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© Edizioni A.S.M.V. Via Sorgente, 6 81016 Piedimonte Matese (Ce) Tel. 0823 543 283

Proprietà letteraria riservata all’autore

Si ringraziano per aver facilitato questa pubblicazione: Comunità Montana “Zona del Matese” Banca di Credito Popolare - Filiale di Piedimonte Matese Associazione Arcobaleno ONLUS Aurora Assicurazioni S.P.A. - Agenzia Generale di

Angelo Mattielli Supermarket D’Abbraccio Giacomo Oreficeria Tedesco di Silvio Vitagliano Sigg. Addolorato e Pino Raucci Farmacia Dott.ssa Marta Conte - Benevento Tutto Casa di Scasserra Alessandro

A mia moglie Emilia Florida Orsi, che ha saputo infondere nei nostri figli le migliori virtù ed i forti sentimenti religiosi ereditati dalla sua famiglia;

alla comunità piedimontese che mi ha arricchito di alti valori morali e civili;

ai miei alunni di allora ai quali, oltre a indicare la via dello studio per la valorizzazione dell’uomo, ho sempre cercato di insegnare, soprattutto con l’esempio, i principi fondamentali ai quali bisogna ispirarsi nella vita.

“… fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza”

Dante Alighieri (Inf. XXVI, 119, 120)

“Il Paese che non produce conoscenza è destinato a regredire”

Umberto Veronesi (Trasmissione televisiva di Piero Angela dell’8 settembre 2005, in favore di Telethon)

PRESENTAZIONE

Maestro, noi sappiamo che sei sincero e insegni la via di Dio secondo verità…

(Mt. 22,16)

Di solito chi deve scrivere la presentazione di un volume, soprattutto di un lavoro che raccoglie i frut­ti di un’esperienza di una vita, si trova nella necessi­tà di scegliere tra due vie: la prima è quella di aiuta­re il lettore a leggere ed a comprendere il libro e a trarne indicazioni utili, l’altra entra nel merito delle questioni poste dall’autore e porta a fare una critica ragionevole e ragionata del libro stesso ed a giudi­carne il metodo, il contenuto, le conclusioni, etc.

Per molte ragioni credo di dover optare per una terza via, soprattutto perchè il lavoro del Prof. Parillo merita, da parte del lettore, una attenzione “non mediata”: esso è frutto di una passione viva per la pro­pria missione di educatore, è la sintesi dell’esperienza di un uomo che ha “insegnato” con fervore sempre nuovo e che ha esplorato l’animo del fanciullo con uno spirito sempre proteso alla scoperta, consapevole

di essere partecipe del momento più importante nella

formazione di quel grande miracolo che è l’uomo.

Nel lontano 1973 ho avuto la fortuna di incontrare, io fanciullo, il Professore Parillo, a cui fui affidato per portare a compimento gli ultimi due anni del ciclo di istruzione elementare. I miei occhi lo riconobbero subito come secondo papà. Era rassicurante, un punto fermo, sicuro, mai severo.

In quegli anni il maestro aveva un ruolo fonda­mentale nella formazione delle coscienze, l’aspetto pedagogico dell’opera dell’insegnante era ancora preminente. Il maestro elementare doveva tener di conto che il suo intervento non poteva limitarsi alla trasmissione della conoscenza, delle basi dell’aritmetica o della grammatica. Doveva curare una sensibilità particolare ad ascoltare e percepire i piccoli segni che noi bambini o le nostre famiglie lasciava­mo passare. Famiglie buone ma famiglie semplici, dove il ruolo educativo veniva espletato attingendo a valori grandi, immutabili, che affondavano le loro radici nell’educazione cristiana e nell’onestà di chi aveva lottato molto per andare avanti nei difficili anni del dopoguerra. Noi, giovani generazioni

dell’Italia del benessere, chiedevamo molto e molto ci veniva dato. Con grande sacrificio. Anche dalla scuola, dal maestro. Eravamo, allora, ancora certi che la scuola era orientativa ed educativa, prolun­gando quella azione familiare che, naturalmente, spetta ai genitori e che abbracciando tutto l’uomo non può prescindere da quei valori che prima citavo.

Non sembri perciò forzata la citazione evangelica d’apertura. Il maestro io l’ho visto così: sincero, compagno di via, testimone di verità.

Dopo gli anni di studio a Piedimonte, l’università prima e la vita da adulto poi, con i suoi problemi, le sue distrazioni, mi han fatto perdere di vista il “mio maestro”. Due anni or sono i nostri occhi si sono riconosciuti. Un giorno si presenta da me, in biblio­teca, questo distinto signore, chiedendomi informa­zioni per una sua ricerca sui culti dell’agro trebula­no. Ci parliamo, ci ascoltiamo, ma nel profondo dei suoi occhi riconosco quel senso di bontà e sicurezza che mi aveva affascinato da piccolo. Gli occhi di entrambi diventarono lucidi.

Senza paura di apparire retorico, auguro anche ai giovani di oggi di poter riconoscere, nella profondità

di uno sguardo, le proprie radici, i propri maestri.

Sarebbe questo un segno che famiglia, scuola, chiesa, assolvono ancora il compito fondamentale di lasciare un segno tangibile nella costruzione dell’uomo, nella costruzione del domani.

Da parte mia ringrazio Dio per l’opportunità di questo re-incontro, ma una parola di vivissimo rin­graziamento la debbo soprattutto a Lei, carissimo maestro, che, sorprendendomi con la Sua richiesta, mi ha permesso di presentare questo lavoro, al quale, io come tutti gli altri suoi allievi, sono orgoglioso di avere contribuito.

Luigi Arrigo


 

PROLUSIONE

La Città di Piedimonte Matese è grata al Prof. Vincenzo Parillo, figlio adottivo che nel suo prospero­so seno s’è “arricchito di alti valori morali e civili”, per questa nuova fatica letteraria che coinvolge una parte importante, svolta su suolo cittadino, d’una plu­ridecennale attività di sensibile e raffinato educatore.

Timidamente confessa, l’Autore, che il primum movens è il tormento interiore che sempre lo ha assa­lito circa i meccanismi anatomo-fisiologici, non tutti noti, dell’apprendimento, in particolare quelli del-l’età evolutiva che lo interessano da vicino.

Se con occhio sottilmente indagatore scava nei meandri dello scibile umano esistente, è per rendere più agevole l’opera del docente che, con piena cognizione di causa, può spianare il difficile cammino del discente lungo le tortuose e magiche vie dell’apprendimento.

Conoscere la struttura e le funzioni degli organi e degli apparati del corpo umano significa utilizzarne al meglio le potenzialità, al fine di raggiungere mete più ambite. E’ allora che è possibile escogitare accorgi­menti idonei per tener desta l’attenzione dei discenti,

atteso ch’essa cala fisiologicamente dopo i primi sette minuti sino a raggiungere un minimo dopo la prima mezz’ora; o che si sublimino i puri esercizi mnemoni­ci, spesso considerati inutili, eppure così tanto impor­tanti perché strumenti più efficaci nell’acquisizione del sapere; o che si presenti il sapere stesso, in ossequio alla teoria psicologica della quantità limitata d’infor­mazioni che la mente umana può accogliere, in manie­ra precisa e concisa, senza distorsioni e notizie super­flue; od ancora che si tenga in debito conto la psicolo­gia dell’alunno nella dinamica del processo educativo, quando si voglia che questo vada a buon fine; e si inco­raggi l’autonomia di giudizio e di azione, considerata non a torto unica fonte del vero sapere.

Sono d’accordo, quindi, con Gino Arrigo che que­sto lavoro sia espressione della passione viva che permea la missione di educatore del Prof. Parillo e sintesi d’una lunga esperienza da protagonista e d’una attenzione crescente, per niente sopita nel periodo della collocazione a riposo, per le problema­tiche della scuola italiana che l’Autore dimostra di conoscere bene ed affronta suggerendo ricette sem­plici ed efficaci.

Auguro, per tanto, al Prof. Parillo, cui mi legano

vincoli inalterabili di affetto, di solcare vette più eccelse lungo la fascinosa via della conoscenza, se è vero, come è vero, che la vera essenza del progresso sia la costante verifica del certo.

Piedimonte Matese, Aprile 2007.

Dott. Attilio COSTARELLA già Vice Sindaco ed Assessore alle Politiche Culturali della Città di Piedimonte Matese


 

PREFAZIONE

Nella mia lunga carriera scolastica sono stato sem­pre tormentato dal dubbio su come avviene l’appren­dimento in genere ed in particolare negli alunni che frequentano la scuola, tanto che ho cercato di capir­lo studiando e riflettendo bene sul problema.

Sono stato, poi, indotto a scrivere queste note per offrirle alla considerazione di tutti coloro che si tro­vano nella medesima situazione, specie genitori ed insegnanti, allo scopo di fare un pò di luce su un argomento che sempre chiaro non è.

Scolasticamente parlando il periodo della mia piena maturità è coinciso con la mia permanenza presso l’edificio scolastico “S. Domenico” di Piedimonte Matese, oggi intitolato all’insigne magistrato Giovanni Falcone e precisamente dall’1 ottobre 1969 al 9 settembre 1981 per complessivi anni dodici, quando sono passato per concorso a svolgere funzioni direttive in varie province italia­ne e cioè Torino, L’Aquila, Frosinone, Caserta e Benevento.

Come insegnante è stato proprio presso il I

Circolo di Piedimonte, unitamente ad una scelta classe docente che ho fatto le cose migliori di tutta la mia carriera, in campo didattico, grazie anche ai rap­porti umani, assolutamente affettuosi che si stabiliro­no con i colleghi e le famiglie degli alunni.

Per tutti ho un grato ricordo per la solidarietà dimostrata in tante circostanze, ma in special modo per il compianto Enrico Caruso, che all’arte didatti­ca univa quella della musica, di cui era un appassio­nato cultore che metteva volentieri anche a disposi­zione della scuola e non solo.

Grazie soprattutto alle sue qualificate prestazioni, infatti, e all’azione di stimolo da lui esercitata potemmo organizzare nell’anno scolastico 1977/78 la prima vera sperimentazione didattica programma­ta e portata avanti con la collaborazione piena ed impegnata dei genitori, che culminò in una mostra didattica, alla cui inaugurazione partecipò una gran­de folla e la televisione locale, nonchè le autorità civili, religiose, militari e scolastiche che si compli­mentarono per le esibizioni degli scolari.

Il titolo era “Meravigliosa Italia” che poi presentai come esperienza e discussi alla prova orale del con­

corso direttivo, riscuotendo i consensi unanimi della commissione esaminatrice.

Si era ai primi anni di funzionamento degli organi collegiali, nati dai decreti delegati per la scuola pub­blicati il 31 maggio 1974, in applicazione della legge n° 477 del 30 luglio 1973, dando inizio a quella demo­crazia scolastica tanto discussa negli anni successivi.

I temi trattati riguardavano la geografia, la storia, i costumi, i personaggi famosi, canti religiosi, maschere più rappresentative ed altro ancora.

Tutto riuscì bene per le “magie” didattiche poste in essere da tutti i docenti, ma in modo particolare dalla signora Michelina Di Gosta, che si prodigò in modo veramente eccezionale in quella vicenda.

E’ noto che il plesso “S. Domenico” era sistemato e lo è ancora in una vecchia struttura che nel passato era stato convento domenicano, edificato forse su un precedente tempietto dedicato ad Apollo, destinato a grande centro di spiritualità e di cultura di primaria importanza per l’intera zona matesina.1

Ma i secoli e gli avvenimenti avevano lasciato i

1 -Cfr. Annuario 1977 dell’A.S.M.V., p. 73 e Dante Marrocco Piedimonte, Ed. Treves - Napoli 1961 p. 225.

segni del degrado sull’edificio tanto che all’epoca era ormai fatiscente e perciò bisognoso di ristruttura­zione urgente. Per questo motivo si costituì un comi­tato di agitazione presieduto dall’ins. Domenico Di Marco in servizio a S. Domenico.

Ne facevano anche parte Enrico Caruso ed il sot­toscritto, nonchè alcuni genitori tra i quali il signor Luigi Leonetti, che diede un valido contributo alla soluzione del problema.

Le riunioni avvenivano presso la sede dell’A.S.M.V. gentilmente messa a disposizione dal-l’allora Presidente prof. Dante Marrocco.

Così dopo laboriose trattative e pressioni si ottennero dal Comune, a quel tempo amministrato dai sindaci ing. Antonio Fossa e signor Ettore Pirolo, i lavori necessari che contribuirono a rasse­nerare l’ambiente a tutto vantaggio degli alunni e delle rispettive famiglie.

Fu restaurato l’intero edificio negli intonaci, pavi­menti, copertura, servizi igienici, infissi ed impianto elettrico, per renderlo effettivamente funzionale come plesso scolastico, salvaguardando gli aspetti architettonici e turistici, di notevole importanza sto­

rico-monumentale.

Solo di recente è stata scoperta nel sottosuolo del-l’edificio una grotta che è stata esplorata da diversi speleologi locali e tra le altre cose sono state rinve­nute ossa umane forse di persone decedute a causa di epidemie verificatesi nei secoli scorsi.

I lavori tuttora proseguono alacremente da parte di squadre di volontari con l’obbiettivo di guadagnare l’uscita al lato opposto.

Tutto si svolge con l’assidua vigilanza del signor Roberto Altobelli, il quale da sempre si prodiga per lo sviluppo del museo civico, attiguo al chiostro, dove sono raccolti reperti archeologici di inestimabile valore storico, tra cui lapidari da lui ben sistemati con l’autorizzazione dei Beni Culturali di Napoli.

A lavori ultimati certamente si arricchirà la storia di Piedimonte e ne guadagnerà il turismo dell’intera zona matesina.

Occorre soltanto che ci sia maggiore presenza e collaborazione da parte delle istituzioni e dei cit­tadini.

E’ noto che il convento era stato fondato da Sveva

Modello di invito alla mostra

Lavoretti eseguiti dagli alunni nell’ambito della sperimentazione: le maschere italiane.

Costumi regionali.

Marche

Sicilia Friuli Venezia Giulia

Sanseverino, signora di Piedimonte e pronipote di San Tommaso d’Aquino, a cui lo volle dedicato.

Fu una grande scuola per molto tempo, dove la gioventù piedimontese si potette formare.

Rilevante il chiostro, una volta ricco di affreschi che illustravano la vita di San Domenico di Guzman e di San Tommaso.

La Chiesa, di stile chiaramente barocco, presenta un bel campanile, costruito all’inizio del ‘600 e un portale antico, di pietra viva lavorata, come i sei sca­lini di accesso.

L’alternarsi nell’edificio, nel passato, di uffici e scuole di vario tipo, ha causato notevoli danni, per cui del vecchio convento non è rimasto molto, per­ché tutto risulta deturpato o distrutto.

Oggi ospita il museo civico e l’auditorium comu­

nale, ricavato nel vecchio salone della scuola ele­

mentare ed è tuttura in piena funzione.

Questo era l’organico dei docenti negli anni ‘70, più o meno stabile: diciotto docenti con una media di venti alunni per classe e una popolazione scolastica complessiva di quattrocento alunni.

Gli uffici della Direzione didattica, intanto, aveva­no trovato provvisoria sistemazione nel palazzo denominato “grattacielo” in Via Nuova Monte Muto, II, di cui era titolare il direttore didattico Vittorio Fortunato di Napoli, che sostituiva il direttore Vittorio Landino di Gioia Sannitica collocato a ripo­so per raggiunti limiti di età.

Successivamente la direzione del I Circolo fu assunta dalla direttrice Luciana Alberti di Roma, alla quale subentrò qualche anno dopo la direttrice Flora De Biase, piedimontese.

La segreteria era affidata al prof. Carlo Parillo, consorte della signora Alberti.

Accanto alla direzione didattica c’erano gli uffici dell’Ispettorato scolastico egregiamente diretto dal dott. Italo Campanelli, funzionario capace e di gran­de spessore morale.

