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Gioia Conta Haller

 

RICERCHE SU ALCUNI CENTRI FORTIFICATI IN OPERA POLIGONALE IN AREA CAMPANO-SANNITICA...

(Napoli, Accademia di Archeologia, 1978, pp. 35-39)

 

 

Presenzano

 

Dominante la pianura che costituisce la via più diretta e comodo tra la media valle del Volturno e la valle del Liri, il colle di Presenzano, con i suoi m 370 d’altezza, si presenta come l’ultima altura a S del Monte S. Leonardo (m 894), quasi un avamposto sulla valle[85] (Tav. XXIX, figg. 1-2; Tav. XXXII, fig. 3). Esso è occupato nella parte più alta dai ruderi di un castello medioevale circondato da un’ampia cinta muraria, rafforzata da torrioni circolari, che corrono lungo gli estremi margini della collina[86]; a mezza costa, a ventaglio sotto il castello, verso la pianura, si stende il paese di Presenzano. Dall’alto del colle si abbraccia con lo sguardo un territorio incredibilmente vasto, circondato dai Monti di Ciorlano, dal massiccio del Matese, dal Monte S. Nicola, dal Monte Caievola, dal Monte Auro, dai Monti Trebulani e dai Monti di Roccamonfina.

Un’attenta esplorazione, di cui ho avvertito la necessità dopo aver riconosciuto nel colle una posizione di alto valore strategico, mi ha permesso di scoprire nelle fondamenta della fortificazione medioevale alcuni tratti di mura sannitica, oltre ad alcuni, in ottime condizioni, compresi nell’alzato della cortina medioevale[87] (Tav. XXX; Tav. XXXI, figg. 1-3; Tav. XXXII, figg. 1-2).

I resti più notevoli sono nella parte occidentale, dove si conservano per una lunghezza di circa m 10, e per un’altezza di circa m 3; su di essi s’impostano direttamente le mura medioevali, costituendo un insieme di notevole interesse, (Tav. XXXI, fig. 3; Tav. XXXII, figg. 1-2). Nel tratto NO, compreso tra le torri C e D, non ci sono tracce di massi poligonali, i quali si trovano invece a costituire una superba cortina tra le torre D e E. Altri resti affiorano sotto la cortina medioevale, sul lato N, prima e dopo la torre F e ancora, sul lato S, subito dopo la G (Tav. XXXI, fig. 3). Nei punti in cui il muro sannitico non è più visibile, esso è stato occultato da una scarpata, aggiunta sempre in età medioevale, per rinforzare ulteriormente la cortina. I blocchi sono irregolari, e delle dimensioni più diverse, ma si distinguono sempre nettamente da quelli medioevali per la maggiore rozzezza, e per la grandezza in media notevolmente superiore.

I tratti di mura sannitiche appartenevano evidentemente ad una cinta, che aveva più o meno le stesse dimensioni del recinto medioevale. Da questo punto di vista, l’individuazione della cinta mi sembra di notevole interesse perché, oltre alla novità offerta dalla scoperta, la fortificazione di Presenzano, insieme a quella di Castello d’Alife, che considereremo più avanti[88], e a quella, anche se meno appariscente, dell’arce di Caiatia, testimonia non solo la rioccupazione medioevale del sito, che è un fatto abbastanza comune, ma una riutilizzazione delle strutture difensive in un luogo, che evidentemente ha conservato attraverso i secoli la stessa importanza strategica[89].

Tutta la zona presenta, d’altra parte, elementi di vario interesse.

Ai piedi della collina, in località Cappelluccia, presso la masseria Perella, accanto alla strada provinciale per Tora, nel maggio 1974 sono stati individuati i resti di un santuario, scavato in seguito da Werner Johannowsky, con materiale databile dalla fine del VI a.C. al III sec. a.C. I doni votivi più antichi, rappresentanti guerrieri o figure femminili, ricordano da vicino modelli del medio versante adriatico, mentre quelli dal V sec. a.C. in poi si avvicinano invece ai tipi etruschi e campani. Uno strato di bruciato si estende per tutta l’area sinora esplorata e sigilla quello sottostante con materiale non posteriore al III sec. a.C., ed è da mettere probabilmente in relazione con le distruzioni della guerra annibalica, che troviamo testimoniate in maniera analoga nel santuario di Pietrabbondante e ad Alfedena (Curino)[90]. L’area archeologica è confinante con la vecchia via di accesso da Vairano a Presenzano, che potrebbe essere di origine antica, anche considerando il tracciato estremamente regolare.

