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Anna Barbiero

 

ARTE E STORIA NEL PALAZZO DUCALE DI PIEDIMONTE D’ALIFE

 

Piedimonte Matese 2000

 

 

 

Cap. I

IL PALAZZO DUCALE E I SUOI RIFACIMENTI (pp. 19-29)

 

1.1  Descrizione dell’odierno palazzo

 

[19] Il palazzo ducale dei Gaetani dell’Aquila d’Aragona con la sua maestosità domina nella zona collinare di San Giovanni, dove sorge l’omonimo quartiere, sede del nucleo medievale, che si adatta perfettamente alla configurazione del terreno attraversato dal fiume Torano[1].

Il palazzo, sito alla base dell’antica via che portava agli altipiani del Matese aveva una posizione strategica poiché non solo ne controllava gli accessi, ma dominava tutta la valle dove sorgono ora Piedimonte e Alife. L’edificio a pianta quadrangolare presenta un’area interna adibita a cortile a cui si accede da due ingressi separati, l’uno posto ad oriente, l’altro a settentrione.

I prospetti del palazzo, sia quelli esterni che quelli interni presentano stratificazioni e rifacimenti di varie epoche; particolare interesse hanno quello ad oriente, su cui si apre l’ingresso principale, quello a settentrione, prospiciente al largo della chiesa vecchia di S. Maria e quello a mezzodì, che presenta un avancorpo che ne arricchisce la volumetria e ne evidenzia un andamento dinamico ed articolato.

A caratterizzare la fascia orientale, è un portale del XVI secolo, ad arco a tutto sesto, inscritto in una cornice rettangolare, ai cui angoli superiori sono posti due rosoni in altorilievo. Su di esso, sorretto dalla aggettante chiave di volta che funge da reggimensola inginocchiata, è lo stemma della famiglia, sormontato da una corona. Oltre il portale, al piano terra, troviamo quattro finestre ad andamento curvilineo e, al primo piano, tre porte-finestre rettangolari con piccolo aggetto, e ringhiera di ferro, sorretto da due reggimensole inginocchiate. Inoltre, la facciata è racchiusa tra due corpi angolari di altezza superiore ad essa e, mentre quello di destra, di pietre di tufo a faccia vista, con quattro finestre (due per piano), è sorretto da due scarpe recanti due aperture ad arco a tutto sesto, di cui una permette di raggiungere, tramite un percorso coperto da volte a padiglione, il secondo ingresso del palazzo, quello di sinistra, terminando la facciata, presenta l’inizio di un terrazzamento.

[20] Sulla facciata settentrionale si apre, invece, un portale con spiccate caratteristiche della scuola napoletana durazzesco catalana. Questo, inscritto in un rettangolo, reca scolpiti, negli angoli superiori a destra, un elemento zoomorfo e, a sinistra, un elemento antropomorfo. Anche qui, sul portale, campeggia lo scudo della famiglia sormontato da una corona.

Sul prospetto che affaccia a mezzodì, nonché sul giardinetto della stalla, convivono elementi stilistici diversi; infatti esso può essere diviso in due parti. A caratterizzare la prima parte, posta verso est, è una terrazza allungata, che con andamento angolare, si estende fino alla facciata principale dove l’iniziale balaustrata, di protezione in travertino, cede il posto alla ringhiera di ferro. Due porte-finestre, ad arco a tutto sesto, immettono su un terrazzo, sorretto da un porticato che, a piano terra ospita gli ingressi alla stalla. Di fianco al terrazzo troviamo una finestra il cui angolo rialzato viene spezzato dalla costruzione dell’avancorpo settecentesco, che caratterizza la seconda parte del prospetto. Anche qui si sviluppa un’ampia terrazza di forma rettangolare sorretta da un porticato. La ringhiera di ferro è interrotta da dodici piedistalli su cui, originariamente, erano poste altrettante dodici statue di cui oggi ne restano undici. Sul lato breve, invece, è posta una fontana rappresentante una donna che porta acqua. Sulla terrazza si aprono quattro porte-finestre rettangolari, sormontate da un timpano curvilineo, il cui andamento viene spezzato dalla sovrapposizione di un’aquila frontale che poggia le zampe su due sfere, mentre due mascheroni si interpongono tra il timpano e l’architrave. Al secondo piano si aprono invece nove finestre rettangolari, di cui sei recano una decorazione in rilievo, raffigurante due leoni laterali con un’aquila al centro.

