¾ PIETRAROJA, LASSÙ SUI MONTI DEL MATESE[1]
di Emidio Civitillo
CENNI DI STORIA
Non tutti gli studiosi sono concordi sull’origine e
sulla derivazione (etimologia) della parola “Pietraroja”. La tesi
più accreditata è quella secondo la quale tale nome deriverebbe dal colore rosa
del marmo (pietra rosa, da cui “Pietraroja”) che si trova sul
costone di Sud/Est del “Palumbaro”.
E non nella località “Fucina”,
come erroneamente è stato scritto tante volte. La località “Fucina” è situata ad Est del centro abitato di
“Pietraroja”, al di sotto della strada che porta a Morcone, mentre
il “Palumbaro”, che è la
parte orientale del Monte Mutria (
Non si continuò l’estrazione del marmo per le
difficoltà, all’epoca, di raggiungere il luogo: lontano dalla strada, con
forte dislivello rispetto ad essa e su un costone piuttosto ripido ed impervio.
Successivamente furono anche posti vincoli di difesa paesistico-ambientale e il
discorso di estrarre il marmo fu definitivamente chiuso.
Tornando alla località “Fucina”,
in essa non esiste alcuna pietra di colore rosa, ma solo modesti giacimenti di
scisti bituminosi di colore scuro, talvolta utilizzati come combustibile,
scavandone piccole quantità con un piccone, come ricorda Domenico Falcigno,
sindaco, a tempo pieno e molto impegnato, del suo amato paesello dal 1970 al
1985, con numerose ed importanti opere realizzate (strade comunali e rurali,
elettrodotti, acquedotti, il moderno palazzo del municipio, ecc.).
In base a quanto ha lasciato scritto lo storico Strabone (
Nei testi medioevali il nome “Pietraroja” viene
riportato con qualche variazione: Petraroyce,
Petraroja.
“Pietraroja” è sicuramente un paese
antichissimo. Sulle sue origini si è scritto che esso deriverebbe da un piccolo
villaggio sannitico di oltre 2.000 anni fa, fondato in seguito alla distruzione
dell’antica città di “Telesia”,
intorno all’85 a.C., da parte del console romano Lucio Cornelio Silla,
che volle punire non solo “Telesia”,
ma anche altri centri sanniti, che avevano appoggiato Caio Mario proprio contro
Silla nella guerra per la conquista del potere di Roma. Parte dei telesini,
scampati alla morte, cercarono rifugio verso Nord, sui monti del Matese, dove
fondarono il piccolo villaggio (la prima “Pietraroja”) nella zona
attualmente denominata “Case
Vecchie”, lungo il bosco del “Feo”,
che è una zona piuttosto distante, e in basso, dall’attuale centro
abitato. Essa si trova alla sinistra del torrente “Torbido” (ovviamente
spalle alla sorgente), tra contrada Valli, “Fontana
Falcigno” (costa d’
gl’aucégli) e giù verso “Fontana
Iannotti”. Nella zona del “Feo”
si trovava il vivaio forestale della Comunità Montana del Titerno, trasferito a
Cerreto Sannita nell’inverno 1995/1996. Al “Feo” si arriva dalla strada provinciale Cusano Mutri -
Pietraroja, percorrendo la strada comunale per “Case Varrone”.
Può essere importante rilevare che lo storico Strabone,
nato circa 20 anni dopo la distruzione di “Telesia”
(
Distrutto il villaggio della località “Case Vecchie”, lungo il bosco del “Feo”, da una calamità naturale (non si sa bene se
terremoto o alluvione), ne fu costruito un altro (la seconda
“Pietraroja”) molto più in alto e parecchio distante dal “Feo”, tra le località “S. Anna” e “Castello”, dove si trova
parte dell’attuale centro abitato.
