Il Crocifisso.
(testo tratto da
P. Odorico Tempesta, La “Gemma di Pietravairano”, 1988, pp. 180-182)
La scoperta del 1982 ci offre l’occasione di
ammirare anche un’opera veramente capolavoro: il Crocifisso!
L’immagine è sulla faccia opposta della stele su cui
è la Madonna, alla quale non è seconda per bellezza ed espressione.
Si dica subito che il Crocifisso è l’immagine meno
danneggiata dai restauratori sconosciuti e incompetenti e che andrebbe ripulita
dalle figure aggiunte, con le quali hanno voluto erroneamente, riempire il
senso di vuoto attorno alla Croce a danno dell’originale bellezza e del valore
artistico, del tragico silenzio! e sovrana solitudine!
L’immagine manifesta la convenzionale iconografia
dell’arte bizantina.
L’autore doveva possedere delle ottime capacità e
uno spirito eccezionale per poter trasmettere amore e devozione verso il Divin
Martire del Golgota e ammirazione per l’arte.
Finezza, scelta dei colori, grande intensità
espressiva, adeguata conoscenza anatomica, sono espresse dalle proporzioni e
dall’armonia tra le varie parti del corpo e specialmente dai fasci dei
legamenti, dalle masse muscolari delle gambe e del petto del Crocifisso e dalla
testa ripiegata e dalla flessione di tutto il corpo, avvolto da un velo di
impalpabile morbidezza e divenuto trasparente, diafano per l’assenza della
vita!
Non è il caso di chiedere e cercare chi sia stato
l’autore delle due immagini. Una cosa è certa: gli autori sono diversi.
Sono diversi perché le immagini singole presentano
molte differenze di arte, di stile, di tempo, nel quale sono state
rispettivamente dipinte; inoltre i colori, i tratti, le stesse figure, gli
atteggiamenti sono diversi e ogni immagine rispecchia un periodo di splendore
(vedi il Crocifisso) o un periodo di decadenza (vedi la Madonna e il S.
Giovanni e gli angeli attorno alla Croce).
Chi è che non vede la enorme differenza, poi, tra la
Madonna della Vigna e l’Addolorata ai piedi del Crocifisso?!
La stessa che passa tra la notte e il giorno!
Per cui anche dal profano, dal digiuno d’arte, dal
superficiale ammiratore vengono rilevati gli atteggiamenti e i lineamenti del
viso, lo splendore degli occhi, la luminosità della fronte, il garbo delle
labbra, la morbidezza delle mani e del collo della Vergine della Vigna, che non
hanno nulla a che vedere anzi che sono in grande contrasto con le mani
grassocce, la fronte rugosa, le labbra storte dell’altra.
Diversa, perciò, l’anatomia dei dipinti, diverse le
espressioni, diversi anche gli autori, anche se i colori sono quasi identici,
ma non temperati con arte quelli delle immagini aggiunte. Identità questa che
dovrebbe addebitarsi ai restauratori e non agli autori, i quali, senz’altro,
sono distanziati nel tempo l’uno dall’altro. Non v’è alcun dubbio, che la
Madonna della Vigna sia di parecchio prima dell’altra sotto la Croce di Gesù;
all’autore di costei sono da attribuirsi e S. Giovanni e gli Angioli che
reggono il calice e che sono in ginocchio.
Ignorando l’autore o gli autori, è difficile
determinare il tempo in cui è stata compiuta l’opera.
Se non è eresia per alcuni affermare che
l’immagine della Madonna della Vigna è da far risalire alla fine del ‘300, o
nella fioritura della scuola giottesca…(!) non sarebbe neppure esagerazione
dire che bisogna andare ancora prima di tali periodi.
Si tenga presente, che quando il blocco monolitico,
diciamo, l’Immagine della Madonna fu rinvenuta, 1384, Giotto s’era spento da 38
anni…, all’età di 50 anni.
Il seppellimento dell’immagine dovette
avvenire qualche secolo prima della morte del suo maestro Cimabue, che chiuse
gli occhi il 1302 all’età di 62 anni.
Chi osserva il Crocifisso di S. Maria della Vigna e
vede il capolavoro di Cimabue (Assisi: Basilica Superiore di S. Francesco) La
Crocifissione, nota qualcosa di comune, ma anche una sostanziale diversità:
mentre nell’ignoto artista si nota una certa simmetria, in Cimabue vi è una
tensione asimmetrica del Corpo di Gesù.
Alla domanda, poi, quando, presumibilmente, la
grande stele sia stata seppellita, si risponde con formulare due ipotesi; la
prima sarebbe:
il
seppellimento potrebbe essere avvenuto in seguito ai furori
iconoclastici dei secoli XI, XII, XIII?
Non sarebbe da escludersi
totalmente!
I Valdesi, infatti, i
Petrobusiani e specialmente gli Albigesi, con il presuntuoso pretesto di
riformare la Chiesa, lottavano il Papato, negavano alcuni dogmi, e per
distrugge l’idolatria,
intrapresero una sanguinosa lotta contro le sacre immagini.
Da Alby l’incendio
iconoclasta divampò in tutta la Francia e si estese, con violenza e immensi
disastri, in tutti i territori soggetti al potere dei francesi, non escluso il
Regno di Napoli, dove i d’Angiò – legati politicamente agli albigesi – erano di
casa o vicini di porta.
Se il seppellimento vi fu per furore iconoclasta, questo
sarebbe da porsi fra la fine del XII sec. e gli inizi del XIII, ossia prima che
Simone da Monfort e Luigi VIII, detto il Leone
(1226) avessero sconfitto gli albigesi dopo una lunga guerra; perciò verso il
1100.
La seconda ipotesi: il seppellimento non potrebbe attribuirsi a cause naturali?:
scosse sismiche, slavina staccatasi dal costone del m. Cajevola, infiltrazioni
d’acqua, smottamento del suolo con conseguente rovina o inghiottimento della
cappella.
Ipotesi non del tutto
impossibile o da escludersi, considerate le caratteristiche geologiche del
suolo, prevalentemente argilloso su cui è costruita Pietravairano e
particolarmente la zona sulla quale, prima che venissero costruite il convento
e la chiesa, sorgevano altre costruzioni, su i cui resti furono costruiti e
chiesa e convento, come già detto e testimoniato anche dagli Ingegneri Tiberio
di Campobasso.
Sia che si accetti una
delle due ipotesi, sia che si rifiutino entrambe, il seppellimento della cappella dovette avvenire alcune
generazioni prima del rinvenimento del grande blocco; però non dopo il 1250; ma
molto prima e per conseguenza le figure prima ancora.