Un’articolazione più semplice mostrano i prospetti interni che affacciano sul cortile al cui centro è posta una fontana detta delle aquile, poiché quattro aquile reali (attualmente prive di testa), poste su di un piedistallo al centro della vasca di forma mistilineo, sorreggono un bacile da cui fuoriesce l’acqua. La facciata di destra è quella più articolata. Infatti, ad essa è appoggiata una scala a forbice con balaustrata in travertino che immette nel porticato. Questo, scandito da cinque archi che dividono le campate a pianta quadrangolare con volta a crociera, immette da destra al primo piano e da sinistra al secondo. Sul porticato si aprono cinque finestre rettangolari con davanzale e architrave aggettanti e incorniciatura in stucco. Sul prospetto di sinistra, invece, si possono vedere, a piano terra, due archi tompagnati e successivamente bucati con architravi in legno, che costituiscono gli ingressi alle stalle. Al primo piano tre porte finestra rettangolari con ringhiera di ferro e, al secondo piano, tre finestre rettangolari con architrave decorato con un puttino in stucco in rilievo. La stessa tipologia di finestre la ritroviamo al secondo piano della facciata occidentale; qui inoltre vi sono, al piano terra, gli ingressi ai servizi. Semplici porte finestre con ringhiera si aprono anche sul prospetto interno dell’ingresso principale.

 

 

[21] 1.2. LA QUESTIONE CRONOLOGICA DELL’AMPLIAMENTO

 

Tra le varie stratificazioni che l’originario palazzo vanta, quella settecentesca è, in ordine di tempo, l’ultima che ha avuto ed è quella che lo ha trasformato definitivamente in palazzo principesco. È mediante pubblico strumento, rogato[2] dal notaio Tommaso Ciccarelli della città di Piedimonte, il ventisei luglio 1700, con don Nicola Gaetani d’Aragona convenne con i maestri fabbricatori Giovanni Calire della città di Napoli e Marcantonio Ferrara della terra di “Pischiopignataro”, la costruzione di “tre appartamenti di case, cioè la fabbrica della sole mura alla rustica, con principiare dal solare del palazzo di detto eccellentissimo signore don Nicola, e terminare, per insino al giardinetto della stalla del medesimo signore”, al prezzo di venticinque carlini a canna[3]. Questi dovevano essere costruiti nell’arco di due anni, a cominciare dal primo gennaio del 1701, a spese, per il materiale che servirà, dei detti maestri secondo il modo, la forma, l’altezza e la grandezza del disegno fatto e pattuito tra le parti. Per la costruzione dei tre appartamenti, si pattuì che bisognava demolire le vecchie “case”, che si trovavano tra il salone e il giardinetto della stalla, e riutilizzarne i materiali di risulta.

Don Nicola promise di pagare, anticipatamente, “ducati trecento, alli quindici del mese di settembre prossimo venturo del corrente anno 1700” e “altri mille e ottocento ducati, nello spazio di due anni tertiatim cioè ogni quattro mesi”, a cominciare dal pagamento dei primi trecento ducati, dal primo gennaio 1701 e, il restante prezzo, alla fine del lavoro, non appena gli appartamenti sarebbero stati misurati secondo la misura della città di Napoli.

Questo strumento è l’unica documentazione che ci permette di datare, con precisione, il periodo dell’ampliamento e della trasformazione dell’impianto del palazzo.

Alcune perizie del 1756[4], inviate, dietro istanza dei maggiori creditori dell’illustre casa di Laurenzana, al regio consigliere don Giovanni Ferrari, ci informano, invece, sulla tipologia dell’intervento voluto da don Nicola Gaetani. Si legge, infatti, in esse, che solo una porzione di case convenute nel citato strumento, furono fatte tra il salone del palazzo ducale e il luogo determinato dal giardinetto della stalla, in sostituzione di quelle antiche che vi erano.