Dopo che anche quest’ultimo villaggio fu distrutto,
secondo la versione più attendibile dal terremoto dell’11 ottobre 1125,
il paese (la terza “Pietraroja”) venne ricostruito poco più a
monte, nella zona detta “Terra
Vecchia”, dove attualmente si trova il piccolo e grazioso (è proprio
così) cimitero, che, per le sue caratteristiche (posto vicino al
ripetitore RAI, su un cocuzzolo
di montagna molto panoramico, con non molti loculi nei due muri che delimitano
un piccolo cortile rettangolare), costituisce una vera e propria attrazione
turistica. Il paese fu cinto da mura solidissime nella parte (a Sud e ad Est)
di meno difficile accesso, agli angoli delle quali furono innalzate massicce
torri circolari. I rimanenti lati erano protetti da alti e inaccessibili balzi
montagnosi.
Per oltre cinque secoli qui rimase il centro abitato, che,
come i centri abitati degli altri paesi della zona (tranne Cusano Mutri per la
sua particolare formazione geologica), venne raso al suolo dal terribile terremoto
del 5 giugno 1688, “...ad hore 21..., ...ch’essendosi cantate
le Vespere...”, con 400 morti, come da descrizione manoscritta
dell’allora arciprete don Liberatore Manzella, in un vecchio registro dei
matrimoni redatto dallo stesso arciprete.
Agli inizi del 1700 i superstiti del terremoto iniziarono a
costruire la quarta “Pietraroja”, dov’è attualmente. E fu
proprio il conte di Cerreto, Marzio Carafa, di cui “Pietraroja” era
feudo, ad influenzarne la pianta, che è piuttosto squadrata e richiama (un
po’ alla lontana, s’intende) la bella pianta di Cerreto Sannita,
voluta sempre dal conte Marzio Carafa.
Nella signoria di “Pietraroja” si successero,
per 4 secoli, i cavalieri normanni della casa Sanframondo. Nel 1400
“Pietraroja” passò ai Marzano, conti di Alife, nel 1480 passò ad
Onorato Gaetani, signore di Piedimonte, quindi ai Carafa, conti di Cerreto, ai
quali appartenne fino al 1806.
LA GROTTA DELLE FATE
Tra i cenni di storia di “Pietraroja” va
menzionato, anche se brevemente per ragioni di spazio, il fenomeno del
brigantaggio postunitario (1860 - 1870), che interessò tutto il Meridione
d’Italia, non escluso il Matese.
Il “popolo basso” (specialmente pastori,
contadini, braccianti e artigiani) fornì un concreto appoggio alle bande
partigiane di Francesco Secondo di Borbone, nella speranza di conquistare
condizioni di vita più tollerabili di quelle imposte (soprattutto la pesante e
insopportabile pressione fiscale) dai “piemontesi” (Cavour,
Vittorio Emanuele II, ......), ai quali Garibaldi, con la sua
“Spedizione dei Mille”, aveva regalato un bel pezzo
d’Italia. A
“Pietraroja” e nelle zone limitrofe i “briganti”
(soldati del disciolto esercito borbonico, pastori, braccianti, ecc. datisi
alla macchia) trovarono luoghi ideali per rifugiarsi e dai quali partire per le
loro scorrerie e azioni di rivolta.
Come si sa, essi (ma non i loro registi più o meno occulti)
furono perseguitati, battuti e spesso uccisi senza tante formalità. Di ciò
ancora oggi a “Pietraroja” si racconta, e c’è un episodio del
quale sanno ancora un po’ tutti: l’episodio della “Grotta delle Fate”, del
quale hanno scritto anche gli storici.
La “Grotta
delle Fate”, o “Grotta dei Briganti”, si
trova, ben nascosta e inaccessibile, alle spalle di “Pietraroja”,
verso Nord/Ovest, sul versante destro (spalle alla sorgente del Titerno) del
profondo “canyon” a monte di “Fontana
Stritto”. Alla “Grotta” i briganti accedevano scalando la
parete sottostante con ramponi e corde.