Quanto alla necropoli, essa è stata portata alla luce durante i recenti scavi[91], iniziati dopo la segnalazione di materiale sparso nella zona: precisamente essa si trova in località Robbia, fra la masseria omonima e l’attuale strada provinciale, in linea d’aria a circa m 300 dai resti della cinta sannitica (Tav. XXXI, fig. 1). Il materiale ritrovato nelle venti tombe scavate, e quello sporadico, è databile alla prima metà del VI sec. a.C.: tra esso sono alcuni buccheri importati dalla Campania, buccheri rossi, della ceramica subgeometrica, dei vasi d’impasto, fra cui alcune coppe su alto piede biansate, tipiche di Presenzano, anforette con corpo spesso baccellato e anse talora bifide, comuni anche ad Alfedena[92].

Tra i bronzi le fibule presentano vari tipi: ad arco rettangolare con tre globuli, a doppio arco, a sanguisuga e a navicella, oltre a quello campano a drago con ghiande. I pugnali di ferro sono del tipo piceno; le cuspidi di lancia e una testa di mazza sono invece del tipo trovato ad Alfedena. Il materiale della necropoli testimonia senza dubbio l’importanza del centro preromano, che doveva essere sorretto da un’economia piuttosto ricca di tipo più agricolo che pastorale, nel quale dobbiamo certamente riconoscere l’antica Rufrae, ricordata da diversi autori[93]

L’abitato sannitico era probabilmente sparso ai piedi della collina, per una fascia piuttosto larga; inoltre non è da escludere che, analogamente ad altri centri fortificati, vi fosse una zona fortificata sottostante all’arce, nell’area stessa dell’abitato medioevale[94]. La cinta, in ogni caso, oltre che costituire un punto d’osservazione e di controllo di una zona molto vasta, sembra aver servito da punto di raccolta e di difesa in caso di estremo pericolo alla popolazione della zona, oltre che di sbarramento all’accesso per l’altopiano del Monte Cesima.

La Rufrae sannitica cadde in mano romana nel 326 a.C., insieme ad Allifae e Callifae[95].

In età romana il centro pubblico fu spostato più a S, presso la via Latina, per evidenti ragioni di ordine economico e commerciale. Lungo essa sono i resti di un anfiteatro, dell’acquedotto, e di monumenti funerari. Ai piedi della collina dell’arce, fra le prime case, sono riconoscibili le rovine di una villa; numerosi d’altra parte sono i resti di strutture appartenenti a ville nell’area della pianura circostante[96].

Rufrae era inoltre nota per la produzione di frantoi. Se è corretto il riferimento alla nostra Rufrae della testimonianza di Catone (De agri cultura XII 4): (trapeti)... ad Rufri macerias... tale notizia potrebbe anche riferirsi alle mura della fortificazione sannitica, che nel II sec. a.C. dovevano ancora essere molto imponenti, sì da poter costituire un sicuro punto di riferimento topografico[97].

Il territorio di Rufrae, comprendeva certamente il tratto di pianura tra il monte Cesima e il Volturno, e, verso S, forse anche parte della conca di Mignano e delle pendici del vulcano di Roccamonfina. Non si può dire nulla di più preciso, perché, tra l’altro, anche in età romana si trattava di un’entità con diritti amministrativi limitati (vicus)[98], facente parte, con ogni probabilità, del territorio di Teanum Sidicinum, come fa pensare l’appartenenza alla diocesi e alla contea di Teano[99].

Il toponimo di Rufrae si conserva forse nella chiesa di S. Felice a Rufo, ora in rovina, e nella Fontana Rufo[100], mentre il nome di Presenzano, già testimoniato per l’età medioevale, deriva probabilmente dal gentilizio Praesentius[101].

Da quello che si è cercato fin qui di rilevare, in base ai nuovi dati a nostra disposizione, ci sembrano estremamente interessanti i modi e i tempi dell’insediamento, significativo, come vedremo, anche per altri dello stesso tipo. Infatti abbiamo visto come il centro sannitico, probabilmente di tipo scarso, si tendeva ai piedi, e forse sui fianchi della collina, ben fortificata nella parte più alta della cinta in opera poligonale: poco distanti, santuario e necropoli rispondevano alle esigenze della collettività.