Da alcuni anni e precisamente dall’a. s. 1974/75

funzionava l’insegnante vicario, una nuova figura introdotta dal DPR n° 416 del 31 maggio 1974 col compito di sostituire il d.d. in caso di assenza o impedimento.

La nomina era conferita dal direttore ad uno dei quattro insegnanti eletti dal collegio dei docenti.

Questo incarico fu tenuto ininterrottamente dallo scrivente per tutta la durata della sua permanenza nel plesso.

 

Docenti in servizio a “San Domenico” nell’a.s. 1977/782

1) Anna Laurenza

2) Ersilia Di Baia

3) Maria Antonietta Linguido

4) Raffaele Volpe

5) Enrico Caruso

6) Colomba Rossi

2 -Archivio privato dell’autore.

N.B. Le maestre coniugate sono segnate col cognome acquisito, come risulta dai documenti scolastici dell’epoca.

7) Costantina Petella 8) Ettorina Marrocco 9)Maria Gabriella Di Panni 10) Clotilde Zirpoli 11) Stella Plaitano 12) Concetta Tomaselli 13) Michelina Di Baia 14) Vincenzo Parillo 15) Bianca Maria De Novellis 16) Mariolina D’Ambrosa 17) Elena Santoro 18) Maria Luisa Civitillo

Per quanto riguarda l’apprendimento, tema centra­le di questa trattazione, c’è da dire in via prelimina­re, che a presiedere l’operazione è senz’altro il cer­vello che regola tutta la vita dell’individuo, compre­sa l’attività pensante e tutto ciò che costituisce oggetto di conoscenza.

Pertanto bisogna chiamare in causa il sistema nervoso.

E’ da questo punto che parte la ricerca, spiega le varie fasi del percorso per arrivare a far luce sul fenomeno, almeno spero, di come si apprende,

tenendo conto delle varie funzioni mentali, in parti­colare dell’attenzione e della memoria.

E’ chiaro che alla base non c’è nessuna pretesa di carattere scientifico, ma soltanto intuizioni ed espe­rienze personali, fatte “sul campo”, oltre che con lo studio continuo ed appassionato su testi specifici e utilizzando buona parte della sua tesi di laurea in pedagogia elaborata appunto sul tema dell’apprendi­mento, che gli fruttò il massimo dei voti ed il plauso della commissione esaminatrice.

Il titolo del libro, infine, chiaramente metaforico, si propone in primo luogo di attirare l’attenzione del lettore, ma vuole anche significare come sia difficile

e faticoso rendere accessibile l’apprendimento, indi­spensabile premessa per proseguire agevolmente il cammino nei tortuosi sentieri della cultura.

1) Scasserra Alessandro

2) Lo Bello Piervito

3) Foggia Giovanni

4) Arrigo Luigi

5) Presente M. Arcangelo

6) Riselli Giuseppe

7) D’Allestro Sergio

8) Roseti Antonio

9) Ferrazza Corrado

10) Pannone Leopoldo

11) Cassella Caterina

12) Bruno Massimo Antonio

13) Marino Silvio Antonio

14) Salomone Pietro

15) Parnof Giovanni

16) Natalizio Maurizio

17) Antonucci Giovanni

18) Orsi Antonio

19) Mattielli Angelo

 

1) Paolino Antonietta

2) Perretta Tiziana 3) Schettino Antonella 4) Iasalvatore Silvia 5) Ferrazza M. Teresa 6) Ceniccola Rosanna 7) Macchiarelli Giovanna 8) Bottone Flavia 9) Bianchi Emidio 10) Laporta Antonio 11) De Rosa Raffaele 12) Pannone Marcello 13) Nardelli Marcello

14) Gaudio Alberto

15) Ibello Giuseppe

16) Pezzullo Domenico

17) Zappoli Pasquale

18) Raucci Giuseppe

19) D’Abbraccio Angelo

20) Grillo Carlo

21) Zappoli Ferdinando

A Cupa Carmine

Prima di essere trasferito al plesso “San Domenico” ho insegnato per l’anno scolastico 1968/69 a Cupa Carmine3, una piccola scuola di campagna, dipendente dall’unico Circolo didattico di Piedimonte d’Alife,4 che fu sdoppiato con decor­renza 1 ottobre 1969, creando anche il secondo Circolo, a cui fu affidata la scuola in questione.5

Si trattava di una pluriclasse di tipo rurale, rite­

3 -La denominazione è dovuta alla presenza nelle vicinanze del locale dove funzionava la scuola, di una piccola cappella dedicata alla Madonna del Carmine, posta all’incrocio della vecchia strada che da Piedimonte con­duce ad Alife.

4 -Il suffisso “d’Alife” venne cambiato in “Matese” con decreto del Capo dello Stato n. 711 del 13 Agosto 1970.

5 -Cfr. Storia della scuola elementare a Piedimonte, edito a cura del II Circolo di Piedimonte Matese - 2004.

nuta dagli esperti dell’epoca una “mostruosità

pedagogica”.

In effetti presentava enormi difficoltà per la pre­senza di tutte e cinque le classi, anche se il numero non era elevato, poichè gli alunni iscritti e frequen­tanti erano soltanto sedici.

La Cappella

Elenco degli alunni

 

Classe I

1) Bettino Giovanni 2) Ragucci Alessandro 3) Ragucci Antonio

 

Classe II

1) Ferrante Marcello 2) Iannotta Franco 3) Iannotta Patrizia 4) Martino Patrizia 5) Santoro Annarita 6) Ventura Franco

 

Classe III

1) Bettino Angelo 2) Federico Fernando

 

Classe IV

1) Paterno Dora 2) Ventura Antonio

 

Classe V

1) Bettino M.Consiglia 2) Iannotta M. Sofia 3) Ragucci Celeste

Le difficoltà erano nell’organizzazione didattica

per insegnare in contemporanea agli alunni di tutte le classi che ovviamente avevano programmi diversi.

A parte che a volte alcune attività potevano essere comuni a più classi, ma poi l’insegnamento si pote­va fare anche su base individuale proprio a causa dell’esiguità e dell’indole buona degli scolari.

Così i risultati sono stati sorprendenti perchè nel profitto i traguardi raggiunti andavano ben al di là delle aspettative.

Per esempio era facile notare che gli alunni della seconda classe eseguivano benissimo la divisione col divisore di due cifre, che faceva parte del program­ma di quarta.

Così accadeva anche per il programma di storia e di altre materie di studio che si aveva l’opportunità di ascoltare in classe.

In sostanza un tipo di scuola fuori del normale, ma a determinate condizioni si potevano ottenere buoni risultati.

Praticamente oltre al normale apprendimento delle nozioni programmatiche avveniva anche una sorta di mutuo insegnamento fra gli stessi alunni.

Non è che voglia fare l’elogio di una scuola certa­

mente atipica, poi giustamente abolita, ma sta di fatto che ho potuto riscontrare anche delle rilevanti positività.

La scuola era dotata di una cassetta di pronto soc­corso che nel corso dell’anno scolastico si rese necessario usare parecchie volte per inconvenienti di vario tipo.

Il materiale in essa contenuto era il seguente:

Un bollitore alluminio con fornello ad alcool

Un flacone politene cc.250 alcool denaturato

Un flacone acqua ossigenata cc. a 12 vol.

Una siringa in astuccio cc.10

Quattro stecche per fratture

Una siringa in astuccio cc.2

Una matita per punture insetti

Una bacinella reniforme

Un laccio emostatico

Spilli di sicurezza

Polvere sulfamidica

Due pinze anatomiche, un bisturi e una forbice

Pomata antiustioni (ossido di zinco)

Due cerotti adesivi mt.1 x cm 5

Quattro pacchi di garza idrofila

Un portasapone con sapone

Una fiala contenente 2 fiale canfora, 3 fiale vita­mina K (coagulante), 2 fiale sparteina, 2 fiale caffei­na, 2 fiale adrenalina, 2 fiale ammoniaca.

Dieci aghi per iniezioni inox assortiti

Cinque dosi da lt.1 liquido Dackin

Una scatola da 5 fiale con cc.5 tintura di iodio

Due bende garza idrofila

Dieci pacchetti da 5 compresse garza idrofila ste­rile 10x10

Cinque pacchetti da 25 compresse garza idrofila sterile 10x10

Quattro bende di garza 5x5

Due bende di garza idrofila 5x7

Cinque pacchetti di cotone idrofilo compresso da g. 50

Piedimonte Matese: il Municipio.

Lo stemma del Comune

CAPITOLO I


 

LE VIE DELL’APPRENDIMENTO


 

Il sistema nervoso

E’ quel meraviglioso complesso di funzioni che presiede a tutte le attività del nostro corpo.

Tutto ciò che si svolge all’interno del nostro orga­nismo, infatti, è sotto l’autorevole controllo del siste­ma nervoso,che compie il suo ufficio con esattezza meticolosa. Proprio come il comandante di un eser­cito che riceve notizie e trasmette immediatamente ordini precisi.

Il sistema nervoso è collegato a tutte le parti del corpo mediante cordoncini, chiamati nervi, che si dividono e suddividono in filamenti sottilissimi che arrivano dappertutto e che costituiscono la grande rete nervosa, che dà vita al nostro corpo.

I sensi sono di due specie: di senso e di azione.

I primi hanno l’incarico di avvertire il cervello delle necessità di tutti gli organi, perchè possa prendere gli opportuni provvedimenti. Gli altri eseguono puntualmente gli ordini del cervello. Questo scambio di messaggi tra gli organi del nostro corpo ed il cervello può avvenire sempre, anche quando si dorme, perchè i centri nervosi sono sempre in funzione. Infatti se una mosca ci

disturba mentre sonnecchiamo, i nervi di senso subito avvertono il cervello, il quale dà disposizio­ni ai muscoli del braccio per scacciare l’inopportu­na ospite.

Il sistema nervoso si può dividere in due parti:

a) centrale, che comprende tutto il contenuto della scatola cranica e quello della colonna vertebrale, cioè il cervello ed il midollo spinale.

b) periferico, che è una diretta emanazione di quello centrale, costituito da sottili, ma solidi fila­menti, che abbiamo definito nervi e che arrivano in tutte le propaggini del nostro corpo.

Come ogni altro organo, anche il sistema ner­voso è formato da cellule, le quali, si differenzia­no da tutte le altre per la loro forma particolare. Tutte emettono dei prolungamenti irregolarmente stellati,chiamati protoplasmatici, di cui il più lungo prende il nome di cilindrasse. L’insieme di questi prolungamenti della cellula, o cilindrasse, formano la rete dei nervi. Essi variano in lunghez­za: a volte sono lunghi pochi centimetri, a volte dei metri. Nella maggior parte hanno colore bian­co lucente.

Le cellule nervose

 

Il cervello

Il cervello rappresenta il centro di tutto il sistema nervoso. E’ presente in tutti quanti gli animali, ma in dimensioni diverse. Qualunque sia la grandezza, però, è sempre sufficiente per la necessità del corpo che esso governa.


 

Struttura

Il cervello dell’uomo è contenuto in un involucro, detto cranio, che ha una funzione protettiva con le sue ossa larghe e piatte. Al cervello, poi, è collegata una lunga serie di ossa circolari formanti la colonna vertebrale, in cui si trova il midollo spinale. Sia il cervello che il midollo spinale, oltre all’involucro osseo, sono protetti anche da membrane, che si sus­seguono l’una all’altra, formando un sacco chiuso.

La più estesa di quelle membrane è detta dura madre, che sta a diretto contatto con la superficie ossea ed è liscia e splendente. Al di sotto di essa si estende una membrana più sottile e delicata, chiama­ta aracnoidea.

Infine la terza, la più interna di tutte e tre, non solo racchiude la materia celebrale, ma si introduce in tutte le insolcature e, sebbene sottilissima, contiene un’in­finità di vasi, che contribuiscono a nutrire il cervello. Forse per questo viene chiamata la pia madre.

Dalle aperture del cranio e della spina dorsale escono i nervi,che collegano tutte le parti del corpo col sistema nervoso centrale, che presiede a tutte le funzioni.

La massa celebrale di colore rosa-grigiastro, molle

al tocco, è quasi spappolabile. E’ lì che si concentra­no tutte le facoltà fisiche e psichiche del nostro orga­nismo.

Il cervello è diviso da una fessura mediana in due emisferi uguali, collegati alla base da una por­zione di mezzo, detta corpo calloso. La superficie dei due emisferi presenta delle ripiegature e inse­nature che variano di profondità e lunghezza. E’ proprio su questa superficie che si sono fatte le più disperate congetture riguardanti le possibilità intel­lettuali dell’uomo.

Ad un esame comparativo con quello degli altri animali inferiori della scala zoologica, il cervello umano appare più ricco di circonvoluzioni, e perciò più complesso.

Sezionando la massa celebrale si può notare che la superficie esterna è uniformemente grigia, ricca di cellule nervose, che sono i prolungamenti delle cel­lule. E’ il mantello grigio celebrale che contiene i centri nervosi più importanti, mediante i quali odo­riamo, parliamo e possiamo avere la meravigliosa sensazione del tatto.

Questa parte grigia, che abbonda di cellule nervose, si

riscontra soltanto nel cervello dell’uomo. In quello degli animali si possono notare delle fibre, molto meno svi­luppate. Il che significa che solo l’uomo possiede quegli elementi nobilissimi che lo rendono l’essere superiore fra tutti i viventi. Dentro al cervello, al di sotto del corpo calloso, si trovano anche delle cavità, in numero di tre, dette ventricoli cerebrali. Dette cavità sono in comunica­zione con il foro, che si trova verso la superficie inferio­re del cervello e si chiama appunto foro cerebrale.

In questo foro si trovano delle prominenze, divise a mò di croce: sono i corpi mammillari, che raccol­gono nel loro paio anteriore una piccola ghiandola, la epifisi (o pineale).

Le tre cavità, cui s’è accennato, si distinguono in una mediana, direttamente sotto il corpo calloso e le altre laterali, che si internano nei due emisferi cere­brali, a guisa di corna, ed in essa si notano delle pro­minenze che hanno una grande importanza nei riguardi dell’attività del cervello.

Questi piccoli organi prendono il nome di corpo striato e talamo ottico, costituiti di sostanza grigia all’esterno e bianca all’interno.

Di questi cumuli ce ne sono parecchi nel cervello e sono di capitale importanza, poichè formano dei centri nervosi delicatissimi.

Tutta la massa cerebrale è divisa posteriormente in due parti da un solco trasversale. Una costituisce il cervello vero e proprio, di cui si è detto, e l’altro, di dimensioni minori, che si trova nella parte posterio­re, è detto cervelletto, il quale svolge una funzione ausiliaria.

Rappresentazione schematica del cervello.


 

Il cervelletto

Fra il cervello ed il cervelletto si trovano il ponte di Varolio, costituito da due porzioni cilindriche ed appiat­tite, unite fra di loro, ed i peduncoli cerebrali, una specie di braccia unitive gettate verso gli emisferi cerebrali.

Il cervelletto si distingue subito dal cervello, poi­chè la sua superficie è ricca di giri stretti che corro­no quasi regolarmente in senso trasversale e paralle­li tra di loro. I suoi due emisferi sono uniti tra loro da una porzione mediana, larga e infossata, sopra la quale passano, senza interrompersi, i giri degli emi­sferi del cervelletto a guisa di un bruco, tanto che a questa parte è stato dato il nome di verme.

Anche il cervelletto è formato da una cavità: il quarto ventricolo, costituito dal verme e dal midollo allungato, che è la parte più alta del midollo spinale.

La sostanza grigia di questo piccolo cervello pene­tra molto in profondità, lasciando un deposito midol­lare bianco, che assume un aspetto originale.

Infatti eseguendo una sezione del cervelletto si può osservare che la sostanza bianca appare come un tron­co di albero, dal quale si dipartono tanti rami. E’ per questo motivo che prende il nome di albero della vita.

con l’albero della vita. cerebrale. (Veduta l. d.)

