica. Di conseguenza la fine dello scisma avrebbe dato a papa Innocenzo un orgoglio senza limiti nel trattare; il Papa non avrebbe permesso neanche di parlare sull’esistenza dello Stato di Rainulfo; e con le scomuniche non più neutralizzate dall’altro papa avrebbe potuto atterrire il popolo e staccarlo dal Sovrano.

Ut Innocentii partem impediret[37], dice Falcone di Benevento o “per isperanza di vender più cara la sua concordia” come asserisce il Muratori, il Re di Sicilia adjutor christianorum et clipeus, autorizzò i cardinali a dare un successore ad Anacleto.

Dopo molte discussioni il card. Gregorio Conti veniva eletto col nome di Vittore IV.

Tanti anni di collera compressa consigliarono ad Innocenzo di servirsi subito di tutte le armi. Con le prediche di S. Bernardo e con grosse somme di denaro – a dir di Pietro diacono – provocò forti defezioni nel partito e nella casa stessa Pierleone. Nello sbandamento generale qualcuno volle resistere, altri scapparono, i più pensarono a sottomettersi.

Al povero Vittore, non rimase che curvarsi dinanzi a Innocenzo dopo tre mesi di papato. Lo scisma era finito!

Ruggero ne rimase malissimo. Data l’impossibilità di risuscitarlo pensò ormai a sottomettersi e riconobbe per “padre e signore” Innocenzo II; questi però pensò subito di farla finita col pervicace scismatico e usurpatore.

La situazione per il Re era critica. Innocenzo, momentaneamente infermo ed occupato, sarebbe venuto, non c’era dubbio, e si sarebbe collegato con Rainulfo contro di lui.

Prima che avvenisse questo bisognava agire! Occorreva affrontare Rainulfo solo, subito e con nuova tattica, prima che arrivasse Innocenzo o qualche sua scomunica.

L’ultima lotta tra Ruggero e Rainulfo fu impressionante.

Proprio come due lottatori, di cui uno si sente più sicuro e vuole il corpo a corpo, mentre l’altro che teme, evita il rivale e vuole atterrarlo aggirandolo, così Ruggero che temeva il valore personale di Rainulfo, evitò la battaglia campale, mentre l’altro la cercavo con insistenza. Il primo, inafferrabile, distruggeva e scompariva, il secondo arrivava in ritardo e finiva col trovarsi dinanzi a fatti compiuti.

Ruggero si lanciò con forza e ferocia all’attacco. Montemarano e Ceppaloni, rase al suolo, provocano terrore e fuga di baroni presso il Duca di Puglia. Dal Beneventano, ov’era accorso Rainulfo, il Re compare a Calvi e la piglia. Vi corre Rainulfo che teme per Alife, e sa che Ruggero sta ora presso Benevento e minaccia Apice. Mentre vola a raggiungerlo riceve brutte notizie: Pietrelcina, Pontelandolfo, Campolattaro, Guardia, sono state distrutte! Dopo poco un’altra notizia gli getta lo strazio nel cuore: la sua Alife non esiste più, Ruggero l’ha data alle fiamme![38] Si precipita sul posto e vi trova cenere, rovine e cadaveri. Decisamente, o la sventura si abbatte su di lui, o non capisce la strategia del nemico e non può fronteggiarla.

Le notizie sono sempre più gravi: Venafro è distrutta. A marce forzate il Re arriva a Melfi, Rainulfo lo insegue e sa che, il 1° ottobre il Re stava a Benevento e che poi è andato verso San Severo.

Mentre si pensa che sia fermo in Capitanata si sa invece che ha distrutto Morcone e presi importanti castelli. Ora pare che sia di nuovo a Melfi, no, sta a Salerno, anzi si sarebbe finalmente imbarcato per la Sicilia.

Ruggero, distruggendo le terre del suo nemico ne minava alla base la capacità economica di resistenza, e con la paura di tremende rappresaglie gli alienava l’animo dello stanchissimo popolo. La battaglia campale, decisiva, che Rainulfo bramava, non gli venne concessa, e il valoroso guerriero rimase con una parte dello Stato assolutamente impoverita. Pure, era sempre Rainulfo!

Forse Ruggero pensava che un’altra stagione di guerra gli avrebbe data vittoria completa, e certamente vi si preparava, quando gli giunse improvvisa sicura allettante, la grande, desiderata notizia: a Troia, il 30 aprile (1139) Rainulfo era morto!