Il 15 dicembre 1863 numerosi soldati e guardie nazionali,
agli ordini del generale Pallavicini, che era coadiuvato dal coraggioso
capitano Diaz, dopo 6 giorni di assedio, durante i quali fu ucciso il
carabiniere Giacomo Mennone, piuttosto incauto e spavaldo nell’attaccare,
catturarono sette briganti: Angelo Varrone (48 anni, capo banda), Vincenzo e
Felice Cassella (padre e figlio di 48 e 22 anni) e Raffaele Pascale (39 anni),
tutti di Cusano Mutri, oltre a Francesco Paolo Amato di
“Pietraroja”, Giovanni Barletta di San Marco dei Cavoti e Arcangelo
Lancieri di Salerno. I primi quattro, portati a “Pietraroja”, con
immediato e rapido consiglio di guerra
vennero subito fucilati alla schiena sull’Aia della Corte, un piccolo
spiazzo alle spalle dell’attuale municipio: altro che promessa di avere
salva la vita e di riduzione della pena, in caso di resa. Gli ordini “piemontesi”,
nella maggior parte dei casi, non consentivano di andare troppo per il sottile,
e le promesse di clemenza con regolari processi e di non essere passati per le
armi, in caso di resa o di “ravvedimento”, erano solo premeditati e
ingannevoli trucchi.
Anche Francesco Paolo Amato venne poi ucciso e il fratello
Nicola, che si era prestato a tradirlo, indicando la “Grotta” dove
si nascondeva Francesco Paolo assieme agli altri briganti, con la promessa di
ricevere 100 piastre in denaro e che a Francesco Paolo sarebbe stata fatta
salva la vita, non ricevette nemmeno il denaro e, soprattutto per la fine del
fratello, uscì di senno. Ancora oggi si parla di “Cola gliu mattu”, che si ritirò a vivere di stenti in
una misera capanna pagliaresca in località Potete, dove un mattino fu trovato
morto.
LE BELLEZZE ARCHITETTONICHE E I MONUMENTI
All’ingresso del paese, davanti al municipio,
c’è “Piazza Vittoria”,
luogo di ritrovo dei pietrarojesi. Sul lato ovest della piazza una volta
c’era “gliu puzzu”,
al quale gli abitanti attingevano l’acqua prima che venisse realizzato
l’acquedotto, che, per il centro abitato, risale al 1928.
Salendo per la via principale all’interno del paese,
si giunge a “Piazza S. Nicola”,
dove si trova la chiesa parrocchiale di “Santa
Maria Assunta in Cielo”, di epoca romanica e di chiara derivazione pugliese,
realizzata nel 1695 (data anche scolpita sull’architrave del portale)
ricostruendo l’antica chiesa di S. Paolo, che si trovava fuori le mura
della terza “Pietraroja” e che fu anch’essa distrutta dal
terremoto del 1688. Prima del disastroso terremoto la Chiesa Madre
dell’Assunta, con tre navate e 12 archi, si trovava sul cocuzzolo del
monte Sant’Angelillo, dove si trova l’attuale cimitero. Terremoto
che l’arciprete don Liberatore Manzella così descrisse: “..... il terremoto che fu a 5 giugno 1688 ad hore
21 tanto forte, et terribile, che buttò per terra tutta la Terra affatto, et la
Chiesa in tempo ch’essendosi cantate le Vespere si cantava la Compieta
parata con l’assistenti, .....et si era arrivato al psal. “In te Domine
speravi, non confundar in aeternum”,
et gli altri sacerdoti... cantavano dietro il Choro, ove fuggimmo anche
noi, ma con difficoltà grande per l’agitazione del terremoto, ch’io
a mala pena entratovi mi fermai dietro la Custodia: per la Chiesa altro non si
sentia, che rumore et sono di Campane, et campanelli, che sonavano da per se,
commossi dal terremoto; et tutta la Chiesa, hor chinarsi verso Oriente, hor
Verso Occidente con strepito di travi, et aprirsi et serrarsi le lamie, di
maniera che mostrava il Cielo all’apriture: finalmente cascò quella sì
bella, et magnifica Chiesa fatta con tante lamie, et pilastri tutti a cantoni (blocchi di pietra)
lavorati, .....cascò il campanile con quattro campane, cascò parimenti
l’horologio et tutti quelli
poveretti che si trovavano dentro la Chiesa furono sepolti dalla ruina
di essa Chiesa, de’ quali pochissimi furono scavati vivi. Restò solo in
piedi il Choro fatto a lamia, quale benché due volte si aprì, et mostrò a noi
l’aree, nulladimeno poi miracolosamente si serrò.... Dentro il Choro
scampammo la vita tutti noi sacerdoti.
