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Pietravairano

 

Santa Maria della Vigna

 

(testo tratto da P. Odorico Tempesta, La “Gemma” di Pietravairano, 1988, pp. varie da 89 a 186)

 

 

Le prime notizie sulle origini della Chiesa “S. Maria della Vigna” (e del Convento) in Pietravairano, si hanno appena nel 1725, anno in cui fr. Giuseppe Pellegrino, iterato Vicario Generale dei Domenicani, si recò a Pietravairano per definire il problema della riduzione delle Messe. In quella circostanza, si interessò a raccogliere documenti, verbali, scritti riguardanti la Madonna della Vigna e il culto; la sacra Immagine e le leggende; aneddoti e prodigi attribuiti alla intercessione della Madre di Dio e copie delle varie donazioni…

Tutto quello che riuscì a raccogliere e quanto lui lasciò scritto, divenne di pubblica ragione non solo, ma fu ritenuto materia di… fede! Sin a che punto, si vedrà.

 

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Circa la fondazione della Chiesa non vi sono da fare che semplici ipotesi.

La prima sarebbe, che subito dopo il ritrovamento dell’immagine della SS.ma Vergine, 1384, sia stata edificata, in loco, una cappella (si potrebbe, più propriamente, parlare di riedificazione della cappella in cui trovavasi l’immagine) e che negli anni successivi sia stata ampliata nelle proporzioni che oggi vediamo.

La costruzione della chiesa è da porsi nel periodo di tempo, che va dal 1400 al 1430, come si può dedurre dallo stile pre-barocco della facciata risparmiata dal disastroso incendio, che nella notte della vigilia della festa di S. Domenico, ossia del 3 Agosto 1612, incenerì quasi tutto il sacro tempio, distruggendo così ogni traccia stilistica, risparmiando due cappelle: quella del SS.mo Rosario e l’altra del SS.mo Nome di Gesù. Il Soccorpo non subì alcun danno. La data dell’incendio è del notaio Ferdinando Adenolfo.

La volta fu rifatta e venne decorata a stucco da un certo Pietro di Cerreto Sannita e da Simone Sante di Lecce.

Per testimonianza del notaio Giovanni Benedictis, aprile 1422, sappiamo che la chiesa “S. Maria della Vigna” fu costruita con le offerte dell’Università e dei cittadini di Pietravairano, i quali perché venisse assicurato il culto e non venisse meno la devozione verso la Celeste Patrona, provvidero ad eleggere dei procuratori nelle persone di degnissimi cittadini: Cobellone Del Giudice, Nicola De Massio e Giovanni Lambrosca, oblato – della chiesa.

Nel 1422, quindi, non v’è alcun sacerdote o religioso, ma un semplice oblato, si potrebbe dire un volontario o eremita, non vincolato da regole e non dipendente, giuridicamente e direttamente, dalle autorità ecclesiastiche.

In seguito, 1434, per atto del notaio Giovanni De Benedictis, si viene a conoscenza, che dopo il procuratorato di Antonaccio di Capoa, 1433, l’oblato Giovanni Lambrosca fu scelto dall’Università cittadina, come suo procuratore della Chiesa con tutta la facoltà.

Nella Bolla di Papa Eugenio IV (1431-1447) dell’aprile 1444 che arricchiva la Chiesa della Vigna per magna consuevit confluere populi multitudo di grande indulgenza – 20 anni – non si fa parola alcuna e del Convento e dei Domenicani.

Nel maggio 1445 il notaio De Simone stipula un Atto con il quale i coniugi Antonio/Sabella – Cupella, offrono e donano tutti i loro beni alla chiesa di S. Maria della Vigna e per essa e in luogo di essa al Rev. Arciprete Don Antonio Frascone.