In sostanza il cervelletto è un organo ausiliario del cervello. Alla corteccia cerebellare, costituita da neu­roni e spazi sinaptici, arrivano numerosi impulsi, che esercitano una funzione eccitatrice ed inibitrice sulle varie cellule.

In particolare il cervelletto presiede alla funzione dell’equilibrio.

 

Il midollo spinale

Il midollo spinale è la parte più semplice del siste­ma nervoso, tra quelle finora descritte e sta in unio­ne col cervello mediante il midollo allungato.

E’ un lungo cilindro segnato da vari solchi, che lo dividono a parti simili a cordoni, tra i quali quelli che maggiormente risaltano sono il solco anterio­re e quello posteriore.

Complessivamente i cordoni midollari sono 6: due anteriori, due posteriori e due laterali.

A differenza delle altre parti del sistema nervoso la superfi­cie esterna del midollo spinale è bianca, mentre quella interna è grigia: questa percorre tutto il cilindro midollare dall’alto in basso ed è perforata da un piccolo canale centrale.

Il midollo spinale si presenta lievemente rigonfiato a breve distanza dalle sue estremità. Sono, questi, i rigonfiamenti cervicale e lombare, corrispon­denti all’emergenza delle radici

nervose destinate agli arti superiori ed inferiori. Ai fini dell’attività cerebrale il midollo spinale svolge una precisa ed importante funzione: raccoglie gli stimoli della periferia e li trasmette agli altri organi del siste­ma nervoso. E’ considerato zona di transito degli impulsi che si determinano nell’organismo. Tale atti­vità si esplica mediante i neuroni sensitivi, che tra­smettono fino al centro midollare gli stimoli ricevuti e quelli motori, capaci di organizzare una risposta.

“Nella sostanza grigia del midollo è presente un altro neurone, detto associativo o anche modificato­re, che è in grado di conoscere la “memoria” degli impulsi che lo attraversano, di moderare l’intensità e di rallentarne la velocità. Non ha contatto con la peri­feria, a differenza degli altri neuroni, e perciò funzio­na come un vero e proprio centro.

Rappresenta, in altri termini, un apparato di con­trollo e di riserva, capace eventualmente, di funzio­nare in modo autonomo”.1

Per questo motivo il Lhermitte lo ha definito un abbozzo di cervello elementare.

1 -Cfr. Delmas, Vie e centri nervosi, UTET - Masson - 1973, p. 32.


 

Il simpatico

Tutto ciò che nella nostra vita fisica non riusciamo ad avvertire e che non cade nel dominio della nostra volontà, è controllato e diretto da un sistema nervo­so autonomo, detto simpatico, costituito da piccoli ammassi di sostanza nervosa distribuita in due cor­doni, situati lungo il midollo spinale, col quale sono in comunicazione per mezzo di fibre che si chiama­no rami comunicanti.

Il sistema del simpatico lavora in silenzio e presie­de alle attività interne, ovvero alle funzioni del cuore, dell’intestino ecc. Quindi riveste una grande importanza nell’organismo.

 

Il talamo

Considerazioni funzionali.

“Centro sensitivo d’importanza fondamentale, è una voluminosa massa costituita da nuclei filogene­ticamente distinti”.2

Il talamo riceve impulsi da varie parti (vie afferen­ti) e, dopo di averle associate, le invia in tutte le dire­

2 -Delmas, op. cit. p. 166.


 

Centri di ricezione

Nel cervello risiedono tutte le aree preposte alle varie attività dell’uomo e precisamente nella corteccia cerebrale. Detti centri raccolgono tutti gli impulsi sen­sitivi, che tuttavia, prima di arrivare alla coscienza; hanno carattere di sensazioni grezze ed elementari. Questo livello di sensazioni dev’essere integrato da quello della percezione, cioè della interpretazione discriminativa e della sintesi. Al di sopra della sensa­zione e della percezione, ha osservato il Lhermitte, deve porsi il riconoscimento.

Area gustativa. Per molto tempo si è ammessa una solidarietà tra area gustativa ed olfattiva.

Si riteneva, cioè, che il senso dell’odorato non potesse essere dissociato da quello del gusto. Tuttavia non è stata ancora scoperta la via lungo la quale scor­rono gli stimoli gustativi. L’area, comunque, è situata nella porzione inferiore della parietale ascendente.

Area acustica. E’ posta nella parte superiore della prima circonlocuzione temporale lungo il versante silvia­no. La distruzione di questa zona comporta la sordità.

Area visiva. “ Tra tutte le aree corticali l’area visiva è quella che ha fornito i rilievi clinici e le osservazioni

sperimentali più precise e più feconde di risultati nel-l’ambito della diagnostica e dell’indagine”4. Occupa buona parte del versante esterno della zona occipitale, la cui distruzione provoca la cecità.

Area dell’emozione. I sentimenti affettivi e le emozioni sono spesso provocati da impressioni visi­ve, acustiche o olfattive. Le emozioni provocano a loro volta manifestazioni più o meno vive: paura,

Organizzazione del sistema nervoso. Ed. da American Phisiological Society, Washington 1960.

4 -Delmas, op. cit. p. 245

gioia, collera, desiderio ecc. In questi fenomeni emo­tivi sono implicate due regioni della corteccia: l’area prefrontale e quella cingolare o limbica. La stimola­zione di tali aree provoca fenomeni di ipertensione e quindi reazioni di rabbia e di paura.

 

Cenni sul funzionamento del cervello

Abbiamo visto che il sistema nervoso centrale è formato da sostanza grigia, ricca di cellule, e di sostanza bianca, formata da fibre nervose. (Si ritiene che le cellule del cervello siano 12.000 milioni).

Quindi la funzione centrale di comando parte dalla materia grigia, mentre la funzione di trasporto è esplicata dai cilindrassi, che rappresentano i prolun­gamenti nervosi della cellula.

Come si vede il cervello è un complesso e meravi­glioso meccanismo, dove arrivano impulsi a getto continuo e vengono smistati ordini con la massima celerità e precisione. Si potrebbe paragonare proprio alla grande rete telegrafica di uno Stato.

Ma la funzione del cervello si può realizzare, grazie all’esistenza degli altri organi di ricezione e di trasmissio­ne, tolti i quali il cervello non servirebbe più a niente.

Infatti pare che rimanga inerte ed insensibile finanche al dolore, quando viene isolato.

Le zone del cervello destinate ai movimenti del corpo si chiamano centri motori, mentre quelle desti­nate a percepire le varie sensazioni, si chiamano cen­tri sensoriali.

I centri nervosi si possono facilmente localizzare nei mammiferi e negli animali superiori in genere. Questa localizzazione diventa sempre più difficile, a mano a mano che si scende nella scala zoologica.

Nell’uomo, ad esempio, i centri del linguaggio sono localizzabili nell’emisfero sinistro, ma si trova­no disseminati quasi in tutta la massa cerebrale. La zona della vista si trova nella parte posteriore del cervello, e quella dei numeri nel lobo di destra e pare che non sappia contare oltre il 20. L’intelligenza non ha un suo centro speciale. Essendo la più elevata espressione della potenza umana non può avere una localizzazione definibile. Quando essa si manifesta è tutto il cervello che entra in funzione e consente all’uomo di apprendere, di osservare, di riflettere, sino ad arrivare alle più delicate emozioni dello spi­rito, quando l’intelligenza è anche sentimento.


 

I riflessi

“L’attività riflessa consiste in un impulso afferen­te che va al midollo, da dove, attraverso i dendriti, passa ad una cellula nervosa e da qui al muscolo o alla ghiandola”5.

Nell’azione riflessa, quindi, un impulso afferente viene trasformato in efferente. In altre parole è una catena di fenomeni che si manifestano quando biso­gna dare una risposta muscolare o ghiandolare ad uno stimolo di una qualsiasi fibra nervosa. Per pro­durre il movimento riflesso sono necessari i seguen­ti elementi:

1) un organo recettore;

2) i neuroni sensitivi;

3) un muscolo o una ghiandola capaci di rispondere.

5 -Cfr. K. Walker, Come funziona e vive il corpo umano, Universale Cappelli 1961, p. 3.

Sezione trasversa lungo la metà sinistra del midol­lo, allo scopo di illustrare l’attività riflessa.

A = Neurone sensitivo

B = Neurone motore

C = Neurone connettivo

Proprietà fondamentale di ogni azione riflessa è l’indipendenza della risposta da qualsiasi atto volon­tario.

Si può verificare nel seguente caso: sollecitando la pianta del piede, questa si ritrae, anche se l’individuo dorme o è sotto l’azione di un leggero anestetico.

Ciò significa che l’azione è indipendente dal cer­vello, dato che i neuroni sensitivi e motori si trovano nel midollo.Un altro esempio può essere questo: la pupilla si contrae ad un forte stimolo luminoso.

I riflessi in genere sono innati, ossia si estrinseca­no naturalmente, senza alcun allenamento. Tuttavia alcuni di essi possono essere provocati artificialmen­te, soprattutto quelli riguardanti le ghiandole gastri­che (riflessi condizionati), come ha dimostrato Pavlov con l’esperimento del cane.

Infatti tutte le volte che veniva presentato del cibo al cane, ovviamente legato ed in condizioni d’immo­

bilità, si accendeva una luce collegata con le ghian­dole salivari. Dopo un certo numero di prove la sola accensione della luce bastava a provocare la saliva­zione. Ciò significa che anche per l’uomo esiste un meccanismo che permette di adattare l’organismo a certe situazioni ambientali, che possono naturalmen­te variare. La nostra vita, infatti, è dominata da rifles­si condizionati, che si uniscono tra di loro a catena, tanto che riescono a stabilire delle risposte automati­che, delle quali non ci rendiamo neppure conto e che nel loro complesso condizionano il nostro stesso comportamento. Questi in sostanza non sono altro che la somma di riflessi innati ed acquisiti.

I riflessi possono essere affievoliti sia dall’ecces­sivo affaticamento che dalle droghe e dai sedativi in genere, che somministrati in forti dosi, possono dare come risultato anche l’annullamento.

I riflessi possono anche inibirsi reciprocamente. Infatti una zolletta di zucchero può arrestare il sin­ghiozzo,cioè il riflesso dello zucchero sopprime quello provocato dal diaframma.

Esaminando i riflessi si possono accertare le con­dizioni del sistema nervoso. Uno dei riflessi più in

uso in medicina è quello patellare, provocato da un colpo di martelletto dato sul tendine della tibia.

L’intensità della reazione dà il quadro esatto della situazione.

L’encefalo

E’ la parte più voluminosa del tubo neurale ed anche la più specializzata. Costituisce praticamente il “pacchetto” cerebrale. Si divide in due emisferi, ai quali pervengono tutte le sensazioni delle varie parti del corpo e da essi partono tutti gl’impulsi motori. Detti emisferi presentano delle circonvoluzioni che conferiscono loro l’aspetto di una noce senza guscio. Più sono le circonvoluzioni e più evoluto è l’indivi­duo. Esse si trovano, naturalmente, nella materia gri­gia del cervello, ove si possono osservare milioni di cellule, che presentano dei granuli (granuli di Nissl) in relazione all’attività cerebrale, i quali diminuisco­no di numero col lavoro intenso, sino a scomparire del tutto in caso di grave esaurimento.

Importanti studi hanno consentito di localizzare parecchie funzioni della corteccia cerebrale, come quella della vista, udito, tatto ecc. Per molto tempo

gli scienziati non sono riusciti a capire la precisa fun­

zione degli emisferi cerebrali.

Si indica come encefalo tutta la porzione del nevrasse situata sulla scatola cranica, cioè tutto il sistema nervoso eccettuato il midollo spinale conte­nuto nel canale vertebrale.

Alla base dell’encefalo c’è il tronco cerebrale, che lo collega al midollo spinale. In questa zona avvengono delle funzioni di primaria importanza per l’attività cerebrale. Molto importante il sistema reticolare (così detto perchè ha la forma di una rete), che oggi ha assunto un’importanza fonda­mentale nello studio del cervello.

In effetti questo sistema esplica una particolare funzione “non specifica”. Cioè raccoglie numero­se informazioni, le associa e le trasmette al siste­ma centrale. Quindi potrebbe definirsi una fun­zione di base, che prelude a quella più complessa dell’encefalo.

La formazione reticolare coordina anche singo­le funzioni ed è implicata in complessi meccani­smi come la deglutizione, la salivazione e la respirazione.


 

I centri del linguaggio

Sono stati localizzati dai neurologi sul lato sini­stro dell’encefalo, come pure quelli della scrittura, che sono indipendenti fra loro. Infatti un individuo, in seguito a uno choc, può perdere la facoltà di par­lare, ma non di scrivere e viceversa.

Attualmente si conoscono quattro centri della parola:

1) acustico;

2) visivo;

3) della parola articolata (che controlla i movi­menti della lingua, delle braccia a della laringe;

4) della scrittura (che controlla i movimenti della mano durante la scrittura).

Sono questi i centri che devono essere stimolati opportunamente nella scuola, per ottenere un apprendi­mento corretto delle varie difficoltà, sia nel campo della lettura e della scrittura, che dell’espressione.

 

Il pensiero

Abbiamo detto che l’intelligenza dell’uomo non risiede soltanto in un organo, ma a formarla concor­rono tutte le parti del corpo. Ma allora qual è la sede del pensiero?

A questo problema per la verità si può dare più

un’impostazione filosofica che fisiologica e la rispo­sta dipende dalla mentalità di chi lo risolve. Forse la spiegazione più attendibile può essere quella che attribuisce il pensiero alla vita stessa dell’individuo. Ogni cellula vivente, infatti, dimostra intelligenza.

D’altra parte l’attività di un organo è sempre asso­ciata ad una modificazione del potenziale elettrico, e quindi allo sviluppo di una corrente elettrica. Difatti applicando gli elettrodi sugli emisferi cerebrali, si possono registrare impulsi elettrici. Esistono onde “alfa” che si manifestano con una frequenza di 8-136 al secondo,sia che l’individuo dorma o veglia; e onde “beta” che compaiono soltanto quando l’individuo è sveglio e attento a ciò che accade intorno a lui. Questi differenti ritmi non sono dovuti soltanto agl’impulsi che arrivano al cervello, ma anche alle scariche dei vari gruppi di cellule nervose.

Lo stato del sistema nervoso può essere dato dal-l’elettroencefalogramma, che aiuta moltissimo il neurologo a curare le varie malattie.

6 -Negli animali le onde cerebrali hanno una frequenza minore (1-4 al secondo).


 

Il linguaggio e il pensiero

Sono strettamente legati fra loro e l’uno rafforza l’altro. Se così non fosse, afferma Ombredanne, i mezzi di espressione e di comprensione resterebbero ad un livello elementare. Il linguaggio è,infatti, il mezzo di cui dispone ogni individuo per comunicare con gli altri esseri viventi e si fonda su meccanismi riceventi ed emittenti, che devono essere necessaria­mente in accordo. Chi non riesce ad esprimersi bene è affetto da “afasia”, turba mentale concernente l’emissione e la comprensione del linguaggio parla­to o scritto. In questo caso viene usato un altro tipo di linguaggio, basato sulla mimica o sul disegno.

Quindi nell’uomo sono possibili diverse forme di linguaggio e ciò sta a determinare che al di sopra di meccanismi elementari dell’espressione e della com­prensione verbale, deve necessariamente esistere un piano di elaborazione intellettuale.

Le zone dell’espressione, in numero di quattro, sono presenti in entrambi gli emisferi dell’encefalo, però nella funzione del linguaggio interviene solo l’emisfero sinistro nei destrimani e l’emisfero destro nei mancini.

