CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA CERAMICA A VERNICE NERA
DI ETÀ PREROMANA NELL’AREA ALIFANA
dott.
Marinella Lista
(Studio tratto da Il Territorio Alifano, archeologia, arte e storia, 1990,
pp. 75-94)
Il
Museo Alifano con sede a Piedimonte d’Alife fu istituito intorno agli anni ’30
e conteneva oggetti archeologici e moderni immessi nel 1935 e fra il 1938 e il
1940. La vita di questo istituto mussale è stata
relativamente breve e sfortunata ed il materiale archeologico custoditovi,
proveniente da vari centri dell’area intorno ad Alife, ha subito molti
spostamenti l’ultimo dei quali nei depositi del Museo Archeologico Nazionale di
Napoli. La ricognizione inventariale dei pezzi è stata
complicata, talvolta, dalla perdita delle etichette corrispondenti ai numeri di
prima immissione nel Museo Alifano. Comunque, in base
alle descrizioni degli oggetti contenuti nei vari cataloghi del Museo[1]
e ai numeri d’inventario superstiti è stato possibile ricostruire un quadro
abbastanza completo delle provenienze dei materiali suddivisi per classi. Fra
le varie classi ceramiche presenti ho avuto
l’opportunità di analizzare la classe della vernice nera, vale a dire quel tipo
di vasellame da tavola, fine, verniciato di nero, con precedenti già in età
arcaica e classica, caratteristico soprattutto dell’età ellenistica, allorché
si diffonde ampiamente nel Mediterraneo e in Italia. La vernice nera,
dapprincipio imita le forme della ceramica attica,
acquisendo la denominazione cd. di “precampana”,
secondo l’antica classificazione del Lamboglia[2],
e acquisendo poi le denominazioni di Campana “A; B; C;”
a seguito di distinzioni in base agli impasti e alle forme cui se ne aggiungono
altre in base a caratteristiche locali.
Numerosi scavi, soprattutto, di
necropoli hanno fornito elementi di conoscenza su questo tipo di produzione
ceramica presente nell’area alifana. Tuttavia la perdita quasi totale dei
materiali provenienti dagli scavi nel fondo Egg della
località “Conca d’Oro”[3]
o l’inutilità di analizzare il Corpus della collezione Egg, attualmente custodita a Zurigo[4],
per l’impossibilità di verificare con certezza le provenienze dei singoli
materiali, hanno reso importante l’analisi degli oggetti custoditi nell’ex
Museo Alifano, che insieme ai pochi altri scavati in località “Croce S. Maria” e pubblicati nel 1964[5],
forniscono il primo quadro d’insieme della produzione e della diffusione della
vernice nera all’interno dell’agro alitano.
Pur riconoscendo i limiti di uno
studio del materiale proveniente dall’area alifana in quanto
musealizzato e quindi parzialmente decontestualizzato il recupero preciso delle notizie di
provenienza, seppur generiche, fornirà, infatti, un primo approccio descrittivo
per quanto riguarda il colore, la qualità dell’argilla e della vernice, le
forme ricorrenti o meno in una determinata zona, le decorazioni impresse o
incise sul fondo dei vasi, nella speranza che futuri scavi, eseguiti in maniera
scientifica e documentata, possano riverificare le notizie, per forza di cose,
ora così parzialmente raccolte.
Il totale dei materiali
analizzati rappresenta ca. la metà di tutta la produzione a vernice nera
custodita nel museo, in parte decontestualizzata, ed
è quantificabile in ca. 66 pezzi suddivisi in due gruppi, dei quali il primo è
rappresentato da 33 esemplari provenienti dalla zona di Alife
e Piedimonte d’Alife, genericamente definito, 3 da Piedimonte, località
Squadre, appena 1 da Piedimonte, località Spicciano, ed infine ben 15 esemplari
da Piedimonte, località Ponticelli, mentre il secondo gruppo consiste in altri
33 oggetti attribuibili ai siti rispettivamente di Alvignano
(Compulteria): 2; di Caiazzo:
5; di Ailano: appena 2; Dragoni: 4; S. Potito Sannitico: 6; ed in ultimo di
Gioia Sannitica con un nucleo di 13 esemplari.
La vernice nera “alifana”
presenta l’argilla generalmente di colore rosato chiaro tendente al beige,
morbida al tatto. Più raramente il colore tende al giallo e all’arancione. La
fattura dei vasi è quasi sempre di mediocre qualità e
le forme presentano effetti di asimmetria per lo più nei bordi. Anche la vernice è di qualità non troppo elevata, di colore,
prevalentemente, nero tendente al marrone, opaca, alquanto diluita, spesso mal
cotta e facilmente scrostabile. Spesso una scialbatura color ocra è stesa negligentemente sulle
parti a risparmio dei fondi esterni dei piedi delle coppe. L’esiguità dei pezzi
riferiti ad un solo sito, infatti, non permette considerazioni
ulteriori sulla qualità dell’impasto e della vernice.
Per prima cosa analizzeremo i materiali
provenienti da Alife e Piedimonte. Fra questi la percentuale delle forme aperte
è nettamente superiore a quella delle forme chiuse.
Fra quest’ultime
si evidenziano due piccoli boccali, dei quali l’uno (n. inv.
241) da Piedimonte d’Alife – Squadre, confrontabile col tipo Morel 5374 a1[6],
risparmiato nella parte inferiore del corpo e nel piede, di produzione locale
la cui forma soprattutto diffusa nell’area della Campania interna e del Lazio[7]
è databile al più tardi al primo quarto del III sec. a.
C.. L’altro boccaletto (n. inv.
471), da Piedimonte d’Alife – Sepicciano, del quale,
peraltro, è difficile individuare vernice e pasta per le numerose incrostazioni
da cui è ricoperto, invece, è caratterizzato dal
ventre particolarmente bombato nella parte superiore, collo largo e bordo
svasato e da un’ansa a nastro che congiunge l’orlo e la spalla[8].
Fra le forme aperte particolare
rilievo occupa un cratere a campana di medie dimensioni (n. inv.