Chi diceva che era morto per febbri fortissime, chi per un salasso fatto male[39]; comunque era finito, e i suoi lo piangevano amaramente. Il clero di Troia l’aveva seppellito con funerali solenni, mentre donne convulse ed urlanti, che prevedevano con orrore le orde saracene, ne avevano seguito il cadavere, e la gioventù, pur ferrea e temprata, si rendeva conto che ormai, scomparso quel braccio invincibile, nessuno più l’avrebbe saputa guidare all’assalto.

Credo inutile dire che la gioia del Re fu immensa[40]. Il 25 maggio, sicuro ed altero, sbarcava a Salerno.

Fu una passeggiata.

Rainulfo era morto. Ogni resistenza era finita, e città e castelli si sottomisero a centinaia, qualcuna più forte volle ancora resistere[41], ma ormai ogni tentativo era sterile ed inutile.

Ultimo episodio del drammatico decennio fu l’intervento di papa Innocenzo .

Occupato nel Concilio ecumenico che aveva riunito al Laterano (il secondo nella storia ecclesiastica), tra le discussioni di un migliaio tra vescovi, abati e dottori, arrivò alla condanna di Arnaldo da Brescia e di Anacleto coi suoi fautori (non fu dimenticata una nuova scomunica a Ruggero). Fece passare perciò del tempo prezioso, e quando poi seppe della morte del fedele Rainulfo, esasperato, in tutta fretta compose un esercito, e coll’eterno fuggiasco Roberto di Capua (che nelle sue intenzioni doveva sostituire Rainulfo) marciò verso il Regno. Leone IX aveva fatto lo stesso …

Il Papa, diventato ora un guerriero,fece incendiare Falvaterra, Isola e perfino vari feudi di Montecassino[42]. Andato a vuoto, per la questione di Capua, un ultimo tentativo di accordo, Ruggero continuò a vendicarsi di feudatari ribelli, e il papa fece distruggere Galluccio, quando, da Mignano improvvisamente l’esercito regio gli piombò addosso[43]. La paura fu tale che scapparono tutti e molti affogarono nel Garigliano. Anche Roberto di Capua, abituato alle corse, si salvò, e con lui Riccardo e con lui Riccardo di Rupecanina fratello di Rainulfo. Ma il Papa “che dietro a tutti marciava sicuro”[44] fu preso col tesoro, caricato d’insulti e condotto prigioniero al Re. Era il 22 luglio 1139.

Alla richiesta del Re se voleva far pace, papa Innocenzo, vedendosi “destitutum virtute et armis, et desolatum[45] acconsentì.

Naturalmente la pace fu dettata da Ruggero, ma fu cavalleresca.

L’unità del regno veniva ristabilita ed era riconosciuta dal Papato, così il titolo regio; niente restituzione di Capua a Roberto. In compenso veniva riconosciuta l’alta sovranità pontificia nonché il dominio Papale su Benevento[46].

Tornato Innocenzo a Roma il Re sottomise in Puglia le poche città che ancora gli resistevano, le visitò, distribuì privilegi e ne conservò l’autonomia. In una sola non volle entrare: in Troia, dove era sepolta l’odiosa spoglia di Rainulfo.

E quei “fedelissimi” del nobile e valoroso normanno non esitarono a far scempio del cadavere!

La prova era stata forte, le conseguenze erano terribili.

Devastazioni di terre e distruzioni di città pesavano molto sulla ripresa economica del Regno. Ruggero, mutatosi in sapiente (ma sempre energico) legislatore seppe dare ordinamenti allo Stato che durarono secoli, seppe infondere la sicurezza del domani negli animi, sicurezza che è la principale condizione del progresso civile. Ma non è di questo che io volevo trattare.

 

°°°

 

Mi sono preoccupato molto di essere fedele alle fonti e di saperle investigare. Ognuna di esse per me è stata una miniera, ma una miniera insidiosa. Perché ognuno degli antichi cronisti e annalisti è così devoto al suo partito, è così polemico cogli avversari, è così pronto a ingrandire, a credere, a travisare che bisogna stare veramente attenti nel vagliare e sceverare. Così, per esempio, Alessandro abate di S. Salvatore di Telese è devoto a Ruggero, mentre Falcone di Benevento è contrario. Ma se a questi si aggiungono Ottone di Frisinga e Pietro diacono, l’anonimo cassinese e Ugelli, Pellegrino, Freccia, Summonte, Baronio, Fleury, la vita di S. Bernardo e poi Muratori, Giannone e Alessandro Di Meo, W. Bernhardi, ecc. molte cose si possono accertare. E vorrei poi che questi cenni miei fossero sviluppati da storici competenti nel loro giusto valore.