La perizia mette in evidenza quali siano gli elementi antichi del palazzo non [22] modificati dall’intervento settecentesco; esse possono essere individuate in più parti del palazzo e in particolar modo: nella porzione del primo piano dov’è l’ingresso del salone, nel muro della “stanza del riposto”, nella parte “d’uscita d’esso palazzo nella strada superiore e retrana”, nel muro “dalla banda dell’atrio che sta avanti al predetto salone”, nel prospetto principale dove si vede che la parte antica della fabbrica arriva fino ai pilastri e alle mura laterali delle arcate del supportino, tramite il quale si passa dalla strada principale a quella di sopra, dove è posto l’ingresso secondario e sul quale si trova la stanza della segreteria nuovamente rifatta e, ancora, nella porzione “delle mura e della covertura dell’enunciata stanza del riposto”.

Da altre perizie fatte nell’anno 1758, si valutano gli “aumenti e migliorazioni” fatte nel palazzo ducale. Infatti, la ricostruzione del muro del riposto dalla parte esterna della stalla, (“di lunghezza palmi 18, alto sin dalla sua cima palmi 41, grosso palmi 2 e mezzo”), dell’altro muro esterno della parte del palazzo dell’appartamento superiore (“lungo pali 26, alto palmi 19, grosso palmi 2 e mezzo”), della “tonica ai quattro lati, della stanza del riposto (di giro palmi 86, alta palmi 19 e un quarto”), costò 125 ducati. E ancora, i lavori fatti per la segreteria, dall’intonaco delle pareti di essa (“di giro palmi 97, alta palmi 22”) al muro esterno verso la strada (“di lunghezza palmi 29 e mezzo, alto palmi 22, grosso palmi 2 e mezzo”), su cui furono fatti due balconi con ringhiera, gli aggiusti del corridoio che portava alla segreteria, il legno e il ferro e altro materiale, costarono 120 ducati. Più costosi furono invece i lavori per le stanze dell’appartamento. Qui, fatte le mura di “lunghezza palmi 30, alte palmi 24, grosse palmi 2, che, dedottone la porta di palmi 4 x 8, fatte le due mura laterali, …fatto l’astraco di quadrelli, di palmi 30 x 24, e toneca attorno le sue mura, (dipinte con varie figure pittoresche), fatte le due porte delli balconi, che sono alla romana, e le di loro ringhiere di ferro”, si spesero 200 ducati.

Da queste perizie, infine si evince, che il costo totale della spesa sostenuta dal fu illustre principe nel costruire un’aggiunta di un corpo di fabbrica al palazzo ducale, ascese “alla somma de ducati 1600”.

Questo nuovo corpo di fabbrica è dotato, inoltre, sia all’interno che all’esterno, della ricca decorazione rocaille di cui però non si conosce l’artefice. Verosimilmente coeve all’ampliamento, sono la scenografica fontana posta al centro del giardino e la scala a doppia rampa che consente l’accesso al porticato. La fontana è a pianta centrale con vasca di forma mistilinea poggiante su di un tamburo, mentre il catino centrale è sorretto da quattro aquile reali (oggi prive di testa); quelle stesse le ritroviamo, come elemento decorativo, sui timpani curvilinei che sormontano le porte finestre che si aprono sul terrazzo del nuovo appartamento di case. Sempre nel giardino, una scala a doppia rampa, che ci ricorda, per la sua articolazione, lo schema delle scale di rappresentanza sanfeliciane, arricchisce lo schema del prospetto a cui è appoggiata. Non sappiamo con certezza chi fosse l’artefice di questi elementi decorativi, ma si può ipotizzare che fossero della scuola del Sanfelice o del Vaccaio, entrambi allievi del Solimena grande protagonista della cultura tardo seicentesca e della prima metà del settecento che si occupò anche di architettura[5]. Si può credere che tali artisti arrivarono a Piedimonte al seguito di Bernardo De Dominaci che fu pittore di corte della famiglia Gaetani; da questi, infatti, apprendiamo che artefice delle decorazioni in stucco dell’interno è il Catuogno, artista della scuola del Vaccaio. Elementi caratteristici della maniera di Sanfelice sono riscontrabili, anche nel poggetto del palazzo di Solimena a via San Potito a Napoli che il De Dominaci attribuisce all’artista stesso[6].