74) negligentemente verniciato, assimilabile al tipo Morel 4613 a1[9]
(tav. 1, fig. 74). Il cratere, di sicura produzione locale, dalla parete
molto bombata nella parte inferiore, raccordata mediante una curva accentuata
allo stelo del piede tronco-conico, e con le anse che risultano
molto attaccate alla parete, vicino all’orlo, sembra presentare qualità affini
alla produzione di crateri nell’area etruschizzata di
fine IV-III sec. a. C. e trova ulteriori interessanti
confronti anche nella coeva produzione di crateri a decorazione sovradipinta in rosso e bianco. A tal proposito si segnala
la presenza nello stesso ex-museo alitano, di un cratere a campana con
decorazione sovradipinta a motivi vegetali privo però
del piede, contrassegnato dal n. di inv. 156-27, mentre un confronto valido
per la parete molto bombata in basso si ha con un esemplare di un corredo
tombale di Teano[10].
Dalla località di Piedimonte –
Squadre provengono anche due crateri a campana di piccole dimensioni (nn. invv. 361 e 366),
caratterizzati, rispetto al precedente n. 74, dalla parete meno bombata nella parte
inferiore e da un andamento più sinuoso di essa. Pur non trovando confronti convincenti per la forma, a causa
delle loro ridotte dimensioni, si richiama ancora l’attenzione sulla presenza
di crateri “miniaturistici” a Teano[11].
Si avanza, quindi, anche per essi l’ipotesi di una
fabbrica locale databile tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a. C.
Il nucleo di vasi più omogeneo è
rappresentato da una serie di coppette su basso piede (nn.
invv. 312 e 317) e su alto piede con bordo
orizzontale, differenziate nel corpo: nn. invv. 322;
3…; 352 (tav. II, fig. 352); 353; 354 con parete esterna a profilo teso appena
bombato, e nn. invv.
3318 (tav. II, fig. 318); 319; 320 e 348 (tav. II, fig. 348)
con parete carenata nella parte inferiore oppure con carena appena arrotondata
(n. inv. 351) proveniente da Piedimonte
d’Alife.Questo nucleo proviene quasi nella sua
interezza dalla stessa località di Piedimonte d’Alife – località Ponticelli.
Tipica di questi vasi è in
particolare la decorazione incisa con motivi impressi a punzone sovradipinti. Fra questi prevalgono il Kymation
ionico, i cerchietti concentrici, i semicerchi concentrici puntinati prolungati da brevi tratti rettilinei e motivi
semiellittici puntinati.Questi motivi si ritrovano
sia sul fondo delle coppe sia, più semplicemente, sui bordi orizzontali. In
minor misura sono presenti i motivi, posti sui bordi orizzontali, con la
decorazione di tralci incisi, colorati di rosso, privi,
però, delle bacche sovradipinte (nn.
invv. 348 – tav. II, fig. 348; 350, 354). In alcuni
esemplari alla decorazione, sempre più disordinatamente composta e talvolta
quasi illeggibile, anche per l’uso del punzone a mano libera, e comunque per lo stato di conservazione, corrispondono forme
più rozze nei tipi ceramici.
Completa il nucleo la serie di paterette con bordo aggettante (nn.
invv. 312; 317 – Tav. III,
fig. 317) dove ai motivi impressi precedentemente
descritti si accompagnano, a volte, gruppi di cerchi incisi concentrici
alternati a guillochures. Nel caso della
parete con bordo aggettante si tratta di una forma particolarmente diffusa in
tutta l’area etruschizzante. L’omogeneità, comunque, della pasta rosa-beige morbida e della
vernice nero-marrone e soprattutto delle forme e dei motivi decorativi fa
pensare ad una produzione regionale o meglio ancora locale con confronti
strettissimi con i materiali ceramici rinvenuti e prodotti a Teano tra la fine
del IV e gli inizi del III sec. a. C.[12].
È possibile che nel caso di questo nucleo di coppette su piede si possa avanzare anche l’ipotesi di un’importazione da Teano stessa.
Sempre a Piedimonte d’Alife,
località Monticelli, provengono due piccole coppe a
vasca profonda provviste di una sola ansa orizzontale laterale (bolsal) (nn. invv. 315; 316) assimilabili al tipo Morel 6231 oppure 6231c1[13].
L’omogeneità d’argilla rosata
dura, la vernice di colore nerastro così come la scarsa frequenza della forma
delle coppe monoansate caratterizzata dall’orlo
appena svasato fra i materiali custoditi nell’ex museo fanno pensare ad una
produzione locale. I confronti migliori si hanno con i materiali provenienti da
Capua[14]
databili probabilmente al IV sec. a.
C.
Fra tutti i materiali provenienti
da Alife e Piedimonte è presente, invece, un’unica
coppa su basso piede, ad anse ripiegate (n. inv. 198)[15]
(tav. III, fig. 198). Considerata la natura dell’argilla rosata morbida, della
vernice nero-marrone e la forma assimilabile al tipo Morel
4253 b2[16]
si può avanzare l’ipotesi di una produzione regionale
imitante forme diffuse per lo più in Etruria e nella
Italia centrale intorno alla fine del IV o agli inizi del III sec. a. C.
Questa coppa è interessante anche
per le decorazioni impresse con al centro un gorgoneion circondato agli angoli da quattro piccole
palmette di buona fattura di tradizione attica[17]
con le foglie distribuite a ventaglio attorno ad un piccolo triangolo al di
sopra di due girali.
Comunque,
i vasi che presentano la decorazione a palmette impresse sono di numero di gran
lungo inferiore rispetto a quelli adorni con i motivi tipici della “ceramica di
Teano”. Si tratta, infatti, di altre tre forme aperte
(nn. invv. 301 – tav. III fig. 301; 302 – tav. III fig. 302; 325 – tav. III
fig. 325). La coppa n. inv. 301, dalla parete
appena bombata verso l’alto e dal bordo ribattuto e leggermente ingrossato, assimilabile
ai tipi Morel 2671 a1 e 2672 a3[18],
è quasi sicuramente un prodotto locale, per la qualità della pasta e della
vernice nero-marrone molto evanida, di imitazione di forme diffuse in area etruschizzante.
