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Il Monte Muto e l’Eremo nella poesia locale

 

 

A Florinda Zotti

indimenticata maestra

 

 

Il monte Muto, una delle tre alture della zona pedemontana del Matese, appare in poesia per due diverse caratteristiche: quella idrogeologica e quella religiosa.

Evidentemente di riflesso è la sua presenza nei versi di molti poeti nostrani che cantano il Torano, vero protagonista, a cominciare dal noto

Rapido fiume, che del mio bel monte

 tacito uscendo, i campi Alifii inondi…

di Paterno nel secolo XVI e continuando, ad esempio, con uno dei

Due monti a picco.

Per la roccia grigia massi imminenti.

E, nella stretta valle, il tormentoso

letto del fiume.

Chiaro e impetuoso

dallo spacco del monte esce il Torano,

contro i massi, coperti di verdura,

batte e si spezza …

di Michelangelo Benevento del 1927.

Anonimo, quasi sempre, pur con le sue

rupi, immense, austere e ripide …

che

si impongono enormi,

schiacciano i corpi,

comprimono

ogni slancio,

e reprimono

ogni fantasia …

come lo descrive il prof. Dante B. Marrocco.

Nella graziosa “Ode al Torano” di Francesco Sebastianelli esso è visto addirittura come il carcere dal quale, prima furtivo e poi festante, evade il torrente:

Dai cavernosi visceri del monte

o limpido Torano fluisci cheto,

ma dipartito un tratto dalla fonte

mormori lieto.

Così lo scaltro prigionier ch’evade

silenzioso è presso ai ceppi infranti,

ma posto il piè su libere contrade

prorompe in canti.

Ovviamente si potrebbero citare numerosi altri autori ma passiamo all’aspetto sacro consapevoli che in “Piedimonte”, come ci ricorda la prof. Scolastica De Crescenzo

e di suore e di frati uno stuolo

si racchiuse in austeri conventi

ch’ancor oggi, dal Muto a Vallata

tengon deste la fede e le opre…

Di buono auspicio è il fatto che P. Giovanni da S. Maria, il religioso spagnolo, fondatore del convento di S. Maria Occorrevole, fosse anche un valente e raffinato poeta ma, purtroppo, ignoro se abbia o meno dedicato versi al santuario.

Viene attribuita ad Aurora Sanseverino Gaetani la nota lapide settecentesca alla porta d’ingresso alla Solitudine che avverte:

Taciturni romiti, o passeggiero,

vivon lieti in quest’eremo beato,

che, non senza profetico mistero,

ne’ tempi andati il Muto fu appellato.

Qui si conversa in ciel, qui in spirto vero

da muti e morti al mondo è Dio lodato;

qui parla il Verbo al cor: entri chi tace,

 perché il solo silenzio è qui loquace.

Nel 1914, inaugurandosi i restauri della Solitudine, vi salì anche il vescovo mons. Angelo Del Sordo. Nell’occasione, il rev. canonico dell’Annunziata, prof. Michele Di Muccio compose per lui un inno cantato dagli alunni del Seminario, “nel trattenimento artistico-letterario tenuto nel pio luogo”. Riguardo al nostro monte leggiamo:

Bene il nome auspicando, - tranquilla

Pace d’Eden qui aleggia tra noi;

ed ancora più avanti:

Fiori e palme del mistico Muto / Ei Ti porge … - D’eterni ideali

Pellegrino il tuo spirto un saluto

Canta anelo a quel colle tra il dì.

Gli sorridi …, e, di Fede su l’ali,

Tu l’ascendi, qual ara, col sole;

pellegrino di pace, le aiuole / sue romite vagheggi …

segue poi il paragone coi monti umbri contemplati da San Francesco. Lo stesso autore, nel 1925 pubblicò l’incantevole esametro dal titolo Sacra Muti Montis Eremus nel quale la Solitudine è descritta come il luogo ideale, “la spiaggia amica”, dove potersi ricoverare nei momenti più difficili della nostra vita per risanare “le dolorose ferite” spirituali che ci tormentano: 

Cum trepidas vitae nos curis angimur alte

Atque animo excipimus gerimusque heu vulnera acerba

Cor juvat o quantum sacrum conscendere Mutum,

Fluctibus ut pressus petit oram navita amicam!

Virginis excelsae pura sub luce coruscans,

Hic, viridi in montis luco, est Joannis eremus,

Trames uti felix positus caelum inter et orbem.

Dum silet hic prorsus mundus, loquitur Deus ad cor

Dulcia quae mundum penitus fugiuntque latentque

Vitae verba … Stude haec mente exaudire, viator:

Si immemor haud fies, o terque quaterque beatus!

E, nel 1936, ricorrente il 5° centenario della scoperta degli affreschi per la presenza dei quali fu eretto il santuario, dedicò un epigramma, sempre in latino, alla “Vergine Madre di Dio dal popolo appellata S. Maria Occorrevole” che inizia con i versi:

Icone ab inventa, Virgo, te quinque salutant

 saecula: rem Mutus concelebrare parat.

Numine namque Dei donata huic ipsa videris,

 monsque, sacer tibimet, prodigium ipse docet.

Ma è giunto il momento di soffermarci, in modo particolare, sui versi di straordinaria bellezza composti dal vescovo di Bovino mons. Innocenzo Alfredo Russo che, sul monte Muto, aveva vestito, non ancora sedicenne, l’abito francescano. Nei suoi ricordi descrivendo il primo impatto che ne ebbe riporta: “Tutto ci appariva incantevole! La vista della solitudine, con il saluto alla Madonna, commosse i nostri cuori”. Fu indubbiamente un amore a prima vista rimasto immutato per tutto il resto della vita. Sta scritto che nel discorso pronunciato al suo ingresso nella sede episcopale di Bovino disse ai fedeli festanti: “ … Questo verde dei monti e dei boschi mi ricorda Piedimonte …”. Vi ritornò, sempre volentieri, varie volte, fino al 1970.