Quando uscimmo da esso vedemmo la
Chiesa tutta spianata et uscendo fuori di essa si vidde tutta la Terra ridotta
in una maceria di pietre, che nessuno di noi potea sapere dov’era stata
la sua casa. Se sentiano stridi et lamenti di assaissimi poveretti, che stavano
sepolti sotto le ruine di esse case. .....”
Sull’antico portale dell’attuale chiesa
dell’Assunta sono scolpiti un leone, una leonessa, un orso e
un’orsa che allatta i cuccioli, e sia i leoni che gli orsi sono
incatenati da una catena di pietra a forma di catena di ferro, che si estende
lungo tutto il portale (in verità la catena di pietra somiglia ad una grossa
fune). Alla base di ognuno dei due stipiti della porta di destra (guardando la
facciata) delle attuali tre porte della chiesa, è scolpito, a sinistra, “fu la peste
Una menzione particolare merita la chiesetta di montagna
dedicata a Sant’Anna, riaperta al culto il 26 luglio (giorno di
Sant’Anna) del 1985 con l’intervento del vescovo Felice Leonardo,
ora in pensione. La chiesetta, veramente bella sia dentro che fuori, si trova
isolata, a monte del centro abitato, in uno scenario naturale
d’incomparabile bellezza. La chiesetta è stata realizzata ricostruendo
l’antichissima cappella, sempre dedicata a Sant’Anna, risalente ai
tempi della seconda “Pietraroja”.
Degne di nota sono anche due chiesette di campagna: una in
contrada Mastramici, dedicata a S. Francesco e l’altra in contrada
Cerquelle, detta cappella dei Sibrella, in onore di S. Rocco.
Meritano di essere menzionati anche i resti di un monastero
benedettino dell’undicesimo secolo, intitolato a Santa Croce, sulla
provinciale Pietraroja - Sepino, proprio sul valico di Santa Crocella (
Il valico di Santa Crocella è una sella montana di grande
suggestione paesaggistica, tra il Monte Tre Confini (
Il monastero di Santa Crocella fu portato alla ribalta
della cronaca alcuni anni fa, su “Molise Oggi”, da Vito Antonio
Maturo, inarrendevole ricercatore, il quale ha anche fatto una ricerca sulla
cappella dell’Addolorata in contrada “Case
Varrone”, risalente al 1823. Non sarebbe stato facile individuare il
luogo dove fu costruita la cappella, se non si fosse avuta la fortuna di
incontrare, qualche anno prima che morisse (il 22 gennaio 1995), una persona
che la ricordava perfettamente: Pietro Varrone, classe 1910. Egli indicò con
precisione l’attuale casa colonica appartenente alla famiglia Mendillo,
ristrutturata alcuni anni addietro, che una volta fu la cappella
dell’Addolorata. Essa fu funzionante fino alla Prima Guerra Mondiale
(1915 - 1918), poi dal 1918 al 1920 servì come aula per la scuola che Pietro
Varrone frequentò. Sul muro del fabbricato (in catasto: foglio 25 - particella
80) c’è ancora una nicchia con 4 piastrelle in maiolica
(“rigiole”) di fattura cerretese, datate 1823, con l’immagine
della Beata Vergine dell’Addolorata.
IL PARCO GEOPALEONTOLOGICO
La presenza a “Pietraroja”, a pochi metri dal
centro abitato, un po’ più a monte, di rari resti fossili di animali
e vegetali anche di circa 200 milioni di anni fa, contribuisce a rendere ancora
più attraente, se non addirittura affascinante, un ambiente naturale di
montagna tutto da vedere.