Al suo interno le palmette, anche qui di tradizione attica,
disposte in maniera eccentrica e disordinata, di cui alcune poco leggibili,
sono caratterizzate dal fusto largo e dalle foglie con le punte spesse e
ripiegate e risultano alternate probabilmente ad un
tipo di foglie non chiaramente impresse[19].
Al versante della produzione capuana sembra, invece riferirsi
la coppa n. inv. 302, con la
vernice che risente degli effetti di una cattiva cottura, dalla parete
curvilinea decorata al suo interno con una serie di guillochures
ed al centro un motivo a catena di fasce ellissoidali puntinate
non raccordate fra loro. La cronologia di entrambe
le coppe parrebbe stabilirsi agli inizi del III sec. a.
C. . La coppa con il n. inv. 325 ha, invece, vasca
molto larga con inflessione ad angolo a ca. metà dell’altezza della parete. Al
suo interno, oltre una serie fitta di guillochures,
sono impresse quattro palmette disposte a croce, anch’esse di tradizione attica, caratterizzate da foglie
piatte che insistono su di un piccolo corpo centrale triangolare e, al di sotto,
la coppia dei girali, confrontabile con esemplari di decorazioni presenti anche
a Teano. Si tratta, con buone probabilità di una produzione locale o meglio
regionale. La datazione nel caso dell’esemplare di Alife
sembra doversi collocare alla seconda metà del IV – inizi III sec. a. C.
Infine occorre trattare di una
coppetta con strigliature (n. inv. 313)
e di un guttus (n. inv.
79 – tav. III, fig. 79). Per la coppetta assimilabile al tipo Morel 1571 c1[20],
considerata la qualità dell’argilla e della vernice, si può ipotizzare una
produzione non locale, probabilmente d’importazione di ambito
campano. La forma è diffusa nell’Italia meridionale tra la seconda metà del IV e la prima metà del III sec. a.
C. il guttus, invece, dal corpo bombato
strigliato, versatolo con applique leonina ed orifizio di riempimento
per il filtro con otto fori disposti in maniera asimmetrica e l’ansa ad anello
con nervature, impostata sulla spalla, pur non trovando confronti validi nella
tipologia Morel, può, tuttavia, datarsi anch’esso
alla seconda metà del IV sec. a.
C., imitando da vicino esemplari noti provenienti da Capua
e dintorni[21]. Si tralascia per ora un
numero considerevole di pezzi, parzialmente verniciati di nero, per trattare
l’argomento unendo insieme tutti i materiali con le stesse caratteristiche,
distinti per provenienza.
Si analizza, ora, il restante
materiale (33 pezzi) che ha la stessa consistenza quantitativa di quello
proveniente dai soli centri di Alife e Piedimonte. I vasi sono attribuibili a vari centri: Caiazzo;
Allignano (Compulteria) e Montesarchio;
Ailano; Dragoni; S. Potito Sannitico ed infine Gioia Sannitica.
Da Ailano proviene un piattello
su alto piede (n. inv. 331) (tav. II fig. 331) con
motivi decorativi sovradipinti in bianco e rosso, che
pur non trovando confronti stringenti sul pian della forma con la produzione
ceramica di Teano a quest’ultima, comunque,
si ispira per il disegno ad onda dipinto in rosso e per la serie di cerchi puntinati in bianco che insistono su cerchi incisi,
concentrici e a loro volta riempiti di colore. Le forme delle coppette,
provenienti da Dragoni, a profilo concavo-convesso (nn. invv. 291;
292; 293 – tav. II, fig. 293; 293)[22]
assimilabili, in genere, alla specie Morel 2410 e, in
particolare, per il pezzo n. inv. 293 al tipo Morel 2411 a1sono databili tra la fine del
IV e gli inizi del III sec. a. C. . In questo
tipo di coppette la decorazione impressa presenta quattro palmette disposte a
croce in maniera piuttosto eccentrica e circondate da cerchi incisi oppure da
quattro a sei file di guillochures. Il
disegno della palmetta è simile molto a quello presente in alcuni piatti
rinvenuti in alcuni corredi di tombe scavate nella contrada Gradavola
di Teano[23]. Questo tipo di palmetta,
dai contorni netti, è ben leggibile nei particolari dei girali
semplici, posti alla base, e dal corpo centrale costituito da un semplice punto
a rilievo. Le foglie disposte a ventaglio sono stilizzate e appiattite. È da
notare che le coppette a profilo concavo-convesso non
sono presenti fra i materiali del nucleo proveniente da Alife e Piedimonte.
Completa il quadro della ceramica
di Dragoni una semplice coppa n. inv. 294, dalla vasca abbastanza larga rispetto al diametro del piede e
dall’orlo rientrante, assimilabile al tipo Morel 2783
g1[24]
collocabile cronologicamente tra la fine IV ma più probabilmente nella
prima metà del III sec. a. C..
Sia per le coppette a profilo concavo-convesso sia per quest’ultima
coppa, considerate l’argilla morbida di colore beige e la vernice nera
tendente al marrone, si può avanzare l’ipotesi di una
produzione locale ispirata in generale ai modelli di produzioni diverse
dell’Italia centrale, dall’Umbria al Sannio, Lazio e Campania settentrionale.
Il materiale di S. Potito Sannitico, invece, sembra caratterizzato da una certa
omogeneità di argilla rosa più carico, tendente
all’arancione, alquanto morbida. Il panorama delle forme ceramiche di S. Potito
si rifà a tipi già presentati a Dragoni, come ad es. per la coppetta a profilo concavo-convesso contraddistinta dal piede basso rispetto alla altezza della vasca (n. inv.
289) (tav. II, fig. 289). La fabbrica è probabilmente locale e vale anche qui
il confronto con esemplari di produzioni campane fra le quali spicca quella di Capua o Teano e dintorni[25].