1.3. EMERGENZE DI ETA’ DURAZZESCO-CATALANA E CINQUECENTESCA

 

Nel palazzo ducale, a tutt’oggi, sopravvivono emergenze di epoca diversa visibili nei due portali (quello durazzesco catalano e quello del secolo XVI) la cui approssimativa collocazione cronologica dipende dalla mancanza di una documentazione precisa.

Il portale a settentrione, che si apre sul largo della chiesa vecchia di Santa Maria, ha le spiccate caratteristiche della scuola napoletana durazzesco catalana. Infatti l’arco depresso, inscritto nella consueta inquadratura a cornice rettangolare, è una tipica caratteristica catalana, a differenza del disegno semplice e preciso d’impronta durazzesca.

La tipologia ad arco depresso, inquadrato su una modanatura rettangolare, spesso ripetuta (per oltre mezzo secolo), è lo schema di un’immagine ricorrente nella cultura architettonica napoletana, di molti paesi dell’Italia meridionale e della Sicilia. La genesi di questo tipo di portale, secondo l’ipotesi avanzata da R. Pane, è da ricercare “nella semplificazione costruttiva del sistema trecentesco a duplice arco, e precisamente quello visibile nel chiostro dei minori di S. Chiara e nel portico della chiesa dell’Incoronata”[7].

Questo schema subì dalle prime caratterizzazioni durazzesche che tendevano [24] all’esaltazione dei valori strutturali un’evoluzione notevole che continua fino alle espressioni più ricche e compiute del periodo catalano; le manifestazioni posteriori, infatti, si fanno ad un tempo più articolate e acquistano un manierismo decorativo e arcaicizzante[8].

Pur non potendo, per mancanza di documentazione, datare con precisione il portale del palazzo ducale di Piedimonte, attesa un’analisi degli elementi decorativi presenti, lo si può attribuire al periodo catalano. Esso, sui piedritti, a base sporgente, reca una decorazione che continua poi non solo sull’estradosso dell’arco, ma anche sui lati esterni dei piedritti stessi e sulla cornice rettangolare. All’interno dei piedritti, e in specie a 2/3 di altezza si sviluppano delle colonnine con capitello a fogliame dinamicamente scolpito con virtuosità artigiana, da cui parte una modanatura che corre lungo l’intradosso dell’arco. Agli angoli superiori dell’inquadratura, poi, sono posti ulteriori elementi decorativi: a sinistra un cane, con elementi floreali che si sviluppano dalla sua lingua e, a destra, un elemento antropomorfo. Queste decorazioni si sostituiscono a quelle tradizionali di foglie e fiori.

Altra testimonianza durazzesco catalana sono le finestre, che si aprono sul prospetto meridionale, dove vediamo due archi a sesto acuto e un arco a sesto ribassato poggiarsi su colonnine con peducci riccamente decorati di elementi vegetali.

Questi elementi costituiscono quella parte ancora visibile degli interventi, operati sulla vecchia struttura dai Gaetani, ed in particolare da Onorato II, che dal 1441 alla morte del fratello Cristoforo divenne: VII conte di Fondi e Traetto, XIV conte di Alife, IV signore di Piedimonte, che, con l’entrata in Napoli di Alfonso d’Aragona, si colloca in primo piano tra i baroni del regno[9].

Onorato Gaetani era amante della ricchezza e dello sfarzo della sua corte, convinto assertore, nella pratica del governo, dell’importanza della magnificenza del potere e, per questo, mecenate della cultura in ogni sua manifestazione; infatti, più che a Piedimonte, a Fondi (sede principale del suo potere) dà inizio ad un vasto piano di rinnovamento architettonico ed edilizio che avrebbe conferito alla capitale della sua contea un aspetto più ricco e moderno, a testimonianza anche della magnifica posizione economica e sociale conquistata dalla sua famiglia.