È nel maggio del 1450, che per la prima volta, in un Atto di donazione, rogato dallo stesso notaio De Simone, vien fatto il nome di un religioso: “Ruccia Apolli dona alla chiesa alcuni usufrutti e per essa a fra Antonio da Petra Mastro e Procuratore” di detta chiesa…

In un successivo Atto del De Simone, dell’agosto 1450, viene ricordato che il “Signor De Ventoli dona al Convento due territori in tenimento di Vairano”.

Nell’Atto si parla di convento, ma che si sia formata o vi fosse, in quel periodo (maggio-agosto 1450) una comunità regolare di frati, non è di facile deduzione.

È del dicembre 1458, infatti, che S.S. Pio II (Silvio Enea Piccolomini: 1458-1464), dietro formale richiesta e presentazione da parte dell’Eccel.mo Vescovo Diocesano, emana la Bolla con la quale i Padri Domenicani vengono immessi dal vescovo di Sessa nel possesso e nell’ufficio della chiesa di S. Maria della Vigna di Pietravairano, della Diocesi di Teano.

In seguito il convento fu scelto a sede di noviziato e a studio di filosofia…

 

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La Chiesa di S. Maria della Vigna, dopo l’incendio della notte 3-4 agosto 1612, vigilia della Solennità del Padre S. Domenico, venne subito ricostruita, conservando la forma originale e le stesse strutture, sostituendo ciò che era di legno con altro materiale.

Così, la volta fu rifatta con graticciato di legno, rivestito di intonaco e malta di gesso; il pulpito e gli altari in pietra furono ornati e fregiati in stucco e oro zecchino.

Nel corso degli anni è andata soggetta a ripetuti restauri, sia esternamente, sia nell’interno per renderla più stabile, accogliente, più degna dimora di Dio e calda di fervore mariano.

Ha una lunghezza di m 38, dei quali 16 sono occupati dal presbiterio e dal coro, che sono sopraelevati di un metro e venti centimetri dal piano navata.

La larghezza è di circa metri otto.

Al centro, tra il campanile e il convento, risalta la facciata della chiesa. È di un romanico della decadenza, ricca di stilemi tipici del tempo.

Sopra il portale, nella lunetta d pietra, vi è un medaglione con immagine di stucco della Madonna con sotto la scritta: “PAVETE AD SANCTUARIUM MEUM – EGO DOMINUS”.

L’ingresso, con portone di legno, è alto m 4 e largo m 3, con stipiti di pietra locale, nella parte bassa dei quali ghirigori di pietra.

Su due supporti di pietra s’innalzano due fasci di colonne (due più due); sul cornicione che li unisce, perpendicolari ai primi, altri due fasci, con colonne di dimensione inferiore. Tra le coppie delle colonne di questa seconda sezione vi sono due nicchie: in quella di sinistra v’è una malridotta statua in terra cotta di S. Domenico, e nell’altra nicchia a destra vi era la statua di S. Francesco d’Assisi; vi è rimasto lo stemma delle braccia incrociate.

La terza sezione della facciata termina in semicerchio sormontato da una croce di ferro battuto, mentre nel centro, sono evidenti i segni della simbolica colomba irradiante, a simboleggiare l’azione dello Spirito Santo, sorgente e portatore della Luce nella Chiesa di Cristo.

Sotto la statua di S. Domenico, nella prima sezione, tra le due colonne è stata incastonata la lapide in marmo bianco a ricordo del primo pontificale celebrato dal Vescovo P. Agostino Castrillo nella terra che gli diede i natali…

L’ingresso alla chiesa è protetto da un tamburo di legno, che porta la data: A.D. 1920 con in linea la sigla: M.A.R. e F.F., che vorrebbe celare la paternità dell’offerente e dell’autore.

Il sacro tempio, ad una navata, si presenta al visitatore come un assieme armonioso di luci e colori, che riempie gli occhi e lo spirito.

La luce, che piove dai nove finestroni, distribuiti simmetricamente sulla destra e sulla sinistra delle pareti e da quello centrale, sulla cantoria, ravviva i pavimenti e i colori degli stucchi, delle lesene, dei cornicioni, dei capitelli, il pulpito e la volta.