Per quanto riguarda, invece, i tipi delle coppette ad orlo
rientrante ed ingrossato (nn. inv. 290; 738), anticipando quanto si dirà a proposito
delle coppette di forma analoga rinvenute a Gioia Sannitica, i confronti sono
con ogni probabilità con forme tipiche nella produzione locale dell’Italia
meridionale e in particolare, diffuse un po’ dappertutto in ambiente campano[26],
databili dall’ultimo quarto del V sec. fino agli ultimi decenni del IV sec. a. C.
Il centro di Gioia Sannitica
presenta, soprattutto, un discreto numero di coppe (nn.
invv. 219 (tav. II, fig. 219); 269; 271; 275; 276
(?); 278 (?); 279; 285-286) di piccole dimensioni, poco profonde, bombate
talvolta all’orlo che si ingrossa più fortemente, con
piede largo, variamente accidentato all’esterno[27].Questo
tipo di coppetta forse anch’esso di fabbrica locale, tenuto conto dei caratteri
della argilla rosa chiaro che in due soli esemplari
sembra tendere al giallo (nn. invv.
271; 275) e la vernice nero-marrone più spesso opaca che lucente, rientra in un
gruppo di coppette di tradizione ellenistica frequente nella ceramica attica e in quella della Sicilia occidentale cui si ispirano le coppe di piccole dimensioni prodotte in Magna
Grecia.
Il tipo di queste coppette è
privo di decorazione e presenta sotto il piede, spesso “umbelicato”,
traccia di scialbatura color ocra. La cronologia va
dalla metà o dalla fine del IV ai primi decenni del
III sec. a. C..
La decorazione impressa è invece
presente all’interno di una coppa (n. inv. 220)
databile alla metà del II sec. a.
C.. Si tratta di una coppa dalla vasca e dal piede relativamente poco larghi,
con orlo appena bombato. Sul fondo interno della vasca in posizione lievemente
eccentrica sono disposte a croce quattro palmette ben
leggibili con foglie filiformi incurvate verso il basso, di tradizione attica. Per la forma si confrontino i tipi Morel 2788 d1 ed f1[28].
Assimilabile, invece, a forme
spesso ricorrenti nei corredi della necropoli di Teano è il piattello su basso
piede (n. inv. 217) con orlo
distinto e faccetta superiore smussata, confrontabile con il tipo Morel 2333 h1[29].
La decorazione presenta la consueta disposizione a croce delle palmette già
descritte a proposito di alcuni esemplari di coppette
a profilo concavo-convesso di Dragoni. La datazione è
da collocarsi ai primi decenne del III sec. a. C.
A Gioia Sannitica sono presenti
anche le forme chiuse (nn. invv.
236; 237) di due boccaletti. Il primo con l’orlo
svasato e il corpo “a sacco”, l’ansa ad anello, caratterizzato dalla
particolarità di essere completamente verniciato, assimilabile al tipo Morel 5233 d1[30],
trova confronti con produzioni dell’Italia meridionale e Puglia settentrionale.
La qualità del boccaletto sia per la vernice lucente
sia per la fattura può indurre forse a ipotizzare una
produzione non locale. L’altro boccaletto, invece,
dalla forma panciuta e dall’orlo svasato, nettamente distinto per il corpo e
l’ansa sopraelevata, provvista di lievi apicature,
trova confronti col tipo Morel 5562 a1[31]
ed è di probabile fabbrica locale o regionale, databile alla metà del III sec. a. C..
Si analizzano, infine, i
materiali provenienti dai centri più lontani da Alife: Caiazzo , Alvignano (Compulteria)
e Montesarchio.
Ad Alvignano
prevalgono insolitamente le forme chiuse[32]:
a parte un balsamario parzialmente risparmiato nella
parte inferiore, del quale si parlerà in seguito, appare interessante la
presenza di un’anfora rotta in due pezzi (n. inv. 210) con corpo affusolato e desinente
nella parte inferiore in un puntale a bottone parzialmente risparmiato.
La forma dell’anfora si riscontra raramente[33]
fra i materiali del museo e trova il confronto più stringente col tipo Morel 3645 a1[34],
esemplare di produzione della Puglia meridionale, che differisce in molti
particolari fra i quali il più rilevante appare il puntale privo del “bottone”[35].
Considerata anche la fattura di notevole qualità del pezzo e l’omogeneità della
vernice, il vaso può ascriversi ad una specie di anfora,
caratterizzata da ventre sferoidale, spalla marcata, senza però rottura della
curva della parete e dalle anse congiungenti la metà del collo alla spalla, che
pare diffusa, in particolar modo, nel Sannio settentrionale, probabilmente di
produzione non locale collocabile cronologicamente agli inizi del III sec. a. C. I confronti migliori sono, però, con forme di anfore commerciali largamente importate dal mondo greco.
L’unica forma aperta è costituita
da una patera (n. inv. 215) (tav. III, fig. 215) a
bordo aggettante, ricadente, percorso da più solchi e gole, contraddistinta
dalla decorazione impressa già nota nella ceramica di Teano. Al
centro della vasca oltre una serie di tre file di guillochures,
quattro palmette disposte a croce che insistono attorno ad un cerchiello puntinati inciso.
Tra una palmetta e l’altra gruppi di tre cerchi puntinati, disposti a triangolo, con vertice in basso. Il
tipo della palmetta assomiglia a quello convesso della “ceramica di Teano”, ma
più rozza nella resa per una linea orizzontale che al di
sopra dei girali demarca la base da cui nascono le foglie stilizzate,
delineate con brevi tratti verticali. La forma del piattello è assimilabile al
tipo Morel 1331 c1[36]
Le paterette
di questa forma, pura avendo nella decorazione un riferimento preciso nella
ceramica di Teano sono anche diffuse, in particolar modo, nell’Etruria meridionale e nel Lazio nella zona attorno a Roma.
Dal sito di Caiazzo proviene, infine, un gruppo di
coppe dalla vasca non troppo larga, parete bombata e piede ad anello (nn. invv. 221;
223; 224[37])[38].
Per esse si può parlare di forme di imitazione locale
di una produzione diffusa nell’Italia centrale e databile dal IV al II sec. a. C.. L’argilla dei materiali rinvenuti a Caiazzo varia dal rosa-beige al rosa carico, più
dura che morbida per quanto riguarda la consistenza, mentre la vernice, come
per la maggioranza dei materiali rinvenuti nell’agro alitano, si presenta di
colore nero tendente al marrone, generalmente opaca.
