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Dante B. Marrocco

 

PALAZZO DUCALE

 

(in Piedimonte Matese III edizione, 1999, p. 298)

 

 

Ed eccoci al palazzo ducale.

Il castello di fondazione normanna nel secolo XI, fu ricostruito in parte nel trapasso fra il ‘3-400, sotto l’influenza dell’ultimo gotico. Dopo l’incendio spagnolo del 1504 ebbe costruzioni rinascimentali quali, il portico e il quarto superiore detto di S. Paolo. È del primo 700 una quarta trasformazione.

Con strumento del 26 luglio 1700 del Not. C. Ciccarelli, D. Niccolò Gaetani, principe di Piedimonte, dava inizio alle nuove costruzioni. Il grandioso maniero si trasformò in un grandioso palazzo. Un secondo piano fu alzato su due fianchi, fra le torri trasformate. Quel che fu un vero male furono le due terrazze e un brutto avancorpo. Le antiche finestre furono quasi tutte mutate in enormi balconi dai grossi cartocci barocchi, e l’interno subì anch’esso un radicale rinnovamento nella fastosa decorazione delle pareti e del soffitto, interamente ricoperti di festoni, putti e dorature dal Catuogno.

Il salone dei quadri, la sala d’armi, il salotto, il grande tinello, l’alcova e vari ambienti, tutti dell’appartamento di rappresentanza, lasciano nel visitatore un’ammirata impressione. Il cortile, grande e spazioso, ha una grande fontana delle Aquile in travertino, ed una scala a doppia rampa di grande effetto, che immette in un vasto portico. Da questo si accede agli appartamenti di primo e secondo piano. Dal 17 ottobre 1943 essi sono stati gravemente danneggiati da mine tedesche, e da allora non ancora sono riportati all’antico splendore.

 

 

 

Dante B. Marrocco

L’ANTICA PIEDIMONTE

(in Annuario ASMV 1998 pp. 231-245)

 

 

(pp. 231-233)

 

Alla destra del Torano, sulle prime pendici del Matese, ed esattamente su quelle della odierna Castello Matese, limitata a nord-ovest trasversalmente dal vallone del Rivo, sorse durante il Medioevo la prima Piedimonte che, dal Settecento, per lo spostamento dell’abitato verso la pianura, è restata la parte storica della città.

Il nome risponde pienamente alla sua posizione geografica essendo al vertice di un angolo, che fa da confine fra la pianura del Volturno e il massiccio del Matese del quale è stata sempre il miglior punto d’accesso.

L’origine di questa piccola Piedimonte è, come tutte le cose modeste, avvolta nell’ombra.

Il nome compare già in un giudicato del 1020 fra il vescovo di Alife Vito e il monastero di S. Maria in Cingla, relativo al possesso di chiese e fondi; vi si legge fra l’altro: “…ad Pedes de monte ubi dicitur ad pentuma et petra cupa, erga flubio Torano…[1].

Alla fine del secolo XI, coi Normanni, l’abitato pedemontano ristretto all’attuale quartiere San Giovanni fu il “Corpo della Terra” di un vasto feudo specialmente esteso nella parte montagnosa.

Il borgo era fortificato nel versante del Torano da un alto e poderoso bastione che iniziando dall’attuale soppegno giungeva quasi presso la grotta di S. Arcangelo.

Il cuore della “Terra” era costituito dal castello, dal Seggio comunale e dalla vecchia chiesa di S. Maria Maggiore. La vita economica si svolgeva nel Largo della Piazzetta sotto i portici, luogo dove il lunedì e il giovedì si teneva un mercatino. Nel corso dei secoli, il Centro ha subìto notevoli modifiche. La fortezza feudale fu ingrandita alla fine del ‘300 e trasformata, agli inizi del Settecento, nell’attuale palazzo ducale. Edificato sull’alta rupe sotto cui oggi si trova la scuola Elementare S. Domenico, aveva una forma trapezoidale con la base lunga che correva lungo il burrone del Rivo. Era dotato di tre torri quadrate rispettivamente all’angolo presso il Rivo, all’angolo dove comincia la terrazza e sopra l’attuale sopportico.