Onorato II per avviare il suo piano di rinnovamento a Fondi, ingaggiò i nomi tra i più significativi ed in vista nel panorama artistico centro meridionale: il co- [25]ale del suo potere) dao, mecenate della cultura in ogni sua manifestazione; infatti, più che a Pi struttore Matteo Forsimania di origine maiorchina, lo scultore Tommaso Malvito e altri[10].

Purtroppo anche se si attribuiscono alla committenza di Onorato II le emergenze di età durazzesco catalana del palazzo ducale, si può solo ipotizzare che parte degli artisti intervenuti a Fondi possano aver lavorato anche a Piedimonte, poiché simili sono gli elementi stilistici presenti nelle finestre e nel portale di entrambi i palazzi[11].

Altro elemento che ci permette di datare approssimativamente il portale di palazzo ducale di Piedimonte, è lo stemma che su di esso campeggia.

Onorato Gaetani per ostentare il suo prestigio, il suo peso politico, la glorificazione del proprio ceppo familiare, oltre alla sua immagine di mecenate, era solito imprimere a vista in ogni lavoro il segno della propria committenza.

Lo dimostrano, infatti, il ritratto in età giovanile nella lastra del monumento a Cristoforo Gaetani, quello nella tavola di Antoniazzo Romano dove il conte è ai piedi della Vergine in atto di devoto vassallaggio, l’effigie a tutto tondo nella lunetta di S. Maria Assunta insieme a S. Caterina (riferimento alla giovane sposa Caterina Pignatelli) di Fondi, oltre ai numerosissimi stemmi dipinti o scolpiti in ogni opera di questo periodo a Fondi come a Napoli nel convento del Carmine Maggiore[12].

Nello stemma, sormontato da una corona, sul portale di Piedimonte, vi sono oltre alle armi della casa Gaetani dell’Aquila d’Aragona[13], le armi della fami- [26] glia di Capua (prima moglie di Onorato II) e della famiglia Orsini (moglie di Pietro Bernardino)[14].

Verosimilmente si può quindi, a buon ragione, ipotizzare che il 1466 fosse il limite cronologico da cui partire per la datazione del portale[15]. Infatti, dalla analisi dello stemma e delle armi che vi sono poste, è possibile assegnare il portale al periodo del regno di Onorato II e di suo nipote Onorato III.

Stesso procedimento di datazione non è possibile applicare alle emergenze del secolo XVI; infatti, vediamo che lo stemma posto sul portale principale non è coevo ad esso poiché vi sono inquartate oltre alle originali armi dei Gaetani dell’Aquila d’Aragona, le armi della famiglia Acquaviva[16]. A conferma di ciò si può osservare la decorazione della volta a botte dell’androne a cui si accede dallo stesso portale principale; qui vi sono i resti della raffigurazione delle armi delle varie famiglie imparentatesi, per matrimonio, con i Gaetani. Posto al centro, fra gli altri, è il grande stemma dei Gaetani con il motto« Non confunditur »[17] tenuto da un’aquila reale che regge la corona. Lo stemma a due onde poste trasversalmente in campo d’oro e due aquile bianche in campo azzurro inquartate dalle armi aragonesi e, ancora al centro, vi è posta l’arma dei Sanseverino[18]. Vi è inoltre raffigurato, anche lo stemma degli Acquaviva. A differenza del portale, lo stemma risale agli inizi del XVIII secolo ed esattamente al regno di Nicola Gaetani dell’Aquila d’Aragona.

Per queste emergenze cinquecentesche non si possiede dunque alcuna documentazione bibliografica, archivistica o grafica, ma è possibile fare un’analisi solo mediante gli elementi stilistici che caratterizzano le strutture architettoniche a noi pervenute nel tempo.

Il portale ha un arco a tutto sesto scandito da una raggiera di bugne rettango- [27] lari che caratterizzano anche i piedritti mentre lungo l’estradosso, corre una sporgente modanatura interrotta dall’aggettante chiave di volta che contribuisce a dotare il portale di un andamento dinamico tipico delle linee spezzate ricorrenti nella maniera della prima metà del XVI sec.. A spezzare ancora una volta l’andamento della struttura del portale, è una cornice orizzontale sporgente a gola concava-convessa con profilo ad esse che, posta al termine dei piedritti, fa da appoggio all’arco.