L’elegante decorazione è opera di un certo Pietro da Cerreto Sannita e del leccese Simone Sante.

L’occhio è attratto dal quadro, che riempie la parete di fondo, dietro l’Altare Maggiore ed è in una grande e larga nonché ricca cornice di stucco.

È una tela di m 4 x 2, che raffigura l’Assunzione di Maria SS.ma, opera che porta la firma al completo del pittore napoletano, Gaetano Gigante (1850), padre e primo maestro del più famoso dei quattro figli, ossia Giacinto, della scuola di Posillipo, autore di oltre duemila lavori, tra bozzetti ad olio, acquarelli, disegni, mezze tempere e circa duecento paesaggi di una fluidità pittorica straordinaria…

Il presbiterio è dominato dall’Altare Maggiore, rivestito di marmi policromi, costruito dal superiore del tempo, P. Pietro Prozzillo (1750), in sostituzione del vecchio di stucco.

Nell’occasione si sostituì la balaustrata di legno con l’attuale e con i cinque gradini di marmo scelto: un lavoro decorativo molto valido, che fa della chiesa una piccola basilica.

Non si sa dove siano andati a finire altare, balaustrata e vecchi gradini, nulla si conosce anche della tela di S. Francesco d’Assisi tra le spine, che era dietro l’altare e fu donata dai frati Scalzi di S. Pasquale.

Il nuovo altare liturgico in legno con Croce bifronte e candelieri in metallo sono dono del Comm. Dr. Francesco Marrocco fu Giuseppe… Il piccolo ambone mobile sulla sinistra dell’altare è a devozione della sig.ina terziaria Carbone Gabriella, che ha pure curato i paramenti e i vasi sacri liturgici.

Lungo le mura perimetrali o le pareti interne della chiesa, v’erano otto cappelle; alcune erano illuminate a luce diretta, altre no.

Queste ultime furono ridotte a semplici altari sotto i grandi archi a tutto sesto, ridotti questi ad archi più piccoli, policentrici da sesto ribassato e congiunti ai primi da raggi e listelle di marmo e di stucco colorati.

Sei di dette cappelle erano padronali; due appartenevano al convento e dedicate ai Santi.

Tutte godevano del Jus sepeliendi.

 

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Centro e anima della chiesa è il “Soccorpo”.

Da due nuove scale (1948), ciascuna di quattordici gradini di marmo, situate a destra ed a sinistra del presbiterio, si scende nel “Soccorpo”.

Si avverte subito, nello spirito e nel cuore, di trovarsi in un luogo sacro d’incontro con Dio e la Mamma Sua Santissima; con se stessi e con i fratelli che non sono più!

Il silenzio, l’azzurro della volta, l’ordinata disposizione dei nove banchi di cerro (offerta dal sig. Francesco Cerbo a ricordo del figlio morto nella primavera della vita); il profumo delicato dei fiori sempre freschi nei vasetti di vetro, disposti attorno all’altarino, la fiammella della lampada ad olio, che giorno e notte rischiara la cappella, sono un invito a raccogliersi, a meditare prima dell’incontro desiderato.

Il vano è a pianta quadrangolare; la volta alta m 3,60 è sorretta da sei colonne di pietra, rivestite di stucco, complete di basi e capitelli, che dividono la cappella in tre piccole navate: due laterali a crociera, la centrale a vela.

Nella cimasa dell’ultima colonna a destra, a ricordare forse la data del restauro si legge:

“Hoc opus F.M.P. BB. A.G.P. A.D. 1513”

Quest’opera fece Mastro Pietro Barbato – Ave Grazie Plena – Anno del Signore 1513.

 

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Al centro tra le due scale, vi è la Cappella della Madonna della Vigna, divisa in due sezioni, dalle uguali dimensioni.

Sull’arco d’ingresso si legge l’invito:

Adeamus cum fiducia ad tronum Gratiae”.

