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Il personaggio.
Universalmente al Palmieri
viene riconosciuta una preparazione enciclopedica, una chiara capacità di
collegare la Filosofia con le Scienze, una buona posizione fra gli uomini
illustri del suo tempo, del livello di Arcangelo Scacchi e Macedonio Melloni.
Gli è anche riconosciuta
l'abilità di scrivere con idee chiare, linguaggio semplice, tendente a
"rendere facili le cose
difficili e non invece rendere incomprensibili quelle facili".
Egli fu uno scienziato
autentico, che effettuava le sue ricerche con metodo quasi esclusivamente
sperimentale.
Nei suoi scritti ricorre
poco alla matematica, ma descrive magistralmente gli esperimenti condotti e gli
apparecchi usati.
Nella conversazione e
durante le lezioni si esprimeva in termini semplici, spesso dialettali, eppure
era capace d'improvvisare e approfondire, all'occasione, qualsiasi discorso,
poiché era dotato di pronta percezione, facile elaborazione mentale, esposizione
vivace e irrompente, fervida memoria e molto senso d'immaginazione.
Così riferiscono studiosi suoi allievi, che poterono notare
direttamente queste qualità del Maestro.
Si racconta che ad una sua
lezione partecipasse addirittura l'Imperatore e studioso di Scienze Don Pedro
d'Alcantara del Brasile, venuto in Italia per visitare l'Università di Napoli
e assistere ad una lezione del Palmieri.
Ma egli, per nulla
intimidito da quella presenza, seppe improvvisare una dissertazione ampia e
piacevole (sui Movimenti dei vulcani) da ottenerne, a termine, un lungo
applauso.
Santillo riporta un lungo
articolo del Pungolo Parlamentare -
Anno III, Napoli - Lunedì-Martedì 21-22 settembre 1896 - Numero 264 - dal
titolo "Per la memoria di un
maestro", con la firma di Hans.
In quest'articolo c'è una
descrizione precisa del personaggio, fatta da chi lo doveva ben conoscere
personalmente.
Ne riporto diversi righi:
«E, in verità, all'indole, alle
consuetudini dimesse, ai modi semplici di questo infaticato operaio della
mente, si addice meglio la narrazione familiare che non la pompa di un
discorso.»
«Era la sua una di quelle
nature felici che assai di rado si incontrano in uomini come lui....era il suo
uno di quegli organismi intellettuali che attingono energia dal segreto della
loro medesima compagine...».
«Egli portava nella figura, poco notevole, quasi
le tracce ereditarie di una stirpe vigorosa, cresciuta nella fatica dei campi;
eppure un occulto lume di nobiltà traspariva dai suoi occhi piccoli, acuti,
mobili, splendenti come due schegge di onice forbito, i quali, un tempo,
accompagnavano tanto suggestivamente le rapide fughe oratorie della voce piena,
non armoniosa ma imperiosa, e le frequenti cadenze del gesto ampio, non elegante,
ma efficacissimo...».
«Sinceramente insensibile ai comuni allettamenti
della vita, a ogni pomposa forma del prodursi, ed agli onori che due governi gli
prodigarono a piene mani, egli è passato silenzioso attraverso due coscienze politiche
senza quasi avvedersene, così come è rimasto saldo nella coscienza religiosa
della sua prima puerizia, di cui la candida semplicità non fu conturbata né
dall'amplissima cultura letteraria e scientifica, né dal tumultar delle forze
della materia operanti su lui e intorno a lui prodigiosamente. E in ciò egli
resta quasi estremo esempio dei dotti napoletani di un tempo remoto.»
«Egli, il decoroso
scienziato, ha udito intorno a sé, quasi fremere, i nuovi passi della scienza,
come uno scalpitio di cavalli lontano, e ne ha raccolto l'eco, facendone
ispirazione alla sua stanca e non sazia anima di ricercatore insino all'ultima
ora della vita, senza non mai negare né attraversare la nobile corsa.»
