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Werner Johannowsky

 

PRESENZANO: NECROPOLI IN LOCALITA’ ROBBIA

(Electa per la Soprintendenza Archeologica di Roma, Studi sull’Italia dei Sanniti, 2000, pp. 16-19)

 

 

La  protostoria del settore del versante tirrenico compreso tra l’area interessata dalla cultura laziale a nordovest e il corso inferiore del Volturno a sud, era, fino a non molti anni fa, assai poco conosciuta, e tuttora non è noto nulla di consistente da tutta la fascia costiera tra Terracina e Minturno.

Anche se i contesti sinora conosciuti non sono anteriori alla seconda fase della prima età del Ferro, possiamo ormai ritenere superata l’opinione tradizionale secondo cui la parte del territorio attualmente in provincia di Frosinone sarebbe rientrata nella cultura laziale e incomincia a farsi strada il concetto di un’area culturale intermedia tra questa e quella ormai nota in Campania.

Già nel complesso più antico attualmente meglio noto –la necropoli presso l’anfiteatro di Cassino, in cui si è cominciato a inumare in tombe a fossa in parte coperte con pietre verso la metà dell’VIII secolo a.C. e le cui sepolture più recenti sono del VII secolo a.C. inoltrato– cominciano a evidenziarsi più che altro nell’artigianato della ceramica alcune forme peculiari che, insieme con l’impasto a superficie roso viva, che possiamo chiamare bucchero rosso, sono caratteristiche fino al tardo VI secolo dell’area a nord del Volturno, abitata secondo la tradizione scritta dagli Ausones e dagli Aurunci.

Un altro elemento che caratterizza tale cultura –per cui si è proposta la denominazione di “cultura della valle del Liri”– è la presenza generalizzata di armi nelle tombe maschili, comune presso le popolazioni sabelliche e indicativa invece in area etrusca di distinzione sociale. Mentre il Volturno fungeva evidentemente da confine verso gli Etruschi attestati a Capua e gli Opici, non è chiara la situazione a nord, dove non sono mancati, a giudicare dai materiali rinvenuti a Frosinone, contatti con il territorio ernico: rimane peraltro aperto il problema dei Volsci, così come più a sud quello dei Sidicini, anche se non è possibile che questi fossero una tribù ausone.

Quanto al rapporto con i Sanniti sono attestati contatti con Aufidena nell’Orientalizzante recente e il materiale più antico del santuario rinvenuto tra Presenzano e la necropoli in località Robbia, databile verso la fine del VI secolo a.C. presuppone la presenza sannitica nell’area di Rufrae,la cui arce sorta al tempo delle guerre sannitiche, coincide con il castello di Presenzano.

Altri centri degli Ausones erano Cales e Minturnae, e materiali della cultura ad essi attribuibile provengono anche da Trebula e Atina, mentre quelli importati a Pozzilli costituiscono la più importante testimonianza della sua fase più tarda, durata fino al V secolo inoltrato.

Mentre la necropoli di Cassino è rappresentativa del periodo finale della prima età del Ferro e dell’Orientalizzante antico (725-640 a.C. circa), le tombe rinvenute a Cales e quelle di Presenzano rientrano nell’Orientalizzante recente (640-570 a.C. circa) e nel periodo successivo e tra i materiali non mancano gli oggetti importati dall’area etrusca.

Le 27 sepolture trovate in località Robbia a sud del centro attuale di Presenzano, in massima parte intatte, possono essere datate grazie agli oggetti importati nel periodo tra il 620 e la metà del VI secolo a.C. e i loro corredi sono significativi nella cultura della valle del Liri per la ricchezza del repertorio vascolare, funzionale all’ideologia del banchetto, con cui sono in rapporto anche gli spiedi, rinvenuti solo in tombe di guerrieri, per la cui nutrizione era essenziale, anche nell’oltretomba la carne.

Tra i vasi aperti abbondano le coppe carenate d’impasto a superficie nera o bruna lustrata, spesso su alto piede e con le due anse ornate per lo più da costolature trasversali e una bugnetta tra di esse, mentre coppe a calotta di bronzo erano deposte ai piedi in alcune tombe di adulti.