I calcari fossiliferi di “Pietraroja” si
formarono nell’Era Mesozoica, articolata nei suoi tre periodi: Triassico,
Giurassico (da cui il famoso film sui dinosauri, “Jurassic Park”) e Cretaceo, in un ambiente di tipo
lagunare, con acque calde e poco profonde, molto calme e con saltuarie
comunicazioni con il mare aperto. Gli animali, uccisi da gas tossici sprigionati
da flore batteriche, vennero ricoperti da sedimento (fine e vario materiale che
nell’acqua si depositava sul fondo) e subirono, in tempi ovviamente molto
lunghi, un lento processo di pietrificazione, assieme allo stesso sedimento,
nel quale rimasero imprigionati.
Tra i tanti resti pietrificati di animali, sono stati
ritrovati rettili fino a
Sono stati rinvenuti denti di
Purtroppo i resti fossiliferi rimasti a
“Pietraroja” sono pochi, perché sono stati quasi tutti dispersi in Italia
(Torino, Verona, Napoli) e all’estero (Berlino, Londra, Parigi), dove
vengono restaurati e studiati.
L’attuazione del progetto di realizzazione di aree
attrezzate per lo sviluppo e la valorizzazione del “Parco Geopaleontologico” sta incontrando notevoli difficoltà
di carattere amministrativo e burocratico. Si prevedono, comunque, e prima o
poi quasi certamente si faranno, lavori di illuminazione, recinzione ed
ulteriori scavi (i fossili finora rinvenuti sono solo una piccolissima parte di
quelli che ancora possono essere portati alla luce), oltre alla tanto attesa costruzione
di un museo locale.
LE ATTIVITÀ ECONOMICHE
“Pietraroja”, il tetto della Provincia di
Benevento con i suoi
La popolazione nel 1532 era di 56 fuochi, che nel 1648
aumentarono a 119, per poi scendere a 69 nel
L’economia è essenzialmente agrario-pastorale. La
coltivazione della terra è oggi molto ridotta, ma fino a due decenni fa,
nonostante fosse poco redditizia, l’agricoltura veniva praticata un
po’ ovunque, dalle quote più basse fino ad oltre i mille metri di
altitudine, con coltivazioni soprattutto di frumento, patate, legumi e
granoturco.
L’allevamento, soprattutto di ovini, è invece ancora
importante per gli abitanti di “Pietraroja”. Ma si allevano anche
cavalli e bovini. Questi ultimi sia allo stato brado che in stalla. Per cui è
molto praticata la fienagione.
L’allevamento degli ovini è stato caratterizzato,
fino ad alcuni decenni orsono, dal fenomeno della transumanza (che a
“Pietraroja” chiamano “transumaziòn’”),
quasi tutta verso la Puglia.
Decine di migliaia di pecore non potevano esse fatte
svernare a “Pietraroja”, in stalla col fieno, o nelle immediate
vicinanze, per cui venivano condotte nelle pianure pugliesi, prevalentemente
all’altezza del Gargano. La partenza da “Pietraroja”, a
gruppi di 5 o 6 mandrie di 200 - 300 pecore guidate dai pastori, avveniva tra
l’ultima settimana di ottobre e San Martino (11 novembre) e
l’arrivo in Puglia avveniva dopo circa 12 giorni, percorrendo un
“tratturo” largo circa 60 passi.
Si aveva cura di far coincidere la partenza con la luna
piena, per una migliore visibilità durante le ore notturne, anche se di notte
le pecore, pur con la luna, si spostavano con grande difficoltà, al contrario
di bovini e cavalli. Per cui di notte era necessario accamparsi sul
“tratturo”, facendo stare le pecore in recinti di rete. Tutti i
pastori dovevano osservare una regola ferrea durante il percorso sul “tratturo”: il “divieto di
sorpasso”.
Una mandria non poteva superarne un’altra, forse per evitare commistioni
di animali di più mandrie o, cosa ancora più probabile, per evitare la corsa a
chi arrivava prima in Puglia per conquistare i pascoli migliori, sfiancando gli
animali, peraltro già gravidi. La transumanza dei bovini è stata praticata fino
alla fine degli anni ’70.