Ho trattato con imparzialità le persone, mi sono sforzato di rivivere il dramma che li agitava e, senza mai lavorare di fantasia, ho preferito il racconto (documentato colle note) alla disquisizione erudita ma fredda.

Riguardo ai due protagonisti devo però confessare che – rigore storico a parte – se ho messo in mostra le superiori qualità di Rainulfo di Alife non posso negare che in lui ho visto un inconscio elemento demolitore dello Stato, mentre in Ruggero II – di cui non ho nascosto gli atti di ferocia – ho visto l’autorità statale che deve trionfare sulla disgregazione.

 

Piedimonte d’Alife, gennaio 1951

 

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[1] Dizionario istorico, tomo XVI, pag. 47, Napoli 1793.

[2] Gli storici e i cronisti non sono d’accordo sulla data che oscilla tra il 14 e il 17 febbraio. V. Di Meo: Annali critico – diplomatici del Regno di Napoli, tomo IX, pag. 369.

[3] V. Di Meo: op. cit. t. IX, p. 369.

[4] Fleury: Historia eccl. 1.68, n. 18.

[5] Giannone: Storia civile del Regno di Napoli, tomo V pag. 271, Napoli 1770.

[6] Barbagallo: Storia universale. Il Medio Evo, pag. 534, Torino 1945.

[7] Alessandro abate telesino: De rebus gestis, L. I, cap. 8.

[8] Giannone: op. cit. T. VI, pag. 6. Parecchi autori parlano chiaramente di due incoronazioni di Ruggero, la prima il 15 maggio 1129, l’altra la notte di Natale 1130. Quest’ultima è la sola attendibile.

[9] Bolla di Anacleto in Annali del Baronio (dell’anno 1130). No erano estranee al primeggiare della Sicilia sulle altre regioni, alcune reminiscenze dei tempi antichi.

[10] Barbagallo: op. cit. pag. 534.

[11] Giannone: op. cit. vol. VI, pag. 30 – Abate telesino, Libro I, cap. 13. Rainulfo di Alife era figlio di Roberto e questi di Rainulfo II. Costui era fratello di Riccardo Principe di Capua. Loro padre era stato Asclittino che a morte dei due fratelli Gisilberto e Rainulfo aveva governato Aversa, fondata proprio da Rainulfo I. Nel 1065 i Drengot si erano divisi i domini; a Giordano figlio di Riccardo era toccata Capua, a Rainulfo II la contea di Aversa a cui fu poi aggiunta Alife. La memoria di Rainulfo III è tuttora viva in Alife (Caserta) per avervi portate le reliquie di S. Sisto I, da lui chieste in Roma all’antipapa Anacleto verso il 1132.

[12] Ab. telesino: op. cit. L. II, cap. 13, 15 e 16.

[13] Ruggero considerava i possessi dei Drengot come feudi, i Drengot venuti prima degli Altavilla si consideravano indipendenti e immuni in tutto. Lo sfregio all’ambasciatore fu proprio in seguito a una richiesta del genere.

[14] Ab. telesino: op. cit. L. II, cap. 12.

[15] La sconfitta del Re si deve alla strategia e al valore personale di Rainulfo. L’esercito regio aveva respinto due volte e quasi sfondato gli eserciti del principe di Capua, allorché il conte di Alife si lanciò nella mischia con 500 cavalieri. Appena avvenuto l’urto, Rainulfo fece lanciare un secondo squadrone, e quindi sui regi avviliti fece piombare un terzo squadrone che causò poi la fuga generale. In un duello corpo a corpo Rainulfo uccise un valoroso ufficiale che manteneva il fonte di Ruggero.

[16] S. Bernardo: epistola 139 … “tantillum exercitum …”.

[17] Abate telesino: op. cit. L. II, cap. 37.

[18] Di Meo: op. cit. tomo X pag. 27.

[19] Mentre il Re occupa Summonte, Fragneto, Sarno, Torre di Scafati, ecc. Rainulfo si accampa a Marigliano, risale con piccole galee il fiume Sarno, ma torna a Marigliano senza avere attaccato. Il re piglia Nocera con tradimento, e poi Limatola, Paduli, Ponte Casalduni. Rainulfo da Ducenta mandò a chiedere la pace.