Tra i vasi chiusi sono presenti le anfore, anch’esse d’impasto buccheroide e divisibile in quattro tipi: mentre  quello a corpo globulare più o meno schiacciato è molto diffuso anche in altre aree culturali e quelle a quattro grandi bugne ricordano tipi laziali, sono invece peculiari quelle di proporzioni più alte. Di queste una variante biconica con incavi verticali nella parte più larga è poco diffusa, mentre il tipo con costolature verticali sul corpo e anse doppie unite al centro è stato imitato nell’Orientalizzante recente anche ad Aufidena.

Tra le brocche abbondano le oinochoai in bucchero rosso, utilizzato anche per le olle biconiche di tipo tradizionale, rimaste tra le forme più comuni sul versante adriatico e lungo gli Appennini, e le olle stamnoidi da esse derivate: frequenti sono, infine, le olle con le bugnette sulla spalla o sporgenti spesso da un cordone sotto l’orlo, di cui gli esemplari minori fungevano da bicchieri, insieme con i kantharoi di bucchero etrusco.

Mentre le armi, tutte in ferro, tra cui spicca una testa di mazza sferica, sono tipi comuni in area sabellica, tra le fibule, prevalentemente di bronzo, gli esemplari ad archi doppi o tripli allargati al centro sono tipici della cultura della vale del Liri: ma proprio tra questi oggetti di ornamento son frequenti anche le importazioni, tra cui le fibule a drago con ghiande del tipo campano.

La necropoli, di cui sono state esplorate nel 1973 ventisette tombe, si trova circa un chilometro a sud dell’area sannitica, il cui sito fu poi occupato dal castello di Presenzano, subito a monte della strada pedemontana che collega la parte bassa dell’abitato attuale con San Felice a Rufa. La presenza su tale via di un santuario risalente anch’esso a età preromana e, presso l’imbocco per San Felice, di un complesso che dall’età tardo-repubblicana dovette essere il centro pubblico del pagus Rufranus, fa pensare che il tracciato di questa possa coincidere con un collegamento antico tra le direttrici delle due varianti della via Latina[1].

Le fosse rettangolari, di cui parte di quelle per la deposizione di adulti avevano riseghe lungo i bordi, erano orientate da ovest verso est, in direzione normale al leggero pendio e la posizione del defunto era supina; sempre nelle tombe di adulti la maggior parte del corredo vascolare si trovava  alle estremità e in parte sulla risega. Di solito una coppa, talvolta di bronzo, era collocata vicino a una brocca presso la mano destra e sullo stesso lato erano deposte nelle sepolture maschili armi, in posizione d’uso.

In base soprattutto ai materiali di importazione di provenienza campana, la cronologia della necropoli, che deve essere appartenuta a uno dei vici di Rufrae, può essere stabilita tra gli ultimi decenni del VII e la metà del VI secolo a.C.

Nell’ambito della ceramica d’impasto buccheroide, lavorata in parte con l’uso del tornio lento, sono particolarmente caratteristici gli anforischi con collo alto, anse bifide a X e corpo ornato da costolature verticali, l’anforisco a corpo basso spesso biconico con anse a nastro e solchi verticali nella carenatura, la coppa carenata talvolta su alto piede con anse crestate appiattite. In argilla bigia a superficie rossa lustrata alla stecca sono le olle biconiche di tipo decisamente tradizionale, ma mancano le olle con anse tripartite sulle spalle attestate a Cales. Si tratta di un repertorio diffuso nell’area a nord del Volturno derivante in parte da tipi attestati a partire dall’VIII secolo a.C. nella necropoli di Cassino[2] e di cui la forma più caratteristica, l’anfora costolata con anse bifide, è nota anche a Frosinone e in ambito diverso da quella che ho proposto di chiamare “cultura della valle del Liri”, ad Aufidena, dove sembra essere stata anche imitata[3], mentre qualche vaso isolato è stato rinvenuto nelle necropoli di Capua e di Suessula[4].