In età romana l’insediamento, certamente ancora sparso, ma con un centro pubblico ben riconoscibile, si allunga in parte come si è visto, sulla via Latina, poco lontana (ca. km 3) dalla collina, mentre in epoca medioevale si sposta nuovamente sui fianchi della collina, dominata in alto dal Castello.

In questi ultimi anni si assiste infine ad un ritorno in pianura, lungo la strada provinciale e vicino alla stazione ferroviaria, e al progressivo abbandono del centro medioevale.

 

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[85] Ubicazione IGM 161 III SO Mignano Monte Lungo (rilievo 1942) e 161 III SE Pratella (rilievo 1942).

[86] Al centro rimane solo il gran rudere quadrato del Bergfried; il primo nucleo del castello si fa risalire ad epoca longobarda. Nel 1091 si insediò il feudatario del paese, Pandolfo di Teano. Federico II lo fortificò ulteriormente nel XIII sec. Gli Angioini ne ampliarono quindi la cinta muraria, v. Gleijeses, La regione Campania, Storia e arte, Napoli 1972, p. 245; Idem, Castelli in Campania, cit., p. 109, e da ultimo A. Bruschi-G. Miarelli Mariani, Architettura sveva nell’Italia meridionale: Repertorio dei castelli federiciani, Firenze 1975, pp. 42-44, figg. 1-7. Addossata alle mura, nella parte meridionale, sono le rovine della cappella, con abside semicircolare ricavata nello spessore del muro, probabilmente di età romanica. Nel 1547 il feudatario Ferrante Francesco d’Avalos cedette Presenzano insieme con Vairano a Giovanni Vincenzo Cossa in cambio dell’isola di Procida (A. Broccoli, Il castello di Presenzano, in “Arch. Stor. Campano” II 2, 1893-94, pp. 668-669).

[87] Il sopralluogo è stato in questo caso particolarmente difficile, sia per l’estrema ripidezza dei fianchi occidentale e settentrionale della collina, quasi impraticabili, sia per la presenza di una ricchissima vegetazione, che ha coperto in gran parte l’opera muraria: ciò ha reso impossibile un accurato rilievo.

[88] V. p. 62.

[89] Molte fortificazioni di centri italici furono rafforzate nell’alto medioevo. In genere il tracciato precedente fu rispettato, perché imposto da necessità tattiche rimaste immutate. Per i numerosi esempi, tra i quali ricordiamo le mura di Antino, di Arpino, di Alatri, di Cassino, v. Schmiedt, Le fortificazioni altomedievali in Italia viste dall’aereo (Atti della XV settimana di Studi del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo), 1967, pp. 6-14.

[90] La Regina, Il Sannio, cit., p. 223. Sui ritrovamenti nell’area del santuario, v. B. D’Agostino, G. D’Henry, C. Franciosi, E. Greco, W. Johannowsky, A. Pontrandolfo, La cultura materiale in età greca. La Campania settentrionale, in “La Voce della Campania”, 14 aprile 1976, p. 20. Brevi considerazioni sulla scoperta del santuario di Presenzano sono fatte da S. Moscati, Una signora di mille anni fa, in “L’Espresso”, 5 dicembre 1976, p. 105.

[91] Gli scavi, effettuati tra l’ottobre e il novembre 1973, a cura della Soprintendenza di Napoli, sono stati diretti dal prof. Johannowsky.

[92] Il materiale è conservato al Museo di Napoli. Ho avuto la possibilità di prenderne visione nell’officina di restauro. Per il materiale simile di Alfedena, v. L. Mariani, in “Mon. Ant.” X, 1901, Tav. XI, 3; 8; Cianfarani, Antiche civiltà d’Abruzzo, Roma 1969, Tav. LV, 124; 125; LXII, 135.

[93] Rufrae è forse la forma più recente del più antico Rufrium (Liv., VIII 25, 4) (Nissen, op. cit. II, 2, p. 797). È ricordata da Virgilio (Aen. VII 739) e da Silio Italico (Pun. VIII 566). Il Trutta collocava Rufrium nei pressi di S. Angelo di Raviscanina, dove esistevano resti antichi (op. cit., pp. 241-245), in polemica con il Cluverius e il Ciarlanti, che, interpretando lo stesso passo di Livio (VIII, 25,4), ponevano Rufrium, tradotta erratamente in Ruvo, in Basilicata o in Puglia (Ph. Cluverius Italia antiqua, Lugduni Batavorum 1524, p. 1200; G.V. Ciarlanti, Memorie Historiche del Sannio, Isernia 1664, cap. II). V. inoltre Romanelli, op. cit. II, pp. 458-465; Mommsen, CIL, X, p. 475; Philipp, in Pauly-Wissowa I A 1, 1914, s. v. Rufrae, col. 1200.