Sull’unico gradino sta una nuova piccola armoniosa balaustra, incardinata alle vecchie colonnine di marmo, che prima reggevano quella in ferro battuto, andata perduta, dei Marchesi Grimaldi – come si rileva dalla data posta sulla colonnina destra: “Ave Maria! A.D. 1634” e dallo stemma della Casa sull’altra.

La cappella – oggi prima sezione – aveva e conserva le seguenti caratteristiche e proporzioni: mq. 3,50 x 3,00; altezza m 2,70; nella volta a mezza botte in stucchi settecenteschi, in un cielo azzurrino e cornice di stucco vi sono: una tela dell’Assunta (diametro m 1,00); sulle pareti due medaglioni in cornice di stucco anch’essi, (diametro cm 70); con tela del Gesù Risorto a sinistra, con piccolo scettro nella mano destra e giglio nell’altra, e dell’Eterno Padre nella parete di fronte, derubate nella notte del 27 Agosto 1988.

Al centro e addossato al muro v’era l’altare di marmo policromo con sopra, in elegante cornice di metallo e protetta da cristallo, la sacra immagine della Madonna, racchiusa in due sezioni semicircolari dello stesso marmo. Il tutto fu fatto costruire (1759) a sue spese (ducati 115) dal domenicano Padre Lettore Ceslao Martinelli, che volle inserire nella pedana lo stemma di famiglia.

Oggi la cappella si presenta in modo diverso, con nuove strutture e raddoppiata in grandezza, con altare e colonnine, pavimento e zoccoli di pietra bianca di Trani (Bari) e con nuova collocazione dell’immagine su nuovo basamento.

La trasformazione è dovuta alla grande e persistente umidità, causa del deperimento di intonaci e muri nonché al pericolo che minacciava la sacra immagine della Madonna, che aveva molto perduto del fascino e vivacità dei suoi colori.

I tentativi eseguiti nel passato non avevano, nel tempo, dato risultati positivi.

P. Cipriano intraprende un grande lavoro di radicale soluzione.

Non si lascia prendere dal timore di eventuali sorprese e dalle certissime difficoltà finanziarie. La fiducia incondizionata nella Madonna lo arricchisce di nuove energie: è certo che la SS.ma Vergine della Vigna, avrebbe acceso il cuore e aumentata la generosità dei devoti e dei figli di Pietravairano, per rendere più sicura e bella la dimora della Mamma Divina con il liberarla dall’umidità, sempre più in pericolosa espansione.

Volle, chiese e ottenne quanto era nei suoi desideri.

Il Sovrintendente ai monumenti di Caserta, ing. Dr. Michele Lucariello, interessato dagli amici Dr. Francesco e Dr. Ernesto Cerbo, benefattori del Santuario, invia sul posto l’Architetto Grazia dei Tripodi, che sollecita la eliminazione dell’umidità, unica vera causa delle cattive condizioni in cui si trovava tutta la cappella.

Il lavoro viene affidato alla Ditta Giovanni Castrillo.

Si iniziano gli scavi; vengono sistemate altrove le sacre ceneri dei defunti (le chiese servivano da cimiteri). Ma il terreno è sempre inzuppato di acqua. Si fa una intercapedine larga e profonda un metro circa.

L’umidità persiste.

La volontà di eliminarla è più forte.

Si pensa di isolare l’altare.

Si procede ad un attacco dall’alto per vedere cosa si nascondesse dietro il muro dell’affresco.

Vengono, perciò, rimossi dall’interno della chiesa superiore tre gradini dei sei, che portano al presbiterio e gli operatori scendono nella tomba riservata ai religiosi e ai benefattori.

I loro occhi si riempiono di stupore e meraviglia.

La luce che filtra dai dieci finestroni, all’improvviso illumina e svela il mistero ignorato da secoli!

Davanti a loro, su un basamento di mattoni e di pietre sta un monoblocco parallelepipedo, alto m 1,50, dai lati della larghezza di m 0,90 e 0,85.

L’Immagine della Madonna non è sola!