Adiacente al palazzo, verso est, era l’antica casa comunale dove si tenevano i parlamenti cittadini. L’edificio era proprietà comunale, aveva una sala con stalli a sedere e la cancelleria ne era staccata. Non più sede del Consiglio, che ormai si teneva nel convento domenicano, fu trasformato in teatro per desiderio di Aurora Sanseverino Gaetani. Questo ebbe cento posti di platea sistemati ad altezza crescente e una fila di 24 palchi. Ilpalco ducale frontale al palcoscenico presentava un ricco intaglio barocco. Al di sopra vi era il loggione.

La chiesa di Santa Maria Maggiore, in seguito detta S. Maria Vecchia, sorgeva dove ora appare il piccolo prato. Per secoli fu il sepolcreto di Piedimonte. In essa San Marcellino ebbe, nel 1642, il suo primo altare. Fu abbattuta nel 1752.

Al centro del paese si accedeva lateralmente dal Cila tramite un ponte levatoio (oggi in muratura) sul Rivo e dal basso per mezzo di una viuzza rapida detta i Perruni o anche Strettola. Un terzo ingresso alla terra murata, più decentrato, era alle pinteme di S. Arcangelo.

Internamente il corso principale saliva verso la parte più alta a gradinate, ma strette traverse, diritte, tagliavano, come ora, il terreno acclive, dirigendosi verso il Pizzone dove, proprio a picco sulla valle del Torano era la cappella di S. Lucia ad montes con portale in travertino ed arco acuto.

Salendo la Piazzetta si passava vicino alla chiesa di S. Giovanni Battista con ingresso a gradinate, arco gotico sottostante al campanile e, all’interno dell’unica navata, la volta ogivale sull’altare. A sinistra dell’ingresso vi è ancora la lapide di Benedetto Clarelli, un arciprete del ‘500 ivi sepolto. Vi si svolgevano devozioni in onore del precursore, della Madonna della Consolazione, di San Lazzaro etc.

Benché di piccole dimensioni, il paese aveva una ristretta classe agiata che ha lasciato testimonianza nei palazzi. Ricordiamo, quasi all’ingresso del ponte sul Rivo, il palazzo De Clavellis, per poco tempo sede vescovile; vicino a questo, quello più modesto della famiglia Pertugio; a piazzetta il palazzo De Forma che conserva ancora alcune bifore trecentesche con colonnina a spirale (oggi proprietà Santangelo); in basso, presso la nuova S. Maria, il palazzo Pierleoni con dodici bifore ormai scomparse (oggi proprietà D’Amore); salendo verso S. Giovanni il palazzo Paterno (oggi della famiglia Bianchi); e più in alto, sulla strada per Castello, il palazzo dei Del Santo; in fondo a via Sorgente il palazzo Potenza (oggi detto quartiere); ed altri.

Il centro storico, trascurato per decenni, oggi appare rifatto ad opera del Comune.

Fra le personalità che nacquero o vissero nella piccola Piedimonte[2], ne ricordiamo due: Ludovico Paterno e Aurora Sanseverino.

Il primo vi nacque il 12 febbraio 1533 da distinta famiglia, della quale ancora si conserva lo stemma, murato nella casa già detta. Suo primo maestro fu Francesco Filippo, anch’egli piedimontese. Studiò legge a Napoli. Da ragazzo vide la donna dei suo sogni: Lucrezia Montalto, maritata Gaetani. Ormai giovane se ne innamorò e cominciò a cantarla in via e in morte col nome di Marzia e le dedicò versi[3]. Oltre alla donna amata cantò Piedimonte e il Torano.

Originaria della Basilicata ma sposata a Piedimonte, Aurora Sanseverino di Bisognano fu poetessa dell’Arcadia dal 1695 col nome di Lucinda Coritesia[4]. Alla sua cultura si devono versi italiani e latini, e alla sua carità il conservatorio delle orfane e la donazione ai chierici regolari del grande fabbricato alla Madonna delle Grazie. Dalla visione delle nostre montagne nacque il sentimento di amore per la nostra terra.

 

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[1] V. Marrocco D., Il Monastero di S. Maria in Cingla, Quaderno di Cultura n. 12 (1964) pag. 40.

[2] V. Marrocco D., Piedimonte Matese, Capitolo sugli illustri.

[3] V. Idem, Il canzoniere di Ludovico Paterno, Quaderno di Cultura n. 2 (1951).

[4] V. Idem, L’Arcadia nel Sannio: Aurora Sanseverino, sta in Samnium Anno XXVI lug./dic. 1953 nn. 3-4, pp. 144-157.