La spiegazione anatomo-fisiologica della localiz­

zazione centrale e unilaterale del centro del linguag­gio, esempio unico nella organizzazione del sistema nervoso centrale, è data dalla necessità di una perfe­zione assoluta del funzionamento sincrono dei muscoli che devono agire sinergicamente nella fona­zione. Tale sinergismo richiede, per manifestarsi, la prevalenza nel comando da parte di un solo emisfe­ro. Può spiegarsi così il fenomeno della balbuzie nei casi in cui manca la predominanza di un emisfero sull’altro7.

 

La neocorteccia

Mentre la memoria e l’apprendimento sono localiz­zati in grandi parti del cervello, i meccanismi del lin­guaggio sono più o meno presenti nella neocorteccia.

La parola e le altre funzioni intellettuali sono più sviluppate nell’uomo, perchè presenta un mantello neocorticale col massimo grado di evoluzione.

Solo tre specie viventi presentano il cervello più grande dell’uomo: il marsuino, l’elefante e la balena.

7 -Delmas, op. cit. pp. 268-269.

Ma il peso del cervello umano, in rapporto a quel­lo del resto del corpo, è il più pesante di tutti.

 

Le frontiere della mente

Il cervello, organo ancora in gran parte misterioso, è ritenuto oggi dagli scienziati l’ultima frontiera del-l’uomo. La sua conoscenza viene considerata assai più necessaria della colonizzazione dello spazio e della scoperta della struttura della materia.

Eppure a prima vista niente tradisce questa sua grande importanza.

Neonato = g. 350

Pubertà = g.1375 (maschi)

Pubertà = g.1250 ( femmine)

Adulto = g.1585

(Peso del cervello nelle varie età)

Da notare che il cervello è uno degli organi più pesanti del corpo umano.

 

Lenta evoluzione

Il cervello si è formato attraverso tre miliardi di anni di evoluzione della materia vivente e la cosa più sorprendente è che nell’ “Homo sapiens” non si trova alcun segno di ulteriore sviluppo cerebrale.

Gli esseri umani di oggi hanno la stessa capaci­tà cranica e quindi presumibilmente un cervello dello stesso peso dei primi uomini che abitarono la terra.

E’ anche press’a poco uguale in tutti gli uomini, così che alla nascita tutti hanno la possibilità di esse­re intelligenti come Leonardo, Einstein ecc. E’ solo questione che i cosiddetti geni ne fanno un maggiore

uso, mentre la maggioranza degli individui sfruttano solo il 20% del suo potenziale.

Il cervello non rimane mai inattivo, nè di giorno, nè di notte, ma si trova in uno stato di costante flus­so elettrico. E’un organo delicatissimo, ma possiede eccezionali doti di recupero. Infatti se qualche sua zona viene danneggiata o distrutta in qualche inci­dente, non si riforma, ma col passare del tempo le capacità perdute si stabiliscono in altre zone.

 

Mille prodigi

Quello appena descritto è uno soltanto dei mille prodigi che può compiere il cervello. Gli altri sono quelli che consentono all’uomo di vivere in armonia con l’ambiente, di sopravvivere, d’immagazzinare ricordi ed elaborare esperienze, di formare la coscien­za e il pensiero, di apprendere un comportamento.

Insomma è il centro che guida, controlla, coordina tutte quelle azioni e quegli atteggiamenti che fanno di un uomo un essere unico.

I luoghi del cervello dove si svolgono tutte queste funzioni sono stati suddivisi dagli scienziati per comodità di studio, in tre livelli. Il primo, collocato

nel midollo allungato e nelle sue derivazioni, è responsabile di tutti gli automatismi più o meno con­sci, come mantenimento del ritmo cardiaco, respiro, funzioni periferiche ecc.

Il secondo livello cerebrale è quello delle strutture limbiche, sede del sistema affettivo. Da queste strut­ture dipendono anche la paura, la fame ed il deside­rio sessuale.

Il terzo livello, localizzato nella corteccia cerebra­le, è il più tipicamente umano. Vi risiede la capacità di elaborare pensieri, di valutare l’ambiente, di orientare il comportamento.

E’ ovvio che questi tre livelli non si possono pen­sare separati tra loro, poichè s’integrano a vicenda.

Un’emozione, infatti, può incidere anche sul respiro ed, allo stesso modo può avere riflessi signi­ficativi sulla lucidità del ragionamento. Sappiamo, per esempio, che la vista di un oggetto s’imprime nella rètina, che è sprovvista di organi sensori spe­cializzati, i quali, se stimolati dall’immagine, man­dano degl’impulsi al nervo ottico, dove si smistano per arrivare al talamo.

E’ a questo punto che noi possiamo dire di vedere

l’oggetto. Ma perchè, a volte, a quella vista si asso­ciano anche altri ricordi? Perchè Isaac Newton alla semplice vista di una mela ha avuto l’idea della legge di gravità?

Sono questi i problemi che costituiscono ancora una barriera ed ai quali chissà se un giorno si potrà dare una soluzione adeguata.

 

I neuroni

La corteccia cerebrale, di tre o quattro millimetri di spessore, è formata da neuroni, piccole cellule cerebrali che sono alla base di tutto il sistema del cervello e delle sue funzioni. Nessuno sa con preci­sione quanti siano. Qualcuno indica il loro numero in 10 miliardi, ma c’è chi sostiene che essi raggiungano i trenta.

I neuroni, mediante i loro prolungamenti ramifi­cati stabiliscono contatti fra di loro e sviluppano degli impulsi elettrici, che passano attraverso alcu­ne strettoie, chiamate sinapsi e si diffondono in tutto l’encefalo.

E’ in questo modo che il cervello codifica, classi­fica ed elabora le informazioni.

“Si ammette oggi che ogni neurone di una deter­

minata catena sia autonomo e che l’articolazione con il neurone vicino avvenga per contiguità e non per continuità di sostanza8.

Dimodochè la morte del neurone interessa la sin­gola unità neuronica.

Sembra accertato che la funzione del neurone sia esclusivamente quella della conduzione dell’impulso nervoso.

Ogni uomo nasce con un capitale di neuroni, che non aumenta con l’età; può soltanto diminuire.

 

Funzioni superiori del sistema nervoso

Riflessi condizionati, apprendimento e fenomeni affi­ni. Le funzioni superiori del sistema nervoso sono: l’ap­prendimento, la memoria, il giudizio, il linguaggio ecc.

“L’apprendimento è spesso considerato una funzio­ne degli emisferi cerebrali, ma ha luogo anche in molte specie animali sprovvisti di corteccia cerebrale”9.

Le forme più elevate di apprendimento sono in gran parte dei fenomeni corticali, ma una parte note­

8 -Delmas, op. cit. p. 17. 9 -Cfr. W. F. Ganong, Op. cit., p. 208.

vole spetta anche al tronco dell’encefalo.

Esperimenti sui ratti hanno dimostrato che la cor­teccia cerebrale dei soggetti sottoposti a esercizi con­tinui si presenta più spessa di quelli tenuti in un ambiente monotono e uniforme.

I riflessi condizionati rappresentano un tipo importante di apprendimento. Sono delle risposte riflesse a stimoli che normalmente non provocano alcuna risposta, se non dopo essere stati ripetutamen­te associati ad altri stimoli.

La prova più eloquente ci è data dagli esperimenti di Pavlov, a cui si è accennato in precedenza. Prima di dare la carne al cane, messo in particolari condizio­ni, veniva suonato il campanello, che rappresentava lo stimolo, ovvero il riflesso condizionato.

E’ anche provato che se lo stimolo condizionato viene ripetuto parecchie volte finisce per scomparire, ma se di tanto in tanto viene rinforzato, può persiste­re indefinitamente.

“Pavlov ha solo il torto di non essersi occupato dell’attività dell’uomo10.

10 -Cfr. A. Gemelli, Psicologia dell’età evolutiva, p. 174.

La caratteristica essenziale dei riflessi condiziona-

ti è la formazione di nuove associazioni funzionali del sistema nervoso. L’esperimento di Pavlov, infat­ti, mostra che il suono del campanello ha messo in relazione funzionale le vie acustiche ed i centri auto­matici della salivazione.

“Quando c’è uno stimolo sensoriale complesso è necessaria la presenza della relativa regione corticale sensoriale; il resto della corteccia non è necessario; d’altra parte si possono formare riflessi condizionati, non discriminativi, in risposta a stimoli sensoriali semplici, anche in assenza di tutta la corteccia.

Questi ed altri fatti dimostrano che le nuove con­nessioni si formano in strutture sottocorticali”11

 

Nota conclusiva

Come si vede l’attività cerebrale si svolge attra­verso un sistema di impulsi sensitivi che arrivano al talamo e vengono smistati nei vari strati cortica­li fino ai nuclei terminali.

11 -CFR. W. F. Ganong, op. cit., p. 209.

E’ in virtù di questa complessa organizzazione

che si manifesta la vita intellettuale pura, ideale, speculativa.

Nell’architettura della corteccia cerebrale c’è ordine e disordine, come afferma von Bonin, ma tutto concorre ad un regolare funzionamento dei meccanismi nervosi.

Tutto sommato un disordine opportuno, poiché condiziona l’originalità e la libertà dello spirito.

CAPITOLO II

 

L’ATTENZIONE


 

Cos’è l’attenzione

Secondo il significato etimologico attenzione significa “intensa concentrazione dei sensi e della mente intorno a un determinato oggetto”.

Quando in un individuo si determina un interesse per un oggetto, subito la sua condotta si orienta verso di esso.

Si forma in lui attenzione. In quel momento tutto l’io, nella sua integrità (affettività, pensieri, azioni) è rivolto verso l’oggetto.

L’attenzione, dunque, deriva dall’interesse; è pro­prio “un interesse in azione”. I due termini, natural­mente, non si possono scindere. Infatti quando viene meno l’interesse per una cosa, cessa anche l’atten­zione. (Una volta sazio non si ha più interesse e quin­di attenzione per i cibi). E ciò perchè l’io non reagi­sce più agli stimoli.

E’ chiaro, quindi, che l’attenzione non può essere un fatto originale ed autonomo della coscienza, bensì una manifestazione globale dell’individuo.

 

Caratteri dell’attenzione

Nello stato di attenzione ogni stimolo estraneo a quello sul quale ci si concentra è secondario e viene

recepito in modo affievolito dal soggetto. “Per essere attenti bisogna essere disattenti”, concentrare l’atten­zione, cioè, su una cosa sola e trascurare tutte le altre.

Immersi profondamente in una lettura, infatti, non si avverte più nulla; si resta come isolati dal mondo esterno e dal proprio. Dunque si può prestare atten­zione ad un solo oggetto alla volta. Il “campo dell’at­tenzione” è limitato e sempre circonscritto ad un solo fatto. Quando si parla di persone che possono presta­re attenzione a più cose insieme, si tratta di eccezio­ni, dovute alla capacità di rapidi passaggi d’attenzio­ne da un oggetto all’altro (dettare insieme a più segretari, camminare leggendo ecc.). L’attenzione prolungata presenta delle oscillazioni notevoli. Si può sperimentare seguendo con gli occhi un aeropla­no lontano. L’impressione visiva sparisce e riappare a intervalli. Lo stesso accade per le impressioni udi­tive. L’attenzione può essere anche stabile, cioè di resistere più o meno agli elementi perturbatori e pla­stica, ossia adattabile agli episodi che si verificano in rapida successione.

Tutto dipende dallo stato d’animo, dallo stato di salute, dall’affaticamento ecc.

Incostanza dell’attenzione

Disco di Masson

(Facendo ruotare i trattini del raggio appaiono come anelli grigi con­centrici, sempre più sbiaditi verso la circonferenza. In una osservazione prolungata, la visione dell’ultimo cerchio visibile si fa instabile per il sus­seguirsi di fasi di sensibilità e d’insensibilità).

 

Forme dell’attenzione

L’attenzione avviene così: prima si è colpiti dalla percezione, mediante i sensi, e poi si concentra su fatti interiori, in una meticolosa analisi introspettiva.

Quando l’attenzione scaturisce da un interesse immediato o coincide con la naturale tendenza del soggetto si dice spontanea. E’ volontaria, invece, quando pur essendo distolto da altri stimoli a quel tipo di attenzione,si resiste perchè vi è legato un inte­resse sentito.

I segni esteriori dell’attenzione sono molteplici:

guardar fisso, essere immobili, bocca aperta, occhi socchiusi quando si medita, assentire ecc.

Nello stato di concentrazione mentale o di atten­zione, si possono incontrare degli intoppi ed allora il soggetto produce uno sforzo interiore per superarlo. Se questo sforzo non riesce a dominare gl’intoppi e la mente si concentra su altri stimoli, abbiamo il clas­sico esempio della distrazione.

Durante una comune lezione, l’intensità dell’at­tenzione si eleva rapida e tocca il massimo al settimo minuto; indi scende ed è al minimo alla fine della

prima mezz’ora. Alcuni soggetti rivelano un decorso progressivo più lento all’inizio, senza la flessione intermedia, con una resistenza costante, cioè, allo sforzo attentivo.

 

La distrazione

Distratto è colui che si mostra distaccato e insen­sibile a tutto ciò che accade intorno a lui.

Si tratta della vera e propria distrazione, che rap­presenta tuttavia il più alto grado di concentrazione e di attenzione (vedi la caratteristica distrazione nei grandi uomini di scienza).

E’ distratto anche chi si lascia distogliere facil­mente e vi sono soggetti che presentano incapacità

assoluta di realizzare l’attenzione, ma si tratta di casi

patologici.

Una grave forma di deficienza mentale è l’apro­pressia, che consiste nella mancanza di ogni capaci­tà attentiva.

 

L’attenzione delle varie età

L’attenzione comincia spontanea anche in tenera età, dato che il bambino riesce a concentrarsi nei gio­chi,sino al punto di dimenticare tutto ciò che si verifi­ca intorno. Ma l’attenzione volontaria si afferma nel-l’età scolastica, quando dev’essere tenuta desta susci­tando opportuni interessi. Si possono opportunamente fissare quattro tappe evolutive degli interessi.

1) Prima infanzia (fino a tre anni circa).

Prevalgono gli interessi sensoriali e percettivi (interesse per tutto ciò che colpisce i sensi) fino agli 8 mesi.

Da questo punto e fino a due anni si evolvono, poi, gli interessi motori (palpare, osservare, agitare le cose ecc.).

Dai due ai tre anni, infine, sorgono gl’interessi lin­guistici, che però si protraggono fino ai sei anni circa.

2) Seconda infanzia (fino a sette anni circa).

Si svolgono gl’interessi soggettivi ed egocentrici. Graduale partecipazione al mondo sociale e curiosi­tà per il mondo esteriore, da cui muove la caratteri­stica curiosità di quell’età e la continua richiesta del perchè delle cose.

3) Fanciullezza (fino a 12 anni circa).

Affermazione degli interessi oggettivi e sviluppo di quelli intellettuali ed astratti. Entusiasmo per le nuove nozioni. Si afferma il pensiero logico e critico.

4) Adolescenza (12-18 anni circa).

Maturano gl’interessi superiori, poichè comincia a farsi strada la formazione della personalità sotto vari aspetti: morale, sociale ecc.


 

Pedagogia dell’attenzione

L’attenzione assume un ruolo di capitale impor­tanza nella scuola. Senza di essa non ci può essere profitto.

L’insegnante, perciò, deve saperla tenere continua­mente desta, suscitando ogni sorta d’interesse. Non a caso educatori insigni, come il Decroly ed il Dewey hanno impostato la loro attività sui centri d’interesse.

La verità è che ogni argomento può essere portato sul piano dell’interesse. A volte si vedono i fanciulli entusiasmarsi su argomenti che sembrano astratti e aridi, come la grammatica e l’aritmetica. In questi casi il loro interesse è stato facilmente suscitato.

Certo che bisogna badare più alle esigenze interiori degli scolari che alle astratte nozioni per risolvere il fondamentale problema dell’interesse e dell’attenzione.