Si è rimandato in ultimo la
trattazione del materiale ceramico parzialmente verniciato di nero con larghe
fasce a risparmio.
Tenendo sempre distinti i pezzi
per provenienza il nucleo più ricco è attestato ad
Alife (nn. invv. 296; 297 – tav. IV, figg. 297; 298; 299; 300 – tav. IV, fig. 300;
303; 304; sn. 1, sn.
2). Fra questi si segnalano due scodelle monoansate (nn. invv. 303;
304, tav. IV, figg. 303-4) di più grandi dimensioni, con un diametro di 22 cm.
ca., rispetto al gruppo di
altre ciotole. La vasca è emisferica su piede ad anello ed il labbro a faccia
superiore piana, l’ansa “a maniglia” a sezione circolare, impostata appena
sotto l’orlo.
La superficie interna è
completamente verniciata con l’esclusione di una breve fascia a ca. metà, nel
caso del pezzo n. inv. 303, mentre quella
esterna presenta, invece, verniciati la fascia superiore dell’orlo ed
una larga fascia a ca. metà della parete. Anche le anse risultano
verniciate per il tratto più sporgente. Lievi differenze esistono tra i due
esemplari riguardo al piede e all’ansa più o meno ripiegata. Confronti buoni
per le ciotole ad una sola ansa sono costituiti dai materiali del museo campano
di Capua[39],
così come soprattutto per le coppe di più piccole dimensioni (nn. invv. 297;
298; 299; 300[40]) caratterizzate dal
diametro della bocca che oscilla tra i ca. 17 e 18 cm. oppure per le coppe (nn. invv. 295 e 296) univoche fra quelle senz’ansa ad avere il diametro della
bocca più largo. Queste coppe sono contraddistinte dalla vasca profonda
dal profilo bombato, piede ad anello e particolarmente dall’orlo estroflesso. La verniciatura delle coppe più piccole presentano l’interno sempre completamente verniciato
compreso, talvolta, il bordo esterno (nelle coppe 297; 298; 299) da un’unica
grande fascia posta a ca. metà dell’altezza della vasca. In un sol caso (n. inv. 300) la coppa può considerarsi completamente
verniciata se non per la parte inferiore della parete esterna e per il piede.
Diverso sostanzialmente da quest’ultimo modo descritto di stendere la vernice è il
motivo a fasce usato per le coppe di dimensioni più grandi (nn.
invv. 295 e 296) più simile a quello utilizzato per
le scodelle monoansate; una sottile linea a risparmio
posta poco al di sotto del labbro verniciato,
verniciato così come tutto il resto interno della vasca, mentre all’esterno la
solita grande fascia di vernice è stesa a ca. metà dell’altezza della parete.
Gli stessi confronti col materiale del museo campano valgono anche per gli
altri pochi esemplari di coppe consimili provenienti da S. Potito Sannitico e
Ailano. I pezzi di S. Potito (invv. 305; 307), sono
caratterizzati da vasca profonda a profilo bombato, orlo estroflesso,
del tutto verniciato all’interno ed al bordo, con un fascia
stesa a metà della vasca, ed infine la coppa di Ailano, verniciata del tutto
all’interno e risparmiata nella parte inferiore della parete, differisce dai
precedenti esemplari di S. Potito per l’orlo lievemente rientrante e ingrossato[41].
Dal punto di vista tecnico tutti
questi vasi hanno un’argilla di colore rosa-beige, tendente a volte al
giallognolo più spesso dura che morbida, e vernice nero-marrone quasi sempre opaca. Le parti a risparmio sono generalmente
con ingubbiatura colore arancio o biancastro. Spesso
nelle vicinanze della fascia verniciata sono “tirate” linee più sottili, non
sempre chiaramente leggibili, dovute forse al procedimento della vernice
negligentemente stesa. Spesso sulle coppe si riscontrano segni graffiti; ad es.
sul lato della vasca del pezzo, n. inv. 300, tre
segni verticali (tav. IV, fig. 300), oppure più spesso un segno ad X rozzamente inciso dopo la cottura sotto il piede
lasciato a risparmio.
Le coppe con bordo estroflesso pertinenti alla ceramica a vernice nera c.d. “etrusco arcaica” diffusa in un’area etruschizzata
che si esente dall’Italia centrale, alla Campania[42]
ed al Piceno, a partire dal VI sec. a. C. inoltrato,
sembrano doversi attribuire per la loro caratteristica dei vasi decorati a
fasce o comunque parzialmente verniciati a tutt’altro panorama culturale e cronologico rispetto a
quello della produzione a vernice nera.
Per la forma caratteristica della
VI fase di Capua[43],
similitudini più interessanti si propongono cos’ con materiali in larga misura
rinvenuti nelle necropoli della Campania (Calatia,
Suessula, Nola[44],
Vico Equense[45],
Castellammare di Stabia (Località Madonna delle
Grazie[46]),
Avella, Fratte, Nocera) o
delle zone sannitiche (Alfedena[47],
Pozzilli[48],
Cairano[49]).
Dalle associazioni nei corredi di questi siti con vasi di vernice nera di
produzione probabilmente capuana si può stabilire la
cronologia di queste coppe alla metà del V sec. a. C.
o V sec. a. C. in genere, ponendole, altresì in un
rapporto, sia pure problematico, con la ricca classe
cd. “ionica” dei vasi con decorazione a fasce. È ovvio, però, che i confini di
questo gruppo di ceramica parzialmente verniciata, sin qui presa in esame, di
sicura produzione regionale, restino comunque incerti
e difficili da definirsi[50].