Tale cornice va a spezzare anche la modanatura rettangolare entro cui è inscritto l’arco creando una doppia cornice a gola. Nei pennacchi sono posti, inoltre, due rosoni in altorilievo che contribuiscono a creare un ritmato andamento di rientranze e sporgenze. Altro elemento coevo al portale è il porticato a cui sarà anteposta una scala; questo presenta cinque archi a tutto sesto con altrettante campate coperte da volta a crociera.

 

 

1.4 IPOTESI SULLA STRUTTURA ARCHITETTONICA DEI SECOLI XV-XVII E L’IMPIANTO SETTECENTESCO

 

Il palazzo ducale, nel corso dei tempi fu soggetto a vari saccheggi a cominciare da quello del cardinale Pelagio nel 1228 che voleva dare duri colpi alla casa Aquino allora regnante.

Non si possiede purtroppo alcuna documentazione né archivistica né iconografica di quella che era l’originaria struttura del palazzo ma osservando la veduta dall’alto dell’impianto del palazzo ducale, possiamo, nonostante le varie stratificazioni ricostruirla approssimativamente.

 Il palazzo ha un impianto quadrangolare con un’area aperta all’interno, che ci fa pensare ad una struttura chiusa verso l’esterno per esplicare una funzione difensiva.

Da una veduta dall’alto si può ancora individuare la posizione di tre torri angolari di avvistamento unite tra loro da quattro corpi di fabbrica. Esse erano posizionate a nord-est, a sud-est e a sud-ovest, mentre dal lato della montagna non fu mai costruita alcuna torre probabilmente poiché a protezione era la montagna stessa. Oggi le due torri angolari che racchiudono la facciata orientale si presentano di altezza maggiore della facciata stessa e mostrano caratteristiche diverse. La torre a nord-est presenta ancora delle finestre di stile e misure diverse dalle restanti che si aprono sulla facciata, si vedono ancora gli archi ribassati e tompagnati su cui furono successivamente aperte finestre rettangolari come attualmente si vedono. Stessa operazione fu fatta sull’altra torre solo che le finestre furono poi abbellite e fu aggiunta una terrazza.

Se si osserva attentamente la sommità di questa torre si nota un elemento strutturale che fa pensare ai resti di una merlatura oggi non più esistente e sostituita [28] con copertura a tetti spioventi. È da osservare anche che il dislivello tuttora presente tra il palazzo e gli altri edifici circostanti può far pensare ad un originario fossato tanto più che il prospetto occidentale cade a strapiombo sul sottostante fiume Torano. Nulla rimane purtroppo delle originarie bifore che si aprivano lungo i prospetti sia interni che esterni ma se ne possono osservare di belle negli edifici circostanti che affacciano sul largo della chiesa vecchia di S. Maria.

Primo rimaneggiamento del castello si ha nel XV secolo, quando arrivò a Piedimonte Onorato II Gaetani; a quell’epoca, infatti, risalgono il portale durazzesco catalano sul prospetto settentrionale e le finestre sul lato meridionale. Anche di queste si può pensare che fossero precedenti bifore private poi della colonnina centrale che le caratterizzava come tali. Non restano, purtroppo, altri elementi del periodo che possono aiutarci a chiarirne le caratteristiche.

È possibile, anche, che a quell’epoca non fosse apportata ulteriore modifica all’impianto, dal momento che non era dimora fissa dei Gaetani i quali risiedevano a Fondi, sede centrale della loro contea, e dove si vedono ancora le testimonianze della committenza di Onorato II.

Altra stratificazione non documentata risale al XV secolo quando fu aperto l’altro portale poi divenuto quello principale per il suo essere posizionato sulla strada maestra. Di conseguenza furono rifatte anche le finestre che al primo piano videro aggiungersi un pianerottolo aggettante mentre piccole aperture si aprirono al piano terra. Questa facciata continuerà a conservare nel corso dei secoli successivi questa sistemazione anche perché è l’unico lato che non vedrà aggiungersi un secondo piano. Da questo momento in poi il palazzo comincia ad abbandonare l’originaria forma di fortezza e assume sempre più carattere di dimora principesca dovuto forse al fatto che i Gaetani con Onorato III[19] dal 1507 persero definitivamente Fondi passata ai Colonna e iniziarono la loro lunga signoria di Piedimonte.