 

Accorgimenti idonei per tener desta l’attenzione

Per poter ottenere l’attenzione più o meno com­pleta in una classe è necessario prendere i seguenti provvedimenti:

1) curare la temperatura, la luce, l’aerazione e la quiete dell’aula;

2) creare un ambiente sereno sotto tutti i punti di vista;

3) interessarsi alla nutrizione, alle fatiche ed alle eccitazioni nervose degli scolari;

4) insegnare calmo, vivo, interessante, vario;

5) preferire la conversazione e il dialogo, che sol­lecitano la partecipazione attiva dell’alunno;

6) fare in modo che il maestro sia sempre in vista;

7) distribuire saggiamente le lezioni e scegliere con accuratezza i sussidi;

8) preparare le lezioni e scegliere con accuratezza le tecniche più adeguate;

9) giovarsi della ginnastica nei banchi, del canto e altro per smaltire l’affaticamento;

10) non superare mai la resistenza attentiva del fanciullo.

 

I livelli dell’attività mentale

L’attività della nostra mente si svolge con ritmo alternato, vale a dire ha degli alti e bassi che corri­spondono alla maggiore o minore efficienza del nostro organismo.

Il più basso livello di attività mentale si ha nel

sonno, quando viene interrotto ogni rapporto con la vita di relazione e rimane appena in funzione la vita vegetativa.

Ciò non è valido, naturalmente, se il sonno viene turbato da qualche incubo che sottopone l’organismo a delle tensioni che interrompono il riposo.

Un disturbo può essere provocato anche da uno stimolo (uno scoppio, un rumore improvviso o altro) che costringe d’indirizzare altrove le nostre energie.

Come si vede la nostra attività mentale è solo diminuita dal sonno, ma non interrotta. Un’interruzione più accentuata si ha nei casi patolo­gici dello svenimento e dell’attacco epilettico. Neanche in questi casi si può parlare di assenza tota­le di attività mentale, perchè il soggetto dopo riesce a collegare il presente col passato.

 

La corrente del pensiero

La corrente del pensiero, dice William James, si può paragonare a quella d’un fiume, che scorre ora calma, ora impietuosa nei suoi argini, oppure si disperde a volte, fra mille rivi e acquitrini, ove ristagna, per poi riprendere nuova forza e vigore in una cascata.


 

Natura dell’attenzione

Il problema può essere chiarito pensando al risveglio improvviso dal sonno. Nello stato di sonno non si pensa coscientemente o si segue un filo contorto e spezzato dei sogni e ciò perchè l’at­tività mentale non ha una direzione volontaria. Al ridestarsi essa è costretta a riprendere il suo corso. L’uomo dispone di un’energia mentale illimitata e gli oggetti verso i quali la può dirigere sono infini­ti. Però non è possibile concentrare l’attenzione su tutte le cose. Infatti, dice molto bene il Wundt, quando si scrive la nostra mente è concentrata sul foglio di carta e non sugli altri oggetti che si trova­no sul tavolo e nella stanza.

Dunque c’è una perfetta analogia fra il campo visivo e quello della coscienza.

 

Ampiezza dell’attenzione

L’attenzione può essere classificata in base a tre momenti:

1) di attesa

2) di osservazione

3) di riflessione

Nel primo caso il soggetto si prepara a compiere un’azione che dipende dal verificarsi di una condi­zione esterna, come il cacciatore in agguato, l’atleta in attesa del segnale di partenza ecc.

Nel secondo caso, invece, riguarda il soggetto che non è protagonista della vicenda, ma si trova di fron­te a cose che lo interessano e le osserva attentamen­te. E’ il caso dello spettatore o del turista.

Il terzo caso riguarda l’attività interiore del sog­getto che riflette su cose che hanno interessato i suoi sensi e la sua fantasia.

 

Tipi di attenzione

Vi è un tipo di attenzione concentrata, ridotta al minimo, su una sola cosa (tiro a segno) e distribui­ta, quando la nostra mente è costretta a far caso a più cose, come l’automobilista, che deve badare alla guida, al rumore della sua vettura, a quello del traffico ed a tutte le applicazioni visive che il lavo­ro richiede.

Vi è anche un’attenzione fluttuante, cioè che oscilla continuamente d’intensità. A questo tipo di attenzione corrisponde il caso patologico dell’asprossessia.


 

L’attenzione imposta

L’attenzione di una scolaresca può ottenersi anche con mezzi coattivi. Ma in questo caso è sol­tanto una parvenza di educazione, poichè gli scola­ri mostrano di seguire solo per aderire al desiderio del maestro, mentre sono spiritualmente e mental­mente assenti.

La vera attenzione viene suscitata soltanto per via affettiva e sul piano della simpatia e dell’interesse.

I mezzi coatti per ottenere l’attenzione possono essere:

1) il richiamo

2) l’intimazione reiterata al silenzio

3) le battute di mano e le alzate imperiose di voce

4) i colpi sulla cattedra e le minacce di castigo

Spesso si fa uso di mezzi persuasivi al momento di introdurre una lezione , come possibilità di con­seguire buoni voti, promesse di premio ed altri allettamenti, che il più delle volte non hanno valo­re educativo.

La migliore attenzione resta quella che sgorga spontanea nell’intimo dello scolaro.

Solo in questo caso c’è partecipazione effettiva.


 

L’affaticamento e la saturazione

La durata dell’attenzione, naturalmente, varia con l’età. I bambini della scuola elementare (6-11 anni) sono in grado di concentrarsi per circa 20-30 minuti, a seconda delle possibilità personali.

Dopo di che si cominciano ad osservare i primi sin­tomi di affaticamento, che aumenta progressivamente, fino a determinare la disattenzione, per evitare la quale non valgono richiami o minacce, ma bisogna cambiare e proporre attività più lievi, in modo che i soggetti possano recuperare le energie psichiche.

L’affaticamento può essere individuato con criteri oggettivi, cioè mediante la constatazione di abbassa­mento del rendimento. Per fortuna l’abbassamento è reversibile, cioè il soggetto posto in condizioni diverse d’impegno mentale può mobilizzare nuove energie e compiere nuovo sforzo.

La saturazione, invece, si ha quando il soggetto è arrivato proprio al limite delle sue possibilità e non dispone più di energie sufficienti per proseguire il suo sforzo. E’ una forma di grave affaticamento che in educazione va assolutamente evitata, variando il lavoro a tempo opportuno, in modo da evitare in ogni alunno l’esaurimento delle sue risorse.

CAPITOLO III

 

LA MEMORIA

“La memoria, facoltà della mente di fissare il pre­sente, di evocare il passato e di riconoscerlo localiz­zandolo nel tempo, è il risultato di numerosi elemen­ti di varia natura: alcuni sensoriali, come immagini, nomi, sensazioni tattili, termiche, dolorifiche; ovve­ro di moto, come movimenti; altri ancora apparten­gono alla sfera affettiva o emotiva e sono puramente intellettuali: idee, pensieri.

E’ estremamente difficile definire le basi anatomi­che dei processi mnemonici e certamente impossibi­le precisarne la sede corticale. Tuttavia alcuni risul­tati sperimentali di Penfield (1953, 1957) dimostre­rebbero che la stimolazione delle facce laterali e mediale del lobo temporale può evocare ricordi. Può rilevarsi che si tratta di regioni corticali prive di affe­renze talamiche e non aventi rapporti diretti con le vie di proiezione.

D’altra parte queste stesse regioni sono collegate con le aree prefrontali, per mezzo del fascio uncina­to, e con le aree dello schema corporeo, acustiche e visive.

Spetterebbe, invece, all’ippocampo la funzione di fissare nella memoria e di evocare fatti recenti.

In conclusione pur non conoscendo esattamente i meccanismi della memoria, siamo tuttavia in grado di inserirli nella mappa della corteccia cerebrale1.

Le tracce mnemoniche sono depositate in varie parti del cervello e del tronco dell’encefalo.

“Ma sembra ormai accertato che nella evocazione dei ricordi interagiscono tre meccanismi, uno per gli eventi del momento, un altro per i ricordi d’eventi di minuti od ore prima e un terzo per quelli molto remoti2.

Veduta laterale del cervello umano, con le aree di Brodman.

Le aree tratteggiate sono la motoria e la sensoria, primarie; le altre bianche, sono le aree di associazione.

1 -Cfr. Delmas, op. cit, p. 263. 2 -Cfr. W. F. Ganong, op. cit., p. 211.


 

Neurofisiologia della memoria

E’ scientificamente provato che l’apprendimento si produce nella nostra mente. Si tratta soltanto di accer­tare dove il cervello immagazzina i suoi ricordi.

La fisiologia della memoria costituisce per la maggior parte degli psicologi un problema sconcer­tante e di non facile soluzione.

Per questo motivo i progressi registrati in tale campo sono piuttosto scarsi, anche per il contrasto esistente fra gli studiosi in relazione alla terminolo­gia ed agli strumenti impiegati nella ricerca.

E’ chiaro che gli psicologi dedicano di più la loro attenzione al processo di apprendimento, mentre i neu­rofisiologi studiano maggiormente il fenomeno dell’im­magazzinamento del cervello a breve o lungo termine.

In questo senso sono orientate le attuali ricerche, facendo esperimenti su gatti, scimmie e persino sul-l’uomo con l’impiego degli strumenti più adatti per meglio capire cosa avviene nel cervello.

Molte cose si sono già chiarite, ma altre verranno fuori col tempo.

Nelle strutture cerebrali, quindi, avviene il proces­so fisiologico della memorizzazione, sia attraverso le

rappresentazioni olografiche che per altri procedi­

menti più ingegnosi.

L’attività della memoria è di fondamentale impor­tanza agli effetti di riattivazione mnesica, poichè organizza e codifica ciò che dev’essere ricordato.

Nella vita di tutti i giorni noi troviamo molti esem­pi di come un dato messaggio possa essere più facil­mente ricordato, rispetto ad un altro.

Un esempio molto significativo ci è dato dal siste­ma di codificazione in decimali dei numeri, rispetto al complesso sistema dei Romani.

Infatti è più facile ricordare i multipli di 10, usan­do lo zero; molte operazioni matematiche risultano semplificate.

Quindi la codificazione e la decifrazione sono le operazioni fondamentali sia nel processo d’imma­gazzinamento, che in quello della riattivazione della memoria.

Punto fondamentale è che gli elementi neurali sono immagazzinati in modo sparso per il cervello e che tra di loro c’è una connessione stretta, quando devono operare il ricordo in seguito ad uno stimolo appropriato.

Sono le aree di associazione della corteccia ad

organizzare e riattivare i ricordi e cioè a ricostruire una immagine di elementi mnesici distribuiti.

 

Memoria e apprendimento

Memoria e apprendimento sono due processi inti­mamente legati fra loro.

Per memoria possiamo intendere l’effetto durevo­le di una stimolazione, cioè la formazione e la con­servazione di una traccia in seguito a una certa espe­rienza, e la possibilità di utilizzare questa traccia risalendo in qualche modo da essa all’esperienza che l’ha determinata.

D’altronde, il fatto che un organismo vivente sia

in grado di conservare gli effetti di una stimolazione dopo che essa è cessata, lo rende capace di modifica­re successivamente il proprio comportamento sulla base di quella stimolazione.

Per apprendimento intendiamo appunto questa capacità.

Il comportamento, oltre che dall’apprendimento, può essere modificato anche da altri fattori, come l’età, la fatica, le lezioni, l’azione dei farmaci ecc.

La connessione stretta fra memoria ed apprendi­mento esiste anche a livello metodologico. Infatti non si può studiare l’una senza tener conto dell’altro.

Negli ultimi anni lo studio dei processi della memoria ha portato una nuova comprensione di certi aspetti dell’apprendimento e viceversa.

Il problema, comunque, è sempre quello delle modalità con cui un’esperienza, cioè l’effetto di un complesso di stimolazioni, viene fissata e conserva­ta in qualche modo nel sistema nervoso di un organi­smo vivente.

La teoria è quella del consolidamento della traccia mnesica, affermatasi alla fine del secolo scorso e che

consiste nel fatto che un’esperienza una volta entrata nel nostro cervello se ne conserva sempre il ricordo.

Non si può dire che nei bambini, ai primissimi anni di vita, vi sia attività mnemonica, perchè manca quanto è necessario per avere coscienza dei ricordi.

Queste capacità rievocative aumentano col passa­re degli anni.

Qualcuno ha parlato di memoria sensoriale, per distinguerla da quella intellettuale, nella quale si rie­vocano processi psichici superiori che consentono l’acqusizione di conoscenze varie.

Questo processo è fondamentale per l’apprendi­mento, per ottenere il quale è necessario anche l’esercizio e l’azione di certi fattori, come quelli che mette in pratica la scuola, che si occupa specifica­mente dell’apprendemento.

Soltanto che il modo d’imparare è diverso dalle varie fasi evolutive.

Il bambino dell’età scolastica impara secondo schemi fissi, giovandosi dell’esperienza altrui, men­tre nel periodo precedente impara giocando.

“Il bambino, prima dell’età scolastica, ed in modo particolare fra i due e i quattro anni, vive immerso

nel suo mondo presente; non lo interessa il passato;

non lo proccupa l’avvenire”.3

Vi sono diversi tipi di memoria: visiva, uditiva, meccanica, logica, a seconda se prevale un senso o l’altro, oppure un interesse rispetto a un altro.

Gli individui differiscono tra di loro in quanto a memoria: c’è chi apprende con maggiore rapidità e ritiene e chi molto più lentamente.

E’ questione d’intelligenza.

In un processo di apprendimento, comunque, non si può fare a meno della memoria, anzi il memoriz­zare è già un apprendere.

 

L’oblio

E’ l’operazione contraria alla ritenzione, cioè la graduale dimenticanza di ciò che apprendiamo.

Il fenomeno è stato studiato da Ebbinghaus, il quale, con un esperimento ha dimostrato che l’oblio è rapido e considerevole nelle prime ore del giorno e diminuisce in seguito gradualmente.

3 -Cfr. A. Gemelli, op. cit., p. 183.

In base a questa esperienza ha potuto fissare la

curva dell’oblio.

Ovviamente l’oblio si ha quando ci si concentra poco, quando si vogliono apprendere molte cose insieme e quando non si fanno le opportune ripeti­zioni.

Una memorizzazione globale può aversi soltanto con una lettura lenta e con una concentrazione massi­ma di attenzione, su testo già compreso in precedenza.

Ad ogni modo il memorizzare impegna tutta la personalità.

Esercitare la memoria è una parte importante del-l’educazione; bisogna renderla agile con ogni mezzo per trasformarla in uno strumento più efficace nel-l’acquisizione del sapere.

L’esperienza insegna che il lavoro di memoria dev’essere ripartito in più esercizi separati con un ragionevole intervallo di riposo.

Un’attività continuata e senza tregua dà risultati inferiori.

La memoria è basilare, non solo nel lavoro scola­stico, ma in tutta la vita dell’uomo, perciò va tenuta nella debita considerazione.


 

I contenuti dell’apprendimento

Sorge allora spontanea la domanda: “cosa bisogna insegnare?”.

Da un’attenta riflessione sulle materie di studio si potrà capire benissimo che cosa si deve apprendere e ciò che non vale la pena di considerare.

D’altra parte la psicologia ha dimostrato che l’attività mentale del fanciullo,come dell’adulto, può accogliere solo una quantità limitata d’informazioni, poichè la nostra “apertura” come si suol dire, non può abbraccia­re simultaneamente più di sei o sette cognizioni irrelate, senza creare sovraccarico, confusione, amnesia.

George Miller ha scritto in proposito che è neces­sario obbedire ad una legge economica, riempiendo i nostri sette canali mentali non di scorie, ma di oro.

Per questo motivo è necessario presentare il sapere in forma precisa, sensa distorsioni e notizie superflue.

Un’impostazione sbagliata del metodo d’insegna­mento può scoraggiare la ricerca autonoma, unica fonte del vero sapere.

Sulla durata di un processo di apprendimento si può dire ben poco.