[94] Nel paese si sono conservati tre tratti di mura medioevali che scendono verso il basso e che probabilmente ricalcano un assetto antico (v. Tav. XXIX, fig. 66).

[95] Liv. VIII 25,4.

[96] Non esiste nessuna notizia di ritrovamenti nella zona, tranne quella di un sigillo bronzeo, in “Not. Sc.”, 1896, pp. 371-372.

[97] Rufrae è menzionata anche in CXXXV 2 (Trapeti Pompeis, Nolae, ad Rufri maceriam) dove Catone fa l’elenco delle città più note per la vendita di frantoi. Quest’ultimo testo è stato sottoposto a diverse interpretazioni. Infatti il Beloch, leggendo senza interpunzione, pone Rufrae nel territorio di Nola, identificandola nell’odierna Castello Cisterna (Campanien, cit., pp. 408-409). Il Nissen (op. e loc. cit.) e il Mommsen (CIL X, p. 475) pongono una virgola dopo Nolae, e collocano Rufrae a Presenzano. Il Philipp afferma l’esistenza di due distinte Rufrae, una in territorio sannitico, l’altra in territorio nolano (op. e loc. cit.). Per il significato di maceria in Catone usato oltre che qui in altri passi, cfr. Thesaurus Linguae Latinae VIII, s.v. maceria. Il significato di muro a secco va spesso unito a quello di recinzione. Poco più a N, nell’agro di Mignano Montelungo, in loc. Murazzella, sono stati rinvenuti una macina a calotta sferica e altri due frammenti appartenenti a mole da frantoio, oltre ad un frammento di macina da grano dalla forma di un doppio cono cassiale. I resti di tali macine si trovano per lo più in vicinanza di conserve d’acqua: ciò dimostra l’esistenza di piccoli centri di produzione agricola, v. Giannetti, Cisterne romane situate nei territori di Mignano Montelungo (agro di Suessa Aurunca) e in quello di Castrocielo (agro di Aquinum) in “Rend. Acc. Lincei” Serie VIII, XXX, 1975, pp. 201-211. Per quanto riguarda le macine, v. J Hörle, in Pauly-Wissowa XV 2, 1932, s.v. molaris lapis, coll. 2517-2518. Salendo verso il paese di Presenzano, sulla destra,  ancora riconoscibile un’antica cava di trachite, ora abbandonata.

[98] Ciò risulta da iscrizioni di età augustea, cfr. CIL X 4830, 4831, 4833: Rufrani vicani.

[99] Giustiniani, op. cit. LX, p. 46.

[100] S. Felice a Rufo è ricordata in un diploma del 986 (Geremia de’ Geremei, op. cit., pp. 4-6). Nelle decime degli anni 1308-310 e 1326 nel Presbiteriato di Presenzano, appartenente alla diocesi di Teano, è testimoniata la chiesa di S. Felice (Felicis ad Rufum), insieme a quella di S. Angelo de Rufo, v. Iguanez, Mattei-Cerasoli, Sella, op. cit., nn. 760-761; 978. Sul Zuccagnini-Orlandini, Carta del Regno di Napoli di qua dal Faro sotto il dominio dei Romani e nel Medioevo, in Atlante geografico, cit., come traduzione di Rufrae compare la denominazione di “La Costa Rufaria”. Non è improbabile che in un certo momento si sia verificata una combinazione con il nome di S. Rufo, testimoniato già in antico in Campania, soprattutto a Capua (F. Lanzoni, Le origini delle diocesi antiche d’Italia, Roma 1923, pp. 129-132).

[101] Per il gentilizio Praesentius, v. G. Flechia, Nomi locali del Napoletano derivati da gentilizi italici, Torino 1874, p. 43 (Praesentiarum, Praesentius, Praesens); Schulze, op. cit., p. 68, 210 e nota 6 con le testimonianze.