Coeva al portale è la costruzione del porticato che immette ai piani superiori e su cui si sviluppa un piano di case denominato “quarto di S. Paolo”, come risulta dalla lettura degli inventari del 1700 stilati per catalogare e stimare gli oggetti posseduti e presenti nel palazzo.

Unica documentazione si ha invece per i lavori fatti nel XVIII secolo voluti da Nicola Gaetani che volle crearsi una residenza da usare per uno svago aristocratico e che avesse una funzione di rappresentanza.

[29] Da adesso si ha un vero e proprio rinnovo del palazzo nonché un ampliamento con la costruzione di un avancorpo alla originaria struttura che si sviluppa tutto sul lato meridionale chiamato “Quarto della loggia grande”. Qui si svilupperà una caratteristica decorazione sia esterna riscontrabile nei timpani e nei fregi delle finestre e nella loggia decora da 12 statue a mezzo busto sia una sontuosa decorazione interna dal raffinato gusto rocaille. Anche la sistemazione del giardino risale al XVIII secolo, infatti coeve sono sia la fontana che la scala. Nel Settecento inoltre per volere di donna Aurora Sanseverino fu costruito anche un teatro adiacente al palazzo. Purtroppo il palazzo ducale oggi, pur conservando la sistemazione datagli nel XVIII secolo, non gode più della magnificenza del passato poiché giace in un avanzato stato di degrado dovuto anche ad una cattiva destinazione d’uso. Oggi le poche testimonianze rimasteci raccontano della sua storia e dei suoi passati fasti.

 

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[1] Cfr. L. Giustiniani, Dizionario geografico del regno di Napoli, 1797-1805, voce Piedimonte; G. Trutta, Dissertazioni istoriche delle antichità alifane, Napoli 1776; R. Marrocco, Memorie storiche di Piedimonte d’Alife, Piedimonte 1926.

[2] Cfr. Archivio della famiglia Gaetani, Archivio di stato di Napoli, busta 112.

[3] Cfr. G. Passaro, Monete, pesi e misure del Regno di Napoli nei loro mutui rapporti, in Statuti dell’Università del Principato Ultra, pag. 31-32; una canna equivale a due mezze canne, a otto palmi e a 2, 12 metri.

[4] Cfr. Archivio della famiglia Gaetani, Archivio di Stato di Napoli, busta 112, “apprezzi corporum sitorum in pertinentiis civitatis Piedimontis facti per tabularium sacri regi consilii don Francesco Attanasio cum interventu domini regi consiliarii don Givanni Ferraro cause commissari”.

[5] Cfr. C. De Seta, Recenti sviluppi della storiografia architettonica, in Arti e civiltà del settecento a Napoli, 1982.

[6] Cfr. B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani non mai date alla luce da autore alcuno, vol. III, pag. 620, Napoli, 1742; A. Blunt, Neapolitan baroque and rococò architecture, London 1975; C. De Seta, Recenti sviluppi della storiografia architettonica; L. Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del regno di Napoli,  Napoli, 1797-1805.

[7] Cfr. R. Pane, Architettura e urbanistica del Rinascimento, in Storia di Napoli, vol. IV tomo II, pag. 320, Napoli, 1974.

[8] Cfr. A. Venditti, Presenze ed influenze catalane nell’architettura napoletana del regno d’Aragona (1442-1503), in “Napoli Mobilissima”, vol. XIII, Fasc. I, 1974.

[9] Cfr. O. Gaetani d’Aragona, Istoria generale della casa Gaetani, Caserta 1888. Onorato quantunque fosse legato all’esule Renato d’Angiò da questi pregato passò a prestare servizi alla dinastia aragonese e nel 1442 fu nominato da Alfonso I gran protonotario del Regno (carica ereditaria); fu nominato anche sindaco dai baroni a nome dei quali prestò giuramento a Ferrante d’Aragona.