Tuttavia è facile affermare che maggiore è l’impe­gno e più grande dovrebb’essere la ricompensa.

D’altra parte più si possiede il senso della struttu­ra di una materia e più cresce la capacità di affronta­re un processo lungo e complesso di apprendimento.

 

Il programma a spirale

Partendo dal principio che un alunno dev’essere con­tinuamente stimolato per andare avanti sulla strada del sapere, sorge spontanea la necessità che l’insegnamento delle varie scienze bisogna cominciarlo al più presto.

Ovviamente c’è un modo adatto ad insegnare qualsiasi disciplina a qualunque ragazzo.

Da ciò deriva la necessità d’impostare il programma sui grandi valori e principi che una società giudica degni di continuo interesse da parte dei suoi membri.

Ma bisogna fissare il modo su come iniziare. Tutto, naturalmente, dev’essere rapportato alle ele­mentari forme del pensiero infantile.

I principi delle varie scienze possono essere intro­dotti in una maniera molto elementare, per poi poter-ci costruire in seguito, perchè sarebbe molto più dif­ficile nelle scuole superiori apprendere le varie mate­rie senza averne una sia pur vaga conoscenza. E’ questo che bisogna tener presente continuamente nella scuola dell’obbligo, senza la pretesa di voler dare la scienza ai ragazzi. E’ solo questione di inco­minciare al più presto.

Ecco perchè è necessario un programma a spirale, che tenga conto di questa gradualità nell’apprendi­mento in un orizzonte sempre più ampio.

In fondo già Comenio aveva parlato d’insegna­mento ciclico, che è la stessa cosa.

Programma a spirale

Nella stessa ottica si pone lo strutturalismo di J. Bruner, che ha posto l’accento sulla formazione dei concetti in tenera età come preludio allo sviluppo cognitivo.

Il geniale psicologo statunitense sostiene che “ogni argomento ha una struttura, coerenza, bellezza.

Questa struttura è ciò che conferisce all’argomen­to la sua fondamentale semplicità.

Ed è apprendendo la natura di essa che riusciamo ad afferrare il significato essenziale dell’argomento stesso.

In altre parole, scoprire significa trovare la struttu­ra più adatta, il significato più profondo”.4

 

Il processo d’apprendimento

E’ dubbio affermare chi svolge un ruolo principale nella genesi del sapere: il maestro oppure l’allievo.

Secondo i platonici la scienza è innata nell’uomo e l’allievo, di conseguenza, non apprende nulla dal maestro, il quale non è altro che un semplice evoca­tore di ricordi dimenticati.

4 -Cfr. J. S. Bruner, Il processo di apprendimento nelle due culture, Ed.

A. Armando - Ed. Roma 1967, pp. 133-135.

Non stanno così le cose per Aristotele e S.

Tommaso, i quali accordano al maestro una parte preminente nel processo di apprendimento.

Per costoro nulla è innato, ma tutto esiste in poten­za e l’intelligenza trasforma in realtà.

Per l’Aquinate, nulla esiste nell’intelletto se prima non passa attraverso i sensi e ciò sembra rilevante ai fini di una valutazione scientifica della situazione.

La dottrina tomistica determina un interessante principio di valore psico-pedagogico: l’allievo apprende in base a dei principi intrinseci e soltanto se vuole apprendere.

Il Cousinet scrive che “un reale processo di apprendimento può aver luogo soltanto a tre condi­zioni: e cioè se colui che lo intraprende “sa” ciò che vuole e, per conseguenza, “vuole” e cerca di aquisi­re i mezzi onde “potere”.5

La molla dell’apprendimento è rappresentata sem­pre dalla curiosità e dalla meraviglia, che lo Stagirita poneva all’origine della scienza umana.

5 -Cfr. Roger Cousinet La pedagogia dell’apprendimento, Ed. A. Armando, Roma, p. 19.

In ogni uomo c’è un naturale desiderio di conosce­re, sia pure con delle sfumature particolari, di carat­tere individuale.

 

L’allievo

Nel bambino c’è certamente la potenza di cono­scere.

Il passaggio all’atto si effettua con la presenza di un principio già in atto rappresentato dal maestro.

In educazione, invece, c’è anche la partecipazione attiva dell’alunno, in quanto dotato di sensibilità e facoltà intellettive.

L’allievo potrebbe apprendere anche da solo, ma l’autoapprendimento, oltre ad essere lungo e fatico­so, lascia sempre nel soggetto un senso d’incertezza, per cui l’aiuto di chi ha già raggiunto certe mète cul­turali è indispensabile.

L’azione principale, dunque, dell’atto di apprendi­mento è compiuta dalla mente dell’allievo, attraver­so l’attenzione, la riflessione ed il lavoro personale.

I maestri, i manuali, lo studio, le letture e le solle­citazioni del mondo esterno rappresentano soltanto degli aiuti preziosi, ma non sono fattori essenziali.

L’educatore ha il dovere di studiare la psicologia

dell’alunno per dosare il suo intervento nel processo educativo.

Un’azione didattica svolta al di fuori della realtà interiore del discente, potrebb’essere negativa o addirittura controproducente.

La conseguenza pedagogica di questa situazione è che il maestro deve assistere l’allievo, assecondarlo e stimolarne l’attività con i mezzi più adeguati.

 

Il maestro

E’ vero che la causalità principale dell’apprendi­mento è l’allievo, ma non si può disconoscere l’im­portanza fondamentale dell’opera del maestro, data la vastità del campo in cui egli può portare il suo insostituibile aiuto.

Spesso è necessario indirizzare l’allievo su una strada giusta, sgombrare la sua mente del superfluo e accessorio, rincuorarlo con parole adatte nei momen­ti più difficili, affinchè l’interesse ad apprendere si mantenga costante.

Egli, però, nulla deve fare contro la natura dell’al­lievo, alla quale deve conformarsi.

L’uomo che insegna non fa che prestare un aiuto dal di fuori, come fa il medico nell’aiutare il pazien­te a guarire.

Ad ogni modo per riuscire nel suo intento il mae­stro deve fare anche leva sul sentimento affettivo.

Per questa via è più facile ottenere l’adesione e l’attività del discepolo.

Si tenga presente che l’apprendimento consiste nello sviluppo d’un’abilità, in cui già si possiede l’abitudine naturale, però alla spinta interna della curiosità bisogna aggiungere l’interesse combinato ai motivi.

Trattandosi di una scolaresca bisogna tener pre­sente che ogni scolaro reagisce in maniera diversa al medesimo stimolo, ossia al programma, ai testi, ai metodi e all’organizzazione scolastica in genere.

Ne scaturiscono conseguenze di valore pedagogi­co che si possono riassumere nell’individualizzazio­ne dell’insegnamento.

 

L’intelligenza e l’apprendimento

Il grado d’intelligenza varia da persona a persona. Alfred Binet è riuscito a misurarne l’intensità con

la scala metrica. Essa cresce in senso orizzontale e verticale, come dimostra il Thorndike con i triangoli rovesciati.

Ovviamente l’apprendimento è più celere negli individui con quoziente intellettuale maggiore.

Il controllo dell’apprendimento può essere anche effettuato attraverso le cosiddette “prove oggettive”, che sono una specie di tests, diretti a saggiare lo stato

di preparazione raggiunto dagli allievi, in rapporto al

programma svolto.

E’ sperimentalmente acquisito che certi fattori mesologici influiscono sullo sviluppo dell’intelli­genza, come le disfunzioni organiche, le malattie ereditarie ecc. e le affezioni del cervello e del sistema nervoso centrale, come la meningite, encefalite ecc.

Anche certi metodi d’insegnamento ed alcune condizioni ambientali influiscono negativamente sullo sviluppo dell’intelligenza.

Comunque nella pratica scolastica è indispensabi­le la conoscenza delle capacità intellettive dei singo­li allievi per poter graduare l’intervento educativo.

In definitiva “l’intelligenza” è un termine astrat­to, al quale non si è potuto assegnare una sede pre­cisa nel cervello umano, in quanto al suo sviluppo concorre tutta la persona,proprio attraverso l’ap­prendimento.

Sull’intelligenza non si conosce ancora tutto, ma gli studi vanno sempre avanti e solo recentemente è stato scoperto nel cervello umano il punto in cui nasce il colpo di genio, che gli scienziati hanno chia­

mato “E” in omaggio ad Archimede per la sua cele­

berrima eslamazione “Eureka”.6

Archimede, figlio dell’astronomo Fidia, è nato a Siracusa nel 287 a.C. ed è morto nel 212, ucciso dai soldati romani durante l’assedio.

Studiò ad Alessandria d’Egitto, dove forse fu allie­vo di Euclide. Fu uno dei più grandi studiosi di mate­matica, ma anche di geometria, ottica ed astronomia.

6 -Cfr. il Corriere della Sera del 14 aprile 2004.

Enunciò il famoso principio secondo il quale un corpo immerso in un liquido ha una spinta verso l’al­to pari al volume di liquido spostato.

 

L’odierna scuola e l’apprendimento

La scuola elementare, fin dalla sua costituzione, ha sempre avuto come obiettivo essenziale di inse­gnare a “leggere, scrivere e far di conto” e tale è rimasto ancora oggi.

Soltanto che col passar del tempo essa si è gra­dualmente evoluta, adeguandosi alla società, alla sua cultura e alla sua storia.

L’apprendimento, però, è rimasto sempre legato alle facoltà intellettive dello scolaro, che non cam­biano mai.

In più non potendo l’alunno dirigersi da solo a causa dell’età, ha bisogno del sostegno di un adulto.

Questa è, infatti, la funzione fondamentale del maestro che nella vicenda educativa assume un ruolo di primo piano.

Ma la scuola del nostro tempo ha creato artifici tali che anzichè apprezzare il sapere, lavora per il raggiungimento di altri risultati, ossia i voti e la pro­

mozione, ignorando la massima del grande Seneca, vecchia di duemila anni, ma sempre valida “Non scholae sed vitae discimus”.

Viene da domandare se in una scuola così organiz­zata sia più facile andare incontro all’insuccesso sco­lastico.

Evidentemente il problema esisteva anche nel pas­sato, ma oggi probabilmente ha assunto dimensioni più vistose, poichè i genitori degli alunni sono i primi a pretendere una buona valutazione e conse­guente risultato finale positivo, anzichè invocare una formazione più completa basata unicamente sul sapere autentico.

Non è che vogliamo giustificare l’insuccesso sco­lastico, che può apparire finanche normale, ma credo che sia saggio pensare ad una scuola nuova in cui sia primario lo sviluppo del bambino e le sue capacità generali senza il timore di possibili fallimenti.

Per ottenere questo non credo si debba cambiare molto nella scuola attuale, ma penso che sia necessario stimolare coloro che hanno responsabilità, specie a livello politico per fare qualcosa di concreto in direzio­ne dei reali bisogni di chi nella scuola vive ed opera.

Sembra superfluo affermare che in un mondo con un enorme sviluppo informatico e fortemente globa­lizzato saranno le società provviste delle scuole migliori a stare meglio.

In sostanza ci vuole “una scuola centrata sullo sviluppo personale e sociale dei bambini e degli adolescenti e non pensata in termini di apprendi­menti specifici”.

Questa scuola non impedirà ai bambini di appren­dere, perchè l’apprendimento avrà per loro, final­mente, un senso.7

7 -Cfr. P. Vajer - M. Camuffo, Come il bambino apprende, Ed. Ma. Gi. - Roma 2005, p. 101.

CAPITOLO IV

 

PROBLEMI APERTI

La scuola italiana si trova a vivere una situazione

di disagio per via dei cambiamenti invocati da più parti, resi necessari sotto la spinta di una società che subisce le trasformazioni dei costumi e della menta­lità di tutti soprattutto del dominio della cosiddetta civiltà informatica.

Si è ancora alle prese con la riforma nata dalla Legge n° 59 del 1997, che ha introdotto l’autonomia delle scuole, una cosa indubbiamente positiva perchè le decisioni non calano più dall’alto, come è sempre stato, ma specie a livello didattico e organizzativo si decide nella scuola stessa sulla scorta delle effettive necessità degli utenti.

Soltanto che in precedenza non c’è stata una suffi­ciente preparazione come si conviene fare quando si devono modificare radicalmente le procedure e gli stessi comportamenti dei protagonisti del processo educativo.

Le riforme o si fanno col pieno consenso delle parti in causa, oppure hanno scarsa possibilità di riu­scita, come è accaduto nel recente passato dopo l’at­tuazione della legislazione delegata che ha portato nella scuola profondo malessere e senso di sfiducia

non potendo affrontare i problemi per mancanza dei presupposti, anche di ordine finanziario degli organi collegiali, ai quali ancora non si è data una stuttura­zione nuova, come i tempi richiedono.

Questo insegna che le riforme non si possono fare a costo zero, senza rischiare un sicuro fallimento.

In compenso ritengo che sia una cosa importante la generalizzazione dell’informatica e l’insegna­mento delle lingue straniere in ogni ordine di scuo­la, ma sono convinto che si sia voluto strafare sul concetto di “scuola di qualità” tanto che si sono persi di vista i veri valori, che devono essere asso­lutamente recuperati.

Troppa corsa ai progetti, ma più per i finanzia­menti ad essi connessi che per le vere finalità cultu­rali e formative da conseguire.

Al problema mostrano eccessivo interesse sia i docenti più furbi che gli stessi dirigenti, tra i quali spesso emergono dannose ed inopportune tensioni.

Tra le cose positive della riforma in atto c’è il ruolo assegnato ai genitori nella vicenda educativa dei loro figli, perchè senza il loro contributo i risul­tati sarebbero soltanto parziali.

Se questa forma di “partenariato educativo” fun­

ziona realmente gli obiettivi del POF potranno esse­re realizzati fino in fondo.

“La collaborazione tra i docenti e i genitori può realizzarsi in modo positivo se ognuno è capace di svolgere il proprio compito, senza confusioni di ruolo, fermo restando che le scelte educative vanno concordate insieme, perchè solo da un orizzonte di valori accolti e condivisi i ragazzi possono avere una mappa di riferimento più sicura”1.

La civiltà delle immagini, naturalmente, ha messo in crisi le strategie didattiche della scuola attuale.

Al posto della parola scritta da analizzare per sco­prirne il significato ha offerto immagini già confezio­nate e pronte all’uso con scopi purtroppo non sempre educativi favorendo, così, una sorta di riposo mentale.

In tal modo si mortifica la memoria, la fantasia e le altre facoltà mentali che oggi sono seriamente in affanno di fronte all’apprendimento.

La memoria, infatti, ci consente di ricordare le

1 -Cfr. Franco Venturella, Infanzia e scuola in dialogo, Ed. La Scuola -Brescia in S.I.M. n. 5 del 1 novembre 2006, p. 92.

esperienze precedenti perchè se così non fosse non ci

sarebbe nessuna forma di apprendimento.

Ecco perchè la memoria dev’essere esercitata ade­guatamente, imparando poesie e brani di prosa, ma non come si faceva una volta, costringendo gli alunni ad imparare troppo a memoria quasi per punizione. Ciò nell’epoca che stiamo vivendo non è affatto gradito.

Pertanto poesie e brani vanno scelti con cura, facendo salvo il principio di brevità e che contenga­no motivi di interesse per i ragazzi.

Qui di seguito se ne propone qualche esempio da tenere in debita considerazione.

 

La preghiera

Dolce Iddio che fai cantare

gli uccellini e culli il mare,

che ogni bimbo a nome sai,

e ogni cosa, e in cielo stai:

ogni Patria abbia una stella

e l’Italia la più bella,

per la vergine Maria

ti preghiamo, e così sia.

(Vittorio D’Aste)


 

Lo sventato

Gigi cerca il suo berretto. Dove mai sarà ficcato? Nei cantucci, sotto il letto va a frugar tutto affannato; cerca, sbuffa, smania,pesta... poi s’accorge che l’ha in testa.