Stesso discorso vale per una
piccola olla stannoide dal corpo di forma globulare
su piccolo piede e breve orlo “a colletto” proveniente da Montesarchio
(n. inv. 333). I confronti migliori sono con
materiali di Lipari, anche se non si può supporre un nesso diretto[51],
con essi oppure con alcuni cd. “lebeti nuziali” di
dimensioni lievemente superiori a quelle dell’esemplare di Montesarchio,
custoditi nel museo campano di Capua[52]
Ad altro panorama culturale e
cronologico appartengono altri due vasi parzialmente verniciati: il balsamario piriforme dalla spalla marcata su cui son segnate delle picco prese (n. inv. 75) da Allignano ed il piattello rientrante, quasi del
tutto verniciato se non per la parte inferiore esterna ed il fondo esterno del
piede “umbelicato”. La tecnica usata per la loro
verniciatura “ad immersione” è diversa da quella utilizzata
per le scodelle monoansate e per le coppe “a fasce”.
Pertanto supponendo anche per essi una produzione
locale si possono datare rispettivamente alla seconda metà del IV sec. a. C. e fine V inizi IV sec. a.
C..
Completa il panorama del gruppo
di ceramica parzialmente verniciata, due esemplari di brocche decorate a fasce,
prive dei nn. di invv. di immissione nel museo
alitano, in quanto scavati nel 1926 ad Alife in proprietà Vessella[53],
dalla superficie molto incrostata, caratterizzate dal corpo panciuto, breve
collo indistinto, bocca tonda sagomata all’orlo ed ansa di poco sormontante. La
decorazione a fasce, per quanto si può scorgere al di sotto
delle incrostazioni, è formata da una serie di strisce strette, oppure
da un’unica banda negligentemente verniciata, collocate nel punto di massima
espansione del ventre e correnti anche sull’attacco inferiore dell’ansa. Anche il bordo è verniciato (tav. IV, fig. s. n. 3). I confronti migliori sono, ancora
una volta, con materiali custoditi nel museo campano[54].
I materiali confrontabili, benché musealizzati, sono per lo più di provenienza campana[55]
così come confermato dal confronto di una brocca, seppure grezza, di forma
analoga, proveniente da Ponticelli[56].
Questo tipo di brocche,
conosciute in ambito genericamente etrusco ed ispirate a modelli bronzei del V
sec. a. C., è probabilmente di produzione locale, ha
la qualità dell’argilla non troppo depurata ed è databile anch’esso al V sec. a. C. inoltrato[57].
Da un quadro d’insieme si può
dedurre che il materiale a vernice nera, proveniente dall’area alifana, è
costituito in massima parte da importazioni da Teano con particolare riguardo
alle forme delle coppette su piede con decorazioni tipiche incise e riempite di
colore. L’altro aspetto evidente è la presenza di un nucleo di vasi
parzialmente verniciati decorati a fasce con una tecnica, quindi, diversa da
quella “ad immersione”.
Tali materiali attestano i
rapporti intercorrenti tra l’area alifana e quella campana e, in particolar
modo, con l’area capuana soprattutto durante l’intero
V sec. a. C.
Dall’analisi del repertorio di
forme della “vernice nera”, propriamente detta, si richiama l’attenzione su un
tipo di anfora con puntale pomellato i cui confronti
sono stati individuati con anfore commerciali largamente importate dal mondo
greco. Le forme più attestate, però, risultano essere le coppe a profilo concavo-convesso e le coppette ad orlo rientrante ed
ingrossato, ampiamente ricorrenti nei corredi tombali dell’area campana, per le
quali, comunque, è da sottolineare un confronto
stretto con la produzione capuana che si diffonde
all’interno, anche se non si è ancora in grado di definire tempi e luoghi della
creazione e sviluppo delle singole officine.
Ringrazio il Soprintendente Archeologo delle Province di Napoli e Caserta, dott. Enrica Pozzi per l’autorizzazione allo studio dei materiali dell’ex Museo Alifano di Piedimonte d’Alife ed il Prof. Werner Johannowsky cui devo preziosissimi suggerimenti
[1] Gli oggetti antichi occupano la prima parte dei volumi dei cataloghi. Infatti in origine il Museo Alifano conteneva anche oggetti medioevali e moderni. Il titolo del catalogo consultato è: Museo Alifano di Piedimonte d’Alife, Oggetti di antichità 31-12-1935, Catalogo: Parte I del materiale entrato nell’annata 1935 curato dall’allora direttore C. Marrocco. Utile ai fini dell’individuazione delle notizie di provenienza anche la consultazione del verbale di consegna del materiale presso i depositi del Museo Nazionale di Napoli, redatto all’indomani dei furti di monete perpetrati ai danni del museo.
[2] N. Lamboglia, “Per una classificazione preliminare della ceramica campana” in “Atti del I Convegno internazionale di Studi Liguri”, Bordighera 1950, Bordighera 1952, pp. 29-30.
[3] In una parte del sito di Conca d’oro, in proprietà Egg-Leiter, furono effettuate due campagne di scavo, la prima fra il gennaio e novembre 1880 e la seconda dal 1881 al 1884, cfr. l’articolo di H. Dressel, “La necropoli presso Alife” in Bullettino dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica, Roma 1884, p. 219 e sgg. Tav. O-P.
[4] L’identificazione dei
materiali pubblicati dal Dressel e scavati fra il
1881 ed il 1884 risulta difficile poiché è molto
improbabile siano confluiti per la più parte nella collezione dell’Università
di Zurigo. In realtà questa collezione consta di due
nuclei: l’uno costituito da acquisti e donazioni,
l’altro dalla raccolta della locale società antiquaria che deve la sua nascita
all’attività di I. I. Egg (1765-11843), industriale
tessile, stabilitosi a Piedimonte d’Alife, che si impegnò
a fare acquisti e spedizioni per la Società antiquaria di Zurigo,
soprattutto di oggetti comprati sul mercato antiquario del Regno di Napoli
(Campania e in special modo Puglia) piuttosto che provenienti dal fondo alitano
di Conca d’oro di sua proprietà, così come appare dalla documentazione
rimastaci e analizzata da H. P. Isler
nell’introduzione del CVA di Zurigo I, Schweiz, fasc. 2,
Roma 1973 e in un articolo intitolato: Johann Jacob Eggs
Antikenschenkungen zur Geschichte der archäologischen Sammlungen“ in Neue
Zürcher Zeitung 454, del 30-9-1970.