«Chiuso in una
meditazione ancor verde e nella serena aspettazione del domani, la morte lo ha
colto non come la Inimica, ma come la Rivelatrice di un alto mistero.»
«Povero
vecchio casto! Con ineffabile commozione dell'animo, il mio pensiero correva a
lui, nella recente notte, mentre contemplavo la bifida vetta del Vesuvio
delinearsi maestosa nel sereno lunare e secondavo con occhio mesto la curva
vermiglia della lava, derivante da quella collina che fu sacra al suo lavoro
amoroso.
E mi parea
quasi palpitasse quel bagliore funereo, come palpitava di angoscia il mio
spirito, evocando lui, il dinamista inquieto, cui una lieve reluttanza dinamica
del cuore valse a spezzar lo stame della vita, subitamente.»
Palmieri fu uomo assai probo
e profondamente religioso. Morì nella sua casa a Port'Alba (Napoli),
"come muore ogni buon cristiano, a guisa di lavoratore che
rientra in casa dopo compiuta la sua giornata" (Iannacchino).
La morte fu causata da un
"catarro bronchiale" ed egli si spense serenamente, in pieno
possesso delle facoltà mentali.
Napoli gli ha intitolato una via
(di fronte all'Università) e ha eretto un suo busto nel Cortile del
Salvatore dell'Università stessa.
Faicchio gli ha intitolato
una piazza e una via e gli ha eretto un busto, conservato
al Comune.
L'A.S.M.V. (Associazione
Storica del Medio Volturno) ha posto una lapide sul muro
della sua casa natale, in Faicchio, frazione Casali-Amati (V. figura).
Il dott. A. Giordano,
Segretario generale della Società zoofila napoletana, presentò l'estremo saluto
al Presidente morto ricordando, fra l'altro, che Egli soleva ripetere:
«Amare gli animali, essere con essi pietoso, vale
amare gli uomini, compassionare il prossimo».
Al cimitero v'erano i figli
a ricevere la salma, che fu interrata al Viale Monteverginella, presso la zona
degli uomini illustri.
Santillo scrisse addirittura un sonetto, per l'occasione, dal titolo "In
morte del sapiente L. Palmieri".
Eccolo:
Quando a Palmieri sul funèbro letto
Serpeva il gelo della morte in
core,
Sofia al suo
fianco in lacrimoso aspetto
Stava dolente e tinta di
pallore.
Tre volte l'invocò, tre
strinse al petto
Mirandolo di vita
all'ulti'ore;
Poi disse: pace, o mio cultor
diletto,
Abbi nel grembo del celeste
Amore.
Forte levonne allor la Fama il
grido,
Onde la Donna di Sebeto
udisse,
E l'eco ripetello a stranio
lido.
Ma come il seppe la severa
Istoria,
In auree cifre sul suo libro
scrisse:
Eterna di
Palmieri è la memoria!
Alcuni mesi prima di morire, nel consegnare una sua fotografia al suo amico di famiglia Dott. A. Giordano, che gliela aveva richiesta, disse:
«Tu prevedi quello che io
prevedo: la mia prossima fine!»
Soleva
dire che
"i medici sono bravi a
curare fino alla penultima malattia, ma l'ultima no!".
In un discorso
aveva affermato che
"è sempre giovane chi
lavora per la Scienza".
Chiudo questo paragrafo riportando,
dal Flores, la commemorazione di Palmieri al suo amico morto Giovanni Guarini,
poiché come giustamente ritiene lo stesso Flores, essa si adatta benissimo
anche al Palmieri stesso:
«Possa, o dolcissimo amico,
la bella fama che ti procacciasti fra noi dimostrare per qual modo debbano i
pacifici cultori della Scienza aspirare alla gloria non peritura: col retto
sapere, cioè, e col vivere onesto, in che si riassume la vita che in terra
vivesti, e che ti fruttò quella che ora ti godi in seno di Colui che disse
all'uom, ritornami, quando di man gli uscì.»
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