 

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Il lavoro diviene sempre più delicato e pieno di apprensioni.

Si rimuove il ricco vecchio altare; si rimuovono anche le due semisezioni circolari di marmo della lunetta che racchiudevano l’affresco e si procede all’abbattimento del muro tambone.

I cuori dei pochi presenti hanno fremiti di intima gioia e di soddisfazione indescrivibile, mentre lacrime di commozione velano le loro pupille.

Sono stati i primi a vedere il tesoro nascosto da secoli e circondato da aloni di leggende e di mistero ed ammirare la Gemma Maria SS. Regina della Vigna!

A questo punto, è spontanea nonché logica la domanda: perché altari: scopritori, scultori, pittori, fabbri, religiosi interessati al ritrovamento e alla sistemazione dell’immagine e ai suoi restauri, compreso lo stesso padre Ceslao Martinelli, inspiegabilmente mai nulla hanno detto sulla natura della sacra immagine, ma hanno sempre parlato di quadro, figura, ritratto, tavola di terra, lapidea pareta a fresco depicta (muro di pietra e calce), lapidea sacra.

L’anonimo autore della Synopsis, lui solo, fa una descrizione quasi precisa: imago lapidea seu lapide depicta, altitudinis cubitorum duorum, latitudo vero cubiti unius ejus dimidio e non aggiunge altro.

Così, ciò che si è voluto responsabilmente tacere (è semplice ipotesi) e tenere avvolto nel mistero (e perché poi?), l’imprevedibilmente è divenuto oggetto di maggior culto e devozione verso la Madonna e di grande interesse artistico, di cultura e di storia, grazie allo spirito di iniziativa di Padre Cipriano.

 

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La Madonna della Vigna non è la sola immagine del monoblocco, vi sono altre due; il SS.mo Crocifisso, sulla faccia opposta alla Madonna, e S. Giuliano, l’ospedaliere, sul lato sinistro.

La sorprendente, per quanto inaspettata, scoperta destò meraviglia e stupore.

La stampa diffuse la rivoluzionaria notizia, che comporta molti interrogativi, a qualcuno dei quali (nei limiti del possibile) si cercherà, con qualche ipotesi, di dare spiegazione.

Il Mattino del 28/4/1982, nell’art. a firma di Domenico Caiazza, nella fretta di trasmettere la notizia auricolare (!) parla di rinvenimento di due affreschi: “celati a due metri di profondità, sepolti nel pavimento della navata, alle spalle della Madonna della Vigna” (!!).

- Notizia riferita non è sempre fedele alla verità!

Il Soprintendente ai Beni Culturali Monumentali di Caserta, Dr. Arch. Michele Lucariello, appena avuta conoscenza della scoperta di un tanto tesoro d’arte e di fede, si recò sul posto con il restauratore Prof. Grazia dei Tripodi e l’Arch. Rosa Carafa, docente presso l’Istituto di Restauro della facoltà di Architettura di Napoli e Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Caserta.

A riceverli furono il Superiore P. Cipriano M. Caruso, il sindaco Prof. Aldo Zarone, il Dr. Cifonelli Renato, l’Arch. Antonio Bassi, in rappresentanza del Comitato del Patrimonio Storico-Ambientale di Pietravairano.

Il Soprintendente d’intesa con i presenti, dispose isolare il pregevole monumento, senza spostarlo, ma porlo su un monoblocco di pietra bianca alto m 1,05, creando un vano di mq 4 x 4, prolungando in tal modo la primitiva cappellina.

La illuminata sistemazione è quanto di più semplice e felicissima soluzione.

I fedeli non avvertono più distanza tra loro e la Mamma divina e sono gioiosi di fissare le loro nelle pupille luminose della Regina del Cielo e pregare ai piedi dell’Uomo-Dio Crocifisso.

Con alcuni accorgimenti bisognerebbe provvedere che le immagini non vengano a contatto con mani, fiori e tutto ciò che potrebbe cagionare danno alle immagini stesse.

 

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