[20] Ruggero II ebbe successivamente tre mogli (e secondo alcuni cinque). Questa, morta l’8 febbraio 1135, era la prima, di esse, Alberia o Elvira, figlia di Alfonso IV di Pastiglia e madre di cinque figli. Le altre furono Sibilla di Borgogna (senza figli) e Beatrice di Retesta madre di Costanza d’Altavilla. A queste si aggiungerebbero: una Pierleone sorella di Anacleto II e Airolda de’ Marsi. Forse queste ultime erano concubine. Da un’altra infine di queste nacque il bastardo Tancredi.

[21] Il Gr. Cancelliere regio Guarino Consolino occupava questi castelli. S. Agata si arrese però dopo un assedio. Il Re arrivò ad Alife passando per Guardia e l’abbazia di S. Salvatore di Telese, di cui era abate il suo amico e storico Alessandro.

[22] A Piedimonte d’Alife. Da N. Occhibove: De Canone studiorum, Napoli 1728.

[23] Verso il 4 agosto 1135.

[24] Alfonso o Anfuso terzogenito del Re, tra l’agosto 1135 e l’ottobre 1136. Non si ha una data sicura, benché secondo il Di Meo (op. cit. tomo X pag. 41, nell’autunno 1136 sarebbe stato consacrato, ma l’investitura l’avrebbe avuta l’anno prima.

[25] Quali il Principe di Capua e Riccardo di Rupecanina fratello di Rainulfo.

[26] Di Meo: op. cit. T. X p. 50.

[27] Il Muratori dice che i Capuani pagano quattromila talenti si salvarono dall’assedio, ma questa notizia è contestata perché non si trova nelle fonti dell’epoca.

[28] Era il 21 maggio 1137.

[29] Le occupazioni imperiali nel giugno si erano estese fino a Brindisi.

[30] S. Bernardo: Epist. 190 “… Caesaris est, scrive a Lotario, propriam vindicare coronam ab usurpatore siculo….

[31] Tra Roberto il Guiscardo e i papi Niccolò II, Alessandro II, Gregorio VII.

[32] L’investitura secondo Falcone di Benevento sarebbe stata data negli ultimi giorni di agosto o i primi di settembre a Benevento. Il cronista Romualdo però fa avvenire la cerimonia a S. Severino presso Salerno. L’investitura a due, contraria alle regole, veniva considerata provvisoria. Il 5 settembre Rainulfo era consacrato da Innocenzo II nella Cattedrale di Benevento.

[33] Fu S. Bernardo a insistere presso il Papa affinché non cedesse.

[34] Falcone (dal Di Meo) t. X p. 75. Il cronista parla di incendio di saccheggio totale e di brutali violenze … “mulieres quoque et sanctimoniales in obbrobrium conversae sunt”.

[35] Sia il Re che Rainulfo divisero gli eserciti in due corpi. Penso che l’errore di Ruggero (figlio del Re) di aver inseguita l’ala sinistra nemica troppo lontano, fino a Manfredonia, abbia causato la sconfitta. Rainulfo era rimasto con forze superiori. Cronisti avversari di Ruggero parlano di paura di questo quando vide Rainulfo e di abbandono della battaglia.

[36] Come riferisce la disputa Falcone, S. Bernardo evitò l’argomento giuridico e canonico troppo nebuloso, del resto. Per lui se una sola Arca di salvezza può esistere e non due, quale sarà la vera? Quella seguita dall’Ambizioso Anacleto e dal solo Ruggero, o quella seguita da tutta la Cristianità? Questa senz’altro.

[37] Di Meo: op. cit. t. X, p. 83.

[38] Falcone Beneventano: “Lector, si adesses super tali tantaque Civitatis strage et confusione turbatus deficeres”. Anonimo cassinese: (il Re) “Aliphas redegit in cinerem”. Le due citazione in Di Meo, op. cit. t. X, pag. 85.

[39] Romualdo Salernitano: (Rainulfo) occasione flebotomiae mortuus est. Falcone Beneventano: Ardentissimo febris sinoche calore corruptus. In Di Meo, op. cit. t. X, p. 90.

[40] Falcone Beneventano: ultra humanum modum gavisus est, in Di Meo op. cit. t. X, pag. 91.

[41] Resisterono Bari, Troia, Ariano.

[42] Per lungo tempo Montecassino si era mantenuta fedele ad Anacleto, a Ruggero sempre.

[43] Era uno squadrone di cavalleria: mille uomini comandati dal Principe ereditario.

[44] Di Meo: op. cit. t. X, pag. 93 da Falcone Beneventano.

[45] Ibid.

[46] L’accordo fu stipulato il 25 luglio.