Il ritorno a “Pietraroja” avveniva dopo circa 7
mesi, entro il 13 giugno (S. Antonio).
Essendo patrono di ”Pietraroja” S. Nicola, la
festa patronale non si poteva celebrare il 6 dicembre (giorno di S. Nicola,
previsto dal calendario), quando i numerosi pastori stavano in Puglia, per cui
fu spostata alla domenica precedente il 24 giugno.
Il Papa Clemente XII° - racconta Domenico Falcigno - con
decreto pontificio del 14 maggio 1732, proclamò S. Nicola di Bari protettore
principale di “Pietraroja”, accogliendo la richiesta del Clero, che
attribuì al Santo un fatto miracoloso verificatosi col catastrofico terremoto
del 1688, che distrusse la terza “Pietraroja”, compresa la chiesa
fuori le mura che era dedicata a S. Paolo, antico protettore. Gli storici
dell’epoca scrissero che, nell’ammasso di rovine, con ecatombe di
fedeli, la sola statua di S. Nicola rimase sul suo piedistallo, rivolta verso
l’altare maggiore, dove era esposto il SS. Sacramento.
L’economia pietrarojese è in crisi ancora più seria
che altrove. La pastorizia e l’agricoltura vanno sempre più regredendo a
causa delle vecchie logiche di conduzione, che devono essere necessariamente superate,
se si vuole guardare con un po’ di ottimismo al futuro. Il turismo, poi,
in cui vengono riposte grosse speranze di sviluppo, stenta a decollare, e
quanto alla valorizzazione del “Parco
Geopaleon- tologico”, se ne parla da tempo, ma finora niente di concreto.
Su quest’ultimo punto, Nicola Torrillo, attuale
sindaco di “Pietraroja” dal 1985, succeduto a Domenico Falcigno,
non si stanca mai di porre in evidenza l’impegno
dell’amministrazione comunale, bloccato da lentezze e pastoie burocratiche.
Del problema si va sempre più occupando la Pro Loco, nel tentativo
anche di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su un
argomento che, attraverso la forte spinta che può dare il turismo
all’economia locale, ha anche una notevole importanza economica.
Lorenzo Di Furia, presidente della Pro Loco, e Nicola
Bello, agente di polizia municipale e attivo organizzatore di manifestazioni
pubbliche, sono più che convinti dell’importanza del turismo per il
futuro dell’economia pietrarojese. E la presenza dell’originale di
“Ciro” (Scipionyx Samniticus) in un museo locale, realizzato con
tutti gli accorgimenti ai fini della sicurezza del celeberrimo fossile di
dinosauro, costituirebbe una formidabile attrazione turistica
GLI APPUNTAMENTI DELLA TRADIZIONE
FESTA DI S. NICOLA, patrono,
la domenica precedente il 24 giugno (S. Giovanni); FESTA DELLA MADONNA DEL
CARMELO (gliu Carmnu), il 16 luglio; FESTA DI S. ANNA, il 26 luglio;
FESTA DELLA MADONNA DELL’ASSUNTA, il 15 agosto; FESTA DI SAN ROCCO
(Pietraroja centro), il 16 agosto; FESTA DI SAN ROCCO (alla contrada
Cerquelle), la domenica successiva al 16 agosto; FESTA DEGLI EMIGRANTI,
stabilita, anno per anno, tra il 17 e il 20 agosto; FESTA DI SAN FRANCESCO
(alla contrada Mastramici), il 4 ottobre. Ci sono, poi, ogni anno, sagre come
quelle dell’agnello, del prosciutto e dei carrati, che sono dei tipici e
ricercati maccheroni locali, fatti a mano con ingredienti e salse particolari,
come il sugo di carne di “pecora
vergine” (che non ha ancora iniziato la riproduzione), detta anche
“ciavarra” o “chiuppaiola”.
Marzo 2000
[1] Pezzo realizzato ritoccando lievemente quello consegnato alla presidenza della Comunità Montana del Titerno e pubblicato (non interamente per ragioni di spazio), con foto a colori, sulla rivista “IL TITERNO” n. 3 del 1996.