[10] Cfr. F. Negri Arnoldi, Fondi e la signoria dei Gaetani, Roma 1981. Onorato Gaetani promuoveva a Fondi un vasto piano di rinnovamento architettonico ed edilizio che avrebbe conferito alla capitale della sua contea un aspetto più ricco e moderno. Egli era molto legato alla famiglia aragonese al seguito della quale ebbe modo di stare a contatto con l’ambito artistico della capitale. Infatti chiamò a Fondi i nomi più significativi e in vista nel panorama artistico che a Napoli erano impegnati nella fabbrica di Castelnuovo.

[11] Cfr. Altre tipologie di portali durazzesco catalani è possibile riscontrare non solo a Fondi ma anche nei portali: di casa Marzano (Fondi) maggiormente elaborato nel fregio a punte di diamante e nelle colonnine con capitelli ed ancora più da vicino a quello di casa Novelli a Carinola.

[12] Cfr. P. T. Quagliarella, Uno stemma del XV sec. nella chiesa del Carmine Maggiore di Napoli, in “Archivio storico per le province napoletane”, 1961 pagg. 245-254.

[13] Cfr. G. Gaetani, Ricorso presentato alla Regia Consulta Araldica in copia legale manoscritta per tutelare il diritto dell’arme gentilizia dei Gaetani, Roma 1915. Lo stemma dei Gaetani subisce un’evoluzione nel corso dei tempi in termini araldici lo stemma originario dei Gaetani è così descritto: scudo d’oro alla gemella d’azzurro ondata e controinnestata posta in banda. Di questo stemma si fregiarono i discendenti di Orso Gaetani (capostipite del ramo di Anagni) e successivamente lo adottò Bonifacio VIII (Benedetto Gaetani) che con le due onde voleva ricordare due battaglie vinte dai suoi antenati contro i Saraceni. Nel 1297 si ebbe la prima evoluzione, alle onde si aggiunse l’aquila d’argento su campo azzurro con il matrimonio di Loffredo III con Giovanna dell’Aquila, ultima ed unica discendente di Riccardo dell’Aquila conte di Fondi. Nel 1466 Onorato II ebbe da Ferdinando I d’Aragona in riconoscenza della sua fedeltà verso la casa regnante e dei suoi servigi la concessione di usare lo stemma reale ossia i pali aragonesi a ciò si aggiunse un legame di sangue poiché Onorato III ebbe in moglie Lucrezia d’Aragona figlia naturale del Re; da qui dunque il cognome Gaetani dell’Aquila d’Aragona. Da ora in avanti lo stemma sarà partito al 1°: inquartato al 1° e al 4° di Gaetani che è d’oro alla gemella ondata di azzurro posta in banda; al 2° e 3° di dell’Aquila che è di azzurro all’aquila d’argento coronata d’oro; al 2° d’Aragona che è d’oro ai quattro pali di rosso.

[14] Pietro Bernardino era figlio di Onorato II e aveva aderito alla congiura contro il re Ferdinando nonostante gli altri baroni ribelli avessero prestato ormai omaggio e obbedienza al re, inoltre continuava a muovere guerra al padre.

[15] Cfr. Anno in cui con il Diploma di Ferdinando I d’Aragona ad Onorato II Gaetani aggiunsero nello stemma quelle reali.

[16] Cfr. V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare italiana, Milano, 1928-1932. L’arma della famiglia Acquaviva venne inquartata nello stemma un leone rampante. Cecilia Acquaviva era la madre di Nicola Gaetani dell’Aquila d’Aragona.

[17] Cfr. V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare italiano, Milano 1928-1932. Non confunditur è il motto della famiglia Gaetani dell’Aquila d’Aragona.

[18] Cfr. V. Spreti, cit., . L’arma dei Sanseverino ha una fascia rossa orizzontale su campo d’argento, Aurora Sanseverino era la moglie di Nicola Gaetani dell’Aquila d’Aragona.

[19] Cfr. F. Negri Arnoldi, cit. Onorato III che si era schierato dalla parte dei Francesi contro Ferdinando II perse i suoi feudi che passarono ai Colonna. Quando nel 1496 il re lo perdonò gli riconcesse i titoli di conte di Fondi e duca di Traetto ma non i feudi che erano stati promessi ai Colonna.