(Lina Schwarz)

 

Elogio del giardino

Bastano poche aiuole: una rosella che fiorisca improvvisa un bel mattino un geranio, un cespuglio di mortella, ed ecco fatto un piccolo giardino.

Gioconda la mia casa, e un cancelletto la difende dal mondo più rapace; non è più grande del mio fazzoletto eppure vi sta comoda la Pace.

(Renzo Pezzani)


 

Rio Bo

Tre casettine dai tetti aguzzi, un verde praticello: Rio Bo, un vigile cipresso.

Microscopico paese, è vero, paese da nulla, ma però... c’è sempre di sopra una stella, che a un dipresso... occhieggia colla punta del cipresso di Rio Bo.

Una stella innamorata! chi sa se nemmeno ce l’ha una grande città.

(Aldo Palazzeschi)


 

Alla mamma

O mamma, vò dirti una cosa che forse ti piacerà tanto; stanotte, passandomi accanto, mi disse il Bambino Gesù: -Felice quel bimbo che vive protetto da un angelo pio. O mamma, quel bimbo son io; qull’angelo, o mamma, sei tu!

(Giovanni Bertacchi)

 

Marzo (dialetto napoletano)

Marzo: nu poco chiove e n’ato ppoco stracqua: torna a chiovere, schiove; vide ‘o sole cu ll’acqua.

Mo nu cielo celeste, mo n’aria cupa e nera mo d’ovierno ‘e tempeste, mo n’aria ‘e primavera.

(Salvatore Di Giacomo)

Alla stessa maniera della memoria va curato anche

lo sviluppo della fantasia che negli scolari della scuola primaria è viva.

Si tratta dell’immaginazione creatrice che nei bambini è prevalente e perciò va compresa e coltiva­ta in maniera intelligente, evitando il pericolo del fantasticare inconcludente che potrebbe ostacolare la normale ed autonoma crescita del pensiero e della volontà.

Sono le fiabe che piacciono ai piccoli e, probabil­mente non solo a loro, perchè rispondono perfetta­mente al loro modo di vedere il mondo e le cose.

In queste narrazioni di tipo popolare predomina il meraviglioso e il fantastico e hanno per protagonisti esseri sovrannaturali come fate, streghe, maghi ecc. che incantano il mondo infantile.

Di fiabe ce ne sono un’infinità nella letteratura del passato, i cui autori sono Esopo, Fedro e poi Andersen, Perrault ed altri per non parlare che dei maggiori e più antichi.

Ma ce ne sono tanti anche nell’epoca moderna, come Gianni Rodari ed altri che sanno interpretare alla perfezione la mentalità dei bambini di oggi.

E’ in questo ambito che bisogna cercare per sce­gliere il genere di maggiore gradimento.

Non è da escludere, comunque, anche la possibili­tà di inventare qualche piacevole storiella, conoscen­do i gusti dei destinatari e le possibilità offerte dal-l’ambiente, come nel caso che segue, ispirato da uno scolaretto che nei primi giorni di scuola non voleva assolutamente staccarsi dalla mamma.

 

Il pulcino sperduto

Fiaba estemporanea

C’era una volta un pulcino che stava assieme alla mamma e ad altri quattordici fratellini.

Andavano ogni giorno a cercare cibo nell’aia e per i campi vicini.

Mamma chioccia non li abbandonava mai e li difendeva da tutte le insidie.

Ma una mattina il piccolo, spinto dalla voglia di volare si allontanò troppo dalla sua compagnia.

Quando si accorse di essere rimasto solo si mise a pigolare per chiedere aiuto, ma nessuno lo sentiva.

In quella zona era facile incontrare gatti, ser­

penti ed altri animali pericolosi che lo potevano mangiare.

Egli, intuito il pericolo, si mise dietro a un cespu­glio di rovi con la speranza di non essere scoperto.

Intanto la mamma si era accorta della sua mancan­za e si mise a cercarlo invano.

Visti inutili tutti i tentativi e fattasi sera se ne tornò al pollaio con la sua nidiata, credendolo ormai morto.

Anche la padrona si accorse della mancanza del pulcino e se ne addolorò tanto.

Intanto arrivò la notte e il pulcino tremava dalla paura e dal freddo.

Riprese fiato soltanto la mattina seguente con l’ar­rivo del sole.

Ai suoi timidi pigolii facevano eco i cinguetii degli uccelli che si aggiravano da quelle parti.

Solo un pettirosso lo notò, scese da lui e cercò di consolarlo con la sua compagnia.

Egli ne fu molto felice e dimenticò per un poco la sua disavventura.

Si trovò a passare di lì una bella fanciulla con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Vide il pulcino soli­

tario e capì che si era sperduto e non aveva saputo trovare la via del ritorno.

Allora lo prese dolcemente, lo accarezzò e lo strin­se al suo petto. Poi si mise alla ricerca della sua casa.

Dopo alcune ore arrivò finalmente ad un cascina­le ed apprese che quell’incauto pulcino si era sperdu­to il giorno prima.

Così lo rimise nel suo gruppo e tutti furono felici e contenti.

V. P.

CAPITOLO V


 

PROBLEMI SCOLASTICI E AUTOBIOGRAFICI

SCUOLE ELEMENTARI DI PIEDIMONTE MATESE

PLESSO “S. DOMENICO”

CORSO DI AGGIORNAMENTO 16, 23 e 30 MAGGIO 1978

Relazione svolta dal maestro PARILLO Vincenzo

sul tema “PROGRAMMAZIONE CURRICOLARE”

Cari colleghi,

la rapidità con la quale procede la civiltà contem­poranea in tutti i suoi aspetti e cioè culturale, poli­tico, socio-economico, industriale, ecc. tra i tanti problemi ha posto anche quello della necessità di programmare le attività umane, affinchè risultino più adeguate e rispondenti alle reali necessità della vita stessa.

L’epoca che stiamo vivendo non ci consente di procedere nei vari campi, sulla base di interventi rapsodici e limitati, ma occorre che ogni attività

sia predisposta con cura, sia cioè razionalmente programmata.

Uno dei difetti della nostra scuola credo sia quel­lo di voler procedere a tentoni, senza un progetto preciso, uno studio preventivo delle cose che devono essere fatte.

Da qui appunto la necessità della programmazio­ne, la quale, però, per essere valida non deve partire da presupposti astratti, ma dalla reale e concreta situazione ambientale e storica.

Una programmazione che volesse ignorare l’am­biente naturale, umano, economico, politico e socia­le in cui sorge la scuola e la reale situazione psicolo­gica degli allievi non servirebbe a nulla.

Ma allora se fino ad oggi nella scuola non abbia­mo fatto questo abbiamo sbagliato tutto?

Mi si può obiettare che c’è il programma mini­steriale, in base al quale si è operato e si opera ancora e che bene o male ai nostri alunni si è sem­pre assicurato quel minimo di cultura e di educa­zione che viene richiesto dallo Stato, dalle fami­glie, dalla società.

Ma è proprio qui che sta il problema.

Io non è che voglia rivolgere delle critiche ai pro­grammi, ma credo di trovarvi d’accordo se affermo che a distanza di un quarto di secolo dalla loro ema­nazione sanno un pò di vecchiume e che in molti aspetti andrebbero rivisti ed aggiornati.

E ciò soprattutto per le mutate condizioni sociali, che impongono altre metodologie didattiche ed una cultura filtrata attraverso le nuove conquiste della scienza e della tecnica.

Quindi non affermo che i programmi del 1955, tuttora vigenti, siano da buttare via, ma certamente necessitano di opportuni ritocchi.

Comunque il problema vero non è neanche questo.

Un programma ministeriale viene sempre calato dall’alto, è cioè espressione di una élite, di una clas­se dirigente e di una cultura imperante ed è destina­to, per giunta, ad alunni convenzionali, disseminati su tutto il territorio nazionale, con situazioni ambien­tali completamente diverse.

Nessuno può negare, infatti, che i programmi di Aristide Gabelli del 1888 rispecchiano la cultura positivistica e che quelli di Giovanni Gentile del 1923 sono nati nel clima idealistico; i programmi del

1945, poi, si ispirano a quell’attivismo pedagogico, già in auge in altri paesi occidentali e introdotti in Italia nell’immediato dopoguerra; quelli attuali, invece, sono di chiara marca spiritualistica.

Ora io non voglio dire che tra questi ci siano pro­grammi buoni o programmi cattivi, poichè tutte le correnti filosofiche che li ispirano, ovviamente, hanno qualcosa di positivo; la verità e che essi hanno ormai adempiuto alla loro funzione storica e che non sono più di attualità.

Ma a prescindere da queste considerazioni noi dobbiamo occuparci oggi, soprattutto per mantener­ci nell’ambito del tema in discussione, di un altro tipo di programmazione, quella che ormai viene definita da tutti gli specialisti di questioni pedagogi­che e didattiche “curricolare”.

Le nostre riviste ne sono piene ed esistono già in commercio alcune pubblicazioni degne di essere medi­tate (Vedi C. Scurati “Il curricolo” ed “La scuola”).

Dunque la programmazione curricolare altro non è che il piano di lavoro che ognuno di noi deve redige­re all’inizio di ogni anno scolastico, per fissare le mète che si vogliono raggiungere.

E’ cioè soprattutto per dovere professionale, ma anche per applicare le norme vigenti, specie la legge

n. 517 dell’agosto scorso che pone l’accento proprio sulla programmazione, come è stato messo in evi­denza dagli oratori che mi hanno preceduto.

Soltanto che in questo lavoro non dobbiamo esse­re più soli, come è stato per il passato, ma tutti devo­no portare il loro contributo, nello spirito della legi­slazione delegata e successive disposizioni, che hanno introdotto il principio della collegialità, come base di un’autentica vita democratica nella scuola.

Però la collegialità contrasta un poco con la liber­tà didattica che ognuno di noi ha per dettato costitu­zionale e che intende esercitare non per fare quello che vuole, poichè non è questo il senso di tale liber­tà, ma non per essere costretti da nessuno alla ricer­ca dei mezzi idonei a risolvere gli scabrosi problemi didattici che si incontrano nella scuola elementare.

Io sono fermamente convinto che per questo moti­vo il curricolo non s’impone facilmente in Italia, mentre in altre Nazioni, come Inghilterra, USA, Svezia ecc. si è sviluppato rapidamente.

Questi sono Paesi di lunga e consolidata tradizione

democratica, dove si è già creata l’abitudine e l’attitu­

dine al colloquio, allo scambio di idee.

Ecco, in noi forse si deve costruire ancora una mentalità o meglio la coscienza che le cose fatte insieme possono riuscire meglio.

Così, cari colleghi, programmeremo insieme le nostre attività, specie a livello di Collegio dei docen­ti, che è l’organo tecnico più qualificato a pronun­ciarsi in materia didattica, nell’ambito dei criteri generali fissati dal Consiglio di Circolo.

Dobbiamo ormai abituarci ad uscire dal nostro tra­dizionale isolamento e collaborare insieme per la migliore riuscita del nostro delicato lavoro.

La sperimentazione didattica inaugurata oggi qui a S.Domenico, conclusa con la mostra allestita qui accanto e da voi stessi approvata, vuole essere un piccolo saggio di quella programmazione più ampia che siamo chiamati a fare.

Ma lasciamo stare i termini che vanno di moda, come “sperimentazione” “classi aperte” e via discor­rendo e cerchiamo almeno di consultarci spesso e di essere meno egoisti nelle nostre conquiste didattiche quotidiane.

Questo mi sembra, in termini pratici, il senso delle recenti disposizioni e lo scopo della programmazione che prepareremo a livello di classi parallele, su invito del nostro Direttore, da attuare nel prossimo anno sco­lastico, che andrà ad iniziare, ahimé, il 10 di settembre.

Resta da vedere come dobbiamo impostare questa programmazione o “curricolo” se vi piace chiamarlo con un termine più ricercato.

A mio parere le condizioni essenziali per una buona programmazione devono essere le seguenti:

1) Esaminare a fondo la situazione di partenza e cioè studiare bene l’ambiente e le condizioni degli alunni, evidenziandone i condizionamenti di natura familiare e sociale, nonchè il linguaggio che oggi è fondamentale nella problematica educativa (Vedi il rispetto del dialetto ecc.).

2) Fissare gli obiettivi che si intendono raggiunge­re, che allo stato attuale rappresentano i contenuti del programma ministeriale.

3) Organizzazione delle attività da svolgere e degli strumenti da impiegare in rapporto agli obietti­vi fissati. Sono, queste, le strategie didattiche o metodologiche che dir si voglia.

4) Controllo della programmazione, che coincide

con la valutazione, quella appunto che si riferisce alla scheda.

Quest’ultima secondo me è la parte più importan­te perchè rappresenta il momento di giudicare se quello che si è fatto è valido o meno.

Ecco perchè la valutazione è collegata direttamen­te con la programmazione.

La programmazione, si sa, non ha carattere rigido, ma flessibile ed in ogni momento dell’anno scolasti­co può essere modificata e gli eventuali errori ci offriranno anche motivi per riprogrammare in maniera migliore per l’anno successivo.

Nella scuola si deve fare, insomma, come nelle grandi aziende, ha detto qualcuno, dove si program­ma e si lascia tutto invariato quando va bene, ma si corre subito ai ripari quando le cose non vanno, per evitare il fallimento.

In ogni caso, però, la programmazione non vuole sostituirsi al programma, il quale a mio avviso è sempre necessario e valido, perchè è preparato dagli studiosi, dai tecnici ad alto livello ed anche perchè fissa le grandi finalità che la scuola deve realizzare

in tempi lunghi; la programmazione, invece, vuole occuparsi degli obiettivi didattici da realizzare a medio o breve termine.

Io non voglio usare parole difficili, ma qui si potrebbe richiamare la tassonomia a cui faceva rife­rimento l’ispettore Campanelli, martedì scorso.

Questa la mia idea sul curricolo e mi sembra per­fettamente inutile divagare sulle definizioni che i vari pedagogisti e sociologi hanno dato ad essa.

Musgrave, ad esempio, sociologo inglese, così si esprime: “Il curricolo rappresenta quelle esperienze di apprendimento che sono espressamente organiz­zate dagli agenti educativi formali come le scuole. Tali esperienze possono o no avere luogo all’interno dell’organizzazione scolastica che le progetta”.

Sono parole testuali tratte dal testo “Sociologia dell’educazione” dell’Ed.Armando.

E la definizione mi sembra che possa andare bene pure per noi, anche se ci viene da un autore inglese che ha studiato una società diversa.

Insomma a noi oggi si richiede un nuovo modo di fare scuola e la programmazione curricolare è fonda­mentale, perchè è centrata sui nostri alunni; sembra

ormai chiaro che soltanto attraverso di essa possiamo

seguire i processi di maturazione.

Se facciamo questo lavoro possiamo accettare anche la scheda, che tante critiche ha suscitato, ma che tutto sommato, con opportuni ritocchi migliorativi, può andare, come pare si stia facendo al Ministero.

Si consiglia, pertanto, di semplificare le seguenti materie: religione, educazione morale, educazione musicale e artistica.

A mio avviso resta il problema delle strutture sco­lastiche, degli orari e dei contenuti programmatici, che sono quelli di sempre e che vanno pure essi adat­tati alle nuove esigenze ed alla realtà sociale, che è in continuo e rapido movimento.

Non mi sembra che possiamo operare bene in una scuola nuova con strumenti vecchi.

E allora se tutto questo è vero, come è vero, le innovazioni adottate dalla recente legislazione trova­no piena giustificazione, poichè si collocano in un contesto scolastico diverso, dove la finalità non è quella di misurare le capacità degli alunni con il bilancino del farmacista, come purtroppo ancora avviene nelle scuole secondarie superiori, ma di dare

un giudizio sommario sui risultati raggiunti da ogni scolaro e soprattutto individuare le cause che hanno ostacolato l’apprendimento, allo scopo di adottare efficaci contromisure.

