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   I laghi del Matese

 

I LAGHI DEL MATESE

 

(tratto da Invito al Matese,1953 a cura dell’EPT di Caserta e per iniziativa del comune di S. Gregorio M.)

 

 

Una delle maggiori attrattive della montagna del Matese sono le sue acque. Pur essendo un gran paese carsico, il Matese non difetta in senso assoluto di acque: nelle zone più alte, con l’abbondante mantello di nevi che lo ricopre, esso è per gran parte dell’anno animato dal gorgoglio dei numerosi ruscelli; mentre, lungo il circuito di base, esso è perennemente abbellito dagli sbocchi spumeggianti di alcune ricchissime sorgenti. Né solo dalle acque correnti deriva al Matese la nota di vivacità e di colore che distingue i paesaggi migliori; alle acque correnti si aggiungono nella montagna le acque che si raccolgono in masse lacustri e che ne costituiscono uno dei motivi di più suggestiva bellezza.

Il Matese, infatti, ospita fra le sue giogaie tre incantevoli laghi, il lago del Lete, il lago di Campitello e quello da cui proviene il nome a tutta la montagna, cioè il lago Matese. Si tratta di laghi artificiali, che l’uomo crea, per vuotarli a suo arbitrio ed utilizzarne la massa d’acqua con salti che gli forniscono l’energia idroelettrica.

E il Matese, con le sue numerose conche, si presta mirabilmente a questa utilizzazione idrica. Sono, è vero, delle conche carsiche, fornite cioè di voragini naturali che inghiottono le acque che scendono sulle loro alte fiancate; ma l’uomo interviene, per l’appunto, a precludere la strada alle acque dirette agli inghiottitoi e a deviarle in gallerie artificiali. Così la Società Meridionale di Elettricità ha fatto per il lago del Lete, a circa 900 metri sul mare; così per il lago di Campitello, a 1400 metri sul mare. Nel primo caso è stata sbarrata con una diga in muratura la strada al fiume Lete (il quale fino a 40 anni fa si inabissava in una enorme grotta e dopo alcune centinaia di metri risorgeva nel mezzo di una ripidissima parete da cui precipitava con una superba cascata); si è creato così un lago da cui parte una galleria la quale attraversa la montagna per 850 metri e poi precipita con un salto a fortissima pendenza che alimenta la centrale elettrica di Prata Sannita. Il lago di Campitello è un ampio bacino di raccolta sul fianco settentrionale di Monte Miletto.

Prendendo in esame i due laghi del Lete e del Matese, è facile constatare che la natura dell’uno è spiccatamente diversa dalla natura dell’altro: si possono tutti e due chiamare laghi artificiali perché tutti e due sono forniti di gallerie artificiali di scarico e perché  quindi la loro esistenza dipende dalla volontà dell’uomo, ma il lago del Lete si è formato al posto di un fiume, mentre il lago Matese si è costituito trasformando in artificiale un lago naturale. La trasformazione è stata compiuta nel 1923; solo da quell’anno l’uomo è diventato arbitro della vita del lago; ma prima del 1923 il lago Matese costituiva lo stesso una vasta massa d’acque, che si raccoglieva nel fondo della più grande conca carsica del Matese. In questa vastissima conca, della lunghezza di circa dieci chilometri e della larghezza di tre, si venne ammassando, attraverso i millenni, materiale d’alluvione che le acque trascinavano dalle sue fiancate, ed il materiale era abbondante perché tali fiancate si ergono  per centinaia e centinaia di metri, e sono dalla parte settentrionale costituite da una imponente cortina di montagne, su cui spiccano le più alte cime di tutto il Matese, vale a dire il Miletto (2.050 m) e la Gallinola (1922 m).