[5] G. Cerulli Irelli, “Alife, tombe sannitiche in località Croce”, in Notizie degli scavi di Antichità, (d’ora in avanti abbreviata in NSA), 1965, pp. 274-287.
[6] J. P. Morel, Céramique Campanienne : les formes, Roma 1981, (d’ora in avanti abbreviato in Morel, C. C.) texte p. 357, pl. 166.
[7] Per l’area di Teano cfr. W. Johannowsky, “Relazione preliminare sugli scavi di Teano” in Bollettino d’Arte (d’ora in avanti abbreviato Johannowsky, BdA 1963) LVIII, 1963 fig. 71, e, per la stipe della Marica cfr. Mingazzini, “Il santuario della dea Marica alle foci del Garigliano” in Monumenti Antichi dei Lincei XXX-VII, 1938, tav. XXXV, I (d’ora in avanti abbreviato Mingazzini, MAL XXX-VII).
[8] Morel, CC, texte p. 350, pl. 162, tipo 5313 a1 (?). Nel caso che la pulizia e il restauro del vaso confermino il confronto con il tipo Morel si potrà avanzare, per questo boccaletto, l’ipotesi di una probabile produzione iberica di III sec. a. C.
[9] Morel, CC, texte p.
322, pl. 138.
[10] E. Gabrigi, “Necropoli di età ellenistica a Teano dei Sidicini” in Monumenti Antichi dei Lincei XX, 1910 (d’ora in avanti abbreviato in Gabrigi, MAL XX), coll. 64, fig. 34, t. 7.
[11] Gabrigi, MAL XX, coll. 81-84, fig. 51, t. 34.
[12] Johannowsky,
BdA 1963, p. 136; Gabrigi,
MAL XX, coll. 31-33.
[13] Morel, CC, texte p.
395, pl. 194.
[14] P. Mingazzini, CVA, Italia XXIX, Capua Museo Campano (III) IV, E g, tav. 20,3 (inv. 7965) anche con confronti con esemplari analoghi apuli (d’ora in avanti abbreviato in CVA Capua (III) IV, E g).
[15] Altri due esemplari sono custoditi fra i materiali dell’ex Museo Alifano ma risultano privi di dati di provenienza.
[16] Morel, CC, p. 299, pl. 123 (differisce nel piede e nell’impostazione delle anse).
[17] Cfr. B. Sparkes – M. Talcott, The Athenian Agora vol. XII, Black and plain
pottery of the 6 th., 5 th.
And 4 th. Centuries b. C.,
Princeton (New Jersey) 1970, pl. 51, 503; pl. 53, 559-560; pl. 59, 826; 8d’ora
in avanti citato Athenian
Agora XII).
[18] Morel, CC, p. 203, pl. 65 (molti esemplari del tipo 2671 a1, provengono da Paestum).
[19] Cfr. CVA, (III) IV, E g, tav. 25, 2; tav. 28, 5 e soprattutto le palmette di alcune “Arethusaschalen” in Gabrigi, MAL XX, coll. 47-50. Comunque la decorazione che sembra alternare due tipi di palmette, delle quali un tipo dai contorni appena leggibili, impresso con punzoni a mano libera, sembra imitazione locale di tradizione attica: cfr. Athenian Agora XII, pl. 59, 1053; pl. 53, 554.
[20] Morel, CC, p. 124 pl. 24.
[21] CVA, Capua (III) IV, E g, tav. 13, 1-2.
[22] Johannowsky, BdA 1963, fig. 7 a.
[23] Gabrici, MAL XX, paterette in corredi tombali: 1; 3; 5; 7; 34; 47; 62; 79; 85. Negli esemplari di Teano alle palmette disposte “a croce” è abbinata una testa dai tratti marcati semplificati e caricaturistici a mò di maschera: cfr. ibidem, col. 27, fig. 14.
[24] Morel, CC, p. 222, pl. 72.
[25] Morel, CC, p. 171, pl. 50, tipo 2435 e 1 (l’esemplare alitano differisce, però, nel piede).
[26] Per il
panorama delle forme ceramiche presenti nei corredi delle necropoli campane cfr. A. Maturi, “Caivano”,
in Notizie degli scavi di antichità (d’ora in
avanti abbreviato NSA), 1931, pp. 577-614, fig. 8 tomba V e fig. 15 tomba IX;
tomba XI; tomba XIII; fig. 20, tomba XIV; A. Maturi, “Maddaloni.
Tombe preromane nell’agro di Calatia”, in NSA, 1936, pp.
51-59: tomba VIII=48; G. Q. Giglioli,
“Caserta, tombe osche rinvenute nella frazione,
“S. Nicola la Strada”, in NSA, 1936, pp. 353-359; A. Rocco, “S.
Marcellino (Trentola,
Caserta). Rinvenimento di tombe”
in NSA, 1953 p. 190-191, fig. 1; M. Borghi Jovino e
R. Donceel, La necropoli di Nola preromana, Napoli, s. d.
(1969); per S. Prisco: W. Johannowsky,
“Nuove tombe dipinte campane” in Atti dell’XI
Convegno di studi sulla Magna Grecia,Taranto 1971, Napoli 1972 pp. 375-381;
W. Johannowsky, “S.
Antimo (Campania, Napoli)” in Fasti Archeologici XXII, 1971, p. 205.
[27] Morel, CC, texte p. 208-209, p. 219 ; pll 66-67 ; 71, tipi 2711 a1 ; 2713 a1; 2714 e1; 2715 a1; 2765 a1; d1.; per la coppa n. inv. 219 il confronto migliore è con il tipo Morel 2765 d1.
[28] Morel, CC, texte pp.
225-226, pl. 74.
[29] Morel, CC, texte pp.
150, pl. 36.
[30] Morel, CC, texte pp.
345, pl. 159.
[31] Morel, CC, texte pp.
370-371, pl. 175.