Il sistema di votazione finora usato quello nume­rico si è dimostrato sbagliato perchè poggiava sulla soggettività del giudizio.

Indagini condotte con il rigore scientifico nel pas­sato, sia in Italia che fuori, hanno dimostrato piena­mente che il medesimo lavoro veniva valutato in maniera diversa.

Da qui la contraddittorietà dei voti e degli esami scolastici, concorsi compresi.

Dunque per dire che il discorso sul nuovo tipo di valutazione non è nuovo, ma vecchio di almeno mezzo secolo, poichè tutto ha avuto inizio in Francia nel 1922, se non vado errato, dal grande psicologo Henry Piéron.

Da allora, come sapete, è nata una ricca letteratu­ra e addirittura una scienza nuova, che si chiama “docimologia”.

Essa si è imposta soltanto ora perchè sono matura­ti i tempi anche nel nostro Paese, ma altrove è stata adottata da tempo.

Non sono d’accordo con la valutazione sintetica di

“lodevole”, “buono”, ecc. poichè sarebbe un’involuzio­ne, un ritorno a posizioni idealistiche già sorpassate.

In questo discorso va collocato il problema delle bocciature, che è vivo nella nostra scuola e che dà adito a considerazioni di vario genere.

Per conto mio e non faccio una scoperta, bocciare un alunno significa creare in lui dei traumi psicolo­gici che possono avere effetti negativi non solo sul suo curriculum scolastico, ma anche sulla sua vita futura.

Egli si sentirà un escluso, un emarginato, un inca­pace e tutto ciò non è certamente di sprone all’impe­gno per migliorare.

La cosa, poi, assume carattere di particolare gravità se si pensa che gli alunni meritevoli di bocciature appartengono di solito alle famiglie più umili, dove le stimolazioni educative e culturali sono più carenti.

Perciò bocciando noi andiamo ad avallare quella discriminazione che è già presente sul piano sociale e questo non mi sembra positivo in una scuola che vuole contribuire allo sviluppo democratico e civile del nostro Paese.

Ci incombe piuttosto il dovere di creare uguali opportunità educative per tutti i nostri alunni, nessuno escluso e tutti debbono poter fruire compiutamente del servizio scolastico, che è ormai un servizio sociale.

Con questo non voglio dire, beninteso, che non si deve bocciare proprio, questo non lo dice nemmeno la 517, ma quando ci rendiamo conto che la ripeten­za arreca più male che bene ad un alunno, allora lo dobbiamo portare avanti assieme agli altri.

Il discorso forse si può accettare più nella prima classe, per quei soggetti che per debolezza mentale o altre cause non sono riusciti a superare i meccanismi di base della lettura e della scrittura ed è prevedibile che ciò non si possa verificare neanche nella classe successiva del ciclo.

Tuttavia la bocciatura, a mio avviso, non va presa come valore assoluto ed a volte si pone addirittura come una necessità, proprio come un atto di giustizia per non favorire negli altri alunni quel senso di sfi­ducia nei confronti degli insegnanti e della istituzio­ne scuola.

Per quanto riguarda il paventato pericolo di sco­raggiare gli elementi migliori, io penso che non si

corra, poichè tra gli alunni stessi si stabilisce auto­maticamente una scala di valori; il resto lo farà l’in­segnante, assegnando il giusto premio a chi emerge per impegno, profitto e comportamento.

E ciò mi sembra necessario per evitare quell’ap­piattimento che non serve a nulla, anzi è piuttosto dannoso.

Scusate la digressione, ma volevo puntualizzare questo problema molto sentito tra noi.

Ritornando alla programmazione c’è da dire che essa non è facile e richiede da parte dell’insegnante impegno e partecipazione ai problemi della pedago­gia non solo, ma anche a quelli delle altre scienze che influenzano l’educazione ed in modo particolare la psicologia, la sociologia, la genetica e la biochimi­ca che ci forniscono dati preziosi per una educazione più sicura ed efficiente.

Ormai non possiamo fermarci più alle indicazioni della filosofia, che è stata messa un pò in soggezio­ne dalle conquiste di questi ultimi tempi.

Insomma ci dobbiamo aggiornare, ecco tutto; è un invito pressante che ci viene rivolto da tutte le parti e che noi dobbiamo assolutamente recepire.

Questo corso appunto è di aggiornamento e certa­mente non sarà stato inutile, poichè ha messo qual­cosa in movimento dentro di noi.

In verità questo problema dell’aggiornamento non è una novità assoluta.

Sul piano pedagogico si è sempre verificato anche nel passato; ci sono stati cioè geniali educatori che in qualche modo hanno anticipato i tempi attuali.

Mi riferisco a Locke, Rousseau, Pastalozzi, Herbart, Capponi ed altri ancora che hanno saputo mettere a fuoco qualche particolare problema dell’educazione, approfondendola sempre più come scienza.

Ma chi ha posto in termini chiari ed inequivocabili il problema dell’aggiornamento didattico è la legge di delega del 1973, la n. 477, ed i decreti delegati che ne sono scaturiti, in particolare il 419, che tratta specifica­mente della sperimentazione, della ricerca e dell’ag­giornamento del personale, direttivo e docente.

Si tratta di un’innovazione veramente rilevante, che allinea la scuola italiana con quelle più evolute dell’Europa e del mondo, anche per l’introduzione del concetto di democrazia scolastica, che coinvolge nei compiti educativi altre componenti sociali.

Ormai l’aggiornamento per gl’insegnanti è una

necessità irrinunciabile, se non si vuole correre il rischio di essere tagliati fuori dalla realtà del nostro tempo.

Non si può andare a scuola con la cultura fornita dagli Istituti magistrali, insufficiente e conservatrice.

Non si possono voltare le spalle al fiume di cultu­ra che scorre.

La scuola, si sa, ha perduto il suo ruolo trasmissi­vo-ripetitivo di una volta, in cui poteva non emerge­re il bisogno dell’aggiornamento, poichè si trattava di insegnare un sapere rigido e già sistemato.

C’è stato, poi, il fenomeno della cosiddetta “esplo­sione scolastica” in base alla quale da una scuola selettiva e discriminante siamo passati a una scuola di massa.

La cultura, ora, è alla portata di tutti, grazie anche al concomitante sviluppo dei mezzi d’informazio­ne,che hanno creato altrettante “agenzie culturali” le quali contrastano quasi sempre, però, con le finalità che si pone la scuola, in quanto istituzione educativa per eccellenza.

Il fatto è aggravato dal conflitto ormai evidente che si è creato fra generazioni vecchie e giovani, tra

le quali, invece, ci dovrebb’essere un dialogo franco e costruttivo.

La contestazione globale, di cui molti giovani sono paladini, non può costruire nulla di positivo, poichè nega il valore di tutto ciò che nel passato è stato conquistato con sforzi e duri sacrifici.

E’ nello scambio, nella cooperazione di tutti, che si può realizzare il processo dell’intera umanità.

A questo proposito ci viene in soccorso la stessa scienza, la quale ci dimostra chiaramente che nulla può essere costruito dal nulla.

Tutto quello che si realizza ha sempre un aggancio nelle conquiste precedenti.

Dunque per aggiornamento dobbiamo intendere accrescimento delle proprie conoscenze in ogni campo, in base al principio che più si possiede e più si può dare agli altri.

Ma nel caso nostro vi si può attribuire anche un altro significato e cioè quello di migliorare il metodo d’insegnamento, adeguandolo alle effettive necessità degli scolari.

Anzi questo è fondamentale, poichè credo che nessun insegnante può svolgere bene il suo compito

se non è abbastanza informato sugli sviluppi continui

della pedagogia e delle scienze afferenti.

Prima ci si preoccupava di insegnare e basta; oggi è il modo di apprendere degli scolari che deve mag­giormente appassionare gl’insegnanti.

Pertanto le sole conoscenze pedagogiche sono insufficienti.

Dunque mi pare che il problema principale sia quello dell’autoaggiornamento, che consente agl’in­segnanti di aggiornarsi e documentarsi da soli, poi­chè l’aggiornamento vero è quello che nasce dalla coscienza del singolo.

Ce lo dimostrano gli esempi di geniali maestri del recente passato e anche di oggi, come la Boschetti Alberti, Felice Socciarelli, Albino Bernardini con la interessante esperienza di Pietralata, borgata di Roma, Bruno Ciari ed altri, i quali hanno perfeziona­to il loro metodo didattico giorno per giorno, in base alle difficoltà nuove via via emergenti.

E’ appunto quello che un insegnante deve sentire oggi in cuor suo, se non vuole essere un emarginato in un contesto socio-politico e culturale in continuo fermento.

Il problema dell’aggiornamento, comunque, a mio

avviso, va visto in una situazione prospettica, in quanto la legislazione delegata ne ha evidenziato sol­tanto la necessità.

Ora si tratta di fissarne i modi e i tempi per tradur­lo in realtà sul piano operativo e concreto.

Esso va associato alle attività di sperimentazione e di ricerca di cui rappresenta il necessario supporto e nell’intento di dare pratica attuazione al criterio di “aggiornamento sul campo” da molti ritenuto molto efficace.

Nessuna sperimentazione è possibile senza un adeguato aggiornamento del personale preposto, che ormai rappresenta la strategia privilegiata per il cam­biamento.

Le iniziative vanno certamente prese anche a livello di organi collegiali, con opportuni incontri di studi promossi dal direttore didattico su temi specifi­ci e soprattutto organizzando una ricca e valida biblioteca magistrale.

E’ ormai ora di mettere a fuoco tutti i problemi che oggi sono davanti alla scuola e primo fra tutti quello della programmazione, della valutazione, dei libri di

testo, dell’insegnamento religioso, del dialetto e degli alunni handicappati.

Ognuno di noi, dal più alto dirigente al più umile dei maestri, deve sentirsi motivato da questo bisogno per rendere la nostra scuola realmente rispondente alle necessità degli alunni del nostro tempo.

Direzione Didattica Statale I Circolo Piedimonte Matese Anno Scolastico 1977/78

ELENCO DEGLI INSEGNANTI DI RUOLO

1) Ascione Codella Carmela 2) Bergamin Civitillo Carolina 3) Botto Marrocco Ettorina 4) Carbone Filomena 5) Carena Pelmieri Annamaria 6) Caruso Concetta 7) Caruso Enrico 8) Caso Maria Clelia 9) Caso Plaitano Stella 10) Cassella Annamaria 11) De Angelis Di Nardo M. Giuliana 12) De Lellis Luigi 13) De Lellis Mafalda 14) Del Sesto Di Lello Laura 15) Del Vecchio Adele 16) Del Vecchio Di Panni M. Gabriella 17) Di Biase Vincenzo 18) Di Caprio Caterina 19) Di Giuseppe Pennella Valentina 20) Di Gosta Di Baia Michelina 21) Di Virgilio Bianchi M. Filomena 22) Falato Ferrucci Filomena 23) Franco Gaetani Giovanna 24) Festa Simonelli Caterina 25) Fidanza De Lellis Onorata

26) Galassi Longi Mercedes 27) Galassi Zirpoli Clotilde 28) Gaudio Del Vecchio Anna 29) Linguido Maria Antonietta 30) Lunato Pasquale 31) Mancini Di Lello Rosa 32) Manzelli Di Lello Pasqualina 33) Marone De Novellis Bianca Maria 34) Massaro Raccio Maria 35) Mastroianni Santoro Elena 36) Mastromarino Loffreda Ilde 37) Matarazzo Rossi Colomba 38) Mattei D’Ambrosa Maria 39) Parillo Vincenzo 40) Pascale Fiorillo Antonietta 41) Pascale Maria Luisa 42) Petella Piazza Costantina 43) Petella Ciliberti Lia 44) Pontillo Landino Lucia 45) Porcelli Civitillo Maria Luisa 46) Raccio Erminia 47) Salerno Tomaselli Concetta 48) Sgambati Fiorillo Amalia 49) Valente Di Lello Anna 50) Vingione Palumbo Olimpia 51) Vino Di Baia Ersilia 52) Visone Laurenza Anna 53) Volpe Raffaele 54) Zoglio Rosa Giuseppina Antonietta 55) Fucci Maria Beatrice - Scuola Mat. Statale 56) Masullo Chiarina - Scuola Mat. Statale 57) Marsilio M. Assunta De Angelis - Assist. Scuola Mat. Statale

Targa ricordo offerta all’autore nel corso della festa di commiato al termine del ciclo elementare.

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Diploma di benemerenza conferito all’autore dal Presidente della Repubblica quando era titolare del Circolo di Faicchio (Bn) da cui fu collocato a riposo per raggiunti limiti di età con decorrenza 1 set­tembre 1995.


 

BIBLIOGRAFIA

1) A. Gemelli “La psicologia dell’età evolutiva” Giuffrè - Milano 1956

2) Kennet Walker “Come funziona e vive il corpo umano” Universale Cappelli 1961

3) J.S.Bruner “Il processo di apprendimento nelle due culture”

A. Armando - Roma - 1967 4) Bastien “Psicologia dell’apprendimento”

La scuola Ed.Brescia - 1968 5) R.Cousinet “La pedagogia dell’apprendimento

A. Armando - 1968 6) L.Testut e A. Lataryet “Anatomia umana”

UTET 1971

7) W.F. Ganong “Fisiologia medica” PICCIN 1971

8) G. Lerbet “Che cosa ha veramente detto

Piaget” Ubaldini FI. 1972 9) A. Delmas “Vie e centri nervosi” UTET Masson e Cie 1973 10) A. Agazzi “Psicologia del fanciullo e della scuola” La Scuola Ed. Brescia 1974 11) P. VAYER - M. CAMUFFO “Come il bambino apprende” Ed. Magi - Roma - 2005

INDICE

 

CAP. I - Le vie dell’apprendimento

 

Presentazione Prolusione Prefazione Il sistema nervoso Il cervello Struttura Il cervelletto Il midollo spinale Il simpatico Il talamo Centri di ricezione Cenni sul funzionamento del cervello I riflessi L’encefalo I centri del linguaggio Il pensiero Il linguaggio e il pensiero La neocorteccia Le frontiere della mente Lenta evoluzione

pag. 9 » 13 » 17 » 41 » 43 » 44 » 48 » 49 » 52 » 52 » 54 » 56 » 58 » 61 » 63 » 63 » 65 » 66 » 67 » 68

Mille prodigi I neuroni Funzioni superiori del sistema nervoso Nota conclusiva


 

CAP. II L’attenzione

Cos’è l’attenzione Caratteri dell’attenzione Forme dell’attenzione La distrazione L’attenzione nelle varie età Pedagogia dell’attenzione

pag. 69 » 71 » 72 » 74

» 79 » 79 » 81 » 83 » 84 » 86

Accorgimenti idonei per tener desta l’att. » 86 I livelli dell’attività mentale » 87 La corrente del pensiero » 88 Natura dell’attenzione » 90 Tipi di attenzione » 91 L’attenzione imposta » 92 L’affaticamento e l’attenzione » 93

 

CAP. III La memoria

Neurofisiologia della memoria » 99 Memoria e apprendimento » 101

L’oblio pag. 104 I contenuti dell’apprendimento » 106 Il programma a spirale » 107 Il processo d’apprendimento » 109 L’allievo » 111 Il maestro » 112 L’intelligenza e l’apprendimento » 113 L’odierna scuola e l’apprendimento » 117

CAP. IV Problemi aperti » 123

 

CAP.V Problemi scolastici e autobiografici

Relazione dell’autore sul tema della programmazione » 137

Elenco degli insegnanti di ruolo del I Circolo di Piedimonte Matese Anno Scolastico 1977/78 » 157

Una targa-ricordo degli alunni di quinta » 159

Diploma di benemerenza » 161

Bibliografia » 163

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Finito di stampare nel mese di aprile del 2007 presso la Tipografia Bandista Piedimonte Matese (CE) Tel. 0823 911 759 E-mail: tipografiabandista@virgilio.it

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