Con una cospicua offerta, agli inizi degli anni sessanta, aveva anche chiesto che fosse dedicata una stazione della Via Crucis in suffragio del fratello Vincenzo. Prima di morire, apportando delle modifiche alle sue disposizioni testamentarie donò al Convento i suoi libri, chiedendo pure la conversione in denaro della Croce, del laccio e dell’anello con i quali era stato consacrato a beneficio dell’Opera dei Ritiri.

Verso il noviziato:

Bianco Convento, che alla cima alpestre,

spunti, compenso della lunga ascesa,

ti sapevo, così, con la tua chiesa,

le gelosie, le piccole finestre!

Nel sogno mio, quale tu sei di rudi

balzi ti cinsi sempre e d’oliveti,

o dimora ideale per gli asceti,

che la porta, accogliendo, ora mi schiudi.

Ma dopo il breve tuo chiostro silente,

dove la povertà sembra un invito

a dolcezze che il cor non ha sentito

mai, fuori di qui, sì veramente;

ma, dopo il nudo corridoio, la cella,

la cella mia dischiusa agli orizzonti

io non sapeva, qui, fra questi monti,

la mia gioia sì grande, e così bella!

Dopo tanti anni:

O verde selva, al tuo silenzio austero,

come vorrei per sempre rifugiarmi!

lungi dal mondo, e in una cella farmi

solitario del bianco monastero!

Rigusterei le gioie francescane,

come i cari Novizi quindicenni,

e obbedirei, un’altra volta, ai cenni

dall’alba a sera, delle tue campane.

Perché conobbi, nei miei dì lontani,

sorriso di rinunzie e di preghiere,

questa tua pace, e di poterla avere

credevo, ancora, fra i tumulti umani;

ma dopo amare prove, più squisita

fra i tuoi bei rami, è l’intima mia festa;

mentre i ricordi del passato: Resta,

mi dicono, quassù, tutta la vita!

Ed ancora alcune sequenze di ottonari tratti dallo scritto, per il bicentenario della morte di San Giovan Giuseppe della Croce, Sul Monte Muto:

qui le selve e il chiostro antico,

qui ripeton la tua voce,

e del Muto i picchi al cielo

e gli sparsi santuari, dove il cuor dei Solitari

di Gesù rendesti anelo

tu qua scalzo, in rozza veste,

 poi che il magro corpo strazi,

volgi l’anima agli spazi

d’un amor tutto celeste

tu, espiando, i freddi inverni

dell’impervia cima soffri,

per altrui vittima t’offri,

elevato ai beni eterni

Sul sagrato, ai cieli schiusa,

l’alta aerea finestrella,

dopo secoli, è ancor quella

dove è l’ombra sua diffusa.

Se tra i rovi, sotto il vento,

spunti un frate agli irti balzi,

sembra Lui, che, a piedi scalzi,

chiede ancor del suo convento;

quando ai muri, brevi ancora,

risaliva ansando, grave

del macigno e della trave,

a compor l’erma dimora.

Sol tra i poveri e dimessa,

i suoi errori, là in un canto,

più non geme in lungo pianto

la pentita principessa;

ché Cecilia, da che, in pace,

al Ciel l’anima salìa,

come volle, di Maria

nel silvestre tempio giace.

Ma, sfiorando i precipizi

della selva immensa, ombrosa

come allora, silenziosa

va la schiera dei Novizi.

Forse all’Eremo davanti,

che alla madre di Dio eresse,

verrà il Santo a dir le stesse

preci, a dir gli stessi canti.

Ché mai fu di grazie avara

da quel dì, se Egli La preghi,

a chi al trono suo si pieghi,

quella Vergine sua cara.

Che ogni notte manda ancora

da quell’ombra, fra quei rami,

la sua luce a chi La chiami,

la sua luce a chi la implora.

Solitudini beate!

Quante ansiose umane cure

queste verdi clausure,

qui salendo, hanno invidiate!

Tra voi il cuor sente un oblio,

del fuggito mondo, ai mali;

pei silenzi celestiali,

sente un sol fremito: Dio!

 

 

 

Bibliografia:

D’Andrea P. Gioacchino o. f. m., “La Solitudine di Piedimonte Matese” 1980, p. 39

Olivieri G., La Solitudine di Piedimonte d’Alife, 1914, p. 13

Marrocco Dante, Piedimonte Matese, I ediz., 1961, pp. 228-238; II ediz., 1980, pp. 234-243; III edizione, 1999, pp. 230-39

Sebastianelli Francesco, Ode al Torano, in Il Veritiero, Anno II, n. 39, p.1

De Crescenzo Scolastica, E senza tempo, Gruppo Memorie Storiche, 2000, p. 15

Marrocco Dante, Il Canzoniere di Ludovico Paterno, 1951, p. 13

Antologia del Medio Volturno, 1976, pp. 12, 54, 61, 82, 133-34

Principe Leonardo, A. I. Russo (1882-1973), 1977, pp. 27-30, 35, 42, 49, 99, 105, 115, 122, 157, 167, 169, 171-72, 179-80, 355-56, 363-66, 369-71

Principe Leonardo, Andiamo a Monte Muto. Guida del Pellegrino – Turista

S. Maria Occorrevole di Piedimonte d’Alife nel suo V Centenario (1436-1936), 1937

Un sorriso di Sorella Acqua sul monte Muto, 1938

Bovenzi Crisostomo, Il santuario di S. Maria Occorrevole con l’annesso convento e l’eremo detto la Solitudine in Piedimonte d’Alife – Memorie, 1910

 

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