[32] Appare qui interessante segnalare il rinvenimento ad Alvignano di un’oinochoe a bocca trilobata con ansa sopraelevata, con il corpo bombato rastremato in basso e a base piana. Se per la forma rientra nell’ambito del cd. Gruppo delle “cruches à bec”, assimilabili ai tipi Morel 5731 g1 e h1 (Morel, CC, texte pp. 383-384, pl. 187) ispirate ad una produzione tipica dell’area etruschizzata diffusa nell’intera area centro-italica, l’oinochoe, tuttavia, appartiene alla classe dei vasi sovradipinti in quanto presenta due palmette “a ventaglio” di cui una adorna, su un sol lato , con un girale. I colori sono, attualmente, molto evanidi e quasi sotto l’ansa sembra potersi riconoscere la figurina di un ammantato. Il vaso è sicuramente di fabbrica locale ed è databile tra IV e III sec. a. C.. Comunque, per i rapporti stretti tra produzione a vernice nera e quella dei vasi sovradipinti si confronti anche quanto si è detto a pag. 78 a proposito di un cratere adorno con motivi vegetali.
[33] Fra tutti i materiali esiste una sola altra anfora, frammentata all’orlo, che è svasato; ha piede tronco-conico, corpo affusolato, vernice evanida e stesa negligentemente in maniera non omogenea. La forma è diversa da quella dell’esemplare di Alvignano. Per la forma si confronti Athenian Agora, p. 340, 1483, pl. 62 di fine V sec. a. C. appartenente ad una serie di anfore da tavola di fabbriche non attiche importate, e ancora 1494, pl. 63 dei primi del V sec. a. C..
[34] Morel, CC, texte p,
276, pl. 108.
[35] Gabrici, MAL XX, coll. 83-85; fig. 53, T. 35 (57).
[36] Morel, CC, texte p. 107, pl. 14 (l’esemplare « alifano » differisce nel piede).
[37] Morel, CC, texte pp.
222-226, pll. 73-74.
[38] Morel, CC, pp. 225, p. 74.
[39] P. Mingazzini, CVA, Italia XLIV, Capua Museo Campano (IV) 1969, IV B, tav. 2, 4; 10-11 (d’ora in avanti abbreviato CVA Capua (IV) IV B.
[40] CVA, Capua (IV) IV B, tav. 2, I per le scodelle più grandi di diametro e quelle di diametro inferiore; si cfr. ivi la bibliografia.
[41] Per la forma cfr. Morel, CC, texte pp. 243-244; pl. 84; tipo Morel 2981 b1; d1.
[42] S. De Caro, Saggi nell’area del Tempio di Apollo a Pompei, AION, Quad. 3, Napoli, 1986, p. 102 nn. 766-767.
[43] W. Johannowsky, Materiali di età arcaica della Campania, Napoli 1986.
[44] Nola, Necropoli Ronga. Si confronti M. Borghi Jovino e R. Donceel, op. cit..
[45] M. Borghi Jovino, La necropoli preromana di Vico Equense, Cava dei Tirreni 1982, p. 126. L’autrice distingue due tipi di coppe su piede ad anello parzialmente verniciate. Produzione attribuibile a fabbriche della Campania settentrionale (Capua).
[46] Cl. Albore Livadie, “La tomba 107 (Proprietà N. D’Amora) della necropoli di via
Madonna delle Grazie (Castellammare di Stabia) e
l’iscrizione graffita AHTIKA SUM” in Studi Etruschi, 1984 (Serie
III), pp. 67-76 fig. 1, 3, tav. XXV.
[47] AA. VV. “Alfedena (L’Aquila); Scavi del 1974 nella necropoli” in NSA 1975, pp. 409-481; F. Parise Badoni – M. Ruggirei Giove, Alfedena, La necropoli di Campo Consolino, Scavi 1974-1979, Chieti 1980, p. XVII (I gruppo di tombe), p. XXIV-XXV, pp. 71-135.
[48] Sannio Pentri Frentani dal VI al I sec. a. C., catalogo della mostra, Roma 1980, p. 123 e sgg., tav. 35.
[49] G. Bailo
Modesti, Cairano nell’età arcaica. L’abitato e la necropoli, Napoli
1980, tipo 102, pp. 85-86, tavv. 56 B, 116.
[50] AA. VV., Les
Céramiques de la Grèce de l’Est et leur diffusion en Occident, Atti del colloquio,
Centre Jean Bérard. Institut Français de Naples, 6-9/7/1976, Parigi-Napoli 1978, pl. XX, fig. Ie ;
CXXVII, 9 ; L. Bernabò Brea – M. Cavalier, Meligunis Lipàra, vol. II,
La necropoli greca e romana nella contrada Diana, Palermo 1965 (d’ora in
avanti abbreviato Meligunìs Lipàra, II) p. 202, tav. XLVII II a; b = t. 371-372; tav.
XLVII, 9° = T. 361 bis; tav.
XLIII, 9a = T. 129; tav. LVIII, II, T. 90.
[51] Meligunis Lipàra, II, tav. XLII, 3; 4, rispettivamente tombe 196 e 391 databili al pieno V sec. a. C..
[52] CVA, Capua (IV) ) IV B, tav. 3, 4 e soprattutto 5: “lebeti nuziali” di dimensioni maggiori dell’esemplare di Montesarchio e datate dal Mingazzini al IV sec. a. C.. Il confronto con materiali di Cuma (CVA, Michigan, pl. XXXVIII, 7 e 14) fa pensare, a proposito del nostro stamnos, ad una fabbrica campana.
[53] Fra i materiali del museo esiste un altro esemplare simile in tutto alle brocche su indicate che si suppone provenire dallo stesso scavo.
[54] CVA, Capua (IV) IV B, tav. 1, 3, testo pp. 3-4, cfr. ivi bibliografia di confronto nella nota conclusiva posta in margine alla tavola.
[55] CVA, Michigan, IV, pl. XXXIX, 2°, 2b materiali provenienti da Cuma o Pozzuoli; CVA, Copenaghen (7), IV, pl. 280, 13-16.
[56] G. Q. Figlioli, “Ponticelli (Napoli). Necropoli del III sec. a. C. in località Purgatorio” in NSA 1922, p. 266, fig. 9, 2.
[57] CVA, Capua (IV) IV B, testo pp. 3-4.