A tale materiale d’alluvione fluviale altro materiale minuto si aggiungeva, ma di provenienza profondamente diversa: erano le ceneri vulcaniche, che i venti trasportavano dai numerosi crateri oggi spenti ma allora attivissimi dei Campi Flegrei del Somma-Vesuvio e del Roccamonfina, e che a poco a poco ammantavano le vicine regioni dell’Appennino, donde le acque dei fiumi le trascinavano o nel mare o nelle zone più riparate. Il terreno minuto, che, in simil modo, si raccolse nel fondo della più grande conca del Matese e lo spalmò per la massima parte, ne ostruì pure molti degli inghiottitoi, che prima assorbivano avidamente le abbondanti acque di pioggia: li ostruì sulla sponda settentrionale e nel centro della depressione, ma non riuscì a ostruire tutti gl’inghiottitoi della sponda meridionale, lungo la quale, fra gli altri, due ne rimasero di molto grandi, uno detto delle Brecce e l’altro dello Scennerato. In seguito alla parziale chiusura degli sbocchi sotterranei, le acque che affluivano da tutti i lati nella conca non furono più così rapidamente assorbite come una volta, ma si raccolsero nel fondo di essa e dettero origine a uno dei più bei laghi d’Italia, il lago Matese. Lago, però, spiccatamente diverso dagli altri per la grande oscillazione di livello; lago, infatti, con un bilancio variabilissimo, formato con l’entrata molte volte rapida delle acque fornite dalle piogge e dallo sciogliersi delle nevi e con l’uscita di solito lenta delle acque smaltite dagli inghiottitoi; lago, quindi, che si gonfiava notevolmente nell’inverno e sul principio della primavera e si riduceva enormemente di volume nell’agosto-settembre. Questo era il comportamento naturale della vasta massa di acqua che la Società Meridionale trovò nel cuore del Matese prima del 1923. In tempo come gli attuali, in cui si cerca di creare dal nulla i laghi in montagna, per sfruttare le cadute d’acqua, non era concepibile che si rinunziasse ad utilizzare una massa lacustre già bella ed esistente a 1007 metri d’altezza. Posto che fu il problema dell’utilizzazione idroelettrica del Lago Matese, l’uomo si limitò a completare l’opera che la natura aveva iniziata, liberando cioè la massa d’acqua dagli inghiottitoi che sulla sponda meridionale erano rimasti a succhiarla. Furono così costruite delle dighe in terra che isolarono le voragini e permisero la sopraelevazione del livello del lago sino all’altezza di 1012 metri, in modo da poter immagazzinare un volume d’acqua di molti e molti milioni di metri cubi, a quest’acqua è stato dato uno scarico. Si è attraversato in due gallerie forzate la sponda meridionale del lago per circa due chilometri e mezzo ei il monte Cila; all’estremo delle gallerie si è innestata una condotta forzata che dà vita alle centrali di Val Paterno e di Piedimonte d’Alife alla base del Matese. Da Piedimonte d’Alife parte la rete di fili che da un lato sormonta le propaggini orientali del Matese, sbocca nella conca di Benevento, fiancheggia la ferrovia Benevento-Foggia e si prolunga nel resto della Puglia, ove si congiunge con la rete proveniente dalla Sila, e dall’altro verso il Lazio e l’Abruzzo e Molise. L’energia prodotta dallo svuotamento dei laghi del Matese vien portata quindi a centinaia di chilometri di distanza in ricche contrade dell’Italia meridionale e centrale, ove dà vita ad industrie, fornisce l’illuminzaione a numerosissimi centri abitati, viene utilizzata per la trazione su linee ferroviarie e tranviarie, si confonde con resto dell’energia che si produce dalla Calabria all’Abruzzo, in modo da rappresentare un elemento della grande forza idroelettrica, che allaccia dalle Alpi alla Sicilia, tutte le regioni d’Italia.

E le opere che a questo fine sono state costruite nella montagna del Matese non hanno peraltro turbata, nelle linee generali, la fisionomia naturale della regione o offuscata la purezza del paesaggio. Perfino la massa stessa del lago ha modificato di poco il suo comportamento. È vero che la sua esistenza dipende, come ho detto prima, dalla volontà umana, ma è vero pure che lo sfruttamento delle acque del lago si compie specialmente nei mesi estivi, sicché i più bassi livelli corrispondono anche oggi al periodo agosto-settembre, come avveniva una volta: si può dire che allo svuotamento che prima ne facevano, senza utile alcuno, gli inghiottitoi, si sia oggi sostituito lo svuotamento razionale e proficuo, che ne fa l’uomo per creare ricchezza. Ma il lago conserva nel complesso l’aspetto di un tempo, ed è sempre caratterizzato nella parte occidentale dalla diffusa vegetazione acquatica che ne interrompe a lunghe chiazze lo specchio, e conserva sempre sulla sua fiancata meridionale il rigoglioso rivestimento di macchie e di boschi. Sicché il lago continua ad essere il tratto di maggiore richiamo per i turisti, purtroppo ancora pochi, che visitano il Matese, tanto più che, oltre che per la magnificenza dei suo panorami, esso ha un’importanza di primo ordine nella montagna come zona di transito per coloro che intendono ascendervi le più alte cime.

Nel complesso, anzi, tutte le opere che si vengono costruendo nel Matese per trarre il massimo vantaggio possibile dalla ricchezza delle sue acque finiscono col preparare la regione alla penetrazione turistica, col favorire le comunicazioni con la pianura, col creare sull’altopiano i primi segni del profondo rinnovamento sociale che la vita moderna suole apportare. E nelle forme del paesaggio naturale benissimo s’inquadrano le stesse masse d’acqua artificiali, le quali dànno armonia e vita alle zone spianate in cui si raccolgono, valgono a differenziarle l’una dall’altra, accrescono nella montagna le note di incanto e di agreste bellezza, che vi sono peraltro così largamente e così variamente profuse.

Carmelo Colamonico

 

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