Tra gli oggetti metallici sembra peculiare della stessa facies la fibula ad arco doppio che si differenzia per lo spigolo vivo da tipi simili diffusi tra l’area peucetica e quella enotria[5], e di cui alcuni esemplari sono pervenuti in area laziale e in Campania fino a Fratte[6]. Affini sono le fibule a tre bozze, apparentate con quelle ad arco rettangolare frequenti ad Aufidena[7], mentre quelle a navicella piegata a triangolo sono vicine a esemplari diffusi nel Sannio meridionale e in particolare a Casalbore[8]. Gli esemplari a drago, che si trovano, come quelli a doppio arco, anche in tombe femminili sono invece evidentemente importati dalla Campania[9], da dove provengono anche i vasi di bucchero, pertinenti alla IV e V fase di Capua, e quelli subgeometrici, anch’essi prevalentemente in funzione del banchetto[10].

Tra le armi che, come parte delle fibule, sono in ferro, meritano attenzione i pugnali con tre globuli alla testata del manico e una mazza a corpo sferico, pure di un tipo diffuso in ambito piceno[11].

Alla fase successiva della facies culturale in cui s’inquadra la necropoli di Presenzano e che, a giudicare dall’area di diffusione, possiamo attribuire agli Ausones di età storica[12], appartengono le tombe finora pubblicate di Pozzilli, di cui le più recenti, databili intorno alla metà del V secolo a.C.[13], sono già decisamente più tarde del momento iniziale del santuario scoperto a Presenzano nel fondo Vacca.

Dato che la stretta affinità delle terrecotte più antiche da tale complesso con materiali medioadriatici fa pensare all’avvenuta penetrazione di elementi sannitici nell’area rufrana[14], è lecito pensare che questi abbiano, come del resto in Campania, convissuto con la popolazione già insediatavi.

 

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[1] Su Rufrae cfr., tra l’altro, Mommsen 1883, p. 475; Nissen 1902, p. 797, RE, I, A, 1, 1914, c. 1200, s. v. Rufrae (Philipp); Conta Haller 1978, p. 35 s.

[2] Cfr. su questa Carettoni 1958-1959, p. 163 s.; Johannowsky 1983, p. 288.

[3] Cfr. soprattutto Mariani 1901, c. 291 s. tav. XI, 3, 8; Parise Badoni, Ruggeri Giove 1982, p. 1 s., da cui risulta che del tipo e sopravvissuta una variante ad anse tortili.

[4] A Capua un’anfora del tipo di cui si è detto è stata rinvenuta nella tomba Fornaci 548 (Johannowsky 1983, p. 172, tav. LIII b 1, tav. 22a) insieme con un kotyle e un oinochoe di bucchero sottile; due vasi a superficie rossa lustrata provengono dalla necropoli di Suessula (Johannowsky 1983, p. 291).

[5] Cfr. sulla diffusione Guzzo 1972.

[6] Cfr. Fratte 1990, passim.

[7] Parise Badoni, Ruggeri Giove 1982.

[8] Johannowsky 1990, p. 13 s., tav. II, fig. 5.

[9] Esemplari di questo tipo sono giunti fino ad Aufidena, dove uno è stato trovato in associazione con un’anfora con anse bifide della forma tipica della “cultura della valle del Liri” (Mariani 1901, c. 352, fig. 52, tav. XI, 3, c. 595, tomba CCCLXIII).

[10] Il bucchero è rappresentato, tra l’altro, da kantaroi sia con piede a tromba sia con piede anulare, Kotylai e da oinochoai con collo alto; in argilla figulina sono coppette su alto piede, kotylai e olle stamnoidi.

[11] Dumitrescu 1929; Saulnier 1983, p. 28.

[12] Cfr. recentemente Mele 1991.

[13] Capini 1980, p. 119 s., tavv. 29-37; i materiali della tomba 55 coincidono con quelli più recenti della necropoli di Presenzano, la fibula ad arco rettangolare in ferro trova confronto ad Aufidena.

[14] Johannowsky 1990, p. 16 s., tavv. VIII-IX.